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 2014  marzo 24 Lunedì calendario

A PESCA CON GROUCHO (LIBRO INTERO)

002

Qui sotto tutto il libro copiato male "A pesca con Groucho" di Irvin Brecher in allegato il pdf del libro

IRVING BRECHER CON HANK ROSENFELD
A PESCA CON GROUCHO
TRADUZIONE di Davide Cerruto
TiTOLO originale :
The Wicked Wit of the West
The last great Golden-Age screenwriter shares
the hilarity and heartaches of working with Groucho,
Garland, Gleason, Burns, Berle, Benny & many more
Copyright © 2009 Irving Brecher e Henry Rosenfeld
Tutti i diritti riservati
Illustrazioni in copertina di Drew Friedman
Copyright © Sagoma, 2013
via Vittorio Emanuele, 27
20871 Vimercate (MB)
Tel. +39 039 5967800
Fax +39 039 5967808
info@sagoma.com
I edizione: dicembre 2013
ISBN 9788865060315
A Norma
è stata una Grande Collusione
– Irv
Ai miei genitori Norman e Dulcie che
amano i libri più dei film, e i film più di me.
(Aspetta. Irv aiuto! Non mi è uscita come
volevo...)
– Hank
INDICE
PARTE I
Incontro con Irv il nervoso 7
Prime parole 8
Lingua Salmistrata & Ironia 9
Il Monito 9
Il libro diventa realtà 11
Ciao, devo andare 13
Groucho, un compagno pericoloso 14
Fiori d’arancio 20
L’ultimo della tavola rotonda di Hillcrest 21
Il golf non è un gioco 28
storie di una sagoma 30
L’angelo della morte, in yiddish 32
PARTE II
Va udeville & Radio 35
La radio dei Fratelli Marx 36
La differenza tra un comedian e un comico 38
Il ladro di pessime gag 42
Milton Berle e il bordello di Buffalo 53
Ragazze! Berle! Catskill! 56
L’età dello spasso 58
Il vaudeville di Hoot Gibson 60
Al Lindy’s con Henny 62
Come si racconta la barzelletta dello stuzzicadenti 65
Il mickey mouse magazine 68
Eve 72
Radio Milton 75
Il West 80
PARTE III
Ciak, si gira 89
ComE Abbiamo Acchiappato Il Mago 90
I Fratelli Marx Al Circo pag.94
Come Chico salvò i Fratelli Marx 101
Prendi il brandy 105
Brecho Marx 115
Harpo perde il suo Mezuzah 118
Groucho diventa Woody 123
I Film Non si Fanno da Soli 128
Certe Notti alla Tavola Rotonda della MGM 135
Best Foot Forward (1943) 144
Mademoiselle Du Barry (1942) 150
Come ho sedotto Judy: Incontriamoci a Saint Louis (1944) 151
Yolanda e il Re della Samba (1945) 164
Ludwig Bemelmans: Brama di risate 168
Addio alla MGM 161
A Pesca con Groucho 176
PARTE IV
La scrittura per la TV e la regia 189
La Mia Vita Salvata Da Un Becchino 190
Uno Sviluppo Piuttosto Disgustoso 198
L’Ebreo Preferito di Jackie Gleason 199
Qualcuno mi ama (e penso sia George Burns) 212
Cleo, Il Bassotto Beffardo 221
John WaYne mi ha messo sulla lista nera 228
Tanoshimi, È Bello Amare (1960) 234
L’eterna commedia di Ernie Kovacs 236
Ciao ciao Brecher? 242
PARTE V
IRV BRECHER NEL VENTUNESIMO SECOLO 249
Jan Murray prende una batosta 250
Brecher live at Cedars 254
Jack Benny poliziotto a cavallo 259
Luna di miele con amici 265
Irv parla di Norma 268
Norma parla di Irv 272
Joanna e John 275
La Festa del Papà 281
Pastrami e ironia 283
Dentro casa 290
Leggende viventi 298
Homer Simpson e la dialettica socialista in Life of Riley 299
Gruppo di supporto risate 304
Chi la dura la ride 310
La vita di Brecher 315
Lo sciopero degli autori del 2007 318
L’uomo che è sopravvissuto all’America 323
Post ScriPtum 327
I numeri di Irv 329
7
Dal quaderno di Brecher, 1934: un elenco di performer,
luoghi e pagamenti per le sue prestazioni.
PARTE I
INCONTRO CON IRV IL
NERVOSO
8 9
Prime par ole
HANK: Irv, tu hai 92 anni. Ascoltarti è come avere a che fare
con Matusalemme!
IRV: Matusalemme visse fino a 900 anni. Ma questo perché a quei tempi
non c’erano dottori.
Una volta fu chiesto a Groucho Marx e a S.J. Perelman chi fossero a
loro parere i più bravi a improvvisare battute al volo. Perelman e Marx
erano d’accordo: “George S. Kaufman, Oscar Levant e lo sceneggiatore
Irving Brecher”.
Ma chi era Irving Brecher e come se ne uscì con tutte quelle storie divertenti
che tutti gli altri hanno finito per raccontare? E perché nel XXI
secolo nessuno lo conosce? Volendo riportare a galla tutto questo, cosa
potrei dirvi io di Brecher che non possa raccontarvi lui stesso in modo
dannatamente più divertente?
Ecco, la maggior parte della storia la racconterà Irv stesso. Quello che
non voleva era uscire con il classico libro di memorie-scritte-da-altri.
Non è nello stile di Irv. Alcuni dei suoi migliori amici hanno scritto alcune
delle mie biografie preferite, ma lui è fatto di un’altra pasta. Quando
Irv Brecher si sedette a un tavolo per scrivere di suo pugno un intero
film dei Fratelli Marx, nessuno ci aveva mai provato prima. E anche
quando inventò la prima sit com televisiva nessuno l’aveva mai fatto
prima di lui. Con questo libro Brecher, sta di nuovo per creare qualcosa
di differente. Non un memoriale o una biografia, ma un libro-intervista
intervallato da una voce narrante (la mia), insomma uno “scherzo di
natura”, come lo stesso Irv definisce questa collaborazione tra uno sceneggiatore
e un fan-diventato-amico.
Una biografia tradizionale sarebbe stata molto più semplice. Ma per
come la vedo io, è un piccolo prezzo da pagare in cambio della possibilità
di incontrare di persona colui che è stato soprannominato ’La
Lingua più Veloce del West’ mentre tiene banco a una tavola rotonda
di Hollywood.
Lingua Salmistrata & Ironia
“Prendi la lingua salmistrata col pane di segale”, insiste Brecher. “Ti
voglio in forze”.
Nei pochi mesi da che conosco Irv, sono arrivato a tenere in considerazione
i suoi consigli quasi quanto la sua tagliente, energica e divertente
attitudine nei confronti della vita. Può la lingua salmistrata essere
il segreto per cui gli ottuagenari come Irv rimangono giovani? Dubito,
ma ho fatto mio il consiglio.
Siamo al Friar’s Club sul Little Santa Monica Boulevard a Beverly
Hills. Era uno dei suoi ritrovi preferiti. Adesso è subentrata un’altra
gestione e Brecher lo odia. Gli sto parlando di una possibile, ipotetica
eventualità che lui si metta a scrivere un libro. E lui spara all’istante la
sua idea a riguardo.
IRV: Ascoltami, ragazzo. Steve Allen ha scritto ottocento libri. Gli
capitava di scrivere un libro al giorno. Una volta prese una pausa abbastanza
lunga per dirmi: “Irv, perché non ne scrivi uno tu?” Gli risposi
che ero in imbarazzo nel dire cose buffe citando me stesso. Non mi sono
mai tirato indietro nel divertire la gente, davanti a un leggio o dovunque
fosse. Solo non volevo parlare di me stesso in quel modo.
Steve Allen disse: “Il modo lo trovi, se ci provi. Basta che te lo ripeti
con convinzione, come monito”.
Steve potrebbe aver ragione e quindi eccoci qui. Lo dico: ammetto
di essere divertente. Non mi piace citare me stesso ma sfortunatamente
tutti quelli che avrebbero potuto farlo sono morti. Buoni amici che hanno
smesso di esserlo.
Il Monito
Un tempo il Friar’s Club era il ritrovo abituale dei comici della West
Coast. Grandi fotografie di gente come i celebri Bob Hope e George
Burns ne tappezzano i muri. Ma il più ricorrente di tutti è Milton Berle.
Chiedo il perché a Irv.
IRV: Berle è stato per molto tempo coinvolto in questo posto, ha costruito
il club e ha attirato un mucchio di membri mettendo in piedi e
10 11
ospitando periodicamente spettacoli esilaranti. Poi ha avuto un leggero
infarto, appena poche settimane prima del mio ottantacinquesimo compleanno.
Ma per mia gioia, ha partecipato comunque ai festeggiamenti.
HANK: Dopo l’infarto? Davvero?
IRV: Certo. È stato un gesto splendido. Avevo un affetto profondo per
Milton perché in qualche modo è stato lui a farmi entrare nello show
business. Non fosse stato per lui, ora forse farei il dentista o il contabile
o qualche altro lavoro dispensatore di dolore.
