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 2014  aprile 23 Mercoledì calendario

USA E UE SI PRENDONO L’ECONOMIA MONDIALE

Immaginate un mondo in cui l’Europa può permettersi di rinunciare a tutte le sue esportazioni in Cina grazie all’aumento di quelle verso gli Stati Uniti, in cui le aziende farmaceutiche devono fare i controlli su una sola sponda dell’Atlantico per far approvare i medicinali, dove le imprese italiane o francesi possono vincere gare d’appalto in America.
Ecco, questo è il mondo che si sta progettando in un negoziato delicatissimo e praticamente segreto tra Bruxelles e Washington: si chiama Ttip, Transatlantic Trade and Investment Partnership, il progetto di un’area di libero scambio che metterebbe l’Occidente nelle condizioni di sopravvivere all’ascesa della Cina e alla minaccia geopolitica della Russia di Vladimir Putin. “Un patto d’acciaio di privatizzazioni e deregulation tra Usa e Ue si tradurrebbe in uno standard universale per l’intera economia globale”, avverte l’organizzazione non governativa Fair Game.
“La globalizzazione non è reversibile. Nel 2020 il 90 per cento della crescita sarà generato fuori dall’Europa”, dice il commissario Ue per il Commercio Karel de Gucht, responsabile del negoziato, che ci tiene a sottolineare: “Non ho ancora sentito un solo argomento convincente sugli effetti del Ttip in Europa”. L’idea è semplice: abbassare le barriere tariffarie (quelle tasse sulle importazioni per favorire i produttori interni) e quelle non tariffarie (regole, burocrazia, controlli, standard tecnologici) negli scambi tra Europa e Stati Uniti. Se hanno ragione gli eredi di David Ricardo, che nel 1700 sosteneva che aprire i Paesi al commercio internazionale è comunque vantaggioso per tutti, alla fine cittadini e imprese su entrambe le sponde dell’oceano staranno meglio. Di quanto? Le stime sono complesse, soprattutto perché gli effetti delle barriere non tariffarie sono difficilmente calcolabili. Ma nella documentazione dei negoziati cominciati nel giugno 2013, i numeri sono questi: ogni europeo avrà un beneficio di 545 euro all’anno e il Pil dell’Unione crescerà tra lo 0,5 e l’1 per cento all’anno in più, circa 119 miliardi, per gli Usa il beneficio sarebbe di 95 miliardi. Un piccolo miracolo economico. Le tariffe doganali sono già basse: 5,2 per cento per l’Ue, 3,5 per gli Stati Uniti. Vuol dire che se un prodotto europeo costa 100, negli Usa il consumatore lo paga 103,5. Una volta che il Ttip sarà approvato, il prezzo scenderà a 100 e quindi la domanda salirà. Le barriere non tariffarie, invece, valgono molto di più: 18,7 per cento per l’export europeo verso gli Usa e 17,1 nel senso inverso.
“L’Italia può beneficiare del Ttip più di ogni altro Paese europeo”, assicura Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo economico che sta seguendo i negoziati. In uno studio commissionato dal ministero a Prometeia si legge che l’export medio per la singola impresa italiana che opera in America è molto basso: 700 mila euro. Quindi le barriere non tariffarie pesano moltissimo: chi ha un fatturato all’estero così basso si fa spaventare da burocrazia e standard tecnologici (basti pensare alle prese elettriche o alle lampadine da usare nei fari delle auto) molto più di chi muove milioni di euro. Nelle simulazioni più prudenti, i settori della meccanica e della moda italiane aumenterebbero l’export di 500 milioni di euro ciascuno. Ma i danni rischiano di essere enormi se si sbaglia strategia negoziale e per l’Italia la trincea è quella dell’alimentare, perché gli Stati Uniti non riconoscono i marchi collettivi (Dop, Doc, consorzi vari tipo quello del Parmigiano Reggiano). Il rischio è che, se passa la linea americana, il made in Italy più pregiato si trovi a competere con il cosiddetto Italian sounding , le imitazioni a basso costo: “Negli Stati Uniti ci sono lobby potenti, come quella dei produttori di formaggio Asiago, 50 senatori, la metà del totale, hanno scritto al negoziatore americano chiedendogli di smantellare le indicazioni geografiche in Europa, oltre a bloccare l’arrivo dei marchi collettivi negli Usa”, dice Calenda che è tra i più convinti sostenitori del “modello Canada”. Il negoziatore europeo, lo spagnolo Ignacio Garcia Bercero, vuole convincere Washington a modellare il Ttitp sul trattato appena chiuso con il Canada (Ceta): se ci sono marchi locali di Italian sounding, tipo il Parma Ham, i prodotti europei a marchio collettivo arrivano e coesistono, in una competizione trasparente. Se invece non c’è un prodotto locale omologo di quello Ue, allora le imitazioni sono vietate per il futuro.
I negoziati sono ancora in una frase preliminare, ma c’è poco tempo: fino alle elezioni di metà mandato a novembre negli Usa bisogna evitare le polemiche, se i Democratici del presidente Barack Obama ottengono un buon risultato, poi bisognerà correre per chiudere l’accordo entro la fine del 2015, visto che nel 2016 negli Stati Uniti sarà già campagna elettorale per le presidenziali.
Il guaio è che Obama non ha ottenuto dal Congresso il fast track, l’autorizzazione speciale sul commercio, perché ha fatto l’errore tattico di chiederla assieme per il Ttip e per un trattato di libero scambio con tutta l’Asia intorno alla Cina (esclusa dall’accordo). Tradotto: se a fine 2015 ci sarà un accordo, senza il fast track Obama dovrà sottoporre il Ttip al Congresso che potrà riaprire l’accordo e votarlo voce per voce, invece che limitarsi a un sì o no su tutto l’insieme come sarà chiamato a fare il Parlamento europeo. E questo sarebbe un bel problema, visto che l’Europarlamento per tutto il negoziato non avrà accesso ai dossier, gli americani sono ossessionati dalla segretezza e ai negoziatori europei non permettono neppure di avere copia cartacea dei testi in discussione. Li possono soltanto consultare nel chiuso delle stanze dove si tratta.
La crisi ucraina ha fatto da acceleratore: sia dal lato americano che da quello europeo, politici e tecnici ora hanno fretta di creare un polo economico in grado di spaventare Putin. Anche se l’energia è fuori dal mandato negoziale ottenuto dal Consiglio (i governi nazionali), la Commissione europea spera di farcela rientrare con un emendamento: è la partita più grossa, convincere gli Usa a semplificare le farraginose regole che oggi rendono così complicato portare in Europa il gas estratto in abbondanza dalle rocce (shale gas) che permetterebbe di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. Anche gli Usa hanno le loro priorità: vogliono inserire nel negoziato il settore dell’audiovisivo, per consentire al consumatore europeo la possibilità di abbonarsi a servizi di contenuti video come Netflix. “Gli Usa hanno sottoposto un paper sull’audiovisivo alla Commissione, ma noi non possiamo mostrarlo a nessuno”, rivela il commissario De Gucht. I francesi sono terrorizzati, temono che una maggiore presenza delle major americane finirebbe per danneggiare il cinema francese, fortemente sussidiato (anche se tra le due questioni non c’è un legame diretto). La partita è aperta.