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 2014  marzo 28 Venerdì calendario

RAP – [IN CARCERE PER UNA RIMA ORA LA PROVA È NELLE CANZONI]


NEWPORT NEWS (VIRGINIA)
ORMAI, era diventato un «caso freddo»: quattro anni dopo gli omicidi nel 2007 di Christopher Horton, 16 anni, e Brian Dean, 20 anni, le indagini s’erano arenate. Nessun sospetto. Nessuna traccia della pistola. Nessun testimone della sparatoria: Horton era stato trovato steso a terra accanto a un bidone dell’immondizia e Dean riverso sul portico anteriore della casa. Nel 2011, però, il caso è stato riassegnato a un detective, che presto è incappato in una prova a suo avviso convincente: un video su YouTube di Antwain Steward, un rapper locale noto col nome d’arte di Twain Gotti, che canta Ride Out. «Nessuno ha visto quando [imprecazione] l’ho freddato», è il testo della sua canzone. «L’ho legato, il coltello ho affilato, poi l’ho pugnalato, con la Smith & Wesson 357 l’ho centrato». Steward nega ogni parte negli omicidi, ma secondo le autorità il brano rap è una sfrontata ammissione di responsabilità, infatti il rapper è stato formalmente accusato dei due delitti.
Il caso di Steward è solo uno di circa 36 procedimenti penali avviati negli ultimi due anni e fondati sul testo di una canzone rap. «Se vuoi diventare un ‘gangsta rapper’, è naturale che i tuoi brani parlino di violenza», dice Charis E. Kubrin, criminologo all’Università della California di Irvine. Secondo i procuratori, al contrario, le parole delle canzoni sono uno strumento importante. «Solo perché metti in musica la tua confessione non vuol dire che la passerai liscia », dice Alan Jackson, ex procuratore a Los Angeles. Stando agli agenti, certe canzoni sono vere e proprie confessioni.
Il più delle volte, le parole dei brani rap servono a screditare l’immagine dell’imputato, o a indovinarne il movente. Sempre più spesso, però, il fatto stesso di scriverle può valere un’imputazione. Il dibattito infuria nei tribunali dell’intero Paese. La Corte suprema del New Jersey deve considerare se 13 pagine di versi scritte da Vonte Skinner — compresi alcuni molto forti come «quattro pallottole ti penetrano nella guancia, ti fanno esplodere la faccia, ti lasciano il cervello spiaccicato in strada» — avrebbero dovuto essere ammesse al suo processo per tentato omicidio.
Quanto a Steward, sarà processato a maggio. «Quel che irrita davvero» dice Erik Nielson, assistente all’università di Richmond, «è la quantità di tempo che polizia e procuratori dedicano ai brani rap e ai video sui social media anziché cercare prove più convincenti e in forme più tradizionali».
Secondo il procuratore Jackson, i testi rap possono essere molto utili, infatti la ricerca di uno status, il vanto sono parte integrante della vita di una gang. «Se si ascoltano con attenzione i brani rap, ci si accorge che i membri delle gang confessano i crimini commessi e ne parlano in tutto il quartiere», dice Jackson.
A New York i detective monitorano i brani rap su YouTube per studiare la gerarchia sociale e i rancori tra le gang di strada: possibili molle di un delitto. È di tutt’altro parere Andrea Dennis, docente all’Università della Georgia; secondo lui, le forze dell’ordine ignorano il fatto che non sempre i rapper vivono la vita che cantano. Rick Ross, per esempio, ha preso il nome d’arte da un boss della droga, Freeway Rick Ross. I suoi brani sembrano alludere a un ombroso passato, in realtà era una guardia carceraria.
Capita che i testi rap siano considerati essi stessi dei crimini. Rashee Beasley e Jamal Knox, sono stati condannati per un video rap nel quale minacciavano di uccidere due agenti che li avevano arrestati. Benché sostengano di non avere mai voluto colpire gli agenti, e che il filmato è una forma di libera espressione, i due sono stati condannati fra l’altro per intimidazione e minacce terroristiche. Il professore Nielson commenta, critico: «Va bene incriminare i colpevoli. Però, se si usa un brano rap contro un imputato, qualcuno potrà sostenere che il rapper non ha avuto un processo equo».
( © 2-014 New York Times News Service Traduzione di Anna Bissanti)