HANK: Berle ha scritto un’infinità di libri. A quando uno di Irv Brecher
che parla di Hollywood?
IRV: Ci sto pensando su da un po’. I libri su Hollywood che vendono
sono quelli in cui l’autore, di solito un attore, scredita le vite di dozzine
di altri attori con vividi dettagli. O quelli in cui è un bevitore, o un drogato.
Serve la favola d’orrore gotico di Joan Crawford per l’infanzia.
Ma voglio essere onesto con te. Mio padre non mi ha mai molestato.
Mio padre non ha mai molestato mia madre. Non sono stato rinchiuso
in un armadio per dodici anni e nutrito sotto la porta con le gallette. Non
sono stato affamato. Durante la Depressione abbiamo fatto la fame tutti
insieme. Mio padre, mia madre, mia sorella, mio fratello e mia nonna...
tutti dolcissimi.
Confesso (con il rischio di offendere gli evangelici) che non abbiamo
mai pregato insieme. Tranne che per il cibo.
Ora, George Burns ha scritto sei libri. Non li ha mai letti. In realtà
non li ha nemmeno scritti. Qualcuno li ha scritti per lui e hanno venduto
perché lui era George Burns, un nome che richiama una grande quantità
di pubblico e di interesse.
È un mio buon amico, anche adesso che non c’è più.
[Mentre scucchiaia altro cibo sul pane di segale]
Guarda ragazzo, Lassie ha un libro. Rin Tin Tin ha un libro. Nel 1938
il portinaio dell’MGM scrisse una tesi in cui affermava di poter riconoscere
ogni star senza richiedere i documenti d’identità. Non trattenere il
respiro. Piuttosto prendi una mentina, qui il manzo ha un sacco d’aglio.
Il libro diventa realtà
“La vita si prende l’ultima risata”
Irv Brecher
Il nostro pranzo divenne un articolo sul settimanale Forward, una storia
incentrata sull’incontro con un uomo anziano dalla mente brillante,
che non si pone affatto come un vecchio ma ha invece l’abilità comica
di trasformare un predicozzo in un divertentissimo monologo.
Gli lessi la storia a voce alta al telefono.
HANK: Ti è piaciuta, Irv?
IRV: Ragazzino, sbaglio o ti sei innamorato di me?
HANK: Uhm, sì. Ma chi non lo sarebbe? Non pensi che la gente dovrebbe
avere l’opportunità di sapere di più su di te?
IRV: Non contarci.
Proprio quando cominciavo a pensare che non l’avrei mai convinto,
Brecher mi chiamò e mi convocò nel suo ufficio, una camera singola
affittata al secondo piano dell’edificio di Westwood in cui si trovava
anche il suo appartamento.
IRV: Okay. Non mi hai convinto, ma mia moglie e mia figlia mi tormentano
da anni. Sono alquanto arrabbiate con me, quindi sarebbe bello
se un giorno potessero dire: “Ci ha rese felici, ha scritto un libro.
Nessuno l’ha comprato, ma ci ha fatte felici”.
HANK: Okay
IRV: Non so molto di te, tranne che sei un bravo ragazzo ebreo a
cui piace il pastrami. Ma sai, quando arrivi a quest’età ci sono poche
cose buone da aspettarsi dalla vita. Perché la gente intorno a te muore.
Le persone che ami. Rimanere vivi è come combattere una guerra. Ti
chiedi: chi sarà il prossimo? Quando squilla il dannato telefono non
sai mai quale inferno stia per abbattersi. La verità è che avrei potuto
ignorare mia figlia, anche se tengo molto a lei, ma è stato difficile dire
di no quando mia moglie ha annunciato che avrebbe lanciato l’anatema
di Lisistrata su di me.
HANK: Che cosa intendi?
Niente sesso!
E non solo con me. Con nessuno!
12 13
Così dobbiamo fare questo libro.
HANK: Okay.
IRV: E chiamami Irv, non Irving. Intensificheremo le sedute. Metterò
alla prova la mia memoria e tu metterai tutto su carta. Ma a una condizione.
HANK: E cioè?
IRV: Se ne uscirà un libro, non dovrò leggerlo.
Alla fine ha mantenuto la parola. Mi ha consegnato le sue memorie, e
dato che adesso è cieco per via di un glaucoma vuole che gliele rilegga.
Al Friar’s Club con Milton Berle, che mi ha introdotto nello showbusiness
e non ha mai avuto la decenza di scusarsi.
Ascolta attentamente, come al solito, per essere sicuro che io rimanga
fedele alla storia. Controlla in particolare che i miei sforzi per evidenziare
le sue battute non le trasformino in luoghi comuni, una conseguenza
imbarazzante per un’artista della parola.
Ciao, devo andare
HANK: Ti voglio registrare, così potrò essere preciso.
IRV: Se vuoi essere preciso allora avrai un sacco di problemi nel fare il
giornalista.
Incontrai Irv la prima volta in una suite al quattordicesimo piano del
Century Park Hotel. Come qualsiasi giornalista armato di registratore,
mi guadagno da vivere sventolando un microfono davanti alla faccia di
qualcuno e cercando di tirarne fuori un profilo umanamente interessante.
Un giorno ricevetti la chiamata di un’amica che mi avvisava che il canale
Turner Classic Movie stava per filmare una serie di storiche interviste
con attori, produttori, stuntmen e stylist della Hollywood della Golden
Age. Aggiunse: “So che adori i Fratelli Marx, forse ti può interessare
assistere mentre riprendono un tizio che si chiama Irving Brecher. Può
uscirne una storia. Ha scritto due film dei Fratelli Marx”.
Ovviamente ci andai. Ero un grande fan dei Fratelli Marx. I loro film
mi accompagnarono durante il secondo anno a Wesleyan. La settimana
prima degli esami proiettarono per l’intero corpo studentesco i film del
team comico e La Vita è Meravigliosa,1 così potemmo liberarci del nostro
guscio di ossessioni personali e prorompere in una risata liberatoria.
La prima cosa che vidi fu questo gentiluomo attempato seduto nella
stanza dell’albergo. Era alto, molto snello – diciamo segaligno – e dai
radi capelli bianchi. Le sue mani erano enormi, con dita lunghe e nocche
come sassi, e aveva una sorta di malizia in fondo a quegli occhi blu.
Pensai che se la stava cavando bene sotto le calde luci della ribalta.
Cavando? In realtà era lui che teneva banco! La sua era praticamente
un’esibizione, degna di un coprotagonista di Judy Garland, di L.B. Mayer,
di Nick e Nora e dei i Fratelli Marx.
1 It’s a Wonderful Life, regia di Frank Capra (1946).
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“Temo di essere l’ultimo sceneggiatore vivente della MGM”, stava
dicendo all’intervistatrice. “E spero di poterlo essere ancora alla fine
dell’intervista...”
Rimasi immediatamente folgorato: questo Brecher sembrava fatto
della stessa pasta di Groucho Marx, possedeva quella distintiva e tagliente
prontezza per la battuta sapientemente mirata. Groucho stesso
diceva di non raccontare mai barzellette ma solo la verità, perché era
molto più divertente.
Improvvisamente un suono acuto interruppe la scena. “Taglia”, disse
il producer. “A meno che non ci sia un canarino qui”, disse Brecher, “il
mio apparecchio acustico è appena deceduto”. “Quanto durano queste
batterie?”, chiese l’intervistatrice. “Circa due settimane”, le rispose
Brecher. “Anche di più, se non ascolti nulla”.
Groucho, un compa gno pericoloso
Brecher frugò a fondo nel suo piccolo blazer blu per trovare una batteria
di riserva. Mentre sistemava il suo apparecchio la crew di TCM
cambiò la bobina del film. Quando ripresero, lui raccontò una storia che
mi ripetè alcune settimane dopo. L’aneddoto riguardava un viaggio verso
sud fatto in compagnia di Groucho Marx, un “compagno pericoloso”.
Questa è la sua versione presa direttamente dal mio registratore.
IRV: Amavo il nichilismo di Groucho. Faceva lo stronzo con i pezzi
grossi. Io sono uno che si lamenta, uno che si tira indietro, un posapiano,
e Groucho era il mio alter ego. Mi piaceva l’anarchia. E Groucho
era il mio campione. Difendeva sempre i miei scritti davanti a producer
di poco talento.
La verità è che Groucho odiava fare l’attore. Parlando di sua madre
Minnie diceva che li aveva spinti a recitare. Lui voleva scrivere, “ma
lei rovinò tutto”, fu quello che disse. Non aveva nessuna gioia nel ricordare
i giorni del vaudeville, da bambino, con il fratello Adolf che era
Harpo, Leonard che era Chico e Herbert che era Zeppo. Groucho, che
rispondeva al nome di Julius, era fondamentalmente serio e introverso.
Ma sapeva esplodere con grande efficacia verbale. Era interessato alla
politica, nel senso che disprezzava la maggior parte dei politici. Era un
rooseveltiano democratico, ed esplicitamente critico nei confronti dei
super-patrioti ostili ai rossi come il senatore Joe McCarthy e del Comitato
per le Attività Antiamericane. Un mucchio di antiamericani che si
pulivano il culo con la Costituzione.
