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 2014  aprile 24 Giovedì calendario

METODO STAMINA, A PROCESSO I GIUDICI CHE L’HANNO IMPOSTO

Sarebbe bello raccontarla così: un giorno in questo Paese si è affacciato un nuovo metodo terapeutico anticancro basato sulle cellule staminali e diffuso da Davide Vannoni, un professore torinese di psicologia dopodiché in Italia è sorto uno spontaneo e fisiologico scontro/dibattito all’interno della società civile e dei suoi strumenti politici e amministrativi: dunque uno scontro/dibattito tra l’ideatore del metodo, cioè Vannoni, e l’ospedale di Brescia, e i pazienti, l’Agenzia del farmaco, l’Istituto di sanità, il ministero della Salute (con ministri, decreti e finanziamenti) e poi ancora il Centro trapianti, la comunità scientifica, gruppi di scienziati, e poi, perché no, i giornali, la rivista Nature, il programma “Le Iene”, un premio Nobel, persino una lettera di Adriano Celentano: cioé tutto quello che compone un tessuto politico-sociale atto a discutere e a decidere, a cui aggiungiamo alcuni malati e associazioni che hanno manifestato e che si sono rivolti anche a Giorgio Napolitano e al premier e ai ministri. Normale, o quasi. Alla fine di tutto questo, però, è arrivata anche la magistratura che ha rimesso i puntini sulle i, dunque l’altro giorno il tribunale di Torino ha chiuso l’inchiesta e presto probabilmente chiederà il rinvio a giudizio di Davide Vannoni per associazione a delinquere e altri reati: somministrazione pericolosa di farmaci, esercizio abusivo della professione medica, eccetera. Con lui potrebbero essere processati altri diciannove. Qual è dunque la verità? Un processo potrebbe aiutare a capire.
Ecco, il punto è che non possiamo raccontarcela così. É vero che tra gli indagati, oltre a Vannoni, ci sono anche biologi, neurologi, il responsabile dell’ufficio ricerca dell’Agenzia del farmaco, otto medici degli Spedali di Brescia tra i quali il direttore sanitario: ma all’apparenza manca qualcuno, meglio, mancano alcuni precisi soggetti tra coloro che in tutti questi anni hanno preso parte al balletto sull’autorizzazione e la proibizione del metodo. Manca la magistratura, meglio, le magistrature intese come tribunali del lavoro e amministrativi. Sono loro che in questi anni hanno menato le danze, altro che società civile: in primis la Procura di Torino con l’ineffabile Raffaele Guariniello, certo, ma anche i giudici del lavoro di Venezia e di Catania e di Matera, e poi il Tar di Brescia, quello del Lazio, in generale alcune toghe civili che hanno difeso Davide Vannoni e alcune toghe penali che invece ora vogliono processarlo. Le magistrature, in tutta questa vicenda, hanno avuto parte attiva: basti ricordare che il Ministero della Salute nominò un comitato di esperti sul caso Stamina, appositamente, ma il 4 dicembre scorso il Tar ha provveduto a cancellarlo: e questo con la motivazione che in precedenza gli esperti prescelti avevano «già preso posizione» sul tema, cosa peraltro inevitabile perché altrimenti non sarebbero stati esperti.
Quindi, ora, non ci sogniamo nemmeno di contestare l’indagine appena chiusa a Torino: ma piacerebbe ricordare come ci siamo arrivati. Laddove il ministero vietava, infatti, il giudice autorizzava. Maggio 2012: l’Aifa vieta la pratica di Stamina e tre mesi dopo un giudice del lavoro di Venezia la riautorizza per una bambina: «Pur in assenza di evidenza scientifica», scriveva. Poi tocca a un giudice del tribunale di Catania: impone il trattamento per un’altra bambina di 18 mesi. E ancora un giudice di Matera che l’autorizza per un bambino di 5 anni. A novembre sempre del 2012 intervengono i giudici dei tribunali di Trento, Marsala e Firenze: autorizzano il trattamento anche per nuovi pazienti, questo a dispetto del divieto ministeriale e mentre tv e giornali martellano. Tra agosto 2012 e febbraio 2013 i tribunali intervenuti sono stati dodici: 10 hanno autorizzato e due hanno negato, mentre sul Paese scrosciavano centinaia di ricorsi: a metà gennaio erano stati autorizzati almeno 35 trattamenti. Dai magistrati. Su quali basi? Sulla base delle stesse informative e documentazioni che a Torino hanno mandato alla sbarra venti persone.