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 2014  aprile 24 Giovedì calendario

PERISCOPIO


Il nuovo amministratore delegato delle Poste italiane si chiama Caio. Si sono giustamente tenuti sul vago. Spinoza.



Pfizer, la casa farmaceutica diventata celebre per il Viagra, ha offerto 100 miliardi di dollari per il controllo dell’anglo-svedese AstraZeneca. L’affare si ingrossa. Il rompi-spread. MF.



(mfimage) Il vincitore della corsa alla segreteria del Pd e poi alla premiership è Matteo Renzi, il 39enne sindaco di Firenze che si vanta di non sapere le parole di «Bandiera rossa». Il rottamatore, ora che ha finalmente rottamato, si appresta (forse) a togliere deleghe, scrivanie, uffici, lavoro a qualche migliaio di funzionari, attivisti, militanti, segretari di federazioni, di sezioni, gestori di case del popolo, gestori di circoli Arci, impiegati di patronati, professori di corsi professionali, organizzatori di eventi culturali, la House organ tv, il potente ufficio della comunicazione. Oltre al finanziamento pubblico. Sono tempi durissimi per i comunisti italiani, specie in epoca di lavoro scarseggiante. Enrico Deaglio, ilvenerdì.



Quando guardo questa crisi devastante, penso alla peste che è stata una calamità di gran lunga peggiore. Il mio motto è: fine della paura, inizio della vita. Da ragazzo ero timido, mi sentivo bruttino, poco amato. Con il tempo, queste paure sono svanite e da allora la strada è stata tutta una discesa. Elio Fiorucci, stilista. Corsera.



Insisteremo molto, perché crediamo che ciò sia fondamentale, nella necessità di creare un fondo per la riduzione delle pressione fiscale: i soldi che si raccolgono, privatizzando o facendo economie, finiscono qui e non vanno utilizzati per spendere ancora, ma per ridurre le tasse. Semplice, no? Matteo Renzi. Il Foglio.



Nel 1946 l’ambasciatore d’Italia a Mosca, Pietro Quaroni, era stato nominato ambasciatore a Parigi. Nel passar da Roma per raggiungere il suo nuovo posto, Quaroni chiese udienza al Santo Padre, e Pio XII lo ricevette con la sua abituale, signorile cortesia. Parlarono della situazione politica internazionale, dell’Italia, della Russia, e, a un certo punto, il Santo Padre domandò a Quaroni quale impressione si provasse entrando al Kremlino. «La stessa», rispose Quaroni, «che si prova entrando in Vaticano». Curzio Malaparte, Battibecchi. Shakespeare and Company, 1993.



Un candidato deve mostrarsi vincente, talmente sicuro di sé da presentarsi al pubblico in campagna elettorale come se il voto fosse una formalità, e lui fosse già lì, ad orientare e decidere i destini del cittadino elettore. E senza mai prendere in considerazione subordinate. Ricordo un’intervista parallela fatta nel 2000 a Storace e Badaloni, entrambi candidati presidenti alla Regione Lazio. Alla domanda: «Lei cosa farà, dopo le elezioni, in caso di sconfitta?», uno rispose: «Tornerò a fare il giornalista della Rai». L’altro invece, affermò perentorio. «Non prendo in considerazione l’ipotesi della sconfitta». Vinse quest’ultimo, Storace. Claudio Velardi, L’anno che doveva cambiare l’Italia. Mondadori, 2006.



Ad averlo combinato così moscio era l’ambiente familiare. La madre, contessa Cornelia d’Allaghi, dama di compagnia della Regina Margherita quando viveva nella residenza reale di Monza, lo rintronava con i ricordi della sua vita a corte, comportandosi come se non avesse mai smesso di farne parte e muovendosi come se la Regina, chiusa la corte di Monza dopo l’assassinio di Umberto, si fosse trasferita da loro anziché andarsene a Bordighera. Il padre, lo terrorizzava con la sua autorità senza appello, come senza appello erano le sentenze per le quali andava famoso: tra le tante, quella che stigmatizzava l’inutilità di libri, riviste, giornali e tutto ciò che puzzasse di letteratura. L’unica cosa che contava, per lui, era la legge. Le sole letture che si concedeva erano quelle di codici e pandette, raccolte di sentenze, saggi di avvocati e principi, come lui, del foro. Andrea Vitali, La Figlia del Podestà. Garzanti, 2005.



Caro Luigi, le malelingue dicono che sei morto. E forse un po’ dev’essere vero, se la Lina piange, la Sigfried piange, il Pablito piange e piangiamo anche noi Menadi, insieme a tutti i tuoi vecchi amici. Davvero hai lasciato il tuo involucro terreno? Te ne sei andato davvero? Io però credo che tu non sia troppo lontano. Ancora rivivo lo sbalordimento per la tua abilità di afferrare il senso delle cose, la tua capacità di sintesi, il tuo scetticismo canzonatorio e pieno di allegria. E i giudizi trancianti, i giochi di parole e di concetti, le assonanze, gli ossimori, le citazioni eclettiche in cui ti lanciavi con la leggerezza di un funambolo. Piera Graffer in ricordo di Luigi Serravalli.



Dicono che scrivere non serva a niente, ma non è vero, tu scrivi libri, i libri girano, una sconosciuta barista di un bar sepolto in una cittadina di campagna ne compra qualcuno, lo legge, e resta impressionata. Appena le capiti a tiro, brucia dalla voglia di farvi un favore, per riconoscenza. Qualcuno ha scritto che scrivere un romanzo o un libro di poesie e aspettare che il mondo risponda, è come lasciar cadere una piuma nel Grand Canyon e aspettarne l’eco. Stavolta l’eco arriva, eccola qui: lo sconto. «Ha letto qualche mio libro?». «No, ma l’ho vista in televisione». Ahi, non è il potere dei libri ma della tv. Non mi fa lo sconto perché mi ha letto, perché le è rimasta in mente qualche frase, qualche personaggio, qualche storia, ma perché mi ha visto, è rimasta impressionata dal mio contatto con i personaggi della tv: loro sono dèi, se io gli sono stato così vicino sarò almeno un semidio, non sono più un uomo. Non fa lo sconto a me, ma a loro. Se fosse qui uno di loro personalmente, lo servirebbe gratis, sconto del 100 per cento. Scontandomi il 50 per cento, mi punisce per non essere un dio. Ferdinando Camon, La mia stirpe. Garzanti, 2011.



Più conosco gli uomini e più amo le donne. Francis Blanche, Pensées, répliques et anecdotes. Editions J’ai lu. 1966.



Una volta allenava il Napoli. È un tipo che pare sempre sereno, ma se fa la faccia seria, allora pure i suoi soldati si mettono paura. Lo chiamano Luigino Pizza. Tutti lo chiamano così a causa delle sue pizzerie. Quando decide che vuole prendersi un’altra pizzeria, chiama uno dei suoi figli con qualcuno dei soldati e lo manda dal padrone della pizzeria al quale fanno un’offerta che non si può rifiutare. Per lui lavorano tredici soldati che sono tre figli, otto nipoti e i mariti delle figlie. Giuseppe Ferrandino, Pericle il nero. Adelphi, 1998.



Il buon scrittore si fa leggere; il grande, si fa rileggere. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 24/4/2014