Ma Groucho sapeva essere bestiale. Era solito fare una cosa che non
ho mai capito fino in fondo: quando incontravamo qualche estraneo, lui
creava avventatamente una situazione di pericolo in un bizzarro tentativo
di farmi ridere, cosa che io non facevo mai, perché le cose che
diceva o faceva mi terrorizzavano. Avrebbe distrutto qualunque situazione
pur di mettermi in pericolo! Tutto per un pubblico di una sola
persona. Non poteva resistere. Forse perché io avevo ventiquattro anni
e lui una quarantina? No, era semplicemente un compagno pericoloso.
Una minaccia. La sua lingua era un missile fuori controllo. Peggio che
nei suoi film.
Circa cinque settimane dopo aver completato Tre Pazzi a Zonzo,2 il
mio primo film per i Fratelli Marx, andammo a un’anteprima esclusiva
ad Huntington Beach. Lo staff di dirigenti degli Studios, il regista e le
star, e anche i piccoli sceneggiatori: tutti andammo in limousine a un teatro
sulla costa a sud di Los Angeles. Tutti gli altri erano tranquilli; lo avevano
già fatto prima. Io ero praticamente catatonico. Mi sembrava che
la mia intera vita e il mio futuro sarebbero dipesi da quello che sarebbe
successo una volta proiettato il film. Il fatto che ci fosse il mio solo nome
nella sceneggiatura significava che non ci sarebbe stato nessun altro a cui
dare la colpa in caso di flop. Cosa che ero certo sarebbe accaduta.
Grazie a Dio mi sbagliavo. Il film provocò tutte le risate che avevamo
sperato. I questionari che il pubblico doveva riempire all’uscita tornarono
indietro per la maggior parte positivi. Così fu un bel viaggio di
ritorno a Hollywood.
La mattina seguente ricevetti una chiamata da Groucho che mi chiedeva
se mi sarebbe piaciuto seguirlo in un viaggio in Europa. “Eccome!”,
dissi. “Se lo studio mi concede un periodo di riposo. Posso portare
anche mia moglie?”
Groucho disse: “Ovviamente sei sessualmente pazzo. Ma va bene”.
Dopo aver prenotato la traversata dell’Atlantico sulla SS Liberte, nella
primavera del 1939 Groucho, mia moglie Eve e io prendemmo il
treno per New York. Una volta arrivati ci registrammo all’hotel Sherry-
2 At the Circus, regia di Edward Buzzell (1939).
16 17
Netherlands. Avevamo pianificato di trascorrere qualche giorno a incontrare
degli amici e a guardare spettacoli a Broadway.
Un paio di giorni prima di salpare Groucho ricevette un telegramma da
un suo amico nel Dipartimento di Stato. Probabilmente avevano saputo
che era in partenza leggendo l’Hollywood Reporter o Variety, che aveva
sempre un trafiletto chiamato On The Go in cui si dicevano cose tipo
“Clark Gable va a caccia”. Così devono aver letto “Groucho va a Parigi”.
Il telegramma diceva che non era consigliabile andare in Europa in quel
momento. La situazione con Hitler stava diventando allarmante.
“Potrebbe essere pericoloso”, disse Groucho. “Hitler potrebbe aver
visto uno dei miei film”. Poi divenne serio. “Niente Paris, ragazzo. Ora
che diavolo facciamo?” Mia moglie, che era nata in Virginia e conosceva
il Sud come le sue tasche, nominò un famoso resort a White Sulfur
Springs, in West Virginia, chiamato Greenbrier. “È molto bello”, ci disse.
“Si può giocare a golf”. Groucho accettò, aveva sentito che il golfista
professionista Sam Snead era di casa lì.
Li avvertii, però, che mi sembrava di aver sentito che l’hotel poteva
essere soggetto a restrizioni. Non amavano gli ebrei. Ma Eve era stata
lì e non aveva mai avuto problemi. Ovviamente, io e Groucho non assomigliavamo
a Eve. Ma Groucho non se ne curò. Si mise a saltellare
allegramente per la stanza e mi disse: “Ti preoccupi troppo, caro il mio
tontolone. Gesù santissimo, se non saranno carini conosceranno l’ira
del mio santo padre, il vescovo McMarx!”
Così mandai un telegramma al Greenbrier prenotando due camere
per il giorno seguente, firmando la richiesta “I. Brecher” senza Irving.
Speravo così di aggirare qualunque forma di antisemitismo da parte
degli addetti alle prenotazioni. Mi arrivò la conferma per telegramma
più tardi quello stesso giorno. Attendevano il nostro arrivo. Mia moglie
Eve aveva affari da sbrigare a New York, disse che ci avrebbe raggiunti
in hotel entro un paio di giorni.
La sera seguente alla Grand Central Station prendemmo il treno notturno
Chesapeake & Ohio. Iniziai a preoccuparmi – sono sempre stato
un fifone terribile – perché avevo già viaggiato con Groucho in passato.
Quando non era molesto o non passava il tempo a metterti a disagio,
attaccava a lamentarsi. Sul treno da Los Angeles a New York avevo
scoperto che era un’insonne di livello mondiale, e si lagnava in continuazione
di come non riusciva a prendere sonno nella cuccetta inferiore
di qualunque vagone letto. Ora questa carrozza in particolare
continuava a essere manovrata avanti e indietro dentro la Grand Central
Station, come se un maniaco ci si stesse trastullando. Evidentemente
questa singola carrozza doveva essere agganciata al treno in direzione
sud. In quelle che sembrarono ore ascoltai Groucho piagnucolare in
modo patetico (e divertente da morire, ovviamente, dal momento che
inventava nuovi termini pieni di livore per gli ingegneri oppure pregava
di finire deragliato).
“Questa è una fottuta pista da bowling, Brecher! Maledico il giorno in
cui hai sposato quella sadica di tua moglie. «Vai al Greenbrier!», dice lei.
Quell’arpia! Qualunque donna condanni un beneamato comico, nonché
idolo internazionale, a una notte del genere dovrebbe essere fustigata!”
“Va bene! La fustigherò, ma ora fammi dormire!”
“Prometti?”
Non riuscimmo a dormire, eravamo troppo impegnati a ridere e a lamentarci
di tutto.
Finalmente il treno arrivò in West Virginia, subito dopo l’alba. Con
Groucho a mezzo servizio presi io le redini della situazione e requisii un
taxi dirottandolo verso il Greenbrier. Che campagna incantevole. C’era
la brina sul terreno. La bellezza del posto, da sola, avrebbe dovuto
rendermi felice, ma una crescente apprensione dentro di me mi impedì
di godermi il momento. Sentivo di essere in territorio nemico in compagnia
di una mina vagante. Si, un uomo amato da milioni di frequentatori
di cinema – soprattutto uomini – che andavano a vederlo fare e dire
quello che loro non osavano esprimere sul lavoro o nella vita privata.
Si poteva pensare che stesse svolgendo un grandioso servizio pubblico.
Ma l’uomo aveva bisogno di un guardiano.
Arrivammo all’hotel, un luogo meraviglioso con enormi campi da golf a
perdita d’occhio e non un’anima in giro. Decisi di giocare d’astuzia.
“Gro”, dissi. “Perché non paghi il taxi e non ti occupi dei bagagli mentre
io vado avanti a sbrigare il check-in?”
“Gesù Santo, questo sì che è un grande piano!”, disse in quella pronuncia
ridicola. Corsi velocemente lungo la strada, risalendo il lungo percorso
fino alle immense porte di un magnificente edificio anteguerra. Avevo
ragione a essere preoccupato. Udii dei passi felpati subito dietro di me:
quel figlio di buona donna mi stava seguendo con la sua tipica postura
accovacciata, come se le telecamere stessero oscillando. Quando era
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accucciato pronto a colpire, il disastro era dietro l’angolo. Se solo fossi
riuscito a fare il check-in...
Entrai in un’enorme hall e mi diressi immediatamente al banco delle
registrazioni. Tre uomini vestiti in uniforme nera erano in piedi come
statue di marmo dietro un lungo bancone. Guardavano fissi nel vuoto.
Nessun saluto. Il loro umore era quello di chi ha appena finito un linciaggio
e ora passerebbe volentieri a uno sterminio di massa. Quindi
guardarono questo minuto, pallido sbarbatello – io – seguito da una
creatura ancora più bislacca, saltellante come una rana e con un sigaro
in bocca.
Tirai fuori il telegramma e dissi: “Buongiorno. Ho questa prenotazione”.
Ma prima che potessero prenderla, Groucho si appoggiò al banco
e, in una voce che riesco ancora a ricordare come molto acida, disse: “È
vero signori che gestite una catena di bordelli da costa a costa?”
Nessuno rise.
“Mettiamola in un’altra maniera. Siete voi i tenutari di questo bordello?”
Sentii solo il rumore del mio stomaco che precipitava. L’impiegato di
centro sorrise in modo gelido. Solenne come una quercia, parlò; “Temo
che ci sia stato un errore. Non abbiamo nessuna prenotazione”.
