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 2014  marzo 28 Venerdì calendario

SOS EUROPA


La marcia dell’estrema destra su Bruxelles parte da Henin-Beaumont. In questa cittadina di 27 mila abitanti nel Nord-Pas-de-Calais, suo collegio elettorale da sempre, Marine Le Pen è riuscita domenica 23 a issare la bandiera del Front National sul municipio piazzando il fedelissimo Steeve Briois al primo turno delle amministrative. Non è il primo sindaco Fn, ma il più importante. Coincidenza o destino che sia, arrivare da Henin ai palazzi del potere europeo è uno scherzo, 130 chilometri, neppure un’ora e mezza d’auto verso Est.
Nei ballottaggi triangolari di domenica 30 marzo cercherà di portare a casa altre vittorie, Perpignan per esempio, o Frejus in Costa Azzurra o magari Avignone o in qualcun altro dei 229 comuni dove parteciperà alla sfida, comunque un record storico. Ma il bottino grosso la bionda figlia del combattente bretone Jean-Marie Le Pen, oggi ultraottantenne, punta a farlo alle Europee del 25 maggio diventando il primo partito di Francia. Performance non impossibile visti i sondaggi e soprattutto il metodo proporzionale del voto. Il suo obiettivo dichiarato più volte è di trascinare nell’europarlamento forze di altri Paesi per formare un fronte unito contro i due principali partiti, il Ppe (popolari) e il Pse (socialisti).
A Henin-Beaumont la vittoria, per la verità, era abbastanza prevedibile. Il Nord-Pas-de-Calais è la regione che, Sud della Francia a parte (Var e Vaucluse), ha sempre dato grandi soddisfazioni ai Le Pen. Cittadina mineraria governata dopo la Liberazione e per anni dai comunisti e poi dai socialisti, Henin è stata duramente colpita dalla crisi e ha un tasso di disoccupazione del 18 per cento, tra i più alti della Francia. Il penultimo sindaco socialista, Gerard Dalongeville, è stato arrestato e condannato a tre anni di carcere per distrazione di fondi comunali. La destra dell’Ump non ha mai avuto un grande seguito da queste parti e con l’astensionismo alle stelle non era difficile scommettere sul Fn.
Nella prima domenica "nera" di primavera le elezioni francesi hanno messo in ombra altri numeri usciti dalle urne ed episodi minori che creano inquietudine (se non "paura" come ha titolato il settimanale tedesco Spiegel) per l’avvenire europeo. A Malmoe, in Svezia, un gruppo di neonazisti ha aggredito, picchiato e mandato all’ospedale sei ragazzi fermi a chiacchierare per strada. Pestaggi razzisti che negli ultimi anni si sono diffusi un po’ ovunque, soprattutto contro gli immigrati extracomunitari ma spesso anche contro ebrei. Sempre domenica a Pasewalk, città della Pomerania, si votava per il rinnovo del consiglio comunale e i nazisti della Npd hanno presentato una lista arrivando a sfiorare l’8 per cento dei voti. In questo land settentrionale, nella ex Germania Est, il più povero e quello con il più alto tasso di senza lavoro, il partito che si richiama a Hitler gode di un certo credito elettorale già da qualche anno. Alle prossime europee, secondo i sondaggi prevalenti, potrebbe raggiungere l’1,8 per cento e mandare a Strasburgo due o tre rappresentanti, soprattutto dopo che la Corte costituzionale tedesca ha abolito la soglia di eleggibilità in un sistema proporzionale completo.
In Germania il partito euroscettico è comunque più ampio, non si ferma alla Npd. Cresce senza sosta nei sondaggi Alternative fuer Deutschland, lista esclusa per un soffio dal Bundestag tedesco in settembre, ma ora testata tra il 5 e il 7,5 per cento. Guidato da Bernd Lucke, oppositore in doppiopetto della cancelliera Merkel, il partito di patrioti antieuro ("non nazionalisti" tengono a precisare) ha guadagnato molto consenso in pochi mesi con lo slogan "contro la burocrazia del terrore Ue". Contesta la banca centrale europea, i salvataggi dei paesi del Sud, gratta la pancia dei tedeschi che si sentono penalizzati dal pagare per gli altri. Trovano qualche applauso anche nell’establishment, primo tra tutti quello dell’ex presidente della Confindustria locale, Hans Olaf Henkel. Alternative fuer Deutschland pesca tra gli elettori ex Republikaner, nei movimenti locali tipo il partito della Libertà bavarese, addirittura tra gli ex comunisti dell’Est, ma certamente rosicchierà voti anche alla Merkel.
Restando nella Mitteleuropa, va tenuta d’occhio l’onda lunga dell’ex impero austro-ungarico, dove al momento l’estrema destra porta i galloni più pesanti. In Ungheria governa Viktor Orban, in Europa il premier che con il suo partito Fidesz (una specie di unione dei cittadini) più si richiama a valori nazionalisti e razzisti. Il 6 aprile si andrà alle urne e Orban viene dato tra il 48 e il 52 per cento, con l’opposizione di sinistra destinata a soccombere. Alle Europee potrebbe fare l’en plein. Se possibile, ancora più a destra di Orban, fiorisce un partito ancora più radicale, il Jobbik di Gabor Vona. I militanti si amano chiamare i Migliori, definiscono la Ue il simbolo del colonialismo e in febbraio due deputati del Jobbik hanno gettato la bandiera europea dalla finestra del Parlamento di Budapest. Sono antisemiti e fanno campagne contro i rom. Alle europee del 2009 raggiunsero il 14,9 per cento conquistando tre seggi. I sondaggi li danno più o meno agli stessi livelli. Dipenderà molto da come andrà a finire il voto nazionale della prossima settimana. Nella vicina Austria, dove tutti ricordano le imprese di Jörg Haider, continua il momento positivo dell’erede politico Heinz-Christian Strache, segretario del partito populista Fpo, che non sembra pagare gli scandali sulla corruzione in Carinzia (dove tutto nacque con Haider) e punta a eleggere 4-5 europarlamentari.
