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 2014  giugno 26 Giovedì calendario

GANT, L’UFFICIALE USA CHE SCONFISSE I TALEBAN PERDENDO SE STESSO

Il generale Petraeus lo chiamava «Lawrence d’Afghanistan», per l’abilità con cui si era guadagnato la fiducia delle tribù locali, come il mitico agente inglese con gli arabi. Gli era sfuggita però l’altra faccia di Jim Gant, quella nascosta nel villaggio della provincia di Kunar dove viveva, che lo faceva somigliare anche al colonnello Kurtz di Apocalypse now. La storia incredibile di una deriva, avvenuta nel «cuore di tenebra» della guerra più lunga mai combattuta dagli americani.
Gant era uno straordinario maggiore dei Berretti Verdi, le truppe speciali di Fort Bragg a cui apparteneva anche Kurtz. Aveva servito con valore in Iraq e Afghanistan, su cui aveva scritto anche un libro, One Tribe, dove sosteneva che l’unica maniera per vincere era conquistare la fiducia delle tribù locali e convincerle a combattere i taleban e Al Qaeda al fianco degli americani. Questa sua idea aveva colpito Petraeus, che lo aveva incaricato di metterla in pratica nel villaggio di Mangwel, provincia di Kunar al confine col Pakistan, casa degli insorti più feroci.
Jim si era sistemato in un qalat, l’abitazione tradizionale. Aveva tolto la divisa, e al suo posto indossava la tunica shalwar kameez e il cappello pokol. Somigliava a Bin Laden, più che a un ufficiale Usa. Così aveva conquistato la fiducia dei pashtun, al punto che il capo del villaggio Malik Noor Afzhal, soprannominato «Toro Seduto» dagli americani, lo aveva adottato come un figlio. I ragazzi del villaggio combattevano insieme ai suoi uomini, cioè altri ragazzi precipitati in Afghanistan dal Kansas, che avevano tolto le divise e seguivano Jim come un dio. I risultati si erano visti e i superiori erano entusiasti. L’idea «go native», fare come i locali, stava funzionando, e forse era la chiave per girare l’intero conflitto. Il suo villaggio era diventato un modello, al punto che ci portavano in visita vip come il senatore McCain.
Quello che i generali non sapevano, però, era quanto Gant si fosse spinto avanti. Sulle montagne impervie di Kunar aveva conosciuto l’inviata di guerra del Washington Post, Ann Scott Tyson, e si erano innamorati. Entrambi erano sposati e avevano quattro figli, ma i loro matrimoni erano in crisi. «Salta e vieni con me», le diceva lui. Ann all’inizio rideva ma poi si era fatta convincere. Aveva mollato il lavoro ed era andava a vivere nella casupola di Jim. I soldati del maggiore pensavano che in quelle condizioni le regole fossero relative e quindi chiudevano un occhio, anche sul fatto che beveva, prendeva antidolorifici e forse droghe, e una volta si era messo un mitra in bocca fingendo di spararsi. La gente di Kunar lo amava e lo seguiva, e questo bastava.
All’inizio del 2012, però, era arrivato il sottotenente Thomas Roberts, assegnato all’unità di Gant subito dopo il diploma all’accademia di West Point. Ligio al dovere, privo di dubbi, Thomas era rimasto sconvolto da quello che aveva visto. L’11 marzo aveva fatto rapporto ai superiori, che avevano spedito subito gli elicotteri a prendere Jim. Ann era riuscita a scappare, poco prima che lo fermassero. Quando lui era sparito, i pashtun locali avevano protestato con le autorità americane, chiedendo di rimandare indietro il comandante. Gant però era stato riportato a Fort Bragg, degradato a capitano e costretto a dimettersi. Il provvedimento disciplinare contro di lui lo accusava di aver trasformato il suo villaggio in un «self created fantasy world», un mondo immaginario basato su alcool, sesso e droga. Petraeus, che lo aveva decorato con la medaglia d’argento, disse: «Ha sbagliato, ma ha fatto un lavoro straordinario».
Ora Gant vive a Seattle e soffre di post traumatic stress disorder, vedendo Iraq e Afghanistan che crollano. È sposato con Ann, che ha raccontato la loro storia nel libro American Spartan. C’è scritto che i Seals trovarono il suo libro One Tribe, nella casa di Bin Laden ad Abbottabad, con l’ordine di ucciderlo. «Ho violato le regole – dice lui – ma ho combattuto ogni giorno, riportando sempre i miei uomini a casa. Io stavo vincendo la mia guerra, gli altri non so».
Paolo Mastrolilli