Gli sventolai il telegramma sotto il naso. “Ma ci avete mandato questo...”
“Sono spiacente, ci dev’essere stato un errore”.
Poi rottura-di-palle Groucho tornò alla carica.
“Come vi vedreste nel cinema, ragazzi?”, se ne uscì. “Ho qualche
conoscenza altolocata alla MGM. Stanno cercando un trio che possa
competere con i Tre Marmittoni”.
Nel frattempo l’autista aveva scaricato le nostre due valigie stracolme,
così Groucho si sedette su una di esse.
“Voglio un avvocato!”, gridò, facendo riecheggiare la propria voce per
tutta la hall. Mi sentii tutto sudato. Notai che i gomiti delle giacche nere
degli impiegati luccicavano. Notai anche che avevano tutti e tre la stessa
faccia dal lungo naso. Groucho aveva fatto il suo numero, aveva avuto il suo
divertimento, ma nessuno aveva riso e non avevamo un posto dove andare.
Improvvisamente comparve un tizio che chiese quale fosse il problema.
Era il direttore. Mi appellai a lui.
“Quest’uomo è matto”, spiegai, precisando come “il mio amico stava
cercando di essere divertente, sapete come succede con i comici. Può
dare un’occhiata a questo telegramma? Per favore, signore, per favore”.
Ascoltò il mio piagnucolio. In tono grave, annuì agli impiegati, e uno
di loro trovò una sistemazione.
“Due-venti-due”, lo udii riferire al fattorino.
Il mio cuore riprese nuovamente a battere. Il viaggio di ritorno per
New York avrebbe significato altre milleseicento miglia. Ci ritrovammo
in quella che non era esattamente una stanza. Era più che altro un ripostiglio
per le scope con due brande. Niente finestre, tubi che correvano
sopra la nostre teste, una specie di bocchettone dell’aria e un lavandino.
Pensione completa. Il bagno era in fondo al corridoio. Groucho si lasciò
cadere sul letto. Avrei potuto ucciderlo.
“Il tuo scherzo non è andato troppo bene”, gli dissi invece di ucciderlo.
Lui si limitò ad annuire sorridendo: “La platea del mattino è sempre
la più difficile”, disse, riferendosi ai giorni del vaudeville. “Ma vedrai
più tardi quando ci riproverò, si spanceranno dal ridere”.
Ma ebbi la mia vendetta. Groucho non riuscì a dormire nemmeno
cinque minuti quella notte. E neppure io: il posto era una topaia troppo
deprimente.
La mattina successiva mia moglie arrivò da New York. Dopo aver
superato lo shock per la nostra sistemazione, sfoderò sul direttore della
tenuta le sue armi femminili e l’accento del Sud, e finalmente ottenemmo
due stanze decenti. Presso l’hotel era in corso una convention di
disegnatori della carta stampata, molti dei quali famosi a quel tempo.
Furono felici di conoscere Groucho. Uno di loro, Rube Goldberg, probabilmente
il più celebre del gruppo, era un vecchio amico, un uomo
noto per disegnare invenzioni follemente divertenti, impossibili da
descrivere, ma grandiose. Ci divertimmo un sacco con loro. Ricordo
un pranzo delizioso nell’hotel dove eravamo stati trattati come ospiti
non graditi.
Ma volete sapere l’ironia? La sera seguente l’hotel proiettò un nuovo
film per gli ospiti: Tre Pazzi a Zonzo dei Fratelli Marx. Evidentemente
al Greenbrier facevano entrare i loro film. Solo non volevano che entrasse
Groucho.
20 21
Fiori d’arancio
IRV: La prima volta che arrivai qui il profumo dei fiori d’arancio si sentiva
fino a Pasadena.
Torniamo a noi all’hotel di Century City. Brecher era riuscito a trasformare
un’intervista di mezzora in novanta minuti di racconti pirotecnici
su un Eden meraviglioso che lui chiamava “Los An-geleez”,
traboccanti di aneddoti di ogni tipo: sul perché Danny Thomas fosse
il contastorie più elettrizzante che avesse mai sentito; su come avesse
imbrogliato Judy Garland per convincerla a fare Incontriamoci a
Saint Louis;3 su come il personaggio di un becchino da lui creato gli
salvò la vita. Quando terminò, lo importunai dal quattordicesimo piano
giù fino alla hall e poi fuori fino alla portiera della limousine che la
Turner gli aveva messo a disposizione. Provavo goffamente ad attirare
la sua attenzione.
HANK: Ehm, signor Brecher, io adoro i Fratelli Marx e...
IRV: È un paese libero. Avere un opinione è un tuo diritto.
HANK: Sono un freelance del Los Angeles Times e altri giornali
come Shambhala Sun...
IRV: Leggo il Shambhala Sun religiosamente. Tutte le volte che sono
nel mio ashram. Incessantemente.
HANK: Esiste una possibilità che io la possa chiamare per un’intervista
e...
IRV: Certo, chiama. Se non rispondo, forse è perché sono morto. In
quel caso non credo che ti richiamerò. La morte tende a interferire con
qualunque cosa tu abbia intenzione di fare.
Gettai l’osso alla sezione spettacoli del L.A.Times: “Irving Brecher, meraviglia
di Hollywood, è vivo e vitale! Un ottuagenario pieno di acume
come uno di quegli anziani elefanti dello Sri Lanka che custodiscono tra
le orecchie tutta quella memoria accumulata fin dalla nascita, e malizia
marxiana in abbondanza nella voce. Ed è ovvio il perché: ha scritto due
dei loro film. Lunga vita a Brecho! Che altro dire, mi ha già conquistato al
«Ciao, devo andare»”.
3 Meet Me in St. Louis, regia di Vincente Minnelli (1944).
Accettarono. Telefonai.
HANK: Signor Brecher?
IRV: Forse.
HANK: Il capo redattore del Times dice che potrei scrivere ottocento
parole su di lei.
IRV: Un necrologio?
[Scoppiai in una risata. Fu così che la nostra amicizia iniziò. Irv era
riuscito a farmi ridere della morte]
HANK: No, una colonna nella pagina degli spettacoli.
IRV: Bene, per chi pensano che dovrei dare spettacolo? Vorrei una
lista degli invitati.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, che riassumeva la luminosa performance
per il canale Turner, Irv mi risponde al telefono.
IRV: Chi diavolo è?
HANK: Mr Brecher?
IRV: Può essere.
HANK: Ha letto l’articolo?
IRV: Sfortunatamente, sì.
[Oh-oh]
Ho ricevuto diverse chiamate di persone che erano sorprese che io
non fossi ancora morto. Uno era imbarazzato. Alcuni di loro erano individui
che io ero convinto fossero morti. Comunque, ho apprezzato il
fatto di non esserne venuto fuori troppo male. Grazie alla tua intervista
adesso mia moglie mi trova più interessante. E tu sei stato così carino
che vorrei ricompensarti con un pranzo. Confido che mangerai poco.
L’ultimo della ta vola rotonda di
Hillcrest
Munito di registratore, arrivai al condominio di Brecher sul Wilshire
Boulevard a Westwood, un palazzo di dodici piani color crema chiamato
“Il Westholme”. Un usciere dai tratti latino americani e vestito in
giacca e pantaloni blu “Westholme” aprì la doppia porta di vetro e mi
condusse verso gli ascensori. Alla fine di un lungo e ampio corridoio al
decimo piano suonai il campanello dell’appartamento 1001 e fui accol22
23
to calorosamente da Norma, l’adorabile moglie di Brecher. Mentre mi
guidava verso il mio ospite la luce del sole entrava dalle enormi finestre
tutte intorno, e fece una pausa per mostrarmi il panorama mozzafiato.
Potevo guardare in basso e vedere, a pochi isolati, il campus universitario
dell’UCLA. Un miglio più a sud enormi complessi di uffici, hotel
e una torre d’acqua che riportava la scritta Fox indicavano la piccola
area commerciale di Century City. A nord si potevano vedere le colline
di Hollywood, e a ovest l’oceano Pacifico fino a Catalina.
“Nelle giornate limpide”, disse Norma, “puoi vedere ovunque, sai...”4
facendo seguire una risata che portava con sé un motivetto musicale.
Passammo oltre due muri pieni di libri dal pavimento al soffitto. Sul
tappeto rosso disteso lungo tutto il salone era appoggiato un pianoforte
a coda con sopra un ritratto di famiglia e un vaso di fiori. Di fianco ai
fiori c’era una statuetta dorata che immaginai fosse l’Emmy, ben sapendo
che Brecher aveva ricevuto un angelo alato nel 1950 per The Life of
Riley.
