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 2014  marzo 28 Venerdì calendario

LE PROSTITUTE INGLESI IN GUERRA CON CAMERON


LONDRA. In duecento tra prostitute e supporter davanti al parlamento inglese, contro la proposta del primo ministro David Cameron di punire i clienti delle lavoratrici del sesso. Le signore della notte non ci stanno: «Siamo madri e mogli, non criminali», grida Niki Adams, sex worker e membro dell’English Collective of Prostitutes, il sindacato delle prostitute inglesi.
E dopo la protesta in Parliament Square, le lavoratrici del sesso inglesi sono entrate nel cuore della politica londinese per proporre al parlamentare laburista John McDonnell di portare avanti la loro campagna.
«Criminalizzare i clienti non fermerà lo sfruttamento della prostituzione» – spiega Luca Stevenson, coordinatore della Commissione internazionale sui diritti dei lavoratori sessuali. «Al contrario, si tradurrà in più isolamento e clandestinità. E spesso, quando questo succede, il risultato è un trafiletto sui giornali che ritrae un’anonima prostituta uccisa per le strade di Londra».
Una mossa, quella di Cameron, che va nella stessa direzione del parlamento europeo di Strasburgo, dove a fine febbraio – su spinta della deputata britannica Mary Honeyball – si è votato a favore della criminalizzazione dei clienti sessuali.
E anche se quella dell’Europarlamento è una risoluzione non vincolante modellata sull’esempio nordico di Norvegia, Islanda, Svezia e – da dicembre – Francia, in Inghilterra la “linea dura” dell’Europa sta avendo la sua prima eco.
«Il lavoro sessuale è solo lavoro», ha scritto su un cartello appeso al collo una giovanissima donna di origini africane, mentre al primo piano del parlamento prende la parola Molly Smith, del comitato di prostitute scozzesi.
«Il governo non può condannare tutti i sex worker solo perché è incapace di contrastare lo sfruttamento della prostituzione», sostiene Smith mentre le fa eco Lori Bora, lavoratrice sessuale di Soho, il quartiere a luci rosse di Londra: «Noi non siamo costrette, abbiamo scelto di essere prostitute». Secondo l’ultimo report della polizia di inglese, nel 2010 delle 30mila prostitute che lavoravano in appartamento, meno di un decimo (2.600) erano vittime di abuso.
Per la legge inglese, vendere il proprio corpo non è illegale. Ciò che è illegale è il legame tra prostituzione, bordelli e protettori. In altre parole, se più di una sex worker usa lo stesso appartamento per incontrare clienti, la casa è catalogata come bordello e passibile di sfratto immediato.
Lo sanno bene le prostitute di Soho, dove a fine febbraio 18 potenziali bordelli sono stati chiusi da oltre 250 poliziotti in tenuta anti-sommossa. «Questi raid costringono decine di donne a stare lontane dalla sicurezza dei loro appartamenti, gettandole a lavorare sole e in mezzo a una strada», continua Morgane Merteuil dell’Unione delle prostitute francesi, ribadendo come il Regno unito possa ancora salvarsi da una politica che invece sembra inevitabile in Francia.
Il sindacato inglese delle prostitute ha deciso di muovere un’azione legale contro gli sfratti voluti da Scotland Yard, mentre nel quartiere di Soho in mille hanno firmato una petizione per arginare la politica repressiva di Cameron.
Ma il governo non sembra voler fare marcia indietro. «Le azioni di polizia sono necessarie a contrastare il traffico umano legato al mondo della prostituzione», sostiene il segretario di Stato per gli Affari interni Theresa May. Incursioni di Scotland Yard che le prostitute riunite in parlamento temono siano blande anticipazioni di ben più dure politiche del governo. «Chiedere alle prostitute di andarsene dai loro appartamenti o di lavorare nell’ombra per non mettere in pericolo i clienti, significa condannare l’anima di un intero quartiere di Londra», continua Niki Adams dell’English Collective of Prostitutes. «Un’anima che certamente finirà a vendersi sulle strade. Dove ogni notte la vita di una lavoratrice sessuale sta diventando sempre più pericolosa».