Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 29 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - STORIA DELLA RAGAZZA SFREGIATA


DATE: 18 SETTEMBRE 2014 37 ANNI
AGGRESSIONE: 16 APRILE 2013

REPUBBLICA.IT -
PESARO - Vent’anni a Luca Varani, condannato per stalking e tentato omicidio, quattordici ai due sicari albanesi. Questa la sentenza per l’aggressione con acido contro l’avvocatessa trentasettenne urbinate Lucia Annibali, diventata un simbolo della violenza sulle donne al punto da ricevere un’onoreficenza dal presidente Giorgio Napolitano l’8 marzo scorso.
Condividi
L’agguato fu commissionato il 16 aprile 2013 dal suo ex fidanzato Luca Varani, avvocato pesarese di 36 anni. I due sicari albanesi Rubin Ago Talaban e Altistin Precetaj, gli esecutori materiali del delitto, sono stati condannati invece a 14 anni. Il verdetto è stato pronunciato dal gup di Pesaro Maurizio di Palma ed è stato accolto da applausi.
Francesco Coli, avvocato della donna sfregiata ha commentato: "E’ stata data una pena mai vista nel nostro sistema. Comunque andremo ad Ancona e poi a Roma. Gli avvocati della difesa devono vergognarsi". La difesa di Varani, infatti, ha subito annunciato ricorso in appello.
Dopo la sentenza, Lucia Annibali ha detto in conferenza stampa: "La sentenza è giusta, adesso voglio guardare avanti. In questi mesi difficili ho lottato per non farmi travolgere da un dolore immenso. Non voglio portare rancore, anche se nulla potrà ripagarmi. Adesso voglio ricostruire al meglio mio viso e godermi un po’ di serenità. Dentro di me - ha aggiunto - non ho coltivato la rabbia. L’ustione mi ha insegnato ad essere ottimista. L’importante è che io viva bene la mia nuova esistenza". L’avvocatessa ha ringraziato tra gli altri anche i medici che in questi mesi l’hanno curata.

CORRIERE.IT
Vent’anni a Luca Varani, 14 ai due complici albanesi. Questa la sentenza del giudice di Pesaro con rito abbreviato per l’aggressione con acido contro Lucia Annibali. Un applauso delle persone presenti ha accolto la sentenza comunicata ai giornalisti dal procuratore capo Manfredi Palumbo. Toccherà a una separata causa civile quantificare il risarcimento per la vittima, mentre al momento le è stata riconosciuta una provvisionale da 800 mila euro da parte di Annibali e di 500 mila euro da parte di ciascuno dei complici.
L’agguato
Varani, 37enne ed ex collega di Annibali, è stato ritenuto il mandante dell’agguato avvenuto il 16 aprile del 2013, nell’appartamento della donna: lei aprì la porta di casa e qualcuno le gettò addosso l’acido, che le corrose il viso. Il giudice ha accolto in toto le richieste del pubblico ministero nei suoi confronti, mentre ne aveva chiesti 20 anche per uno dei due presunti sicari, Rubin Talaban, ritenuto l’autore materiale del gesto, mentre il connazionale Altistin Precetaj lo attendeva all’esterno facendo da palo. Varani nel frattempo aveva tentato di procurarsi un alibi con una partita di calcio cui partecipò la sera dell’aggressione.
«Sentenza giusta»
Lucia Annibali, che dovrà a breve sottoporsi a un nuovo intervento per la ricostruzione dei lineamenti, ha commentato la sentenza definendola «giusta» e chiedendo comunque il tempo «per me stessa e per godermi la mia vita riconquistata». Lo scorso 8 marzo l’avvocato è stata ricevuta al Quirinale da Giorgio Napolitano, mentre a novembre era stata nominata Cavaliere della Repubblica anche per il coraggio mostrato nel suo schierarsi contro la violenza di genere e il femminicidio.
shadow carousel
Napolitano celebra l’8 marzo, onoreficenza a Lucia Annibali
«Ho ripreso le redini della mia vita»
«Sono contenta perché penso che sia giusta questa sentenza e sono contenta per la mia famiglia - ha spiegato con coraggio Annibali, negando di provare rancore o odio verso i suoi aggressori - Rimane comunque una vicenda molto triste. Il mio incubo in realtà è finito un anno fa, ora vado avanti per la mia strada: è paradossale, ma da lì ho ripreso le redini della mia vita». La donna aveva rischiato anche di perdere la vista: «Tra i momenti più belli, e ce ne sono stati, c’è quando mi sono potuta rialzare dal letto dell’ospedale dopo un mese e mezzo, e ho scoperto di poter vedere», ha commentato.
Il legale: «Gli avvocati della difesa si vergognino»
Francesco Coli, avvocato della donna sfregiata, appena resa nota la sentenza, ha commentato: «È stata data una pena mai vista nel nostro sistema. Comunque andremo ad Ancona (per l’Appello, ndr) e poi a Roma. Gli avvocati della difesa devono vergognarsi».

http://ifg.uniurb.it/2013/04/18/ducato-online/luca-varani-chi-e-luomo-fermato-per-laggressione-a-lucia-annibali/43783
URBINO- Luca Varani, 35 anni di Pesaro è l’uomo fermato dai Carabinieri per l’aggressione all’avvocatessa Lucia Annibali. Laureato in Giurisprudenza, è iscritto all’Ordine degli avvocati di Rimini. Avvocato anche lui, come Lucia, ma specializzato in infortunistica. Pratica insieme al padre nello studio di Via Rossi 16, il palazzo proprio di fronte alla casa della vittima.
I baristi e tabaccai con cui scambiava due chiacchiere durante la giornata lavorativa, quando faceva la pausa caffè o quando andava a comprare i francobolli e le cose necessarie per lo studio, lo descrivono come educato, gioviale ma riservato: non faceva trapelare troppo della sua vita privata. Un ragazzo di buona famiglia, girava per Pesaro con la sua Porsche, si divertiva ad uscire con gli amici e giocava a calcetto. Ha una fidanzata e si sarebbero dovuti sposare in estate.
Qualche anno fa ha perso la madre, evento che, secondo chi lo conosce, lo ha segnato molto e dal qualche ha faticato a riprendersi. Ha una sorella che vive a Miami e che spesso va a trovare. Luca è un volto noto ai condomini del palazzo della vittima che lo hanno visto aggirarsi frequentemente all’interno dell’edificio. Lo scorso anno ha avuto una relazione con Lucia Annibali, una storia che l’avvocatessa stessa definiva “malata”, finita tempo fa. Nonostante questo il ragazzo aveva più volte cercato di riallacciare i rapporti.


http://ifg.uniurb.it/2014/03/17/ducato-notizie-informazione/processo-annibali-la-difesa-varani-non-aveva-le-chiavi-di-casa-di-lucia/59476
PESARO – “Luca Varani non aveva le chiavi di casa di Lucia Annibali”. Questa la tesi sostenuta dal suo avvocato Francesco Maisano all’udienza del processo per l’aggressione con l’acido all’ avvocatessa di Urbino. Secondo il legale, Varani infatti avrebbe avuto una copia delle chiavi che apriva la vecchia serratura dell’appartamento, poi sostituita. L’avvocato però ha precisato che anche quando avesse avuto una copia della chiavi per l’attuale serratura non avrebbe potuto chiudere la porta dall’interno: “Questa particolare tipologia di chiave, infatti, funziona solo dall’esterno”.
In questo modo l’avvocato intende scagionare Varani dall’accusa di aver fornito agli aggressori le chiavi per entrare nell’appartamento della Annibali. “L’aggressore – ha poi spiegato l’avvocato – è entrato dalla finestra”.

