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 2014  marzo 29 Sabato calendario

LA LIBERALIZZAZIONE CHE NON LIBERA


Il Decreto sul lavoro varato dal governo Renzi non è né di destra (l’espressione usata ieri da Stefano Fassina), né di sinistra. Semplicemente si muove in direzione antitetica rispetto al disegno di legge delega che lo stesso governo sostiene di voler tradurre in misure operative in tempi rapidi. La legge delega si propone di stabilizzare i lavoratori temporanei e di unificare il mercato del lavoro, superando la segregazione fra i lavoratori duali e gli altri lavoratori, occupati e disoccupati (unificando gli ammortizzatori con il sussidio
di disoccupazione).
Il decreto liberalizza, invece, i contratti a tempo determinato, rendendoli ancora più convenienti per il datore di lavoro rispetto a quelli a tempo indeterminato e allo stesso contratto di apprendistato. Certo, giusto, togliere una serie di oneri burocratici, introdotti dalla riforma Fornero, che hanno ostacolato le assunzioni, ma qui si va ben oltre quanto richiesto dalle stesse associazioni di categoria. Si permettono fino a 8 proroghe dello stesso contratto con lo stesso datore di lavoro anche per prestazioni che non hanno affatto natura temporanea. Al termine di ciascuna di queste proroghe, il datore di lavoro potrà di fatto licenziare il lavoratore senza preavviso e senza riconoscere alcuna indennità. Nulla impedisce che una lavoratrice venga lasciata a casa perché entrata in maternità al termine di uno dei suoi tanti microcontratti. E dopo tre anni di prova, il datore di lavoro ha l’alternativa fra convertire il micro-contratto in un contratto a tempo indeterminato (col rischio di pagare fino a 36 mensilità nel caso di licenziamento senza giusta causa) oppure sostituire il malcapitato con un altro lavoratore temporaneo a costo zero. Facile intuire che il tasso di conversione si ridurrà ancora di più rispetto ai già bassi livelli attuali e le imprese continueranno ad offrire quasi unicamente contratti a tempo determinato. Tanto più che ora il decreto permette che questi siano utilizzati per il 20% dei lavoratori di un’impresa, e anche oltre, se specificato dal contratto di categoria. Ad esempio, il contratto per il settore “legno lapidei”, siglato col decreto in Gazzetta Ufficiale, permette alle aziende del settore di avere fino alla metà dei lavoratori a tempo determinato.
Crediamo che Renzi abbia scelto questa strada perché voleva dare una spinta alla creazione di posti di lavoro. Nobile intento. Ma bene che non si illuda. Può esserci un effetto immediato sulle assunzioni, ma prima o poi, forse anche prima delle elezioni di maggio, ci sarà un forte effetto anche sulle cessazioni di rapporti di lavoro. L’esperienza trentennale della Spagna, raccontata con alcuni grafici su lavoce. info, è molto informativa a riguardo. Liberalizzando i contratti a tempo determinato in presenza di contratti a tempo indeterminato con alti costi di licenziamento, si hanno più contratti temporanei, ciascuno più breve, più passaggi da un’impresa all’altra, più periodi di disoccupazione, meno ore lavorate e salari più bassi (anche a parità di ore lavorate). Non è un’avventurosa e impegnata vita spericolata. È semplicemente una deprimente vita lavorativa segregata, da lavoratore di serie B, spesso a vita, condannato a non poter pianificare in alcun modo il proprio futuro.
Se si vogliono togliere freni alla creazione di posti di lavoro senza rendere ancora più duale il nostro mercato, meglio concentrare tutte le energie su di un disegno di riforma coerente. Si può, ad esempio, tagliare il cuneo fiscale nel modo più diretto e meno distorsivo, vale a dire riducendo i contributi sociali. Dato che le risorse sono limitate, questa riduzione del cuneo fiscale può limitarsi ai soli contratti a tempo indeterminato. È un modo di incoraggiare le conversioni e corrisponde ad un principio assicurativo: sono posti di lavoro a minor rischio di venir interrotti dei contratti a tempo determinato. Si può, al contempo, introdurre il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti nel decreto, al posto di proroghe ed estensioni ad libitum dei contratti a tempo determinato. Anche questo serve a incentivare i datori di lavoro ad assumere fin da subito con contratti a tempo indeterminato. Essendo una riforma strutturale, potrebbe essere utilizzata nel negoziato a Bruxelles per ottenere quella maggiore flessibilità auspicata anche ieri dal ministro Padoan, dunque per rendere ancora più forte e incisiva la riduzione delle tasse sul lavoro. Pagaiando in modo disordinato si rischia di continuare a girare su se stessi. L’illusione è quella di muoversi, ma è solo tanta fatica sprecata. Meglio decidere dove si vuole andare e, a quel punto, vogare spingendo entrambi i remi verso prua oppure sciare a dritta, spingendoli con altrettanta determinazione verso poppa.