Così come in Francia, anche in Inghilterra il 25 maggio potrebbe manifestarsi la svolta clamorosa di vedere l’estrema destra primo partito del Paese. L’Ukip di Nigel Farage viene dato nei sondaggi in un testa a testa con i laburisti. Uscito dal partito conservatore nel 1999 in segno di protesta contro la firma inglese al Trattato di Maastricht, il trader dello Stock Exchange ha formato il partito indipendentista e ha raccolto i maggiori successi proprio nelle elezioni europee con parole d’ordine anti-immigrati. Ha oggi 13 europarlamentari, ma punta molto più in alto. Formazioni estremiste di destra non mancano in Bulgaria e Romania, in Grecia (Alba dorata), in Finlandia.
Un discorso a parte merita l’olandese Geert Wilders, il leader islamofobo e anti-euro del Pvv. A novembre ha stretto un patto con Le Pen per formare un fronte euroscettico a Strasburgo. Era dato primo partito in Olanda, ma proprio la scorsa settimana ha tirato troppo la corda razzista finchè si è strappata e alcuni suoi parlamentari dell’Aja lo hanno mollato. In un comizio, dove festeggiava il successo nelle amministrative locali, ha detto di voler cacciare tutti i marocchini dal Paese facendosi applaudire dai presenti ma provocando reazioni negative all’interno del suo partito. L’europarlamentare Laurence Stassen, che doveva guidare le liste europee da presentare entro il 6 aprile, se ne è andata sbattendo la porta. Nei sondaggi resi pubblici dalla Reuters, Wilders risulta aver perso terreno. Certo, ha tempo per recuperare.
Il partito anti-euro cresce anche in Italia, come "l’Espresso" ha documentato nel numero 11, pur avendo al suo interno posizioni e sfumature diverse. Matteo Salvini, leader della Lega, brindava domenica sera alla vittoria di Marine in Francia. Beppe Grillo, invece, non ha voluto saperne e ha avuto con la francese un duro scambio di accuse. E il problema più grosso per l’estrema destra europea è proprio questo. Se tutti i gruppi dei quali abbiamo parlato finora possono essere sistemati sotto l’ombrello "populisti euroscettici", è vero che tra loro ci sono diversità non secondarie. Alcuni esprimono sentimenti nazisti, razzisti, antisemiti. Anche violenti. Marine Le Pen vanta invece di aver ripulito il Fn dagli eccessi dell’epoca del padre Jean-Marie, un po’ come fece Gianfranco Fini quando prese in mano l’Msi.
Riusciranno i nostri eroi a formare un gruppo compatto a Strasburgo? E che nome daranno alla nuova formazione? Sarà Marine a guidarla? I numeri complessivi ci sarebbero. I sondaggi collocano attorno a quota novanta i "non iscritti", gruppo parlamentare dove confluiscono i non affiliati o la cui consistenza numerica complessiva non superi le 25 unità. Oggi sono 24, tra cui padre e figlia Le Pen, tre ungheresi Migliori, i quattro di Wilders e via dicendo. La Lega fa parte al momento dell’Efd (Europa della libertà e della democrazia), il britannico Farage dell’Ecr (Conservatori e riformisti).
Per costituire un gruppo politico è necessario un minimo di 25 europarlamentari e un minimo di sette Paesi rappresentati. Bisognerà dunque vedere se Le Pen e Wilders, magari con la Lega, saranno in grado di costruire una piattaforma comune, coinvolgere altri, e formare un raggruppamento anti-Europa. Grillo, per esempio, si è già chiamato fuori da alleanze "pericolose" e a tutt’oggi non risulta aver deciso come comportarsi una volta eletti a Strasburgo una ventina (o quasi) di deputati.
L’unica certezza è che il prossimo europarlamento avrà un’opposizione euroscettica più forte e aggressiva. Calcolando l’estrema sinistra, sempre abbastanza critica, è probabile che si arrivi a un terzo dell’europarlamento. I sondaggi che si moltiplicano in questo periodo danno i due principali partiti, il Ppe e il Pse, alla pari, seggio più seggio meno. Con la conseguenza che nessuno dei due potrà formare una maggioranza, per esempio con verdi o liberali, e che sembrano ormai certe le larghe intese. Una modalità di governo sempre più diffusa in Europa, a partire dalla Germania. Chi vincerà le elezioni tra Ppe e Pse potrà nominare per la prima volta il presidente della Commissione europea e i due candidati sono il lussemburghese Jean-Claude Juncker per il primo e il tedesco Martin Schulz per il secondo. Con entrambi Angela Merkel non avrà nulla da temere: uno lo ha scelto lei, l’altro fa parte del suo alleato di governo Spd. Tutti e tre dovranno guardarsi nella prossima legislatura dalla marea "nera". Cercando, sul lungo periodo, di non farsi sommergere.