CRONOLOGIA

URBINO – E’ in corso a Pesaro il processo contro Luca Varani, accusato di tentato omicidio, lesioni gravissime e stalking ai danni dell’ex fidanzata, l’avvocatessa di Urbino Lucia Annibali, sfigurata con l’acido un anno fa. Gli imputati sono: Varani, anche lui avvocato, e presunto mandante dell’aggressione; Rubin Ago Talaban e Altistin Precetaj, entrambi albanesi, sono accusati di essere gli esecutori. Ecco la ricostruzione degli eventi:

LE SCHEDE: CHI È LUCA VARANI – CHI È LUCIA ANNIBALI

16 aprile 2013: Lucia Annibali, alle 21.30, rientra nella sua abitazione di Pesaro, in via Rossi. Un uomo incappucciato le getta dell’acido solforico al 66% sul volto. Durante i soccorsi l’avvocatessa avrebbe fatto il nome del suo aggressore. I vicini raccontano di una “relazione malata” tra la Annibali e Luca Varani: l’avvocatessa l’aveva lasciato perché lui era fidanzato da tempo con un’altra donna. Lucia Annibali viene ricoverata al Centro Grandi Ustionati di Parma.
20 aprile 2013: Luca Varani viene arrestato e portato nel carcere di Villa Fastiggi, di Pesaro. Gli inquirenti ipotizzano che l’uomo sia il mandante e non l’esecutore dell’aggressione, perché la sera dell’agguato era a una partita di calcio.

Luca Varani il 22 febbraio 2014

Luca Varani il 22 febbraio 2014
27 aprile 2013: Altistin Prevcetaj, albanese di 28 anni, viene arrestato con l’accusa di aver partecipato all’aggressione.
1 maggio 2013: Rubin Talaban, albanese di 31 anni, viene arrestato a San Salvo Marina, in provincia di Chieti, dopo quindici giorni di latitanza, con l’accusa di aver aggredito Lucia Annibali. Stava per fuggire verso l’Albania. Due connazionali vengono arrestati per favoreggiamento. Secondo gli inquirenti Talaban avrebbe ricevuto 30.000 euro da Varani: 5.000 da riscuotere subito e il resto dopo l’aggressione. Durante le indagini, vengono ritrovate tracce di acido con una concentrazione del 40% nell’auto di Rubin Talaban. I carabinieri cercano tracce anche nelle scarpe nike del presunto sicario, che erano state sotterrate.
3 maggio 2013: Luca Varani, in carcere, tenta di ferirsi al piede, forse per mascherare una lesione già esistente che lo avrebbe potuto compromettere.
15 maggio 2013: Il Tribunale del riesame di Ancona respinge la richiesta di annullamento di custodia cautelare di Luca Varani, per un concreto pericolo di reiterazione del reato, fuga e inquinamento delle prove. I Ris esaminano l’auto dell’avvocato, una smart del 2004, in ottime condizioni, che il 27 marzo Varani ha portato a rottamare: dopo aver scoperto che il proprietario del centro di autodemolizioni preferiva tenerla per la figlia, gli chiese di restituirgli i sedili per venderli su E-bay.
19 maggio 2013: la Procura di Pesaro dispone due nuove perizie per esaminare i telefoni cellulari di Lucia Annibali e Luca Varani, e per visionare le immagini registrate dalle telecamere del supermercato in via Vicenzo Rossi 19, vicino alla casa dell’avvocatessa. Intanto continuano i controlli sui telefoni dei due presunti sicari, gli esami del dna sulle scarpe di Altistin Precetaj e le ispezioni personali a Rubin Taleban per accertare la natura delle ferite che riporta sulle mani e sulla tempia.
21 maggio 2013: Il Tribunale del Riesame di Ancona respinge la richiesta di scarcerazione di Altistin Precetaj.
28 maggio 2013: Mentre è in carcere, Altistin Precetaj viene condannato in primo grado a un mese di reclusione per minaccia aggravata a una giovane: l’uomo aveva inviato un sms alla 24enne dopo che lei aveva testimoniato in un processo per spaccio in cui Precetaj era coinvolto.
3 giugno 2013: Lucia Annibali rientra dall’Ospedale maggiore di Parma dopo aver subito diversi interventi chirurgici al volto.
9 dicembre 2013: Prima udienza del processo contro Luca Varani, Rubin Ago Talaban e Altistin Precetaj. Il giudice Maurizio Di Palma decide per il rito abbreviato non condizionato. Uno degli avvocati di Varani, Antonio Maisano, dichiara che l’uomo avrebbe ordinato ai due albanesi di danneggiare con l’acido solo l’auto di Lucia Annibali. L’avvocatessa, costituitasi parte civile, chiede un risarcimento danni di circa 10 milioni di euro.
28 gennaio 2014: Mentre è in carcere, inizia un altro processo contro Altistin Precetaj, accusato di concorso in spaccio di cocaina.
21 febbraio 2014: Nuova udienza. Il gip Di Palma rigetta la richiesta della difesa di Varani di prendere in considerazione le confidenze che l’imputato avrebbe fatto al suo compagno di cella: l’avvocato avrebbe raccontato all’uomo di aver chiesto ai due presunti complici di gettare l’acido sulla macchina di Lucia Annibali.
22 febbraio 2014: Il pm Monica Garulli richiede la pena massima prevista per il rito abbreviato: vent’anni di reclusione per Luca Varani e diciotto sia per Rubin Ago Talaban che per Altistin Precetaj. Secondo il pm, Varani è il mandante dell’aggressione con l’acido, di cui i due albanesi sarebbero gli esecutori. L’avvocato, alcuni mesi prima, avrebbe inoltre cercato di manomettere le manopole del gas in casa di Lucia Annibali.
8 marzo 2014: Lucia Annibali viene insignita del titolo di “Cavaliere al merito della Repubblica Italiana” dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
17 marzo 2014: Luca Varani in tribunale dichiara di essere dispiaciuto per l’accaduto e di sentirsi “responsabile”. Annibali esce dall’aula. Il legale di Varani dichiara che il suo assistito non aveva le chiavi dell’abitazione di Lucia Annibali, quindi non avrebbe potuto fornirle ai due presunti sicari. Gli avvocati di Rubin Ago Talaban e Altistin Precetaj negano le accuse.


http://ifg.uniurb.it/2014/03/17/ducato-online/lucia-annibali-la-diretta-twitter-del-processo/59452
PESARO – Nuova udienza del processo con rito abbreviato per l’aggressione a Lucia Annibali, l’avvocatessa urbinate sfregiata con l’acido il 16 aprile del 2013. Presenti, di fronte al gip del tribunale di Pesaro Maurizio Di Palma, l’ex fidanzato di Lucia e presunto mandante dell’aggressione Luca Varani e i due presunti esecutori, Rubin Ago Talaban e Altistin Precetaj.
“Mi sento responsabile di quello che è accaduto – ha affermato Varani di fronte ai giudici – perché la situazione mi è sfuggita di mano. Ma comunque l’ho innescata io”. Al momento delle dichiarazioni dell’avvocato pesarese, Lucia Annibali è uscita dall’aula.
Durante il processo, oltre al legale di Varani, Roberto Brunelli, sono intervenuti anche gli avvocati difensori dei due albanesi imputati sostenendo che i loro assistiti sono “estranei ai fatti”.

