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 2014  agosto 07 Giovedì calendario

GRANDE GUERRA I PARALLELI STORICI CHE INGANNANO


È passato un secolo da quando il fragore assordante dei cannoni di agosto 1914 segnò la fine del dominio europeo. Potrebbe ripetersi ai giorni nostri una simile catastrofe? La successione di eventi occorsi da quando il jet malese MH17 è stato abbattuto nella regione orientale dell’Ucraina assomiglia in realtà a quanto accadde in seguito all’omicidio dell’Arciduca austriaco Francesco Ferdinando nel giugno del 1914. Oggi, come allora, la crisi inizia con un atto di terrorismo di Stato. Oggi, come allora, la Russia è al fianco dei guerrafondai.
Persino la richiesta olandese di poter accedere al sito dove sono morti i suoi cittadini ricorda l’ultimatum dell’Austria alla Serbia. Oggi, come allora, è conteso il possesso di una regione apparentemente senza importanza: nel 1914 era la Bosnia-Erzegovina, oggi sono la Crimea e la «Repubblica popolare» di Donetsk e Luhansk. E oggi come allora la crisi si sta aggravando. Gli Usa avevano inasprito le sanzioni contro la Russia già prima dell’abbattimento del MH17; pochi giorni fa, con l’Unione Europea, hanno colpito interi settori dell’economia russa. Più forte è la stretta economica e più all’angolo è Vladimir Putin. Di fatto, l’Occidente lo sta mettendo di fronte alla scelta tra resa — ritirare l’ appoggio ai separatisti — ed escalation — assicurandosi che questi ultimi non siano schiacciati da Kiev. Per uno come Putin, la prima opzione non è un’alternativa. La crisi del luglio 2014 appare quindi essere di cattivo auspicio. Nella migliore delle ipotesi, è naufragata la speranza che la Russia post-sovietica potesse pacificamente integrarsi nell’ordine mondiale basato su democrazia e libero mercato; nella peggiore, quello iniziato come un problema locale in Ucraina potrebbe degenerare in un conflitto molto più ampio.
Come spiegare dunque l’apparente calma dei mercati finanziari? Colpa degli storici. Per i sostenitori della tesi che identifica le cause della Prima guerra mondiale nelle patologie dell’Europa del XX secolo (imperialismo, militarismo, nazionalismo e diplomazia segreta), non c’è da preoccuparsi per l’attuale crisi: gli europei hanno rinunciato all’imperialismo, sono quasi disarmati, si vergognano del nazionalismo e conducono le loro azioni diplomatiche più via Twitter che con telegrammi segreti. Ancor più fiducioso è chi insiste nel dare la colpa del 1914 alla Germania. I tedeschi di oggi preferiscono vincere Coppe del mondo che perdere guerre mondiali. Angela Merkel sembra l’antitesi perfetta dell’imperatore Guglielmo II: donna, eletta democraticamente, molto accorta e quasi comica nel suo tergiversare quando le si chiede cosa la faccia sentire orgogliosa di essere tedesca. («Le nostre finestre ben sigillate», disse una volta al giornale Bild ). Eppure, la maggior parte delle spiegazioni accademiche della Prima guerra mondiale ha un difetto: le «cause» del conflitto sembrano essere sfuggite ai contemporanei, per i quali — con rare eccezioni — la guerra fu una sorpresa totale. Tra i più informati nel 1914 vi erano i banchieri della City londinese, che rischiavano di perdere molto denaro nell’eventualità di una guerra mondiale. Eppure la corrispondenza dei Rothschild, all’epoca la dinastia finanziaria più potente al mondo, rivela un fallimento quasi totale del tentativo di prevenire lo sviluppo del conflitto.
Il 23 luglio 1914, Nathaniel, primo Lord Rothschild, riferì che l’«idea generale», era «che le varie controversie sarebbero state risolte senza ricorrere alle armi». Solo il 31 luglio, giorno di apertura delle ostilità, il mondo finanziario vide «il significato della guerra, in un flash». È noto che i mercati finanziari non badano alle brutte notizie provenienti da Medio oriente ed Est Europa: ma ciò non significa che esse non siano infauste. Nessuno aveva messo in conto neppure i cannoni dell’agosto 1914.
