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 2014  luglio 24 Giovedì calendario

VOLI ALLUNGATI E PIU’ CHEROSENE, PER LE COMPAGNIE INCUBO COSTI

In queste settimane, nelle sale di sicurezza delle compagnie aeree, gira una cartina. Alle mete da monitorare attentamente - Libano, Sinai, Etiopia - si sono aggiunti tre cerchi rossi: l’Est dell’Ucraina, la Siria, adesso Tel Aviv, dove lo scalo Ben Gurion funziona a un decimo delle sue possibilità. Situazioni diversissime, ma cruciali per business e turismo.
È la guerra nella guerra, che fa svoltare le rotte, affossa i conti dei vettori, mette a nudo la debolezza di chi fissa i paletti. L’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Easa), per esempio, che ieri ha emesso un bollettino con una «forte raccomandazione» ad evitare il Ben Gurion «fino a nuove indicazioni». Uno stop? Nemmeno per sogno, perché l’ente non ha i poteri di blindare le tratte. «Raccomandazioni come queste hanno un impatto dissuasorio ma non rappresentano un divieto - ragiona Andrea Giuricin, docente della Bicocca ed esperto di trasporti -. I poteri dell’Agenzia sono abbastanza limitati e non è un caso che dopo la tragedia ucraina si discuta di una revisione delle procedure». Al momento, nel Vecchio Continente, la decisione è nelle mani delle compagnie e delle organizzazioni nazionali. Di solito i blocchi sono causati da eventi naturali - il vulcano del 2010 - oppure in vigore su aree limitatissime: la Casa Bianca, gli stadi durante i mondiali in Brasile. Questa volta no, questa volta il nemico sono i razzi, anche se quelli in dotazione ad Hamas hanno una tecnologia decisamente inferiore rispetto a quello che ha abbattuto il Boeing della Malaysia Airlines. «Sono rozzi, non hanno un radar: la probabilità che possano centrare un aereo di linea è abbastanza bassa» dice l’analista Gregory Alegi, docente della Luiss. «I rischi maggiori li corrono gli aerei parcheggiati. C’è una parte di emotività nelle scelte di queste ore, soprattutto perché in Ucraina tutti erano consapevoli dei pericoli». Chiamatela, se volete, coscienza sporca. Oppure- ragiona Alegi - di tentativo, da parte dell’amministrazione Obama, di far pressione su Netanyahu per portarlo al tavolo della trattative. L’unica certezza è che negli Stati Uniti, per ora, ha vinto la prudenza: la Federal Administration Aviation ieri sera ha esteso lo stop anche per le prossime 24 ore, spaccando il fronte degli esperti. Di fianco allo scalo, spiega la Faa, ci sono detriti e rottami. Volare lì sarebbe troppo rischioso. Alegi non ci sta. I gruppi europei, spiega, si stanno muovendo in ordine sparso. Questione di affari, ma non solo. «C’è un problema culturale» prosegue. British Airways tiene duro, EasyJet s’è arresa, Alitalia dopo una giornata di discussioni ha scelto di far slittare ancora la partenza del volo che decolla da Fiumicino. Se ne riparla stasera: l’orario sul biglietto segna le 22.30. Possibile che si parta.
«Il divieto di sorvolo di determinate zone di volo comporta un aumento di costi. Le aziende infatti devono effettuare delle rotte più lunghe per raggiungere le destinazioni con un sovrapprezzo dovuto al carburante. Bisogna ricordare che nel trasporto aereo il costo del carburante rappresenta il 35-40 per cento delle spese totali e dunque l’impatto economico di un allungamento delle tratte potrebbe comportare degli aumenti dell’ordine del 2-3 per cento», dice Giuricin. E poi, naturalmente, ci sono i biglietti: Lufthansa, che continua a lasciare gli aerei a terra, ha già rinunciato a 20 voli. Eppure, spiegano dal quartier generale di Colonia, «non ci sono informazioni disponibili che giustifichino una ripresa».