Il Ducato Urbino @IlDucato
#processoannibali il gip ha stabilito 800 mila euro di risarcimento per #luciaannibali e 75 mila euro per ciascun familiare




http://ifg.uniurb.it/2014/02/21/ducato-online/processo-annibali-verso-la-sentenza-segui-la-diretta-twitter/57365
PESARO - Non entreranno a far parte del processo le frasi che, secondo gli avvocati di Luca Varani, potrebbero scagionarlo. Si tratta della conversazione che l’avvocato pesarese avrebbe avuto con un compagno di cella, durante la quale avrebbe raccontato di aver chiesto ai suoi due presunti complici, Rubin Ago Talaban e Altistin Precetaj, di gettare l’acido soltanto sulla macchina di Lucia Annibali e non direttamente contro la vittima.
Il gip Maurizio Di Palma ha rifiutato la richiesta della difesa. L’udienza di oggi è terminata con un nulla di fatto, riprenderà domani mattina e si ripartirà della requisitoria del pm Monica Garulli che concluderà con la richiesta della condanna. Per ora si ipotizza che per Luca Varani verranno chiesti 20 anni, il massimo della pena prevista dal rito abbreviato. Qualora invece non fosse confermata l’accusa di tentato omicidio gli anni di reclusione potrebbero scendere a sedici.
Dopo le motivazioni di richiesta di condanna ci saranno le arringhe degli avvocati. Per primo interverrà Francesco Coli, difensore della parte civile a seguire Roberto Brunelli, legale di Luca Varani e infine a Gianluca Spolito e Umberto Levi che rappresentano i due albanesi presunti complici di Varani. La sentenza per ora rimane ancora fissata per domani anche se, a causa del protrarsi della requisitoria, potrebbe slittare a lunedì.
“Lucia teme ancora per la sua vita – afferma l’avvocato Francesco Coli – e ha paura che qualcuno possa farle ancora del male. Per ora ha seguito tutta la requisitoria passo dopo passo, ha accettato di mostrare le foto che la ritraevano subito dopo l’aggressione. Lucia è fiduciosa e pensa che ci sarà una giustizia equa”.
Lucia Annibali è arrivata al tribunale di Pesaro per assistere al processo stamattina alle 9,30. Ad accoglierla un gruppo di donne dell’Udi (Unione donne in Italia), che facevano capannello davanti al tribunale con striscioni. “Io sto con Lucia”. “Siamo tutte parte lesa”. Erano lì a manifestare contro la violenza sulle donne e per dare sostegno all’avvocatessa. Quando hanno visto arrivare i presunti aggressori li hanno accolti con urla: “Noi non abbiamo paura di voi”.
L’avvocatessa, però, l’hanno vista a malapena. La Annibali ha deciso, infatti, di arrivare fin sotto il tribunale, approfittando di un garage sotterraneo. Dopo di lei, è stata la volta di Luca Varani, che è arrivato scortato dalla polizia mentre la sorella e il padre lo salutavano da lontano.
In aula Luca Varani e Lucia Annibali erano seduti a pochi metri di distanza, divisi dai loro legali. Nonostante questo non si sono mai guardati e nel momento della visione della fotografie che ritraevano Lucia dopo l’aggressione Luca Varani è rimasto impassibile.
I fatti al centro del processo risalgono all’aprile scorso. La sera del 16 due uomini incappucciati hanno aspettato Lucia Annibali davanti la porta di casa per gettarle addosso dell’acido, sfigurandola in viso. Mentre stava aprendo la porta Lucia Annibali si era accorta che la serratura non era chiusa con i soliti quattro giri di chiave, per questo si è allertata. Secondo l’avvocato Coli è proprio per questo motivo che Lucia sarebbe stata aggredita sul pianerottolo e non all’interno del suo appartamento. Nei giorni successivi è stato fermato l’ex della donna, Luca Varani, avvocato pesarese che non aveva accettato la chiusura del rapporto e continuava a minacciare la Annibali. Dopo di lui, nel giro di quindici giorni, sono stati arrestati anche i presunti esecutori materiali dell’atto, uno dei quali, Talaban, si nascondeva in Abruzzo in attesa dell’espatrio. Lucia Annibali, che è stata ricoverata per mesi all’ospedale di Parma per le gravi lesioni riportate al viso e agli occhi, è diventata simbolo della lotta alla violenza sulle donne.

CHIARA LALLI, WIRED.IT
Lo scorso aprile due uomini l’hanno aspettata sotto casa e le hanno buttato acido solforico addosso, sul volto e sulle mani. Secondo l’accusa li aveva mandati l’ex fidanzato, lasciato qualche tempo prima.
Lucia Annibali due giorni fa è entrata nell’aula di tribunale dov’erano anche i tre accusati. Il gip doveva decidere se accettare la richiesta di rito abbreviato. Luca Varani è accusato di tentato omicidio per aver manomesso l’impianto a gas di Annibali, di stalking per aver perseguitato la donna con telefonate e appostamenti per mesi e di lesioni gravissime come mandante dell’aggressione della primavera passata. Rubin Ago Talaban avrebbe materialmente aggredito Annibali e Altistin Precetaj sarebbe stato suo complice nell’agguato.
Nella seconda ordinanza di custodia cautelare per stalking e tentato omicidio così è spiegata l’ossessione vendicativa di Varani nei confronti di Annibali: «per avergli rovinato la vita, per aver rivelato la loro relazione clandestina alla fidanzata storica. Così si fa strada in lui l’idea di eliminare fisicamente la giovane donna, fino ad attentare anche alla sicurezza degli abitanti del condominio di via Rossi 19. Cominciano i continui appostamenti. Varani entra ed esce dallo stabile di via Rossi, senza alcuna giustificazione plausibile, se non quella di organizzare e preparare nei dettagli il terribile gesto del 16 aprile, visto anche che il primo tentativo della manomissione dell’impianto del gas non è andato a buon fine. […] Varani aveva capito di aver perso ogni potere sulla ragazza, l’ostinazione di riconquistarla si trasforma in sentimento di rabbia e poi in odio devastante contro Lucia, colpevole di averlo rifiutato, di essersi sottratta al suo dominio fisico e psicologico allacciando rapporti con altri uomini».
In una lettera inviata a un amico avrebbe scritto che voleva solo farle dispetto, voleva rovinarle la macchina con l’acido non certo farle male e rovinarle per sempre il viso. L’avvocato difensore segue questa linea. Si tornerà in tribunale il prossimo 21 febbraio e la sentenza dovrebbe essere emessa il giorno successivo.
Come in ogni aggressione brutale e in ogni avvenimento che non vorremmo si fosse verificato, la domanda se si potesse anticipare e quindi evitare rimane sospesa e disturbante. Soprattutto quando il gesto finale è compiuto dopo una serie di avvertimenti e sintomi prodromici.
In questo caso a fare impressione è anche il modo scelto per colpire. Quell’acido che eravamo abituati a considerare come un’arma di un altro mondo, appartenente a paesi e a culture lontani da qui. Un’arma poco costosa, facile da trovare e con effetti atroci: cecità, danni irreversibili alla pelle e alle ossa, per non parlare delle conseguenze psicologiche e sociali. Secondo l’organizzazione Acid Survivors Foundation, nata in Bangladesh e poi usata come modello in altri paesi come la Cambogia, il Pakistan e l’Uganda, le vittime di attacchi con l’acido spesso sopravvivono e devono vedersela con effetti gravi e durevoli (qui alcune storie di persone sopravvissute). Dal terrore e dolore iniziali alle difficoltà di reinserimento, ai sintomi post traumatici e alle conseguenze economiche e sociali che colpiscono anche i familiari. Familiari che sono spesso anche quelli che aggrediscono: secondo l’ASF nel 20% dei casi, mentre i mariti sono il 26% degli aggressori, per un totale del 46%. Le vittime sono nella maggior parte donne, circa 1.500 ogni anno. Ci sono anche vittime uomini. In Gran Bretagna i numeri sono addirittura invertiti: negli ultimi due anni sono stati 81 gli uomini colpiti da un acido (49 le donne nello stesso arco temporale). Gli attacchi contro gli uomini sono per lo più correlati alla violenza tra gang e ad attività criminali, e l’umiliazione è un elemento ricorrente. Usando l’acido non si vuole solo dare una lezione a qualcuno che ha sgarrato, lo si vuole mortificare, rendere oggetto di pietà e di commiserazione. Di una cicatrice o di una coltellata ci si può vantare, si può ostentare il segno di una pallottola come prova di coraggio, ma di un volto sfigurato no.
Il volto segnato dall’acido, i lineamenti cancellati e un dolore che mischia la vergogna (certo, quella vergogna non dovrebbe essere della vittima ma quello che dovrebbe essere solo di rado è. Certo, la decisione di Annibali e di altre persone aggredite di mostrarsi ha proprio l’intento di allontanare la vergogna, di rispedirla al mittente, di averne il controllo per rifiutarla. «Non sono certo io che devo vergognarmi», ha detto Annibali) all’impossibilità di dimenticare sembrano essere gli ingredienti perfetti per lasciare un marchio indelebile, un’eterna vendetta peggiore delle botte, più vile dell’assassinio, forse affine allo stupro nell’intento punitivo ma intrinsecamente incancellabile. Quell’intento che si fa fatica a capire e che sarebbe forse troppo semplice inquadrare in un contesto patriarcale. O forse inutile, nel senso che una volta che l’abbiamo collocato nel dominio «patriarcato» non ci troviamo davanti a uno scenario più semplice da districare. È indubbio che, pur nella somiglianza del mezzo, un’aggressione a Urbino non sia immediatamente paragonabile a un’aggressione in Pakistan, e la storia di Anusha – 15enne aggredita dai propri genitori per aver guardato un ragazzino e morta come conseguenza dell’acido – non sia sovrapponibile a quella di Lucia Annibali.
Ma le domande che ci ritroviamo a porci sono sempre le stesse, partendo da: «avremmo potuto evitarlo?».