L’ufficio adiacente era la quintessenza di uno scrittore-in-pensione. Il
trono di Brecher era una poltrona rosso granata dallo schienale alto, e c’erano
delle tende rosse che di certo lui tirava per guardarsi i film su un maxi
schermo dietro al quale campeggiavano altri libri distribuiti su sei scaffali
bianchi. Di fronte al divano di fantasie floreali, dove infine misi le radici, il
muro pullulava di fotografie di persone che avevano fatto parte della vita di
Brecher. Alcuni li riconobbi: William Bendix a una parata di carri allegorici
con un giovanissimo Brecher, probabilmente sulla trentina; Jack Benny e
Brecher vestiti da giubbe rosse; Groucho a una tavolata di uomini, tutti col
sigaro; un Milton Berle in là con gli anni con un vestito sgargiante, leggermente
inarcato all’indietro mentre sorride a Brecher tenendo un sigaro in
mano; un altro scatto di Groucho e del giovane Brecher ancora con sigari;
Irv seduto che lancia un’occhiataccia da sopra la macchina da scrivere sempre
con un sigaro in mano; una di un bambinetto in tenuta da neve davanti a
una vecchia casa; e un’altra di Norma in piedi con un’altra donna, entrambe
giovani e radiose, e in mezzo a loro un sorridente Louis Armstrong.
4 In originale la frase della signora Norma ricalca il titolo del musical degli anni
Sessanta On a Clear Day You Can See Forever, successivamente adattato per il
cinema da Vincente Minnelli negli anni Settanta (L’Amica delle Cinque e Mezza,
in italiano). [n.d.t.]
Ebbi il tempo di osservare tutto questo perché subito dopo essere entrati
nel suo antro, io e Norma venimmo zittiti da Brecher, che agitava
il braccio freneticamente per mostrarci che era impegnato al telefono.
Proferì un paio di “mmmh” e quindi premette il pulsante del vivavoce.
“... Bene, ne sarei felice signore”, disse una voce che si sforzava di
essere fin troppo suadente. “Gospel Light è una compagnia di catering
per persone che come lei amano queste splendide melodie...”
“Sì, infatti!”, Brecher fece un largo sorriso con uno strano luccichio
che non avevo visto durante la performance per Turner. “Ho visto la vostra
offerta sul mio televisore”, disse maliziosamente “E ho capito che
avrei voluto ascoltare alcune delle canzoni preferite di Gesù”.
“Allora amerà questo CD”, disse la voce. “Mi serve soltanto il suo
nome e il suo indirizzo”.
“Sicuro, fratello”, disse Brecher.
“E il numero di carta di credito”.
“Amen!”, disse Brecher, mettendoci enfasi. “Io sono praticamente
cieco e non ho potuto vedere tutto quello che passava sulla TV, quanto
vengono i CD?”
“Solamente diciannove e novantacinque, signore”.
“Accettate la VISA?”
“Sì”, disse la voce. “E deve solo aggiungere quattro e novantacinque
per i costi di spedizione e trasporto”.
“Che cosa hai detto, fratello?”, il volto di Brecher stava brillando.
“Solo diciannove e novantacinque per i CD e quattro e novantacinque
per la spedizione e il trasporto”.
“Oh, Signore!”, disse Brecher. “La chiesa mi paga solo venti dollari a
settimana per raccogliere le lattine di birra nel parcheggio...”
“Solo diciannove e novantacinque”, disse la voce, che intanto era diventata
felpata. “Più, come ho detto, i costi di spedizione e trasporto...”
“Le dirò una cosa”, disse Brecher “Lasciamo stare i CD, prendo solo
la spedizione e il trasporto”.
Il venditore fece una pausa. E poi: “Lei... vuole pagare soltanto per la
spedizione e il trasporto?”
“Sì. Vuole la mia carta di credito? Non posso leggergliela. Ma il mio
cane guida sì. Jasper, vieni qui!”
Click!
24 25
Brecher si sedette dritto, liberandosi dal suo ruolo di impostore convertito.
“Così si trattano i furbi”, disse con quel folle luccichio ancora negli
occhi. “Sai chi sono i più furbi di tutti? Quelli che vendono merci in
televisione”.
Questa bizzarra esibizione era stata fatta solo per il mio personale divertimento?
O questo era solo il modo in cui un vecchio strambo amava
divertirsi?
“La gente le chiama burle”, disse Brecher sgusciando via dalla poltrona
rossa per raggiungere il bastone che Norma teneva davanti a lui.
“È più di questo. È l’espressione di uno sdegno fottutamente pacato”.
Al momento pensai che fosse una cosa da Groucho: “Bene (col sigaro
rivolto verso l’alto e gli occhi che ruotano), allora mandami solo la spedizione
e il trasporto...” Ma non lo dissi a Brecher e uscimmo a pranzo.
Ed eccoci nella mia Toyota con Brecher che mi dirige (Norma lo chiama
‘Il Direttore’) verso Hillcrest, il leggendario country club frequentato
da ebrei. È un punto fermo della sua vita, visto che ne è stato membro
per più di cinquant’anni (ma, in presenza di losangelini di una certa età,
non confondetevi con Hillside, che è il cimitero ebraico).
Dopo meno di dieci minuti passano davanti agli studi della 20th Century
Fox sul Pico Boulevard, svoltammo a destra e ci immettemmo sulla
strada per Hillcrest.
Brecher notò che la bandiera era a mezz’asta.
“Qualcuno è morto”, dice. “Devo andare a vedere se si tratta di me”.
“Buongiorno signor Brecher”, disse un parcheggiatore, avvicinandosi
alla macchina.
“Signor Brecher! Buongiorno, signor Brecher!” disse un altro uomo
che lo aiutò a scendere dal sedile anteriore.
Il parcheggiatore si prese la mia Toyota.
Entrammo in un magnifico palazzo marrone dai pavimenti scintillanti
e rivestito di legni pregiati.
“Buongiorno signor Brecher. Un tavolo per due nella Grill Room?”
A parlare era Rinaldo, vestito con una giacca blu adornata con lo
stemma del club. Ci guidò attraverso una vasta distesa di sontuosi tappeti
d’oro e tovaglie – Monty Hall, il presentatore dello show televisivo
Let’s Make a Deal stava passando davanti al buffet! – fino a un tavolo
con vista sul campo da golf. Seduto al tavolo da quattro, Brecher si trasformò
immediatamente in una madre ebrea. Mi sconsigliò vivamente
il vitello, anche se io stavo solo scherzando sul fatto di ordinarlo. Presi
nota: “L’umorismo può andare in conflitto”.
Finiamo per prendere lo smorgasbord, un piatto collaudato composto
da punta di petto, tacchino, pane e pesce. Il buffet di Hillcrest era celebre
– mi dice – e favoloso, ogni piatto era accompagnato da abbondanti
salse.
Riuscii a finire due tazze di gazpacho, un piatto di frutta, mezza dozzina
di fette di melone, una fetta di torta al cioccolato, una coppa di
gelato misto e due biscotti al cioccolato (per dopo). Irv finì col piluccare
qualcuno dei miei lamponi e prese un hotdog Hebrew National5 con
salsa di pomodoro.
Sapevo che Brecher era un uomo da un milione di storie. Da quale
cominciare? Groucho? La televisione? La radio? Inizio chiedendogli di
quando era entrato per la prima volta nell’Hillcrest.
IRV: 1943. Avevo 29 anni.
Il club andò a fuoco subito dopo.
HANK: Davvero?
IRV: Sì! Rimase chiuso per un certo periodo. Iniziarono a ripararlo.
La gente poteva giocare a golf, solo che non poteva entrare nei locali.
HANK: Immagino che fosse il primo club ad accettare gli ebrei.
IRV: Immagini bene. Ma non accettavano semplicemente gli ebrei.
Un gruppo di ebrei tedeschi, molti dei quali erano immigrati, decise di
costruire il proprio club perché non poteva accedere ai country club di
Los Angeles e di Wilshire. Così nel 1920 comtò 150 acri di terra e mise
in piedi il circolo.
HANK: Solo membri ebrei, giusto?
IRV: Sbagliato. Odiavano essere discriminati, così i membri volevano
dimostrare di non essere bigotti. Nei club di Wilshire e di Los Angeles
gli atteggiamenti bigotti erano compresi nel menu.
HANK: Una frase che calza a pennello.
IRV: Non dargli troppa importanza. Io non lo faccio.
HANK: Costruirono qui perché la 20th Century Fox era dall’altra
parte della strada?
IRV: No. La Fox era un piccolo posto dove facevano film muti. Ma
costruirono qui perché vendevano il terreno – si potrebbe dire – a un
5 Nota marca di würstel kosher. [n.d.t.]
26 27
prezzo stracciato. Non c’era nient’altro qui. Queste erano praterie! Lo
comprarono dalla città. Credo che l’agente immobiliare fosse un navajo.
Lanciò un’occhiata attraverso la Grill Room a una tavola da circa 12 persone,
al momento vuota.
HANK: È quello il tavolo?
IRV: È quello [annuisce]. Dove alcuni dei più grandi comici di sempre
mangiavano e cercavano di superarsi a vicenda.
HANK: Con le barzellette.
IRV: A volte. A volte raccontando storie che avevano vissuto nel vaudeville
o sui palchi di Broadway, o forse nella radio, nelle TV, nel cinema...
HANK: Ogni quanto si incontravano?
IRV: Che intendi? Pranzavano qui ogni volta che erano in città! E
ogni domenica sera, soprattutto negli anni Quaranta. Era fenomenale.
