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 2014  marzo 28 Venerdì calendario

TELE ITALIA SBARCA IN ALBANIA


TIRANA. Il primo italiano che incontro a Tirana, sulla strada appena fuori l’aeroporto, è Alessio Vinci. Arriva all’appuntamento guidando una Harley Davidson. «Benvenuta in Albania!» declama euforico, poi si toglie il casco e cerca di mettere pace fra i suoi capelli e il vento. Dietro di lui, il furgoncino blu di Agon Channel, la tv italo-albanese che lo segue per le riprese. «Purtroppo ho lasciato a Roma la Bmw che avevo fatto rivestire interamente di cuoio apposta per il programma» aggiunge con il lieve disappunto di una padrona di casa dispiaciuta di non poter mostrare l’argenteria. «La moto customizzata è come il cavallo di Cesare» del resto. Insomma un nesso c’è fra il cavallo-moto e Veni Vidi Vinci, il programma che sta facendo qui. «Giro in moto per le strade del paese per entrare in contatto con i problemi reali della gente. Nella puntata che registro oggi mi occupo delle strade malmesse. Fra poco, percorreremo quella che qui chiamano la strada della morte. Abbiamo anche affrontato la sanità, l’alimentazione perché è un programma sui temi del sociale, on the road». Il valore aggiunto è proprio lui, dice Vinci, che qui si sento come Luttwak da Santoro: come l’americano illustre chiamato a mettere bocca nelle beghe di un piccolo paese, alla periferia dell’impero. Più che un emigrante, l’ex volto di Matrix sembra uno yankee che ha ritrovato se stesso a Tirana, o perlomeno il profumo di brivido, che deve aver provato quando faceva il cronista sul campo per la Cnn. Al posto del cavallo, la moto. Al posto del Far West, il vicino e selvaggio East.
Un East, quello di Tirana, che è provvisto di un proprio mercato tv a un’ora di volo da Roma e che, da un po’ di mesi a questa parte, dà lavoro a una manciata di professionisti di Rai e Mediaset. Con lo stesso entusiasmo con cui le università straniere accolgono i cervelli italiani in fuga. Vinci, infatti, non è il solo ad aver invertito la rotta, trovando l’America qui, come gli albanesi vent’anni fa da noi. Del resto, la tv generalista albanese sembra la copia di quella italiana. Ci sono i format internazionali, come Big Brother, The Voice, X-Factor, e Striscia la Notizia, Zelig, Le Iene, Buona domenica. Programmi con cui Berlusconi disse di aver alfabetizzato gli albanesi.
«È logico che la tv italiana sia ancora un importante modello di riferimento per noi, cresciuti con la Carrà e Baudo. Guardiamo tutto ma sarebbe insensato imitare lo stile anglosassone. Siamo come voi: mediterranei» spiega Skerdi Drenova, 44 anni, fisico da rugbista, vicedirettore generale di Top Channel, il canale privato albanese che si divide l’audience con Klan Tv, dove lavora Gaetano Castelli, scenografo storico della Rai. «Se devo fare un contenitore domenicale» prosegue Drenova, «che in sé è un programma complesso perché sono sei ore di diretta tv, ho bisogno di un autore di grande esperienza che sappia amalgamare i contenuti». Luigi De Filippis è qui per questo, come capo progetto di E Diell, una specie di Domenica in. Lo conosco, perché otto anni fa abbiamo entrambi fatto gli autori per una Domenica in. «In Rai i programmi sono lottizzati, in mano a grosse società di produzione. Se non hai un padrino, non lavori» racconta De Filippis. Il suo «ufficio» è al Black Sheep, un ristorante italiano che sta di fronte agli studi in città di Top Channel, nel quadrilatero civile di Tirana. È il punto di ritrovo di tanti autori. A cena, mi narra le sue gesta in giro per il Sudamerica per verificare le storie di Carramba! Che sorpresa. «Qui un programma lo fai con metà delle gente e al decimo dei costi» dice. «C’è anche meno burocrazia. Se in Rai chiedi una spada di legno, ti occorrono due giorni, qui in due ore ce l’ho. E poi, davvero, le cose politicamente parlando stanno cambiando». Cosa che sottolinea per dire, senza contenere l’orgoglio, di essere appena stato nominato consigliere personale del ministro del Turismo, che fa parte del nuovo governo di sinistra del Paese, quello che ha scelto come primo ministro Edi Rama, l’ex sindaco amatissimo di Tirana. Top Channel, mi dice, è schierata a sinistra, quindi filogovernativa, mentre Klan sta a destra. Poi c’è Tvsh, la tv di Stato di cui mi parla Robert Budina, il regista albanese conosciuto in Italia per La nave dolce di Daniele Vicari, che ne ha prodotto qualche fiction. Quel che è chiaro è che gli albanesi parlano di Rama come gli italiani di Renzi. Anche qui, sperano nel rottamatore diventato premier.