http://www.aljazeera.com/indepth/features/2013/09/acid-attacks-a-scar-india-2013927165429393354.html
Shabana Khatun, 21, from the eastern Indian city of Kolkata, was in love with a boy and wanted to marry him. She had known him for four years, and one Saturday evening in June last year, she was invited to meet his family and seek permission for their marriage.
Soon after Shabana arrived at her boyfriend’s house, his family started assaulting her.
In the course of her long ordeal, she was force-fed one bottle of acid, resulting in severe internal injuries. Since then she has been unable to eat anything solid, and survives on a liquid diet. Her assailants, meanwhile, remain free, and are not yet facing criminal charges.
Shabana was yet another victim of what has now come to be known in the country as "acid attacks". With acids - something as ubiquitous as toilet-cleaning liquids readily available at the corner store and as cheap as 30 cents a litre, these assaults have emerged as a preferred weapon of violence against women.
Acid attacks have few parallels in their gruesomeness, and victims, such as Shabana would vouch for their viciousness.
Spotlight
Follow our special India coverage
More than a year later, she is still in pain and the scars on her body are far from being healed.
"One of them pinned me down while another held my hands and legs. The father of my boyfriend then forced acid down my throat," she says, shuddering while recounting her ordeal.
As she slipped into unconsciousness, her assailants grew bolder. They stripped off her clothes and had the remaining acid thrown at her private body parts. While she was conscious, her boyfriend silently watched.
Following the widely reported, deadly gang rape of a medical student in New Dehli in December 2012, Indian lawmakers are waking up to the issue of violence against women and to the plight of the likes of Shabana. Indian society is now raising its collective voice against the scourge.
Senseless crime
"It’s a senseless crime that has no place in this country. Acid attacks are a blot on India," says Subrata Ghosh, a Kolkata-based activist who has been trying to raise funds for the reconstructive surgery that another acid attack victim needs to undergo to fix her disfigured face.
Indians such as Ghosh are shamed by the assaults, but their perpetrators see them as means to restore their own honour and pride.
In Shabana’s case, the boyfriend’s parents felt that she had sullied the family reputation by having an affair with their son. For them and millions of others in this conservative country, match-making arranged by family elders is the preferred mode of marriage.
Strangely, the reasons behind such attacks are often trivial.
Sonali Mukherjee, living in Dhanbad in eastern India, had one evening objected to the pranks of some neighbourhood boys. Under normal circumstances, it should have ended just as a street argument. But then the boys - their pride hurt at being challenged by a dimunitive girl - chose to take the acid route. They threw acid at Sonali through the window while she slept in the night.
From petty quarrels to being jilted in love affairs, reasons provoking acid attacks are varied.
There is no official data available on acid attacks, but majority of the reported cases indicate the primary targets are young women. [Stop Acid Attacks]
No official figures exist on the number of attacks in the country, but going by the increasing frequency of such incidents reported in the local media, there is unanimity that it is growing.
A helpline for women in distress set up in the national capital, New Delhi, received 56 complaints of acid attacks in the first quarter of 2013.
Even the normally slothful federal government has been forced to take notice of the trend: in the wake of the notorious December gang rape, it set up a committee headed by a retired chief justice to audit existing laws and suggest measures to make them more stringent.
The Justice JS Verma report has recommended that separate laws be made to deal with acid attacks.
But as voices grow stronger for harsher laws and severe punishment to deal with acid attacks, victims continue to suffer in silence.
Growing numbers
Every few days, there are reports of acids being thrown at some girl in some part of this vast country. Two sisters had acid thrown on them by a landlord for their inability to pay rent on time. Another girl was attacked similarly by her teacher whose amorous overtures she had rejected.
The spate of attacks have, however, spurred action. Some victims, such as Sonali of Dhanbad, went on live television to raise money for her treatment and awareness about acid victims.
One person who has fought relentlessly for stricter laws and better compensation is Laxmi from New Delhi. The 23-year-old was herself an acid attack victim, when a man and a woman threw acid on her seven years ago near a shopping mall.
After eight reconstructive surgeries, she still struggles to perform basic physical needs.
India tightens rules to curb acid attacks
Physically disabled, she nevertheless had enough mental strength. She petitioned the top court against the Indian government, questioning why acids - some of which are used for industrial purporses - were readily available across the country.
She also demanded better compensation and free medical treatment for victims.
Her legal action prompted the apex court to order the Law Commission to submit a report on the acid attacks.
One of the observations of the Law Commission was: "Acid violence is a premeditated act of violence as the perpetrator of the crime carries out the attack by first obtaining the acid, carrying it on him and then stalking the victim before executing the act.
"The acid is usually thrown at victim’s face, the perpetrator wants to disfigure the victim and turn them into monster."
The Law Commission report was followed by a Supreme Court ruling to regulate the sale of acids. Acid attacks also now carry lengthier jail sentences.
But activists say laws would not necessarily change mindsets and reverse the grisly trend.
“Mere writing a law will not change things on the ground, all agencies will have to come together to implement it in its true spirit. The fear of law and punishment within a stipulated time is necessary to save girls like Shabana," says Pious Ahuja, a law student from Washington College of Law, who is helping Shabana to fight her legal battle against her attackers.
Pious along with StopAcidAttacks.org has set up a crowd-funding account on the Internet to help Shabana with her medical expenses and rehabilitation. More people are expected to come forward to protect and help girls such as Shabana.
"Legislation can be the first step in saving India’s vulnerable women population," says Alok Dixit from StopAcidattacks.org. "But societal change is what is needed, in addition to having better laws."
Sitting at her home, Shabana is left to tend to her scars and await such changes. "The change shall only come if rights of women as equal citizens are recognised and enforced," she says.
Follow Kamal Kumar on Twitter: @kamalpkumar
This feature is a part of our ongoing special India coverage. To read more stories click here.