Non sarebbe bello se fossero tutti lì adesso? Groucho Marx, Harpo,
George Burns, Al Jolson, Jack Benny, George Jessel, Lou Holtz, Milton
Berle, i tre Fratelli Ritz e... puoi crederlo? Io!
HANK: Come hai fatto a entrare in quella sacra assemblea?
IRV: Per mio eterno piacere, fui invitato a pranzo da Groucho subito
dopo essere entrato nel club. Io e Groucho diventammo molto intimi
durante le riprese di Tre Pazzi a Zonzo e I Cowboys del Deserto.6 Ero
davvero lusingato di essere stato accettato da questi giganti. Rimasi a
quel tavolo molto a lungo. Li vidi andarsene, uno dopo l’altro...
[Irv beve del caffè, io cerco di riprendere il filo]
HANK: Mi è sempre piaciuto Jack Benny...
[Appoggia la tazza di caffè e la riprende in mano]
IRV: Pure a me. Come amico. Era davvero un tipo candido e delicato.
Una pasta d’uomo. Ok, te lo dico. Incredibilmente, malgrado fosse così
grande alla radio e in televisione, Jack Benny non ci ha mai fatto ridere.
A prescindere dalla sua straordinaria importanza, ovunque andasse in
America veniva riconosciuto dalla gente, Jack Benny era davvero un
tipo modesto. Non come la maggior parte dei comici. E questa era una
novità per me. Un sacco di loro cerca di mantenere salda l’attenzione
generale con ogni mezzo, per affermare quanto siano importanti. Jack
era un ascoltatore estremamente attento e uno spettatore particolarmente
entusiasta, specialmente nei riguardi di George Burns, il suo più caro
6 Go West, regia di Edward Buzzell (1940).
amico. Burns mostrava una vena capricciosa con Jack e faceva delle
piccole esibizioni che provocavano la sua ilarità.
HANK: Ad esempio?
IRV: Non sarebbe divertente se te lo raccontassi. Ma Benny moriva
dal ridere.
HANK: Va bene. Chi altri sedeva al tavolo?
IRV: Harry Ritz. Ci faceva ridere. Faceva dei buffissimi movimenti
del corpo, roteava gli occhi in modo singolare e usava il cibo in maniere
molto divertenti. Ad esempio si metteva una forchettata di carne nell’orecchio.
A Harry piaceva esibirsi.
HANK: Chi era il più divertente?
IRV: Direi George Jessel. Non si sente parlare molto di lui perché
non ha mai sfondato in televisione o al cinema. Teneva spettacoli di
stand-up incredibili nei teatri di Broadway come il Roxy o il Palace.
Ebbe un’opportunità al cinema perché piaceva al capo della Fox,
Darryl Zanuck. Jessel ha distrutto da solo la sua carriera molto presto,
credo intorno al 1930, quando divenne la star di una commedia di
Broadway di grande successo, The Jazz Singer. Era l’idolo della città.
Poi la Warner Brothers, una casa di produzione di Hollywood che
faticava a decollare, comprò i diritti di The Jazz Singer,7 con la speranza
di tirarne fuori una pellicola che potesse salvarli. Naturalmente
offrirono a Jessel la parte principale. Il successo lo aveva reso molto
sicuro di sé, così chiese un compenso molto più alto di quello che la
Warner era in grado di pagargli. Gli offrirono invece delle azioni della
compagnia. Lui rispose: “Carta straccia”. Con suo grande disappunto,
la Warner scritturò Al Jolson per il ruolo da protagonista. Jolson
chiese un onorario consistente, ma la Warner lo persuase a prendere
le azioni. Nell’affare Jolson divenne milionario. E Jessel e Jonson
non furono più tanto amiconi dopo quel fatto. Mi piaceva Jessel. Era
davvero divertente al tavolo, mentre parlava dei suoi problemi con le
donne e delle fragilità umane che lo affliggevano.
HANK: Immagino che i membri del club provassero grande piacere
a trovarsi nella stessa stanza con questi uomini.
IRV: Proprio il contrario. A un certo punto un gruppetto di soci
diede inizio a una piccola rivoluzione. Decisero che non era democratico
che noi avessimo un tavolo dove loro non erano i benvenuti.
Nello spogliatoio udii per caso voci che parlavano di una specie di
7 The Jazz Singer (Il cantante di jazz), regia di Alan Crosland (1927).
28 29
rivolta. Uno di loro disse: “Perché non ci presentiamo alla direzione
per chiedere che venga inserita una regola?” L’altro disse: “Non lo
faranno mai. Hanno paura di quei pezzi da novanta”. Il primo riprese:
“Ci sarà pure un modo di rompere quel tavolo”. “Sei pazzo”, concluse
l’altro tizio. “Hai intenzione di prendere un’ascia e di affettare il tavolo?
Il club ne comprerà uno nuovo!”
Così i sovversivi non fecero nulla. Il tavolo è ancora lì, e tutti loro non
ci sono più. Nel 1996, quando George Burns morì, fu la fine della tavola
rotonda dei grandi burloni dell’Hillcrest. Ora sono l’ultimo rimasto in
piedi. A parte il fatto che sono seduto.
HANK: Questo gruppo come si rapportava con quello degli scrittori
tuoi colleghi della Metro-Goldwyn-Mayer?
IRV: Erano due cose diverse! Qui i comici in genere parlavano di loro
stessi, ed erano tutti performer navigati. Al tavolo degli sceneggiatori
della MGM si parlava di tutto, e in particolare dell’incompetenza dei
produttori, della mancanza di registi di talento e di qualunque altra cosa
fosse negativa.
HANK: Chi erano i Fratelli Ritz?
IRV: Partirono dai circoli di vaudeville e poi passarono al cinema ed
ebbero una carriera abbastanza buona.
HANK: Ricordi qualche pezzo del loro repertorio?
IRV: Certo. Una delle loro battute più famose faceva così: “Ho un problema
col seno” “Davvero?” “Sì! Il mio agente se n’è uscito di seno”.8
HANK: Vecchia guardia.
IRV: Harry Ritz era incontenibile.
HANK: Com’erano gli altri due Fratelli Ritz?
IRV: Due idioti. Vuoi del dessert?
Il golf non è un gioco
Dopo pranzo entriamo nella “Men’s Card Room”. Lui promette di
unirsi ai giocatori “Non appena mi sbarazzo di questo giovane uomo.
È un giornalista free... lunch”.
8 Nell’originale: “I have a sinus problem” “You do?” “Yeah, I need an agent to
sign us”. Battuta intraducibile in italiano, che gioca sull’assonanza tra sinus (seno)
e sign us. (scritturarci) [n.d.t.]
Il gioco sembra abbastanza noioso, ma io so che il Gin non è sempre
stato un gioco da gentiluomini nei circoli che frequentava Irv. Il
Friar’s Club fu teatro di un grosso scandalo quando i membri vennero
spennati di migliaia di dollari da un gruppo di giocatori disonesti.
HANK: Immagino che i tuoi giochi di carte qui non siano come quelli
del Friar’s.
IRV: Alcuni membri utilizzanrono carte segnate per fregare i loro
stessi amici. Alcuni finirono anche in prigione. Ma i loro imbrogli servirono
per qualcosa di buono: mi diedero l’opportunità di far ridere
Jack Benny.
Un giorno andai in sauna e vi trovai Jack intento a farsi lessare. Disse:
“Irv, tu sei un membro del Friar’s, o no?” Risposi: “Sono un membro
onorario”. E Jack: “Qualcuno mi ha detto che il Friar’s sta pensando
di traslocare in un altro posto per poter costruire il proprio campo da
golf”. “Può essere”, dissi. “Ero lì proprio ieri e ho visto alcuni giocatori
d’azzardo segnare le palline”.
Cadde per terra dal ridere.
HANK: Hai giocato molto a golf qui?
IRV: Diciamo che tolleravo questo gioco perché mi piaceva la compagnia
di Jack Benny, Harpo Marx, George Burns. Ma il golf è noioso.
Inoltre, non è un gioco.
HANK: Non è un gioco?
IRV: Puoi chiamarlo attività. Un passatempo, un hobby, una maniera
per evitare tua moglie. Ma lo puoi chiamare gioco? In un gioco c’è
competizione e qualcuno cerca di batterti. Il tennis, il football, anche
la dama è un gioco. C’è un avversario che prova a fermare qualunque
mossa tu abbia in mente di fare. Il golf non è un gioco. È qualcosa che
puoi svolgere tranquillamente solo soletto. Come la masturbazione: il
giocatore fa quello che deve fare, solo con due palle invece che con
una. Impugna la mazza con una mano invece che con due, e si concentra
per raggiungere la meta nel minor numero di colpi possibile.
Ci sono delle differenze, naturalmente. La mazza è probabilmente più
corta di quelle nelle sacche da golf. Probabilmente un metro più corta.
HANK: Mi hai steso, Irv. Ci rinuncio.
IRV: A cosa? Al golf o... all’altra cosa?
Che tipo simpatico.
30 31
storie di una sagoma
Irv, alla segreteria telefonica: “Hank? Irv. A che punto sei?
Non vorrei dover leggere questo fottuto libro da postumo”.
