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 2014  marzo 28 Venerdì calendario

PIERFRANCESCO DILIBERTO


Se fosse per lui, vivrebbe su un treno. Perché il problema di Pif, nato Pierfrancesco Diliberto il 4 giugno 1972, è che si annoia facilmente. «Il periodo più bello della mia vita è stato quando vivevo tra Milano e Roma. Tutto quell’andare su e giù riduceva moltissimo la noia, il grande dramma che mi affligge fin da bambino», racconta seduto ai tavolini del bar Vanni di Roma, luogo di ritrovo dei dipendenti Rai.
Fino all’approdo sull’«isola che ti protegge dalle tempeste» — così definisce la trasmissione Le Iene — la sua vita è stata un susseguirsi di eventi illogici, decisioni prese più per caso che per voglia.
L’incubo
«Ho frequentato il liceo scientifico solo perché si erano iscritti i miei amici — spiega —. La scuola per me è stata un incubo e anche avere amici non è mai stato semplice. Così mi son detto: se proprio devo continuare gli studi, lo faccio dove vanno loro». La situazione non migliora e Pif in terza liceo viene bocciato. «Un concorso di colpe», assicura. «Io non studiavo però la scuola italiana certo non aiuta, priva di stimoli come è». Che poi si fosse almeno divertito da adolescente. «Ero un nerd vero, non avevo neanche il fascino del ribelle, quella giustificazione del dire vabbè va male perché si ribella al sistema. Ero uno studente grigio: mi svegliavo tardi, passavo la giornata a non fare nulla, stavo spesso da solo». Droghe leggere? «Mai fumato uno spinello in vita mia, sono astemio. Insomma una palla micidiale».
Dopo il liceo, di fare l’università neanche se ne parla e Pierfrancesco, figlio di un produttore cinematografico, comincia a lavorare per il cinema. Sono anni di produzioni importanti a Palermo, e Pif si ritrova prima sul set di Un tè con Mussolini di Franco Zeffirelli, e poi su quello dei Cento Passi di Marco Tullio Giordana. La Mafia uccide solo d’estate, il suo acclamato debutto alla regia, sembrerebbe dunque la fine di un percorso cominciato con il film su Peppino Impastato, il giovane di Cinisi ucciso dai mafiosi il 9 maggio del 1978. Niente di più sbagliato: «Allora in Sicilia pochissimi sapevano chi fosse Impastato. Io non ho mai pensato di fare un film “impegnato”. Ci ho lavorato solo perché il Comune di Palermo, che appoggiava la produzione, cercava stagisti».
A un certo punto è arrivata Londra. «Ho viaggiato per quattro anni tra l’Italia e l’Inghilterra — racconta —. Volevo imparare l’inglese ma non ce l’ho fatta, anche perché — dopo una bellissima esperienza in un ostello — sono finito a lavorare in un call center italiano di indagini di mercato e passavo le giornate al telefono con le casalinghe di Trento e Catanzaro».
In quegli anni però è riuscito a fare un corso di media practice: «Ancora oggi non saprei dire in che consisteva, ma so che qualsiasi cosa fai all’estero da noi sembra una figata. Anche se è fuffa, come lo è nella maggior parte dei casi, funziona».
Londra è l’unico posto dove vivrebbe fuori dall’Italia. Qualche tempo fa ha proposto il trasferimento alla sua fidanzata, la giornalista Giulia Innocenzi, ma lei non l’ha preso sul serio. «Avevo anche la zona, Swiss Cottage, che è di moda ma non troppo. Lei non vuole trasferirsi. Sai, ha 30 anni, sta investendo sulla sua carriera e capisco che non voglia abbandonarla».
Gli autografi
In 30 minuti di conversazione al bar, si fermano in tre per foto e autografi. Una mamma con passeggino si sistema i capelli e la scollatura prima di salutarlo. Suo malgrado, Pif è diventato un sex symbol: le donne flirtano con lui, lo cercano, gli scrivono su Facebook, gli mettono i biglietti con la mail in tasca. «Il mio solito colpo di genio: un attimo prima della popolarità, quando mi sarei potuto divertire tantissimo, mi sono fidanzato, e sono pure fedele». Le donne non le ha mai capite, anche ora non immagina come possano perdere la testa per uno «magro con la pancia».
Diceva Johnny Cash che «il successo è doversi preoccupare di qualsiasi cosa, tranne che dei soldi». Per Pif è esattamente così: «Adesso posso non pagare l’affitto e magari aiutare anche qualche parente squattrinato», confessa. È tutto il resto che lo angoscia. Dopo il film, la partecipazione a Sanremo, e la pubblicità della Tim, il rapporto con il suo pubblico — quello nato con le Iene e cresciuto con Il Testimone — è cambiato: «Sono passato da personaggio di nicchia a personaggio pubblico — afferma —. Se fossi un prodotto commerciale, potrei dire che mi sto ricollocando sul mercato e il passaggio è traumatico».
Pif impiega buona parte del suo tempo libero a rispondere a chi lo accusa di «essersi venduto». «Ci sono quelli che mi dicono che da oggi in poi non sarò più libero e io rispondo “Scusate ma Mtv per voi è una Ong? Oppure mi dicono che non sono più credibile quando dico che mi piace il pile. Allora cerco di spiegare che non è che prima mi piaceva il pile perché non potevo permettermi il cachemire».
Il metodo Pif a volte funziona: «Qualcuno si pente, ammette di aver esagerato con le accuse e mi chiede scusa». Il regista confessa che gli è capitato in passato di sentirsi spaesato quando i suoi personaggi del cuore — ad esempio il conduttore tv Piero Chiambretti — sono diventati popolari. «Sono un grande appassionato di Dente, un cantautore che conosciamo in pochi. Se un giorno sentissi una sua canzone al supermercato sarei confuso». È la vertigine di chi era abituato al consenso — «Prima ricevevo una critica ogni cinquecento complimenti» — e scopre la complessità del successo.
La crisi
Per colpa dei suoi fan, quando è arrivata la proposta di fare il testimonial di Telecom, Pif è andato in crisi: «Fino a quel momento avevo sparato cifre talmente alte alle aziende che era impossibile accettare. Telecom ha detto sì e io mi sono chiesto: cosa cambia davvero? A 42 anni posso farlo senza avere paura?».
Dopo tanti mal di testa, è arrivato a una conclusione logica: «L’evoluzione di una persona è normale, auspicabile, è negativo il cambiamento in cui tradisci te stesso. Ma certo non è una pubblicità o una trasmissione mainstream a cambiarmi. Sono altre le botte nella vita: la nascita di un figlio, la perdita di un amico». E, per un attimo, Pif diventa serio.