Deve avere una sua fonte speciale di energia, questa donna in camicia da notte seduta sulla punta di un letto della Chirurgia plastica, ospedale di Parma. Ne pesca un po’ ogni volta che la salita si fa più ripida. Come adesso.

«Sicura di volerlo fare?».

«Sicura».

L’aveva promesso a se stessa il giorno che lo specchio si rifiutò di mostrare la sua vecchia faccia: «Prima o poi esco allo scoperto e mi mostro al mondo. Che vedano pure come mi hanno ridotta, non sono certo io che devo vergognarmi…».

Ecco. È arrivato il momento.

Lucia Annibali seleziona fotografie dal book della sua nuova esistenza. «Sono pronta. Del resto sarò un’altra Lucia per tutta la vita, non posso continuare a nascondermi. Il 18 settembre compio 36 anni e per me questo sarà anche l’anno zero. Rinasco. Ricomincio tutto daccapo con la mia nuova faccia, con il naso un po’ così, con gli occhi fra l’orientale e la riempita di botte, con le sopracciglia da tatuare e la bocca buona per sorridere, finalmente, dopo l’ultima operazione. Ma posso fare di meglio e di più. Sono sicura che so fare di meglio e di più».

Sette volte sotto i ferri e non è finita né lo sarà mai. Niente sarà più come prima e lo sapeva fin troppo bene chi l’ha voluta sfregiare così, una sera di cinque mesi fa. Lei rientrava a casa, a Pesaro, uno sconosciuto incappucciato l’aspettava dentro l’appartamento «armato» di un barattolo di acido. Nemmeno il tempo di aprire la porta e quel liquido è finito sulla fronte, sugli occhi, sulle guance, ha fatto il suo lavoro, ha corroso la pelle in un momento. È colato giù, verso il mento mentre Lucia sentiva la faccia «friggere», come dice lei, mentre urlava e urlava, «è stato lui, il mio ex».

Luca Varani, l’avvocato un tempo tanto amato, è in carcere. È accusato di lesioni gravissime, stalking e tentato omicidio. «È il mandante dell’aggressione» dice il pubblico ministero Monica Garulli che ha fatto arrestare anche i due albanesi esecutori materiali dell’agguato. Uno ha tirato l’acido, l’altro ha fatto da palo.

Quella dell’amore fra Luca e Lucia è la storia di un rapporto malato, il racconto di un legame strappato e ricucito più volte fino a quando la tela dei sentimenti non ha più retto. E dopo l’addio è stato un crescendo di risentimento e persecuzione. Così la riassumono i venti carabinieri che hanno lavorato giorno e notte al «caso Annibali» e così ha raccontato Lucia che ha interrogato i suoi ricordi mille volte per aiutarli a mettere assieme le accuse.

«Quello che so di lui è nelle carte, fuori dall’inchiesta non voglio più nemmeno nominarlo. La sua sorte non mi interessa minimamente. Devo pensare a me e a guarire il più possibile, lo devo a me stessa. Voglio riordinare la vita partendo proprio da quello che mi è successo. Devo dire la verità, non sto morendo dalla voglia di tornare al mio lavoro di avvocatessa, e invece mi piacerebbe moltissimo aiutare in qualche modo gli ustionati, occuparmi delle donne schiacciate da uomini inetti e incapaci di convivere con le loro fragilità. Alle donne voglio dire “voletevi bene, tanto, tantissimo. Credete in voi stesse e sappiate che ogni atto di violenza subita non dipende mai da voi che amate l’uomo sbagliato ma da lui che lo commette”. Agli ustionati come me invece dico di tenere duro e avere pazienza, tanta pazienza».

Parole che vengono dalla sua fonte speciale di energia. La stessa che le faceva muovere un braccio al ritmo della musica mentre, ricoverata subito dopo l’aggressione, aveva il volto bendato e i medici pensavano ancora che quasi certamente sarebbe rimasta cieca. Non avevano fatto i conti con la sua forza di volontà. Non avevano ancora imparato a conoscere la Lucia dalle mille risorse. «Non posso rimanere cieca. Non posso». E non lo è. «Guarda un po’ questo». Mostra il video di se stessa quando era imbacuccata nelle bende. «L’ha girato mio fratello. Sembro o no una mummia che balla?».

Oggi Lucia scrive lettere e biglietti. Appunti di vita in ordine sparso per ringraziare, consigliare, riflettere. Li fa leggere al primario che la fa ridere prendendola un po’ in giro, alla dottoressa che controlla i progressi della sua pelle, qualche volta ai suoi genitori, al fratello o agli amici più stretti. «Ho sperato e sopportato i dolori più intensi e le notti più buie» scrive in una di quelle lettere. «L’ho fatto per tornare alla vita. E in parte ci sono riuscita, ma la strada è ancora lunga. Sono grata a tutte le persone che ho incontrato, a chi ha avuto un pensiero per me, per aver reso incredibile il mio viaggio di ritorno… ogni giorno è un po’ più facile di quello precedente».

Il 18 settembre è dietro l’angolo. «Voglio celebrare la vita, l’amore e l’amicizia». I 36 anni della Lucia che è stata e l’anno zero della Lucia che verrà. E pazienza se per strada qualche volta si sentirà spiata dagli sguardi della gente. «Io sono così, prendere o lasciare». Sfregiata, sì. Ma la deformità è nella testa di chi ha voluto tutto questo.

