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 2014  marzo 27 Giovedì calendario

DA LAURO AD ALFREDO VITO FENOMENOLOGIA DEL DO UT DES


Al signore con la bombetta, che sguazzava fra le vasche di Wall Street e le secche di Washington, coniatore di epiteti e sminatore di atomiche, la manipolazione elettorale inquietava: “Vota per quello che promette di meno, sarà quello che ti deluderà di meno”, e non aveva sbagliato, l’americano Bernard Baruch. Ma non sapeva, non poteva sapere che il familismo amorale italiano, che interseca lo sviluppo culturale e il degrado sociale (Edward C. Banfield) oppure il più popolare e venefico clientelismo fossero resistenti a qualsiasi riforma, a qualsiasi ricostruzione, a qualsiasi versione repubblicana: e ancora oggi in Parlamento, da Achille Lauro ’o comandante (Napoli, anni 50) a improvvisati postriboli con ragazze romene in Salento (Porto Cesareo, 2011), stanno ancora a cincischiare col voto di scambio. Perché se la politica non riesce a motivare l’elettore, ormai rassegnato e debosciato (cioè fiacco), ecco che intervengono le ricompense materiali.
Un tempo furono i pacchi di pasta, le passate di pomodori, i cestini di verdure che gli uomini di Lauro distribuivano nei vasci (bassi) di Napoli e la consegna , leggendaria, di una scarpa destra prima di varcare il seggio e poi di una scarpa sinistra. Nei quartieri di Poggioreale e Secondigliano che cingono Napoli, e pure la sua bellezza, per un consigliere di Municipio, classe 1975, di nome Gennaro Castiello, la carriera politica era un investimento economico: 50 euro per una crocetta, 20 per l’intermediario, 30 per l’elettorale. Quando non scivolano le banconate, allora, ’o sistema colpisce la fede: un biglietto di una partita di campionato, casalinga, al San Paolo contro la Sampdoria. Castiello puntava dritto a Montecitorio, ci aveva provato con il fugace Mir di Gianpiero Samorì, ci poteva riprovare, ma un’inchiesta – coda di un fascicolo sui falsi invalidi – ha provocato l’arresto ai domiciliari di un paio di falsi politici. Che aggiornano la beffarda fenomenologia: un pezzo medio di euro veniva chiamato “coriandolo”. Ci vuole astuzia per diventare un gran ruminatore di preferenze senza violare la legge. Remo Gaspari, il Duca d’Abruzzi, raddoppiò i collegamenti autostradali fra L’Aquila e Pescara e obbligò a un comodo svincolo per Gissi, il paesino d’origine. I democristiani Amintore Fanfani e Ciriaco De Mita erano esperti di viabilità: l’aretino Fanfani deviò l’A1 verso casa, l’irpino De Mita convogliò le strade su Nusco. Ma ci vuole furbizia per non fare guai. E Clemente Mastella ne aveva in buona quantità e di buona qualità. Invitava i sanniti a scorporare l’anno 1976 per trasformare la lista di partenza in preferenza: 1, il posto di De Mita, 9 il giovane Clemente, 7 Gerardo Bianco, 6 Peppino Gargani.
Quando il consenso va creato e va gonfiato, il politico cade in braccio ai malavitosi. O ci si butta. Domenico Zambetti, ex assessore regionale lombardo, dovrà affrontare un processo con l’accusa di associazione mafiosa e voto di scambio con la rampante ’ndrangheta al Nord. Le accuse sono pesanti e precise: 200.000 euro per 4.000 voti su 11.217. Zambetti s’è dichiarato vittima di un ricatto. Quando la fama di attrattore di massa viene sporcata dal gioco mafioso, tutti, ma proprio tutti giurano e spergiurano di essere estranei: “Me l’aspettavo, ma sono innocente”, parola di Raffaele Lombardo, condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. A dicembre, manette per un sindaco antimafia, Carolina Girasole di Capo Rizzuto: il clan Arena aveva contribuito alla vittoria con 1.350 voti e Girasole s’è sdebitata consentendo la raccolta di finocchi coltivati su 100 ettari confiscati.
A Monza, la camorra faceva la spesa per conto degli amministratori: salamini, formaggi e pure una confezione di sale. A Leini, mezz’ora da Torino, l’ex sindaco Nevio Coral s’è beccato 10 anni. La dinamica si ripete: gruzzolo di voti, corrispettivo in favori. Nulla di moderno. Il pentito mafioso Mutolo racconta che nell’87 i padrini ordinarono di sostituire la Dc con il Psi. Il voto di scambio è viscido, va maneggiato con cura. E Alfredo Vito, mister 100.000 voti, ex impiegato Enel, democristiano di corrente dorotea, era molto accorto: “Do una mano a chi me la chiede”. Di mani, Francesco Colucci (classe 1932), in Parlamento dal 1972, ne avrà donate parecchie. Fu il primo condannato per voto di scambio (poi assolto), custodiva un archivio con i nomi di 3.500 raccomandati. Quelli che non avevano ascoltato Baruch.