Mentre stiamo uscendo dall’Hillcrest un uomo vestito casual con un
pullover giallo ci venne incontro salutando Brecher affettuosamente,
“Irv”, disse. “Immagino che tu abbia visto la bandiera a mezz’asta”.
“Dammi la buona notizia”.
“Manny è venuto a mancare”.
“Qualcuno lo ha avvisato?”
Quando l’uomo se ne andò, Bercher mi informò.
IRV: Questo tizio aveva novantanove anni. Era uno strozzino e il più
tirchio figlio di buona donna che abbia mai conosciuto. Una volta, per
mia sfortuna, mi imbattei in lui sull’Hollywood Boulevard. Mentre stavamo
camminando, un mendicante lo fermò e gli disse: “Per piacere,
signore. Sono tre giorni che non mangio. Sono così affamato”. Manny
gli diede una pillola contro l’appetito.
HANK: Ma per favore, mi stai prendendo per il naso.
IRV: Prendila come una conversazione creativa.
Da quel momento in avanti iniziai a pensare che alcune delle cose che
Irv mi diceva erano puro frutto dell’improvvisazione del momento. Altre
cose erano vere, certo. In ogni caso, rimasi in attesa di sentirne altre.
Attendevo con impazienza questi assoli caustici, e alcuni di questi riuscii
a registrarli le volte che Brecher, controvoglia, me ne diede il permesso
(“Puoi registrarmi. Ma mi riservo il diritto di aggiungere le risate”).
Sulla via del ritorno verso casa cominciammo a parlare di politica.
Chiamarlo liberal è un eufemismo. E su George Bush, che era in carica
da pochi mesi, si pronunciò così.
IRV: Tu scrivi per il Los Angeles Times, spero che tu lo legga anche.
HANK: Naturalmente.
IRV: Allora perdona il gigione che è in me, ma hai letto la mia lettera
che è stata pubblicata sul giornale la scorsa settimana?
[L’avevo vista, ma volevo che fosse lui a parlarne]
HANK: Di cosa parlava?
IRV: Sai che Dick Cheney ha avuto un attacco di cuore.
HANK: Non sapevo che avesse un cuore.
IRV: Ah! Ho scritto...
Caro Editore,
mi associo ai miei concittadini nell’augurare a Dick Cheney
una pronta guarigione. Se gli accadesse qualcosa di serio, George
Bush diverrebbe il presidente.
IRV: Bene, è soltanto la mia opinione. Condivisa da milioni di americani.
Perlomeno quelli che sono svegli.
Spesso Brecher diventava pieno di rabbia e amarezza, e riempiva il
nastro di polemiche contro il governo. “Una delle cose positive di morire”,
disse una volta, “è che non devi più avere a che fare con le cose che
arriveranno, molte delle quali sono colpa loro”.
Un pomeriggio mi raccontò la sua collera per quello che era accaduto
dopo una recente “apparizione” di Groucho in una scuola superiore della
zona.
Gli studenti avevano attaccato un poster di George Bush sul muro di
un corridoio, e quindi aveva preso a trasformarlo: folte sopracciglia nere,
occhiali e sigaro. Libertà di humour? Gli studenti intendevano solamente
promuovere la commedia scolastica. Il preside della scuola lo fece rimuovere.
Brecher mi ha fatto mandare una email al Los Angeles Times:
Caro Editore,
da uno che ha scritto due film dei Fratelli Marx, e che considerava
Groucho il suo migliore amico, credo che se oggi frequentasse
la Woodland Hills High School, anche Groucho stesso eserciterebbe
la sua libertà di espressione contro George Bush (Nessuno di
quelli che fanno film a Hollywood sembra farlo).
Cordialmente,
Irv Brecher
Il Times non pubblicò la lettera.
Questi attacchi di grande inquietudine – su argomenti come la po32
33
litica, oltre alle bronchiti, le polmoniti, il glaucoma che peggiora, la
perdita di appetito e la preoccupazione per la sua magrezza – dopo un
po’ arrivai a considerarli una specie di sport. Era difficile non notare
come l’ansia di Brecher mandasse fuori di testa tutti quelli intorno a lui.
Ma non era una novità. Harpo Marx l’aveva soprannominato Irv the
nerve (Irv il Nervoso) già nel 1938.
L’angelo della morte , in yiddi sh
Per Brecher tutto inizia e finisce con i comici. Con Jack Benny, George
Burns e Milton Berle, Jan Murray, Red Buttons, Al Jolson e George
Jessel. Ma cosa li rendeva divertenti?
Una volta, nella mia macchina, Brecher mi fece mettere su la cassetta
di una puntata del suo show radiofonico The Life of Riley. Disse: “Se
ci fai caso, sin qui è sostanzialmente triste. È una situazione triste. Per
questa ragione è divertente”.
Tutto inizia con i comici. E finisce con tutti loro che muoiono.
Nella primavera del 2002 Brecher perse due dei suoi amici: Billy Wilder
e Milton Berle.
HANK: Parlami di Billy Wilder.
IRV: Billy era un tipo assolutamente originale. Uno scrittore e un
regista totalmente originale, dotato di immenso talento e di una grande,
grandissima asprezza.
Per anni, io e Billy facemmo la nostra abituale passeggiata mattutina
insieme.
HANK: Dovete aver parlato parecchio di cinema.
IRV: Affatto. Billy faceva i richiami degli uccelli, per lo più. E gli
uccelli lo deridevano.
E ora se ne è andato. Ascolta, vuoi sapere com’è essere vecchi? Non
hai più un gruppo di tuoi compari. Prima avevo dei compari. Ora solo
degli scomparsi.
Vuoi sapere che faccio, ultimamente, quando vado al cimitero di
Hillside? Lascio il motore acceso. Non sono voluto andare al funerale
di Billy. E sto cercando di fare in modo di non andare nemmeno
al mio. Ho sempre avuto una sorta di disgusto per i funerali. Sono
stato in piedi quasi tutta la notte a pensarci. Non posso fare a meno
di pensare al modo in cui i funerali sono concepiti. È ridicolo! Molte
persone vanno ai funerali e raccontano di come fosse meraviglioso
questo tipo che è appena trapassato. Non ha assolutamente senso. Se
loro avessero davvero amato il tizio sarebbe carino che lui potesse
sentirglielo dire. Quindi loro dovrebbero organizzargli un servizio funebre
prima che muoia. Sarebbe anche un test per i dolenti. Su quanto
sono sinceri. Per vedere se riescono davvero a dire le loro balle davanti
a questo tizio nello stesso modo in cui lo farebbero se lui fosse morto.
Dovrebbe esserci un’età prestabilita – quella che le statistiche assicurative
chiamerebbero il punto di longevità – che ipotizziamo a 79 anni.
Così a 78, l’amministratore delegato di una grande società – anche se è
in salute, gioca a golf e si scopa chiunque – raduna tutti quanti in modo
che le cose si svolgano come al servizio funebre dopo che lui ha tirato
le cuoia. Solo che l’ospite d’onore in questo caso è presente, è vivo.
Sarebbe davvero interessante vedere quante stronzate ne uscirebbero,
perché sarebbero tutti lì a sperare che lui riscriva il suo testamento. In
competizione per chi batte più le mani.
HANK: È una grande idea.
IRV: E se ci fossero questi funerali in anticipo, nessuno piangerebbe.
Sarebbe carino. Specialmente se nessuno sopporta il tizio.
Ci sono certi personaggi dei quali non ti è mai importato nulla. E
questi sarebbero i funerali più complicati ai quali partecipare. Per
ragioni economiche, sociali o politiche, si sarebbe obbligati a dire
certe stronzate. E il tizio non-morto, mentre ti ascolta, penserebbe:
“Ma che bastardo!”
[Ridemmo. Poi virai la discussione sulla mortalità di Irv, un argomento
sul quale aveva sempre fango fresco da gettare sopra, per così dire]
HANK: Irv, hai la fine della tua vita in mente perché sei andato al
funerale di Berle?
IRV: Tutti gli uomini in età avanzata vanno ai funerali.
HANK: Ma hai detto che non è più rimasto nessuno dei tuoi compagni,
a quanti altri funerali andrai ancora?
IRV: Fortunatamente, ne è rimasto qualcuno.
HANK: E la maggior parte di loro riposa all’Hillside?
IRV: Si, lì è dove sono sepolti i miei genitori, dove c’è il padre di
Norma, dove sono i miei migliori amici. Quasi tutti.
HANK: Vai mai laggiù, così, per una visita?
34 35
Dal quaderno di Brecher, 1934: un elenco di performer,
luoghi e pagamenti per le sue prestazioni.
PARTE II
Va udeville & Radio
IRV: Vado a fare visita ai miei genitori.
[Silenzio. E poi parte una delle storie su Irv preferite da sua moglie]
IRV: Io e Norma eravamo diretti all’Hillside Memorial Park per i funerali
di un amico. E cominciammo a litigare perché Norma era molto
critica per il modo in cui stavo guidando nel traffico. Le risposi per le
rime e ci ritrovammo coinvolti in una chiassosa, furibonda lite. Quasi
violenta. Appena parcheggiai vicino alla cappella di Hillside e ci guardammo,
le dissi: “Sai, tu rovini tutto il divertimento di un funerale”.