Seguendo Vinci sulla cosiddetta strada della morte, una delle arterie principali, vediamo soprattutto rottami di strade. Lorina, una giornalista albanese di 29 anni che, come tutti qui, parla italiano e inglese e che Vinci ha strappato a Shqip, il quotidiano del gruppo editoriale di Top Channel, racconta che il 40 per cento degli incidenti riguarda i pedoni. «Riprendi la strada senza guard rail, senza passaggi pedonali, senza luci» dice al cameraman Vinci. Intanto, un tizio attraversa la strada con una canna da pesca in spalla, schivando camion e macchine strombazzanti. «Non è l’emergenza in Ucraina» dice Vinci. «Né è come vent’anni fa quando raccontavo la caduta del Muro di Berlino. Oggi racconto il problema delle tombe nei cimiteri. Embé? Sempre giornalismo è! Dopo che l’incantesimo con Mediaset si è rotto, invece di tirare a campare, invece di cercare una raccomandazione...». È venuto sulle strade dell’Albania, a fare cronaca e politica senza parlare albanese. «Parlo cinque lingue, non ho più spazio» taglia corto Vinci che però può contare su Lorina, «il mio gancio qui, è bravissima». Il trucco per superare l’ostacolo della lingua è questo: lui scrive il suo testo in italiano, poi viene tradotto e infine speakerato in albanese con una voice over che scorre sopra le immagini di lui, sull’Harley. «Vorrei farti vedere l’elenco delle persone che mi chiamano ogni giorno dall’Italia» dice con sarcasmo, una volta rientrato in ufficio. La sede è a quindici minuti dalla città, in mezzo ad un polo industriale. La redazione del tg è silenziosa, gli studi a fianco, non enormi ma super tecnologici. «Qui un anno fa non c’era niente. Quando a giugno son venuto c’erano già due studi tv, una regia e otto telecamere. Abbiamo fatto la campagna pubblicitaria e il giorno dopo le foto con le bombette erano appese ovunque». Dopo un anno, le persone che lavorano qui sono circa duecento. Tutti albanesi sotto i 40 anni. Gli italiani sono pochi ma nei settori strategici: un direttore di luci, Angelo Danieli, un consulente ai programmi, l’autore Franco Bianca. Vinci sta qui tre giorni a settimana. «Ormai Agon è una realtà. Me ne accorgo da come mi salutano all’aeroporto: prima ero Vinci-Matrix. Ora sono Vinci-Agon Channel. Poi, certo, ci son alti e bassi, momenti anche difficili» ma lo dice sapendo di scandire la retorica dell’emigrante. «Quando torno a casa son solo. Non ho vita sociale né socievole». Scommettiamo che il gioco vale la candela. Il patron di questa tv, il romano Francesco Becchetti ha investito qui ben 15 milioni di euro. Parente di Manlio Cerroni, «figlio del fratello della moglie» del proprietario della discarica di Malagrotta, ha 47 anni e si occupa di energie rinnovabili. L’avventura più spericolata, la sta facendo lui che è venuto nel ’93 per costruire una centrale idroelettrica, che ancora boh... Una settimana al mese la passa qui. E controlla tutto. E s’incavola, quando, durante la registrazione di L’Amerikano, si vede un microfono senza logo. L’Amerikano (il titolo è del patron) è il talent sul giornalismo che conduce Vinci con due star albanesi, rubate a Top Channel: Sonila Meco volto di Kontrata («Bravissima, fa piangere tutti, anche i ministri» gongola Becchetti) e Saimir Kodra, il comico che fa Ç’a Thu, un simil Striscia. Ci sono anche un simil Iene e un simil Otto e mezzo.