PEZZI DI CRONACA CHE IL CORRIERE HA DEDICATO AL CASO
Ci sono ancora i buchi causati dal vetriolo nell’intonaco del pianerottolo. Figurarsi lo scempio che deve aver provocato sul volto e il collo di Lucia Annibali, avvocatessa di 35 anni, single e senza figli, sfigurata da un getto di acido solforico lanciato da un uomo incappucciato mentre rientrava l’altra sera nel suo appartamento a Pesaro. La donna è ricoverata al Centro grandi ustionati di Parma e rischia di perdere la vista. Un’esecuzione da mafia russa. E un movente che ritorna in continuazione nella tragica galleria dei femminicidi: un ex che non si rassegna all’idea della separazione, che perseguita la donna per mesi e poi decide di punirla, spesso con la morte, stavolta con il più terribile degli sfregi. L’uomo in questione, sul quale si appuntano i sospetti dei carabinieri, è un avvocato con il quale Lucia Annibali ebbe una breve relazione più di 2 anni fa. Si chiama Luca Varani, 35 anni, attualmente in stato di fermo con l’accusa di concorso in lesioni volontarie gravissime. Lui non sarebbe l’esecutore dell’aggressione, bensì il mandante. Interrogato ieri per ore e poi rinchiuso nel carcere di Villa Fastiggi, il professionista si è dichiarato estraneo alla vicenda, esibendo un alibi apparentemente a prova di bomba: «Nelle ore in cui è avvenuto l’agguato ? ha detto ai carabinieri ?, stavo giocando a calcio con i miei amici, in tanti lo possono confermare, compresi un maresciallo dei carabinieri e un sovrintendente di polizia che fanno parte della squadra». Tutto vero, ma non sufficiente per tirarsi fuori da questa storia: «Sulla base degli elementi in nostro possesso ? hanno spiegato gli investigatori ?, l’uomo è fortemente coinvolto. La stessa Annibali, pochi istanti dopo essere stata colpita con l’acido, ha trovato la forza di fare il suo nome». È già scattata la caccia al sicario: un uomo alto e incappucciato che martedì sera ha atteso la donna all’interno del suo appartamento e, non appena lei ha varcato la soglia, le ha gettato addosso il vetriolo, dileguandosi senza una parola. Non si escludono complici. Tra gli inquirenti c’è chi ricorda un episodio avvenuto di recente in città: un albanese, fermato da una pattuglia di polizia, rovesciò sul piede di un agente una boccetta piena di acido, provocando per fortuna solo piccole lesioni all’agente. Resta Varani comunque il fulcro dell’inchiesta. L’uomo, dalla vita privata piuttosto movimentata (è in attesa di un figlio da un’altra donna), non ha mai accettato la fine del rapporto con Lucia. I vicini di casa dicono di averlo visto aggirarsi attorno al condominio. E in un’occasione si sarebbe anche intrufolato nell’appartamento della donna, che ha però preferito non denunciarlo, limitandosi a cambiare la serratura.Convinta di poter gestire la situazione, l’avvocatessa non ha chiesto aiuto a nessuno. L’unica persona con la quale si è confidata, lamentandosi per l’insistenza del suo ex, è stato un amico carabiniere in servizio a Urbino (dove la donna lavora nello studio del padre Luciano). Il militare, a quanto si sa, aveva riferito all’uomo le preoccupazioni di Lucia, invitandolo a stare alla larga da lei. Varani ora è in isolamento totale: neanche il suo legale può parlargli.

ANNA MELDOLESI 19 APRILE
[Esplora il significato del termine: «Se ti tolgo la bellezza, nessuno ti sposerà». «Non posso averti io, perciò non ti avrà nessuno». «Se ti comporti da donna libera, meriti una punizione esemplare». L’incubo delle aggressioni con gli acidi sembrava una barbarie geograficamente lontana, non esportabile in Occidente. L’agguato avvenuto martedì a Pesaro ai danni di una italiana, l’avvocato Lucia Annibali, è stato un brusco risveglio. Sembra dirci che anche qui un innamorato respinto può bussare alla porta di casa e lanciare una colata di fuoco liquido in faccia a una donna. Cancellare i suoi lineamenti, portarsi via bellezza e identità, oscurare vista e futuro. Si è trattato di un gesto isolato, sporadico rispetto alle migliaia di episodi che le organizzazioni non governative contano ogni anno in Pakistan, India, Cambogia. Eppure il campanello d’allarme suona: gli episodi di acid throwing non sono ermeticamente confinati sulla mappa geografica come ci piacerebbe credere. Ci sono resoconti in Africa e Sud America, non è immune neppure l’Europa. Raramente la vittima è un uomo: lo scorso gennaio è toccato al direttore artistico del teatro Bolshoi di Mosca, Sergei Filin, aggredito da un ballerino. Molto più spesso a essere colpita è una donna. Come la modella inglese Katie Piper, sfigurata dal fidanzato nel 2008. O come la belga Patricia Lefranc, colpita dall’ex amante nel 2009. Procurarsi l’acido è facile ed economico. Viene quasi da pensare che chi lo lancia sia più vigliacco di chi uccide. Il primo attacco documentato è avvenuto nel 1967 in Bangladesh e da allora le Ong faticano ad aggiornare le statistiche. Soprattutto nell’Asia meridionale e sud-orientale, dove il fenomeno si presenta come un’altra perversa manifestazione di quella mentalità patriarcale da cui si originano le spose bambine e gli aborti selettivi alla ricerca di un figlio maschio. Rifiutare un matrimonio o un’avance, può essere fatale. Ma anche trasgredire i confini del lecito, esercitare una qualche indipendenza sul lavoro. Negli ultimi anni, secondo alcuni osservatori, i passi avanti sul fronte legislativo potrebbero aver posto un argine in alcuni dei Paesi più colpiti. Ma accrescere le pene e controllare la vendita delle sostanze più pericolose non basta. La grande sfida culturale e politica è sempre la stessa, si chiama disuguaglianza di genere. È da qui che nasce la violenza di genere. Nel 2012 l’Oscar per il miglior documentario è andato a «Saving face» di Sharmeen Obaid Chinoy e Daniel Junge. Racconta il lavoro del dottor Jawad e le battaglie di due sopravvissute, Zakia e Rukhsana, per avere giustizia e rifarsi una vita. Le donne sfregiate nel volto lo sono anche nell’anima: soffrono di depressione e ansia, vivono in uno stato permanente di paura e vergogna, spesso si isolano per nascondere le cicatrici. Quando decidono di mostrarsi, per svegliare le nostre coscienze distratte, compiono un atto di forza straordinario. Decidere di non voltarsi dall’altra parte, in confronto, richiede molto meno coraggio.@annameldolesiRIPRODUZIONE RISERVATA] «Se ti tolgo la bellezza, nessuno ti sposerà». «Non posso averti io, perciò non ti avrà nessuno». «Se ti comporti da donna libera, meriti una punizione esemplare». L’incubo delle aggressioni con gli acidi sembrava una barbarie geograficamente lontana, non esportabile in Occidente. L’agguato avvenuto martedì a Pesaro ai danni di una italiana, l’avvocato Lucia Annibali, è stato un brusco risveglio. Sembra dirci che anche qui un innamorato respinto può bussare alla porta di casa e lanciare una colata di fuoco liquido in faccia a una donna. Cancellare i suoi lineamenti, portarsi via bellezza e identità, oscurare vista e futuro. Si è trattato di un gesto isolato, sporadico rispetto alle migliaia di episodi che le organizzazioni non governative contano ogni anno in Pakistan, India, Cambogia. Eppure il campanello d’allarme suona: gli episodi di acid throwing non sono ermeticamente confinati sulla mappa geografica come ci piacerebbe credere. Ci sono resoconti in Africa e Sud America, non è immune neppure l’Europa. Raramente la vittima è un uomo: lo scorso gennaio è toccato al direttore artistico del teatro Bolshoi di Mosca, Sergei Filin, aggredito da un ballerino. Molto più spesso a essere colpita è una donna. Come la modella inglese Katie Piper, sfigurata dal fidanzato nel 2008. O come la belga Patricia Lefranc, colpita dall’ex amante nel 2009. Procurarsi l’acido è facile ed economico. Viene quasi da pensare che chi lo lancia sia più vigliacco di chi uccide. Il primo attacco documentato è avvenuto nel 1967 in Bangladesh e da allora le Ong faticano ad aggiornare le statistiche. Soprattutto nell’Asia meridionale e sud-orientale, dove il fenomeno si presenta come un’altra perversa manifestazione di quella mentalità patriarcale da cui si originano le spose bambine e gli aborti selettivi alla ricerca di un figlio maschio. Rifiutare un matrimonio o un’avance, può essere fatale. Ma anche trasgredire i confini del lecito, esercitare una qualche indipendenza sul lavoro. Negli ultimi anni, secondo alcuni osservatori, i passi avanti sul fronte legislativo potrebbero aver posto un argine in alcuni dei Paesi più colpiti. Ma accrescere le pene e controllare la vendita delle sostanze più pericolose non basta. La grande sfida culturale e politica è sempre la stessa, si chiama disuguaglianza di genere. È da qui che nasce la violenza di genere. Nel 2012 l’Oscar per il miglior documentario è andato a «Saving face» di Sharmeen Obaid Chinoy e Daniel Junge. Racconta il lavoro del dottor Jawad e le battaglie di due sopravvissute, Zakia e Rukhsana, per avere giustizia e rifarsi una vita. Le donne sfregiate nel volto lo sono anche nell’anima: soffrono di depressione e ansia, vivono in uno stato permanente di paura e vergogna, spesso si isolano per nascondere le cicatrici. Quando decidono di mostrarsi, per svegliare le nostre coscienze distratte, compiono un atto di forza straordinario. Decidere di non voltarsi dall’altra parte, in confronto, richiede molto meno coraggio.@annameldolesiRIPRODUZIONE RISERVATA

