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 2014  aprile 23 Mercoledì calendario

PAROLA DI LARSON– [FACCIO DIVENTARE GUGLIELMO MARCONI PROTAGONISTA DI UN VERO NOIR]


IL ROMANZO STORICO NON È CERTO UNA SCOPERTA DEI NOSTRI GIORNI. INUTILE SCOMODARE I VARI ALEXANDRE DUMAS, ROBERT LOUIS STEVENSON E ALESSANDRO MANZONI PER CONFERMARLO. Da Sempre, rivisitare momenti più o meno intriganti della storia attraverso la forma del romanzo rappresenta una scelta di sicuro affidamento. Negli ultimi decenni, però, ad accostarsi sempre più verso il romanzo storico sono stati autori di thriller o, comunque, scrittori interessati ad affidare le proprie trame fosche e la propria passione per la suspense alle vicende del passato, soprattutto a periodi storici di grande presa emotiva e suggestione umana. Molti noiristi americani e inglesi apertamente ringraziano il successo de Il nome della rosa di Umberto Eco, capace di sancire la centralità del genere e di sdoganarne l’appartenenza alla letteratura di serie A. Certo, quando Umberto Eco scrisse il suo primo, fortunato romanzo, forse non lo fece con l’intenzione di creare un vero noir né di ricostruire realmente un periodo storico. Ma le vie della narrativa, si sa, sono infinite.
Da quel 1980, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e, soprattutto all’estero, quasi tutti i più noti narratori di genere si sono cimentati con il romanzo storico. Anne Perry ha avuto grande successo con i suoi noir di ambientazione vittoriana. Joe R. Lansdale racconta quasi tutte le sue vicende non legate alla saga di Hap e Leonard nei giorni della Grande Depressione. James Lee Burke ha con ottimi risultati scritto un bel romanzo ambientato nei giorni dell’assedio di Fort Alamo. Lo stesso Jeffery Deaver, maestro indiscusso della suspense, ha provato a raccontare la sua classica trama dal passo forsennato, che si dipana nell’arco di un paio di giorni, nella Berlino delle Olimpiadi. L’accoglienza che i lettori hanno riservato a Il giardino delle belve ha spinto l’autore americano a desistere, malgrado lo consideri il suo miglior lavoro. E Il giardino delle bestie è il titolo quasi identico dell’ottimo primo romanzo che Erik Larson abbia pubblicato in Italia, dalla pressoché identica ambientazione. Ora, i lettori italiani possono tornare ad assaporare il suo stile sobrio e la sua lucida capacità narrativa con il romanzo Guglielmo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen. È l’avvincente ritratto del fisico italiano alle prese con il sogno di realizzare le sue trasmissioni senza filo e poi di rompere l’isolamento delle navi impegnate in navigazioni in mare aperto, sogno spesso osteggiato dalla comunità scientifica britannica. Ma è in quella fatidica estate del 1910 che Scotland Yard ritrova il cadavere di Cora Crippen, seducente e bizzosa cantante, giovane moglie del dottor Crippen, sparito nel nulla, scatenando una caccia all’uomo che avrà eco planetaria e che si incrocerà con i destini delle scoperte di Marconi.
Abbiamo chiesto a Erik Larson di spiegarci meglio la sua passione per la storia.
Che cosa le ha fatto pensare di potere mettere in collegamento la travagliata vicenda di Guglielmo Marconi e il caso Crippen?
«Il collegamento l’ho scoperto per caso. Ero a conoscenza del caso Crippen. Anzi, mia madre, che ogni tanto scriveva dei romanzi noir, mi parlò di lui quando io avevo tredici anni. Ricordo esattamente dove mi trovavo quando me lo disse: in cucina, a casa mia, a Freeport, Long Island, New York. Nel collegamento con Marconi mi ci sono imbattuto mentre esploravo l’argomento delle trasmissioni senza fili in vista di un possibile libro ed è stato lì che sono venuto a sapere del rocambolesco tentativo di fuga di Crippen dall’Inghilterra e di come il mondo lo segui via radio. A quel punto, ho capito che avrei dovuto tentare di scrivere la storia della vita di quei due uomini».
Cos’è che rende così intrigante Il caso Crippen?
«A parte il fatto che era un assassino, mi ha intrigato il fatto che Crippen sembrasse un ragazzo a modo, oppresso da una moglie asfissiante. Ma a colpirmi profondamente sono state l’indagine dell’ispettore Dew e la caccia al di là dell’Atlantico. È soprattutto per questo che ho deciso di scrivere il libro. La vicenda era davvero carismatica».
Marconi è italiano, ma la sua biografia non è molto conosciuta. Quali sono i tratti della sua personalità e della sua vita che l’hanno intrigata tanto?
«Aveva quel tipo di personalità che oggi ci risulta familiare in quanto propria di certa gente del mondo della tecnologia: l’incapacità di esprimere emozioni e di interpretare certi segnali provenienti dalla società. È solo una congettura, ma direi che Marconi aveva una personalità che oggi verrebbe classificata come una forma piuttosto grave di sindrome di Asperger. Quello che di lui mi è parso davvero interessante è la sua ossessione assoluta per le comunicazioni transatlantiche che intendeva realizzare, senza disporre di vere teorie o ricerche scientifiche a sostegno della sua convinzione di potercela fare».
Nei suoi romanzi, lei fa numerose citazioni. Perché?
«Per prima cosa, non considero realmente i miei libri dei romanzi. I romanzi, per lo meno secondo la definizione americana, sono opere di fantasia. È importantissimo capire che i miei libri non sono per niente frutto della fantasia. Non c’è nulla di inventato. Per esempio, tutto quello che compare virgolettato proviene da qualche documento storico, che si tratti di un memoir, di un diario o di qualche altro scritto. Certi dettagli della storia avente per protagonisti Crippen e Marconi potrebbero sembrare strani, ma sono tutti veri».
Anche ne «Il giardino delle bestie», il suo romanzo precedente, appare una sorta di femme fatale. È un omaggio a questa classica figura del noir?
«Una pura coincidenza. Ancora una volta, le mie opere non sono di fantasia. Nel caso de Il giardino delle bestie, il punto di partenza è stato una domanda: come deve essere stato vivere a Berlino nell’anno successivo alla salita al potere di Hitler? A quel punto, mi sono messo a cercare i personaggi giusti e mi sono casualmente imbattuto in Martha Dod, la spregiudicata figlia dell’ambasciatore statunitense in Germania. Era perfetta! Un insieme interessantissimo di ingenuità e sofisticazione, oltre che una donna molto sexy».
Scriverà mai una storia ambientata nel presente?
«Mi piace scrivere del passato. Adoro il lavoro di ricerca e adoro tentare di raccontare vicende vere, storiche in un modo che i lettori trovino avvincente, per ridare vita al passato. Inoltre, i libri che parlano del passato tendono ad avere una vita più lunga. Non perdono la loro rilevanza con la stessa rapidità con cui la perdono i libri ambientati nel presente. Per cui, penso proprio che seguiterò a scrivere del passato».