Questo dovrebbe far riflettere non solo gli storici. Se i grandi eventi possono avere cause troppo poco evidenti per essere notate dai contemporanei, perché non potrebbe essere in atto oggi una crisi analoga? Per il fatto che ora abbiamo l’Onu? Difficile: con la Russia nel Consiglio di sicurezza, quell’istituzione è impantanata nella crisi. Per l’Ue? Certo, ciò elimina il rischio che uno stato dell’Europa occidentale possa prendere apertamente le parti della Russia, come fecero Francia e Gran Bretagna nel 1914: ma non ha impedito agli Stati Ue che importavano molta energia dalla Russia di lottare contro l’inasprimento delle sanzioni. Per la globalizzazione? Lo stesso argomento poteva essere addotto 100 anni fa: altissimi livelli di interdipendenza economica non sempre vaccinano i Paesi da aggressioni reciproche. Sento dire che sono le armi nucleari ad aver ridotto la probabilità di una guerra mondiale. Ma nel fare i loro calcoli sulle sanzioni i leader europei non hanno pensato alla superiorità della Russia a livello di testate atomiche.
Una risposta migliore risiede nell’equilibrio delle forze convenzionali — e in quello della volontà di usarle. Dalla fine della Guerra fredda, gli europei hanno proceduto a un significativo disarmo, e ora non sono in condizioni di combattere senza l’assistenza Usa. Cosa ancora più significativa, hanno perso la voglia di combattere. Un secolo fa, la stragrande maggioranza dei britannici sposò la tesi del governo, secondo cui la violazione tedesca della neutralità belga costituiva un casus belli legittimo. E oggi? Persino dopo l’abbattimento dell’MH17, solo un britannico su 10 è a favore dello schieramento di truppe per difendere l’Ucraina dalla Russia. L’asimmetria fondamentale nella crisi è che il Cremlino può e vuole usare la forza militare; europei — e americani, in questo caso — non vogliono andare oltre le sanzioni.
Ma c’è un modo ancora migliore per spiegare la differenza fra il 1914 e il 2014: riconoscere che anche gli avvenimenti di 100 anni fa furono una sciagura molto improbabile, dovuta a una serie di valutazioni diplomatiche e militari errate. Un modo (non ortodosso per gli standard storici) per dimostrare questa tesi è quello di emulare la crisi del 1914 attraverso simulazioni a computer, oggi possibili grazie al sofisticato gioco di strategie Making History: The Great War , che fa capire che chi compie decisioni non è prigioniero di immense forze impersonali, ma ha alternative significative. È possibile riprodurre svariate volte la crisi del luglio 1914 senza arrivare ad una guerra mondiale. La vera lezione della storia è che una crisi di poco conto per un fazzoletto di terra dell’Europa orientale può scatenare un conflitto globale solo se chi compie decisioni fa una serie di errori macroscopici. Penso che sia un clamoroso abbaglio utilizzare le sanzioni per mettere con le spalle al muro il Presidente Putin con l’aut aut di arrendersi o combattere, come succede oggi. Ma — ammesso che non si verifichino altri casi MH17 — il costo di quell’errore sarà pagato mensilmente dal popolo ucraino. Gli svarioni di un secolo fa hanno causato la morte di più di 10 milioni di persone, soprattutto giovani, in ogni parte del globo. Mentre commemoriamo lo scoppio della Prima guerra mondiale, non beviamoci la vecchia ma resistente menzogna che descrive il loro «sacrificio» come nobile e necessario. Al contrario, la guerra deve essere intesa come il più grave errore della storia moderna. Lo scorso giugno, il Presidente Obama stupì i giornalisti a bordo dell’Air Force One dichiarando la sua nuova dottrina politica: «non fare idiozie» . La lezione della storia, per parafrasare Donald Rumsfeld, è che le idiozie accadono.

(Traduzione di Ettore Claudio Iannelli)