Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 23 Mercoledì calendario

LA DOPPIA ANIMA DI BERNSTEIN «PAPÀ AMAVA MAHLER E I BEATLES»


Leonard Bernstein, mio padre: «Era molto affettuoso in famiglia, sempre pronto a raccontare storie o a leggerci Lewis Carroll o un sonetto di Shakespeare che amava. Gli piaceva averci intorno, con mio fratello e mia sorella, e spesso ci portava in tour con lui e la New York Philharmonic». La scrittrice e produttrice tv Jamie Bernstein, una delle figlie del grande direttore e compositore, scomparso nel 1990, ricorda questo gigante della musica in occasione del monumentale box di 59 cd intitolato «Leonard Bernstein Collection» appena uscito per Deutsche Grammophon: «È il suo magnifico testamento musicale. Uno dei suoi maggiori meriti fu di aver reso popolare Gustav Mahler».
In contrasto con l’idea della vulcanica personalità di suo padre, il cantante René Kollo ha detto che tendeva alla malinconia e la sua ispirazione nasceva dalla depressione.
«Papà era come scisso in due, in lui convivevano due anime: quella contemplativa, spesso malinconica, che se ne stava tutta la notte a scrivere musica nel suo studio; e quella estroversa che collezionava amici ovunque andasse, e intratteneva gli ospiti al pianoforte a casa finché l’ultimo se ne fosse andato. Poteva suonare i Beatles, Mozart o uno spot appena ascoltato in tv. Il risultato, in entrambe le personalità, era che non dormiva. Era frenetico, non si fermava mai, e questa era la sua qualità e il suo difetto».
Chi era sua madre?
«Si chiamava Felicia Montealegre, è morta giovane, nel 1978. Era cresciuta in Cile, dove studiò piano con il grande Claudio Arrau. Quando sbarcò negli Usa diventò attrice televisiva. Era bella, elegante, aristocratica, ma con un malvagio senso dell’humour, al primo contatto la gente ne era impaurita. Si conobbero a un party. Mia madre si mise ai suoi piedi e lo nutrì con un gambero».
Che cosa le disse papà del celebre video del making of di «West Side Story» in cui José Carreras, unico latino del cast, a un certo punto bestemmiò?
« Carreras nel ruolo di Tony fu un grave errore, non solo per il suo accento spagnolo. Mio padre aveva in mente un altro cantante, ma non ci fu tempo per rimediare».
Chi amava nella musica?
«Christa Ludwig, Marilyn Horne. E Maria Callas, anche se mi era ignoto il celebre aneddoto del foruncolo che le impedì di indossare l’abito per la Sonnambula alla Scala. Isaac Stern, Lukas Foss e Slava Rostropovich erano suoi amici. Poi amava i direttori che aveva aiutato all’inizio della loro carriera, Ozawa e Tilson Thomas. E oggi rivedeva la sua energia, gioia e intensità intellettuale sul podio in Gustavo Dudamel. Quanto alla rivalità con Karajan, era più divertente che minacciosa, negli ultimi anni i rapporti tra loro si fecero più stretti».
A New York viveva al Dakota, vicino al Central Park, nello stesso palazzo di John Lennon.
«Eravamo lì quando gli spararono. Ci vedevamo spesso con Lennon, è stato terribile. Papà, come dice John Lennon in Imagine , voleva provare a trasformare il mondo in un posto migliore. Ascoltava ogni genere di musica, i Rolling Stones, i Supremes, Michael Jackson, Elvis Presley e soprattutto i Beatles... Non così tanto Bob Dylan, la cui voce nasale non lo scaldava».
Nei suoi ultimi giorni, i giornali americani scrissero che si rifiutò di vedere e parlare con la gente.
«Non è del tutto vero. Ma era molto malato, spossato, privo di energia per poter incontrare persone. Sul comodino c’erano una novella di Philip Roth, Shakespeare, la storia della Prima guerra mondiale, una biografia di Thomas Jefferson e poemetti di James Merrill».
Come fu influenzato dalle sue origini ebraiche?
«È una questione enorme. Suo padre, Sam Bernstein, era molto religioso. Mio padre ha raccontato il suo complicato rapporto con il giudaismo nelle Sinfonie Jeremiah e Kaddish, nei Salmi Chichester e nella Messa».
Stravinskij, per la sua sospensione tra classica e musical, descrisse suo padre come il supermarket della musica.
«Se ne fosse stato offeso, non ce l’avrebbe detto. Non portava rancore, dimenticava le offese».
Era un abile divulgatore, celebri le sue lezioni filmate ai bambini alla Carnegie Hall e al Lincoln Center.
«Aveva un desiderio insaziabile di insegnare. Il suo metodo, Artful Learning, è tuttora usato nelle scuole americane. Voleva condividere con una generosità senza limiti ciò che sapeva. Aveva l’entusiasmo di un ragazzo, e a volte ci sono stati fraintendimenti, come quando si disse che fece incontrare in casa membri delle Pantere Nere (il movimento afro rivoluzionario, ndr ) con le signore bene di New York. Conosceva il greco antico e il latino, usò il Simposio di Platone per la sua Serenata . Adorava l’Italia e la sua gente, Zeffirelli era suo amico, il suo primo concerto a Roma lo tenne nel 1950».
Le ha mai parlato delle sue idee sessualmente libere?
«Era un argomento complicato per lui. Da una parte voleva esprimersi liberamente, dall’altra era condizionato dall’idea di dover crescere noi figli e dalla cultura in cui era immerso».
Forse il suo rimpianto maggiore fu quello di non essere considerato come compositore allo stesso modo che come direttore?
«A me dedicò Quiet Girl , una canzone da Wonderful Town ; West Side Story ancora oggi è uno dei musical più eseguiti nei licei Usa... Però sì, è probabile».
Che cosa le manca di suo padre?
«I suoi abbracci e i suoi scherzi».