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 2014  marzo 27 Giovedì calendario

MESSINA DENARO IL NUOVO VOLTO DEL SUPERBOSS DI COSA NOSTRA


ECCOLO, il volto del latitante più ricercato d’Italia, ecco l’ultimo identikit del mafioso che tutti cercano ma che nessuno trova. La faccia di Matteo Messina Denaro com’è oggi, a più di vent’anni da lontanissime e sbiadite foto segnaletiche. L’hanno disegnata i finanzieri del Gico, indagini nel cuore della Sicilia e informazioni da fonti riservate. C’è qualcuno che l’ha visto da vicino.
Con quest’immagine, l’uomo che tutti inseguono ma che è sempre libero, adesso è un po’ meno invisibile, sempre più isolato da quell’esercito di complici che copre la sua clandestinità. Un viso gonfio, la fronte ampia e stempiata, le labbra molto sottili, un naso pronunciato, gli occhi scuri. Il tempo è passato anche per lui.
È tutto quello che abbiamo di questo boss del clan dei Corleonesi. Nessuna telecamera segreta è riuscita mai a farcelo vedere, nessuna microspia ha mai trasportato la sua voce.
È un identikit che probabilmente peserà sulla sua latitanza. È una traccia, una delle poche intorno a un boss considerato un fantasma. Da mesi e mesi i rumors annunciano «imminente » o addirittura «certa» la sua cattura, ma lui — che compirà 52 anni il prossimo 26 aprile e che è alla macchia dal 2 giugno 1993 come mandante ed esecutore per le bombe di Firenze, Roma e Milano — è sempre nascosto nel suo regno di Castelvetrano. Gli hanno fatto terra bruciata intorno, i pm di Palermo guidati dal procuratore aggiunto Teresa Principato: sono finiti in carcere centinaia di favoreggiatori, l’hanno impoverito sequestrando ai suoi prestanome beni per 3,5 miliardi di euro. Ma Matteo Messina Denaro, chiamato «Diabolik» dai suoi vecchi amici e «Testa dell’Acqua » dai suoi seguaci in adorazione, resta sempre il ricercato numero 1 nel bollettino del ministero dell’Interno.
Il nuovo identikit lo farà sentire meno sicuro, più vulnerabile. Anche perché sulla sua testa c’è sempre quel « wanted », la taglia di 1 milione e mezzo di euro di ricompensa a chi fornirà informazioni utili per stanarlo.
Il «ritratto» è stato ultimato qualche settimana fa dagli investigatori dei reparti antimafia della Finanza di Palermo e il procuratore aggiunto Principato l’ha trasmesso a tutte le squadre impegnate nella grande caccia: Ros dei carabinieri, Sco della polizia, Dia. È una svolta nell’inchiesta. Quest’immagine non è una «rielaborazione al computer», come quella eseguita tre anni fa dagli esperti della polizia scientifica con la tecnica dell’ Age Progression per ottenere un «invecchiamento », ma è un identikit vero, proveniente da precise indicazioni di chi lo conosce e lo incontra.
