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 2014  agosto 07 Giovedì calendario

NO, DROGA E PROSTITUZIONE NON RIPORTERANNO LA CRESCITA

L’idea era troppo gustosa per non diffon­dersi con discreto successo attraverso il passaparola estivo: dal momento che a settembre l’Istat aggiornerà i criteri di mi­surazione del Pil secondo le nuove regole europee, l’Ita­lia dal prossimo mese tornerà ufficialmente a crescere semplice­mente grazie all’inclusione nel calcolo del prodotto interno lordo di attività come il traffico di droga, la prostituzione e il contrabbando di alcol e sigarette. Il fatto che il governo potrà sfruttare questa cre­scita economica ’criminale’ per permettersi qualche spesa in più rende l’intera faccenda ancora più stuzzicante. Qualcosa di cui chiac­chierare sotto l’ombrellone, un po’ indignandosi e un po’ sorriden­do.
Il ricalcolo del Pil sarà in realtà un’attività meno divertente e dagli effetti molto modesti. È vero che i nuovi criteri decisi dall’Eurostat prevedono che anche le attività illegali di contrabbando, prostitu­zione e traffico di droga entrino a fare parte del Pil. L’Esa-2010 (que­sto il nome del nuovo metodo di calcolo) chiede anche di conteggiare gli armamenti di una nazione come ’investimento’ e non come ’spe­sa’. Altra novità meno curiosa ma dagli effetti più pesanti è che an­che le spese in ricerca e sviluppo saranno considerate investimenti e non semplici uscite. Dall’aggiornamento dei criteri di calcolo si sti­ma che i Pil dei paesi europei risulteranno essere tutti più grandi. Il Pil francese, per esempio, è già stato adeguato e si è ’gonfiato’ del 3,2%. Per l’Italia, paese forse ricco di attività illegali ma tristemente pove­ro di investimenti, le stime indicano che la revisione sarà tra le più modeste: al massimo l’aumento raggiungerà il 2%. Questo ricalco­lo non produrrà nessun effetto su quella che chiamiamo ’crescita’: l’Istat ricalcolerà tutti i Pil a partire dal 2011, quindi il tasso di e­spansione dell’economia, che si misura di trimestre in trimestre o di anno in anno, resterà lo stesso (e per ora è un tasso negativo). L’am­montare del Pil, però, sarà maggiore, e questo rappresenta effettiva­mente un vantaggio per il governo, che calcola in proporzione al Pil gli indicatori di contabilità pubblica come il deficit (la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato) e il debito.
Basta fare due calcoli, però, per accorgersi che il vantaggio sarà dav­vero scarso. Anche nel migliore dei casi, cioè quello di un Pil che cre­sce del 2% grazie al ricalcolo, l’impatto sul deficit sarà minimo. Nel Def presentato ad aprile il governo indica per il 2014 una crescita rea­le del Pil dello 0,8% e un deficit al 2,6% del Pil, cioè ab­bondantemente dentro il tetto del 3% imposto dall’Eu­ropa. Tradotte in cifre, quelle percentuali indicano un Pil di 1.588 miliardi di euro e un deficit di 41 miliardi. Se la previsione di crescita si avverasse (ma quello 0,8% sem­bra ormai irraggiungibile) e grazie al ricalcolo il valore del Pil si ’gonfiasse’ del 2%, a 1.619 miliardi, un deficit di 41 miliardi si atte­sterebbe al 2,53% invece che al 2,6% del Pil. Una differenza di nem­meno un decimo di punto percentuale. Sul debito pubblico l’effetto del ricalcolo sarebbe più visibile – attorno ai due punti percentuali e mezzo – ma si tratterebbe comunque di poca cosa rispetto alle di­mensione del passivo: tra il debito al 134,9% del Pil indicato dal go­verno e il 132,3% che potrebbe uscire dalla revisione non c’è poi una grande differenza. «Tra l’altro non dimentichiamo – avverte Paolo Oneto, direttore della contabilità nazionale per l’Istat – che i nuovi criteri di calcolo riguardano anche il perimetro della pubblica am­ministrazione, con possibili aggiustamenti, presumibilmente mo­desti, anche su deficit e debito». Insomma, per rimettere a posto i conti e il Pil, purtroppo o per for­tuna, il governo Renzi dovrà fare da solo, senza sperare in qualche provvidenziale ’aiutino’ statistico.