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 2014  luglio 24 Giovedì calendario

QUANTI PROFETI DI SVENTURA SUL LAVORO UNA STORIA DIVERSA DAI DATI AMERICANI


Lo sport preferito, in questi giorni, di sociologi, politici e consulenti strategici è quello di sostenere che stiamo andando incontro a un drammatico calo del lavoro perché le nuove tecnologie, molto diverse da quelle della cosiddetta «automazione di fabbrica», non creano posti di lavoro che rimpiazzino quelli che distruggono. Finisce il mito del progresso tecnologico e si porta appresso anche la fine di Joseph Schumpeter, teorico della distruzione creativa. È così? Sono state fatte analisi microeconomiche che dicono che i posti persi nelle banche, nelle agenzie di viaggio, nelle case editrici non sono rimpiazzati da altrettanti posti nell’informatica, nel marketing multimediale, nelle telecomunicazioni? E comunque, se anche fosse, siamo sicuri di aver contato in entrata tutte le attività che abbiamo catalogato in uscita? In realtà di queste analisi non si è vista neanche l’ombra, in ogni caso non al livello adatto a valutare fenomeni di così grande portata. Questi profeti di sventura dovrebbero comunque spiegarci come mai l’occupazione Usa, dove le nuove tecnologie sono impiegate con la massima intensità, non diminuisce affatto ma anzi cresce e recupera le perdite della crisi del 2008/2009. Le statistiche del Bureau of Labor dicono che l’occupazione non agricola era di 132,6 milioni a fine 2004 ed è salita a 137,4 milioni a fine 2013, dopo aver recuperato il calo del 2008 e 2009. Tutto questo tenendo conto che buona parte della produzione di apparecchiature informatiche, dai computer agli smartphone e ai tablet, è da tempo finita in Asia. Quindi non solo i nuovi posti di lavoro hanno più che compensato le perdite occupazionali dei settori più colpiti, ma lo hanno fatto senza approfittare della grande opportunità derivante dai nuovi gadgets. La realtà è che l’occupazione aumenta con la crescita e questa con la produttività. Se le aziende producono a minori costi, il mercato si allarga. Queste analisi vanno fatte a livello macroeconomico, dove tutta l’occupazione viene censita.