21 APRILE
MILANO ? Resta in carcere Luca Varani, l’avvocato trentacinquenne accusato di essere il mandante dell’aggressione con l’acido alla coetanea, collega ed ex fidanzata Lucia Annibali. Il giudice per le indagini preliminari Lorena Mussoni ha convalidato il fermo per lesioni volontarie gravissime e firmato un’ordinanza di custodia cautelare per il pericolo di fuga. In 20 pagine il gip ha messo in risalto la «chiara volontà di vendetta attuata con l’intento di causare danni irreversibili della vittima, compromettendone la bellezza e la vita di relazione» con un’«aggressione di spietata e inaudita crudeltà». I carabinieri di Pesaro coordinati dal tenente colonnello Antonio Sommese stanno cercando l’esecutore materiale e forse un complice, non escludono che possa trattarsi di un italiano. Lucia Annibali è sempre al centro Grandi ustionati di Parma, dove i medici hanno cominciato la serie di interventi per salvarle la vista. L’avvocato di Varani, Roberto Brunelli, dice che il suo assistito è molto sorpreso. «Non capisco il pericolo di fuga. L’ordinanza poi è vaga quando si tratta di dimostrare che c’è un legame tra Varani e gli esecutori materiali»

28 APRILE 2013
È stato catturato uno dei due sicari che la sera del 16 aprile scorso hanno sfigurato con l’acido Lucia Annibali (nella foto sotto), 35 anni, avvocato, al suo rientro a casa, nel centro di Pesaro. Il presunto mandante era stato invece fermato la notte stessa dell’aggressione e ora è in carcere. I carabinieri di Pesaro hanno arrestato Altistin Precetaj, 28 anni, un pregiudicato albanese di Scutari. L’hanno scovato in un casolare di Novilara (Pesaro) e portato in carcere. Il presunto mandante, Luca Varani, è un ex collega ed ex compagno della vittima, anche lui 35enne, che la donna aveva lasciato lo scorso autunno dopo aver scoperto che aveva un’altra relazione. Una decisione che, secondo l’accusa, Varani non avrebbe digerito, tanto da pagare appunto due sicari per vendicarsi. Precetaj, inchiodato da alcune immagini riprese da una telecamera di sicurezza, avrebbe trattato con Varani tempi e modalità dell’aggressione, messa in atto materialmente da un altro albanese che è ricercato anche in Albania e in Nord Italia. Lucia Annibali si trova tuttora ricoverata al centro grandi ustionati dell’ospedale universitario di Parma.

29 APRILE
Sarebbe Rubin Talaban, 31 anni, albanese di Scutari senza fissa dimora in Italia, l’autore materiale dell’aggressione a Lucia Annibali. Ne sono convinti gli inquirenti di Pesaro che, in collaborazione con l’Interpol, lo stanno cercando in Italia e all’estero. Le responsabilità dell’uomo sono emerse dopo l’arresto, avvenuto sabato, del suo complice e connazionale Precetaj Altistin, pregiudicato di 28 anni. Nel frattempo dall’inchiesta spunta un altro elemento contro Luca Varani, l’avvocato di 35 anni accusato di essere il mandante dell’agguato alla sua ex, la collega Lucia Annibali, sfigurata il 16 aprile scorso con l’acido mentre rientrava nel suo appartamento di Pesaro. Il professionista avrebbe tentato quasi tre settimane prima di disfarsi di un’automobile, una Smart, che secondo i carabinieri poteva rappresentare per lui una prova di colpevolezza. Per gli investigatori, infatti, l’auto potrebbe contenere tracce di acido del tipo usato dai sicari da lui assoldati per l’aggressione della donna. Il 27 marzo Varani fece qualcosa di «inspiegabile». Portò la city car da un autodemolitore perché la rottamasse e si recò in una concessionaria per acquistare un’altra Smart. Il titolare dell’officina, però, pensò di tenerla per la figlia. Dopo alcuni giorni il professionista tornò dall’autodemolitore per chiedergli di avere i sedili dell’auto, che voleva vendere online. Comportamento spiegabile secondo i carabinieri in solo modo: Varani voleva cancellare le tracce compromettenti. Si è infatti scoperto che il blocco dell’accensione era fuori uso, probabilmente perché corroso dall’acido. Pare che Varani fosse ossessionato dalla donna, che lo aveva lasciato a ottobre

ACIDO SOLFORICO (WIKIPEDIA)
L’acido solforico è un acido minerale forte, liquido a temperatura ambiente, oleoso, incolore e inodore; la sua formula chimica è H2SO4.
I suoi sali vengono chiamati solfati. Un solfato molto comune è il gesso, che è solfato di calcio diidrato.
In soluzione acquosa concentrata (>90%) è noto anche con il nome di vetriolo. Soluzioni di anidride solforica, che possono arrivare fino al 30%, in acido solforico sono note come oleum.
Solubile in acqua e in etanolo con reazione esotermica anche violenta, in forma concentrata può causare gravi ustioni per contatto con la pelle.
L’acido solforico ha numerose applicazioni, sia a livello di laboratorio che industriale. Tra queste si annoverano: la produzione di fertilizzanti, il trattamento dei minerali, la sintesi chimica, la raffinazione del petrolio ed il trattamento delle acque di scarico. È altresì l’acido contenuto nelle batterie per autoveicoli.
In combinazione con l’acido nitrico forma lo ione nitronio (NO2+), intermedio nella reazione di nitrazione, impiegata industrialmente per la produzione del trinitrotoluene (TNT), della nitroglicerina, del fulmicotone e di molti altri esplosivi.
Tra gli additivi alimentari, è identificato dalla sigla E 513.