Sulle «fonti» c’è segretezza assoluta, come sulle indagini andate avanti fra tanti ostacoli (e sospetti) negli ultimi due anni. Troppe volte gli sono stati con il fiato sul collo e troppe volte il boss è misteriosamente sfuggito, troppe volte avevano dato per scontato che era in trappola e altrettante volte «Diabolik» ha anticipato le mosse di chi stava alle sue spalle. Soffiate. Depistaggi. E sin dalla fine degli anni Novanta. Una storia che ricorda tanto le mancate catture di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, il primo latitante per quasi mezzo secolo e l’altro per 43 anni. Una libertà protetta. Una libertà, secondo qualcuno, assicurata da un grande tesoro che sarebbe nelle mani di Matteo Messina Denaro: l’archivio segreto di Totò Riina, un deposito di nomi e ricatti che gli avrebbe garantito un’immunità assoluta per più di vent’anni. È uno dei personaggi più enigmatici di Cosa Nostra. La rivista americana Forbes l’ha inserito nell’elenco dei criminali «più ricchi del mondo», al quinto posto per pericolosità appena dietro a Osama Bin Laden prima della sua morte e a gangster russi e narcos messicani (è sempre il magazine Usa a stilare la graduatoria), Matteo Messina Denaro è l’ultimo dei Corleonesi conosciuti, figlio del campiere dei latifondisti D’Alì di Trapani, un legame speciale con Totò Riina e i Graviano di Brancaccio. Da ragazzo andava in giro in Porsche ed esibiva Rolex, in età adulta — saranno le responsabilità di tenere in piedi l’organizzazione o più probabilmente le paure di essere acciuffato — non ha dato segni diretti di sé dal giorno che è diventato un latitante. Solo «pizzini», mandati in ogni angolo della Sicilia. Ma, anno dopo anno, è stata smantellata la sua catena di protezione. Centinaia di «sostenitori» fra Palermo, Trapani e soprattutto la sua Castelvetrano. Imprenditori che si erano intestati i suoi beni (lui risulta ufficialmente un coltivatore diretto), villaggi turistici, affari nelle energie pulite, calcestruzzi, grande distribuzione, commesse pubbliche, smaltimento rifiuti, aziende vinicole e di ristorazione, ospizi per anziani, case di cura, cantieri navali. E, alla fine, nella rete sono caduti anche familiari molto stretti.
L’ultima operazione che gli ha fatto il vuoto intorno è nel dicembre del 2013, quando i carabinieri intercettano un’anziana zia di Matteo — Rosa — che si dà un gran da fare per fargli avere con urgenza, attraverso altri parenti, 8mila euro. I soldi arrivano da un paio di imprenditori che, poco prima di Natale, vengono arrestati insieme a Patrizia Messina Denaro, la sorella del boss.
«È lei che gestisce il traffico dei pizzini da e per Matteo», rivela il giorno dopo il blitz Lorenzo Cimarosa, un altro dei prestanome finiti in carcere. Ma Cimarosa non è uno qualunque, è un parente, un cugino acquisito di «Diabolik». È la prima volta che dentro la famiglia qualcuno tradisce quello che viene considerato l’ultimo anello della mafia che ha voluto la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992, che ha voluto le stragi in Continente del 1993. «Non sono un pentito — ha messo a verbale Cimarosa davanti ai sostituti Marzia Sabella e Paolo Guido e al procuratore aggiunto Teresa Principato — ma voglio parlare, perché sono esasperato, e non solo io, dai continui arresti, dalle perquisizioni, dai sequestri che fate per arrivare a Matteo Messina Denaro». E ha cominciato a parlare di lui: «Dopo l’arresto di mio cognato Giovanni Filardo, io mi sono occupato del sostentamento del latitante e della sua famiglia». L’azienda di Cimarosa, la «M.G. costruzioni» intestata ai due figli, era una sorta di bancomat per Matteo Messina Denaro. E ancora: «Negli ultimi tempi gli ho fatto avere 60mila euro. A dicembre 8mila». Cimarosa dice di non sapere dove si nasconde il superlatitante, però ha raccontato le cautele che Patrizia Messina Denaro utilizzava per muoversi intorno a Castelvetrano. Gli investigatori sospettano che Matteo sia ancora lì, nel cortile di casa sua. Ipotesi non scontata: fino a qualche tempo fa c’erano voci di una sua fuga all’estero. Ora si sente forte il suo odore fra Castelvetrano e i paesi affacciati sul mare africano. Ora gli investigatori hanno in mano il nuovo identikit.
Resta solo un dubbio: è davvero lui l’erede dei Corleonesi? Nelle sue interminabili chiacchiere, dentro il carcere di Opera, Totò Riina ne ha parlato male facendo capire che è uno che si fa troppo i fatti suoi. È la verità o il vecchio Riina vuole mischiare ancora una volta le carte?