Vinci in studio per L’Amerikano parla italiano e due interpreti traducono in simultanea. Il pubblico applaude. Accanto, nella sala di regia ci sono: Erion, che traduce dall’italiano all’albanese e insegna all’università. E Suela, che fa la traduttrice per il governo e qui si occupa anche della rassegna stampa di Vinci. Lei gli traduce giornali, notizie, tutto quello che gli serve per il suo lavoro. È Iacchetti, quando è venuto ad Agon l’ha fatta molto ridere. Becchetti mi parla di Applausi, uno show sulle eccellenze artistiche albanesi condotto dal ballerino Kledi Kadiu, mentre in tv passa un promo di A Krasta show. Lui si gira verso di me e, con sorriso marpione, mormora: «Simile, è?». Ci sono le nuvole sui monitor, e tutta la scenografia è, in effetti, quella di Che tempo che fa. Fazio e Littizzetto qualche mese fa si sono innervositi. Facendo morire di gioia Becchetti. Ammette di non sapere nulla di tv ma studia tanto, dice. Ha il vocione, la fisicità imponente di un Vissani magro, la calata romana. Mancano solo gli albanesi che gli dicano dottò. Spiega che la sua idea di tv è una generalista pre-crisi. Sull’entertainment Becchetti va insomma sul sicuro. Per questo all’inizio, per il lancio del canale, ha portato qui le signore Arcuri e D’Urso. «Quando andavo al ristorante con loro, succedeva il finimondo». E aggiunge: «Mica mi fermo qui. L’obiettivo è lanciare entro il 15 settembre un canale italiano prodotto qui. Con una redazione romana: abbiamo già preso gli studi all’Eur, in piazza Kennedy. E da Tirana facciamo una doppia programmazione, una per gli albanesi e una per gli italiani». I complottisti dicono che abbia fatto la tv per l’indotto politico e per il potere che da. Lui, con l’aria di chi se la gode in letizia, risponde: «Mi odiano. Hanno persino tentato di oscurarmi, all’inizio». Dice col sorriso. La parte del tycoon gli piace assai. Come assai gode al pensiero che ancora gli girino a Fazio... Il Fazio d’Albania, a sua insaputa, si chiama Adi Krasta, e per anni ha lavorato a BBC. Parla inglese con accento brit. E’ buffo, intelligente, vispo. «Con tutto il rispetto per Fazio, i miei riferimenti sono Johnny Carson e Jonathan Ross. Ma per spiegare a Becchetti che volevo fare il talk show che facevo anni fa, gli ho citato Che tempo che fa. Quando son andato in studio e ho visto...». Se ci fosse sopra la sua testa, il baloon direbbe: “Mi è preso un colpo”. «Capisco che se la siano presa, ma siamo un piccolo paese, su!». «È chiaro che la nostra tv è tutt’ora a immagine e somiglianza della vostra. Io son cresciuto con Antonello Falqui! Ma come dice il nostro grande scrittore Ismail Kadare, per spiegare i pazzi rapporti fra Italia e Albania, la verità è che noi vi ammiriamo ma anche analizziamo. È da 50 anni che facciamo tv. Sai che anche noi abbiamo il nostro Sanremo?». L’ha presentato per cinque anni. Krasta è una sorta di Bonolis. Che alla fine, mi intervista come un’ospite del suo show. A Top Channel i maligni dicono che sia passato ad Agon perché ormai in fase calante, per usare un eufemismo. A Roma si direbbe: rosicano. Se giri con lui o con Arbana, la conduttrice di E Diell, nessuno li ferma per strada. «Però se oggi lei mette la gonna blu e la camicia gialla, domani vedrai in giro le ragazze vestite così» racconta De Filippis negli studi nuovi di Top Channel che stanno finendo di costruire a Kashar, a venti minuti dalla città, accanto alle mucche che pascolano tra i campi, empori fatiscenti e ristorantini che servono zuppe buonissime. Dentro ad uno degli studi tv, il pubblico segue in silenzio la registrazione di un’intervista per E Diell. «È una scrittrice importante qui» dice De Filippis presentandomi il suo collega italiano Mirco Mancini, autore dello stesso programma. Quando la luce si accende e il pubblico si alza, vedo facce arcaiche, e tutta una decimazione di espressioni perdute di gente di campagna vestita «alla balcanica» per venire in città, per guadagnare 5 euro al giorno. Qualche giorno dopo entro nella sede storica di Top Channel, sorta nel 2001 nel museo dell’ex dittatore, in pieno centro: è un edificio a piramide dove, sulla sedia del fondatore Dritan Hoxha, idolatrato come un guru, è vietato sedere. Si sta registrando il programma del pomeriggio condotto da Ulpiana Lama, una giornalista laureata in Antropologia. Anche lei parla l’inglese perfettamente. Dori Daka, l’autrice, spiega che al posto dell’auditel loro hanno i sondaggi. E fanno migliaia di telefonate al giorno. «Quando va in onda il programma» spiega Dori, «su Klan c’è una nota telenovela turca, quindi la mia battaglia quotidiana è quella di fare una telenovela vera». Il fatto che a Top Channel non ci siano soap ma grandi serie tv, come Desperate Housewives, Downtown Abbey e Homeland, definisce le coordinate aspirazionali del canale. «Ma vieni» mi prende sotto braccio De Filippis, «ché ti porto al ministero del Turismo». Ecco il viceministro Gjon Radovani che, fino a poco tempo fa, lavorava sodo ma tranquillo e beato, come architetto a Stoccarda. Poi l’ha chiamato Rama ed ora è qui: «C’è una situazione simile all’Italia degli anni 50. Già a fermarsi col semaforo rosso dai l’esempio» dice con la severità di un tedesco. «In questi anni, più per cattiveria che per ignoranza, hanno cancellato le regole, distrutto città e terre. Abbiamo però il 70 per cento della costa, bellissima, ancora vergine. Adesso è un momento interessante per gli imprenditori italiani ma devono fare i conti con la concorrenza. Avete perso tanti treni in passato». Tutto sommato, alla gente di tv va meglio: il vicedirettore di Top Channel prima di salutare mi dice che qui cercano bravi sceneggiatori di fiction, scenografi, direttori di luci. Eccola qui, una delle storie della commedia all’italiana, oggi.
Elena Martelli