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 2014  agosto 07 Giovedì calendario

SIRIA, MISSIONE SEMPRE PIÙ RISCHIOSA

Nessuno avrebbe mai immaginato tre anni fa, quando esplose la rivolta contro Bashar Assad, che Aleppo sarebbe diventata uno degli obiettivi strategici del nuovo Califfato di Abu Bakr Baghdadi, il leader jihadista che sta costituendo uno stato islamico tra Siria e Iraq, a Nord dello Shams, del Levante, tentando di collegare la sua roccaforte irachena di Mosul con la città siriana. Quella che era un tempo, insieme a Damasco, la città più affascinante della Siria, raccolta intorno alla cittadella fortificata e alle moschee gloriose dell’Islam omayyade, è diventata da oltre due anni un rovinoso campo di battaglia, di morte e distruzione, dove nulla è stato risparmiato alla popolazione e ai suoi storici monumenti.
È in questo scenario dove si scontrano le forze di Assad con jihadisti di tutte le tendenze che sono state rapite due ventenni italiane di origine lombarda, Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, fondatrici del progetto umanitario Horryaty. Le due volontarie italiane sarebbero state sequestrate da uomini armati ad Abizimo nei dintorni di Aleppo nella notte del primo agosto, in un’area controllata dall’opposizione. Erano entrate da Atma, a pochi chilometri da uno dei più grandi campi profughi. Non erano alla loro prima esperienza: a quanto pare erano già entrate in Siria nel marzo del 2014. Secondo fonti locali il sequestro è stato effettuato da decine di uomini armati che hanno circondato la casa dove si trovavano prendendo in ostaggio anche due siriani che avrebbero dovuto proteggerle. Ma qui nessuno può garantire niente a nessuno: i siriani sono poi stati poi liberati a una ventina di chilometri dall’area del rapimento.
Una dinamica che fa immaginare un’operazione mirata, non casuale. Come certamente non casuale è stato il rapimento di padre Paolo dall’Oglio. Nel luglio dello scorso anno il gesuita romano è scomparso a Raqqa, adesso sotto il pieno controllo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante(Isil), il Califfato di Baghdadi. Tempo addietro era stata diffusa l’ennesima notizia, poi smentita, che dall’Oglio era stato ucciso dai miliziani qaedisti.
Viaggiare in Siria, come ha testimoniato anche il rapimento dell’inviato della Stampa Domenico Quirico, è un’impresa rischiosa, sempre più difficile e anche assai dolorosa. Lo è evidentemente per i risvolti personali delle donne e degli uomini coinvolti, delle loro famiglie, perché essere sequestrati significa entrare in un tunnel nel quale si perde ogni speranza: sono queste le vite sospese, in cui l’attesa stessa è una tortura atroce che si aggiunge alle altre.
Ma il viaggio in Siria, o meglio nell’ex Siria, oggi è soprattutto un pellegrinaggio doloroso per la tragedia immane che vive questo Paese: oltre 160mila morti, milioni di profughi e rifugiati. La guerra siriana e quella irachena, che ormai si riflettono l’una nell’altra come in uno specchio deformante con l’avanzata sanguinosa del Califfato, stanno stravolgendo in maniera forse irrimediabile luoghi, confini, popolazioni e intere nazioni. Abbiamo visto e documentato recentemente i quartieri cristiani di Homs rasi al suolo, la città di Maloula devastata dai jihadisti, l’oppressione di un regime che trova ancora la sua giustificazione soltanto nell’ascesa, sul fronte opposto, dei miliziani islamisti più oscurantisti. Chiedersi cosa sarebbe accaduto se gli americani avessero bombardato la Siria non è un esercizio retorico, significa entrare nel cuore della questione: cosa possiamo fare di meglio per questo Paese e magari anche per l’Iraq? In Medio Oriente l’Occidente ha fatto molte cose sbagliate e ora di fronte al caos sembra non avere nessuna idea. Il Califfato di Baghdadi, per quanto effimero possa essere, ha già vinto, insieme al suo nemico Assad, una battaglia.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 7/8/2014