Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 23 Mercoledì calendario

GIORDANO BRUNO O LIOR L’IMPORTANZA DEL NOME


Se avesse letto di quella bambina milanese di sette mesi che non ha ancora un nome perché l’anagrafe non accetta quello deciso dal papà e dalla mamma, Gaetano Salvemini avrebbe scrollato la testa ridacchiando. E gli sarebbe tornata in mente una storia che raccontò un secolo fa: «Io sono debitore ad una signora italiana, dimorante oggi in Boston (Massachusetts), di un aneddoto che non ho il coraggio di risparmiare al lettore. Suo padre, un romano, andò in chiesa per far battezzare un neonato. Il parroco gli domandò che nome volesse dare a suo figlio. La risposta fu: «Giordano Bruno». «Giordano Bruno? Impossibile! È il nome di un eretico, di un frate sfratato che fu condannato a morte dal Santo Uffizio!» «Io sono il padre; ho il diritto di dare il nome a mio figlio, e voglio chiamarlo Giordano Bruno. Se non vuoi chiamarlo così, me lo porto a casa senza battesimo». Il parroco non poteva lasciare il bambino senza battesimo, e non poteva dargli un nome di quel genere. Ebbe un lampo di genio: «Vediamo un po’: cerchiamo di accomodarla. Invece di battezzarlo col nome di Giordano Bruno, lo chiamerò Bruno Giordano». Fa’ come vuoi. Tu lo chiami Bruno Giordano qui, e io lo chiamerò Giordano Bruno a casa». I nomi un po’ «eccentrici» rispetto, a quelli più usati, in realtà, sono occasione di risse, polemiche politiche e cause giudiziarie da molto prima che quei due genitori milanesi di religione ebraica si ribellassero («siamo disposti ad arrivare anche in Cassazione») al rifiuto dell’anagrafe milanese di chiamare la loro figlia Lior (in ebraico significa «Mia Luce») perché non è chiaro se si tratti di un nome maschile o femminile. Confusione in qualche modo esistente anche nel mondo ebraico se è vero che portano quel nome, oltre a molte donne, anche un cestista (Lior Eliyahu), un calciatore (Lior Refaelov) e un cantante, Lior Attar.
Nel libro Il nome e la storia, Stefano Pivato racconta che, in base Nel libro Il nome e la storia, Stefano Pivato racconta che, in base alla legge dell’8 marzo 1928 («norme per disciplinare la imposizione dei nomi nelle denunce delle nascite») e al regio decreto del 9 luglio 1939, regole che dettano in larga parte anche i comportamenti degli uffici attuali, la burocrazia fascista cambiò migliaia di nomi: 889 soltanto all’anagrafe dei 54 comuni oggetto dell’analisi dello storico. Alfreda Comunarda diventò Alfreda Maria, Anarchia diventò Concetta, Anarchico Gallo Settimio diventò Settimio, Atea diventò Alda, Libera diventò Loriana, Ribella diventò Bice, Scioperina diventò Pierina e Troschi (che doveva il nome a un papà ammiratore di Lev Trotzkji) diventò Gino. Indimenticabile la varietà di nomi imposti a tutti quelli che si chiamavano Soviet, anagraficamente ribattezzati, così, a capriccio, Ernesto o Ferruccio, Mario o Crescentino... Quanto alle «Sovietta», diventarono Bruna o Maria. Una inaccettabile e barbarica intromissione nella vita personale delle famiglie, sia chiaro. Degna di un regime come quello fascista.
Resta tuttavia una curiosità: come era venuto in mente, a quel signore di Cagli, in provincia di Pesaro, di chiamare suo figlio «Soviet Russo Internazionale» e a quell’altro di Sant’Agata sul Santerno di chiamarlo Primomaggio?