Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 28 Venerdì calendario

IL GIORNALISMO E’ ROBA DA ACCATTONI


So che il tema del giornalismo crea puntualmente dibattito. Ha grande audience. Ricevo ogni giorno almeno uno o due nuovi curriculum nella mia posta elettronica, di ragazzi bravissimi e preparatissimi, laureati e poliglotti, col sogno nel cassetto di fare il giornalista sportivo. Li capisco, vi capisco: 25 anni fa avevo anch’io la stessa idea in testa, la medesima tenacia nel raggiungere l’obiettivo.

Soltanto che l’obiettivo si poteva realmente toccare. Certo: costava fatica, anni di lavoro senza vedere una lira (da lira a euro l’unica costante è lo zero davanti), rospi da ingoiare nell’imperante nonnismo delle redazioni, a suo modo istruttivo anch’esso Soltanto che alla fine potevi realmente metterti a sedere alla tua scrivania, occuparti a tempo pieno di calcio, ascoltare storie e lezioni dai vecchi e dare sfogo alla tua passione, per la quale avevi studiato e ti eri preparato.

Oggi tutto questo non esiste più. Nelle redazioni è ormai impossibile varcare l’ingresso, essendo i giornali riempiti da pezzi di collaboratori che stanno a casa loro. Chi trova un contratto per strada, ormai più raro di un quadrifoglio, ha comunque retribuzioni scarse, scarsissime, inferiori a quelle di un comune impiegato. Per il resto è un popolo vario, smisurato, policromatico fatto di collaboratori, scrittori, appassionati, free lance, questuanti, creativi, comunicatori, gente che si arrabatta da mattina a sera, tutte persone che messe insieme non fanno uno stipendio. Leggo cifre per gli articoli con cui non si riesce a comprare un panino, ammesso che oltretutto l’azienda lo paghi alla fine del mese.

C’è gente che lavora 12 ore al giorno chiuso in casa propria, nella stanza da adolescente coi genitori in salotto, a confezionare centinaia di pagine per i siti, con un concetto del lavoro che mi ricorda i cinesi nei sottoscala di Prato. Anzi no, perché almeno alcuni di quelli alla fine sono arrivati a comprarsi le aziende da cui prendevano il lavoro. Un proletariato intellettuale, per dirla in modo più dotto con Pasolini, che ha prodotto precarietà, insicurezza, fama disperata di visibilità e di riconoscibilità. Da vent’anni ci insegnano che è l’unica cosa che conta, quella di farsi vedere, e allora le persone – anche le più insospettabili – si sono messa a fare tutto gratis pur di apparire, in alcuni casi addirittura pagando in proprio.

Io sono uscito da una scuola di giornalismo, la prima dell’ordine fatta a Bologna nel 1990. Ne vado fiero e guardo con simpatia ai ragazzi che le frequentano, facendo indirettamente il tifo per loro. Senza di quella e senza gli studi in Storia avrei saputo molte meno cose e forse, ancora prima che un giornalista peggiore, sarei stato una persona meno felice. Ma oggi anche le scuole vivono lo svuotamento, con la lotta per uno stage sempre più dura e sofferta. In certi casi sono diventate luoghi in cui inserire gli amici, i sindacalisti di professione, che non mancano mai, gli improvvisati dell’ultima ora.

Da un po’ di tempo a chi mi chiede consigli per fare il giornalista, ho quasi smesso di lasciare speranze. E dico cambia, non farlo, sapendo che uccido la loro esuberanza e la loro voglia di prendersi il mondo. A vent’anni non avrei mai accettato di sentirmelo dire, infatti facevo finta di nulla quando toccava a me ascoltarlo. Ma oggi è tutto peggiore di prima, ancora più complicato. L’unica possibilità è quella di inventarsi un mestiere che renda. Intendo ex novo. Il lavoro dovete crearlo voi da soli e renderlo remunerativo. È la lezione che già vent’anni fa ascoltai in bocca a Umberto Eco e mi pareva una follia, invece era solo la perfetta profezia di un genio.

È passato il principio che la comunicazione è gratis. Che non servono persone pagate per raccogliere informazioni, capirle e restituirle filtrate. Per questo si fanno libri gratis, si presentano conferenze gratis, si scrivono articoli gratis. Immagino Gianni Brera, che si faceva pagare «per il lesso» come avrebbe mai potuto viaggiare il mondo e divorare tutto, cibo e libri, con 5 euro lordi a pezzo? Giorni fa mi ha chiamato un comune del nord per presentare il mio libro. Seicento chilometri tra andata e ritorno dalla mia città, due giorni di tempo tra viaggio e permanenza. Ovviamente non solo non era previsto alcun contributo (forse chiederlo è persino eresia), ma neppure il rimborso del viaggio. Solo per esserci, per sentirmi chiamare scrittore, che gioia immensa, no? Domanda che faccio a loro e a voi: ma se dovesse rompersi un tubo in quel comune, e se dovessero chiamare un idraulico a ripararlo da Bologna, lo pagherebbero o lo inviterebbero perché ogni fontaniere ha piacere di comparire?