L’acido solforico è prodotto industrialmente direttamente dallo zolfo secondo i seguenti passaggi:

Le proprietà corrosive dell’acido solforico sono accentuate dalla sua violenta reazione esotermica di dissociazione in acqua. Le bruciature causate dall’acido solforico sono potenzialmente più pericolose di ogni altro acido forte (ad esempio l’acido cloridrico), e a questo pericolo va aggiunto quello di disidratazione della pelle per il calore di dissociazione. Il pericolo è ovviamente più grande con soluzioni a concentrazione più alta, ma va ricordato che l’acido solforico per uso in laboratorio (1 M, al 10%) può provocare gravi danni se rimane a contatto con la pelle per un tempo sufficiente. Le soluzioni superiori a 1,5 M possono essere etichettate come corrosive, mentre quelle a meno di 0,5 M possono essere considerate irritanti.

L’uso dell’acido solforico fumante (oleum) non è raccomandato in ambienti frequentati, come nelle scuole, per la sua alta pericolosità. Il primo trattamento per contatti con qualunque acido, è l’apposizione di bicarbonato di sodio, per neutralizzare l’acido (altrimenti l’apporre acqua sull’acido aumenterebbe a dismisura il calore generato) poi, ovviamente, il lavaggio dell’area interessata con grandi quantità d’acqua: questa operazione deve essere continuata per almeno 10 o 15 minuti, per raffreddare i tessuti e prevenire le bruciature dovute al calore generato. Capi di abbigliamento contaminati dovrebbero essere rimossi immediatamente.
La diluizione dell’acido solforico può essere ugualmente pericolosa: in merito può essere utile ricordare che bisognerebbe sempre versare l’acido nell’acqua, e non il contrario. L’aggiunta di acqua all’acido può provocare pericolosi schizzi e la dispersione di aerosol di acido solforico, che inalati in quantità eccessive possono avere conseguenze negative sull’organismo. Per ricordare l’ordine con cui diluire l’acido è utile ricordare la frase "non dare da bere all’acido".
A volte si utilizzano meccanismi di raffreddamento nella diluizione di grandi quantità di acido solforico, perché questo processo può portare all’ebollizione incontrollata della soluzione stessa.

ENCICLOPEDIA TRECCANI
solforico, acido Composto chimico contenente lo zolfo esavalente, di formula H2SO4. È un liquido incolore, inodore, fortemente corrosivo, di consistenza oleosa o sciropposa, solubile in acqua in tutti i rapporti con forte sviluppo di calore. È un acido diprotico, che in soluzione acquosa dà vita a una prima dissociazione praticamente completa e a una seconda parziale; attacca tutti i metalli, tranne oro e platino; dei metalli comuni il piombo presenta buona resistenza; il ferro è attaccato dall’acido diluito ma pochissimo da quello concentrato. L’acido s., che corrisponde esattamente alla formula H2SO4 (non diluito e non contenente SO3 disciolta), si dice monoidrato (perché formato da una molecola di acqua e da una di anidride s.); ha una densità di 1,839 g/cm3, pari a 66° Baumé.


IL CASO PEZZULLO
Dieci anni di carcere. È la sentenza in primo grado emessa il primo luglio 2013 al termine del processo in abbreviato a carico di Elena Perotti, la 23enne di Berlingo che con l’aiuto di un amico, Dario Bertelli, 44 anni, buttafuori, sfregiò William Pezzullo. I due sono stati condannati per lesioni gravissime premeditate. Incinta al nono mese e ben decisa a dare una lezione permanente al giovane che non ne voleva più sapere di lei e non intendeva riconoscere il bambino di cui era in attesa, la donna organizzò il piano. Secondo l’accusa coinvolse Bertelli, e fece ricerche sul web sulla sostanza più corrosiva da utilizzare. Fu lei ad acquistare l’acido solforico al supermercato, e fu lei a gettarlo in testa all’ex, malmenato e bloccato dal buttafuori. A pochi giorni dalla sentenza, Bertelli ha inviato dal carcere una lettera piena di insulti a Pezzullo, apostrofato come “coniglio”.
Travagliato, 20 settembre 2013 - «Non è vero che i giorni di pioggia sono i più brutti. Ti permettono di salire a testa alta anche se stai piangendo». Willy allunga il braccio destro e mostra la scritta in inglese: «È una frase che mi sono inventato io» sorride orgoglioso offrendo alla vista un reticolo di cicatrici rossastre intervallate da stampi di baci, uno spartito musicale e l’eroe dei videogames Supermario, tatuati di fresco. Ci pensa su e scherza: «In effetti potrei tatuarmi dappertutto, così magari tutti questi segni si vedrebbero meno». Lui è William Pezzullo, 27 anni. La sua storia ha fatto il giro d’Italia. La notte tra il 19 e il 20 settembre 2012 la ex, all’epoca incinta al nono mese, con la complicità di un amico ha messo a segno una vendetta feroce: una secchiata di acido solforico gettato addosso all’uomo che non la voleva più, e che non credeva di essere il padre del bambino che lei portava in grembo. Per mesi William, ragazzone atletico pronto alla battuta, è stato a un passo dalla morte.
Oggi a distanza di 12 mesi è quasi cieco – ha perso l’occhio destro e vede due decimi dal sinistro – senza orecchie e il corpo, viso compreso, è martoriato da frustate scure. Le cicatrici di quell’acido “in grado di corrodere le ossa ai maiali”, racconta la mamma Fiorella con voce incrinata. Ogni giorno Willy si infila delle guaine per appiattirle. Il liquido gli ha mangiato la pelle e parte dei muscoli.
La routine della famiglia Pezzullo è scandita da esercizi riabilitativi, innesti, docce e bagni speciali. Una crociata combattuta continuando a cercare il nome di qualche luminare della medicina non ancora provato: «William è stato due mesi e mezzo in terapia intensiva a Genova e poi ha subìto 11 interventi – racconta la madre del barista, che ha speso in cure già oltre ventimila euro e per pagarsele ha venduto il locale. L’ultimo innesto per recuperare la mobilità del collo fatto a Monza in giugno lo ha lasciato peggio di prima. Esteticamente è un disastro: guardi com’è gonfio».
La cucina è tappezzata di biglietti con gli indirizzi degli specialisti («A Londra un medico guarisce le pakistane sfregiate, chissà che non faccia il miracolo anche con me») in salotto c’è un televisore gigantesco («Qualche ombra almeno la vedo») e una cyclette. «La cyclette è l’unica cosa che posso fare, ma che cavolo di sport è? Mi innervosisce. Io sono per la boxe e i pesi – taglia corto Willy - Ma ricominciare la palestra è rischioso, potrei strapparmi i muscoli già lesionati».
Anche il pc dopo un po’ lo esaspera («Non vedo la freccia per cliccare»). Nel suo mondo risicato è rimasto spazio per dormire, chiacchierare con gli amici e qualche volta andare da loro, e sognare. Una famiglia, per esempio che prima o poi arriverà, tra una avance e l’altra delle donne che lo agganciano su Facebook. O per pianificare il viaggio a Napoli da Tonia, che dopo averlo visto in TV da Barbara d’Urso ha chiesto di lui e ora è la sua nuova fidanzata. E Elena? «Non ce l’ho con lei – dice William distaccato -. Siamo stati insieme sei mesi. È finita perché raccontava bugie e il suo era un amore malato. Era così gelosa che mi tagliava le gomme dell’auto, una volta mi ha persino chiuso in casa e sono dovuto scappare dalla finestra. Quel figlio non era mio».
beatrice.raspa@ilgiorno.net