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 2014  agosto 07 Giovedì calendario

QUEL TIMER SULLA FIDUCIA DEGLI INVESTITORI INTERNAZIONALI

Lo scorso marzo gli economisti di Royal Bank of Scotland realizzarono un sondaggio sull’Italia, interpellando i principali investitori del mondo. Emerse che il 70% di loro aveva intenzione di comprare azioni o titoli di Stato italiani, sebbene solo il 38% ritenesse che il Governo Renzi sarebbe riuscito a concludere le riforme annunciate. L’aspetto più interessante era però un altro: la maggioranza di questi grossi fondi internazionali si dichiarava pronta a disinvestire dalla Penisola qualora le riforme si fossero arenate. Quel sondaggio, letto oggi a distanza di mesi con il senno del poi, suona un po’ come un avvertimento. Un monito. O una profezia.
Quando due giorni fa Goldman Sachs ha pubblicato uno studio in cui per la prima volta sconsiglia «di assumersi rischio di credito sui Paesi periferici», tanti hanno avuto la sensazione che qualcosa nel feeling tra investitori e Paesi del Sud Europa si sia rotto. La potente banca d’affari americana non consiglia di vendere il Sud Europa, ma di restare «neutrali» (dunque di smettere di comprare). E questo non è solo il suggerimento di Goldman Sachs. Anche un sondaggio recente condotto da Banca del Ceresio tra gli hedge fund londinesi dimostra che l’età dell’oro sui mercati europei potrebbe essere finita: gli stessi gestori europei interpellati nel sondaggio «si sono dimostrati più propensi ad investire in altre zone del mondo (Giappone, Usa, Corea), piuttosto che nel Vecchio continente». Insomma: l’Europa, per due anni Eldorado dei mercati, suscita oggi meno entusiasmo. A partire dal Sud. O, più precisamente, dall’Italia.
In effetti è difficile dare torto a questi gestori. I mercati azionari e obbligazionari europei corrono ormai da due anni senza sosta. La Borsa italiana dal luglio del 2012 (cioè dal famoso discorso del presidente Bce Mario Draghi) al luglio 2014 ha aumentato il proprio valore del 53%. Mediamente i listini europei sono saliti del 38%. E i rendimenti dei titoli di Stato sono drasticamente calati. Tutto questo è avvenuto per almeno tre motivi. Uno: l’intervento della Bce del luglio 2012 e più di recente l’aspettativa sulle sue nuove manovre. Due: la risoluzione positiva della crisi greca, portoghese e spagnola. Tre: gli investitori hanno così tanti soldi (pompati dalle banche centrali) che accettano qualunque rischio pur di avere rendimenti appetibili. Questi tre elementi hanno fatto dell’Europa, e soprattutto del Sud, il luogo ideale dove investire negli ultimi due anni: i titoli di Stato avevano rendimenti ancora alti, le azioni in Borsa erano sottovalutate e la crescente stabilità garantiva una certa prevedibilità del futuro.
Ma oggi non è più così. Ormai anche i titoli di Stato del Sud Europa offrono rendimenti molto bassi. Un Bond statale americano a 5 anni paga oggi un tasso d’interesse maggiore (1,64%) rispetto a un BTp italiano (1,39%) o a un Bonos spagnolo (1,18%). Anche le Borse non sono più sottovalutate, dunque sono meno appetibili. Ora per convincere gli investitori a continuare a puntare sull’Europa (e soprattutto sull’Italia) serve un passo in più. O meglio, due: la ripresa economica e le riforme. Il problema è che entrambe le cose non si vedono.
Il tasto della ripresa economica è dolente non solo in Italia. Il Belpaese ieri ha sorpreso tutti con quel calo del Pil dello 0,2%, ma anche la "virtuosissima" Germania non va affatto bene. Il dato di ieri sulla produzione industriale parla da solo. Solo la Spagna ha superato le aspettative, ma come sottolineano gli analisti di Barclays «la sorpresa negativa dell’Italia supera quella positiva della Spagna». Sul tema delle riforme la delusione è più o meno la stessa. In Italia si stanno rivelando più lente e complesse di quanto previsto da molti economisti in passato. Gli investitori, dunque, si domandano legittimamente: ha ancora senso puntare sull’Europa e sull’Italia?
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 7/8/2014