Fine della lite. Lei cedette.
HANK: Cosa intendi dire?
IRV: Mi baciò.
HANK: E tu lasciasti il motore acceso.
IRV: Sempre. Così posso uscirmene prima che riesca a prendermi.
HANK: Chi?
IRV: L’angelo della morte. Il malakh ha-movess. Conosci l’yiddish?
HANK: No.
IRV: Dovresti impararlo prima di morire.
36 37
La radio dei Fratelli Marx
“Anteprima voleva dire che la pellicola arrivava in una latta e senza
credits. Non come succede oggi, con gli annunci sul giornale che ti
anticipano tutto il dannato film”.
- Irv Brecher
HANK: Ricordi la prima volta in cui sei rimasto incantato dai Fratelli
Marx?
IRV: Sì, lo ricordo. Avevo circa quindici anni. Ero senior alla Roosevelt
High School che era – mi chiedo se lo sia ancora – a Yonkers, una
piccola cittadina a nord del Bronx. La mia terra d’origine...
HANK: Eri senior a quindici anni?
IRV: Sì. Mi sono diplomato a sedici.
HANK: Come mai così presto?
IRV: Avevo finito i corsi, ecco come è successo. Sedici anni e mezzo.
Ma a quindici scrivevo di sport studenteschi per il Yonkers Statesman per
sei dollari a settimana. Una sera consegnai il mio lavoro a Mr. Brennan,
il caporedattore notturno, un amabile vecchio che puzzava di whiskey
irlandese ma che non sembrava mai ubriaco. Mi piaceva stargli vicino.
“Dimmi, mio ragazzo ebreo”, diceva senza malizia. “Vai mai a vedere
i lungometraggi?”
Era il 1930.
“Sì, signore”, dissi. “Ogni volta che me lo posso permettere. Sa, i
biglietti sono saliti a 25 centesimi”.
“Bene, l’uomo dello Strand, che ha comprato questo annuncio che pubblicheremo
domani, mi ha dato un pass valido sempre. Ti piacerebbe?”
“Se mi piacerebbe? Certo che sì, signore. Io amo i film”.
E da come andarono le cose, io amo ancora il signor Brennan, perché
quando io e un mio amico andammo al teatro Strand la sera seguente,
per quella che era presentata come “Anteprima esclusiva”, io incontrai
i Fratelli Marx. In Animal Crackers.9
Ero davvero preso dalla commedia. Nelle rare occasioni in cui potevo
permettermi un biglietto, preferivo vedere Buster Keaton o Lerry
Seemon o Ben Turpin o Charlie Chase o Harold Lloyd, piuttosto che
qualche film drammatico. A quindici anni mi interessava molto di più
9 Regia di Victor Heerman (1930).
conoscere quale pezzo10 di commedia brillante Buster Keaton avrebbe
interpretato piuttosto che sapere se Rodolfo Valentino fosse riuscito a
entrare o no nelle mutandine di Greta Garbo.
E quella volta finii sul pavimento del ridere. Non dimenticherò mai la
visione di quei quattro uomini selvaggiamente divertenti che strappavano
risate così fragorose che non riuscivo a sentirmi ridere. Non potevo
togliermeli dalla testa. Quella notte nel letto ripassai a mente più e più
volte le scene del film. Vedere Animal Crackers mi aveva reso immediatamente
un loro fan. Quando dissi agli amici della mia scoperta, uno di
loro mi disse di averli visti un anno prima in un film chiamato Noci di
Cocco. Ovviamente mi ero perso uno dei più grandi avvenimenti della
mia vita! Ma ora che avevo scoperto questi meravigliosi clown, giurai
a me stesso che in futuro avrei visto ogni loro film. Anche se i biglietti
fossero saliti a 50 centesimi.
Per il grande pubblico Groucho aveva uno stile assolutamente nuovo.
Nessun comico cinematografico prima di lui aveva mai improvvisato
battute a quel modo, e l’effetto era quello di uno spillo in un pallone
gonfiato. Era l’anti-autorità. Era il portavoce di tutti quegli spettatori
che avrebbero sempre voluto dire “proprio quella cosa lì” quando il loro
capo o la moglie o l’esattore delle tasse o il poliziotto gli faceva passare
un brutto quarto d’ora. Che numeri splendidi avrebbe potuto fare con
George W. Bush.
HANK: È così che ti sei buttato tu stesso nella comicità?
IRV: I ragazzini decidono che cosa faranno da grandi, ma poi cambiano
i loro piani ogni poche ore...
HANK: E tu decidesti quella notte di diventare un comedian?
IRV: Non proprio. Non avevo idea di come avrei potuto farlo. Volevo
essere un giornalista. Sapevo che mi piaceva far ridere la gente. E mi
spinsi anche più lontano facendo la mia personale versione del mio idolo
Groucho per il divertimento – spero – dei miei amici. Mi truccai la
faccia, utilizzando un turacciolo bruciato per annerirmi le sopracciglia
e dipingere i baffi neri. Avevo capelli scuri e crespi che potevo dividere
nel mezzo. All’emporio recuperai il fil di ferro per la montatura degli
occhiali. E mi esibivo nei suoi pezzi alle feste (le nostre feste erano fatte
da tre persone). Sketch che Groucho aveva fatto nei film. Più qualcuno
dei miei. A sorpresa il mio normale modo di parlare era molto somigliante
a quello di Groucho. Sembrava non avessi problemi a ricalcare
10 In originale Brecher usa shtick, parola di derivazione yiddish. [n.d.t.]
38 39
il suo tempismo nelle battute. Ero un po’ più alto e più magro di lui ma
assomigliavo davvero a un clone sedicenne di Groucho Marx.
HANK: E il sigaro?
IRV: Il sigaro era in gomma. Sì. Servì allo scopo. Prova a inalare un
sigaro di gomma.
La differenza tra un comedian
e un comico
Irv scuote la testa incredulo.
IRV: Chi avrebbe immaginato che otto anni dopo aver visto Animal
Crackers, io avrei scritto un film per i Fratelli Marx?
HANK: Scavando in quel periodo ho scoperto che i Fratelli Marx
fecero anche uno show alla radio. Nel 1932-33.
IRV: Non i Fratelli Marx, solamente Groucho e Chico. Harpo non
parlava, e questo non aiuta se vuoi fare della buona radio. E Zeppo
chissà dov’era. Lo show si chiamava Flywheel, Shyster & Flywheel.
Interpretavano dei loschi avvocati. Lo show fu presto cancellato, non
era adatto alla radio perché dovevi vederli questi uomini buffi, non solo
ascoltarli. All’inizio degli anni Trenta risalgono anche i primi show radiofonici
di comedian come Jack Benny e Eddie Cantor...
HANK: Irv, spero che non baderai se giro a mio vantaggio la tua maggiore
saggezza, facendoti una domanda su una diatriba di vecchia data.
IRV: Vai avanti, ragazzo.
HANK: Qual è la differenza tra un comico e un comedian?
IRV: Il comedian dice cose divertenti, il comico dice cose in modo
divertente.
HANK: Grazie.
IRV: Prego.
HANK: Buffo. Ho sempre pensato che fosse il contrario.
IRV: No. Milton Berle era più un comico. Faceva cose divertenti.
Camminava in modo divertente, metteva abiti di scena. Anche se Berle
probabilmente è considerato più un comedian. Un tipo che dice qualcosa
in modo divertente è come Joe Penner: “Vuoi comprare un caaaane?”
Questo è un comico, dice una cosa in un modo divertente. Jim Carrey
dimena la lingua. Questo non è da comedian, è già da comici.
HANK: Una cosa che mi sono sempre chiesto: questo è da considerarsi
più in alto nella scala di valori del clown-che-aspira-a-eguagliarela-
divinità?
IRV: Non ti capisco, ma entrambi richiedono abilità. Ed Wynn era un
comico. Parlava con una voce stridula e ridacchiava.
HANK: E sembrava spassoso.
IRV: Bob Hope faceva: “La scopa disse al gatto” e la gente rideva.
HANK: La scopa disse al gatto?
IRV: Una cosa del genere.
HANK: E Jack Benny allora, è un comico?
IRV: No, era un comedian. Phillys Diller era un comico. Abbott e
Costello11 erano comici.
HANK: Per via del loro stile, della loro parlata. Ma quando dici
“questo è già un comico” mi fai pensare che un comico sia più avanti.
IRV: Penso che sia un antico luogo comune.
HANK: Così un comedian è soltanto differente in quel senso.
IRV: Sì, perché ha più a che fare con la recitazione. Cary Grant era
un comedian.
HANK: Davvero? Non un attore comico?
IRV: È un comedian. Poteva recitare un dramma e portarti fino alla
risata. Era molto originale. Non chiamerei William Powell – l’uomo
ombra12 – un comedian, perché recitava ogni tipo di dramma.
HANK: Ernie Kovacs?
IRV: Era un comico.
HANK: Zero Mostel?
IRV: Comedian.
HANK: Quindi Gleason era un comedian.
IRV: Un comico.
HANK: Dannazione.
HANK: Nel suo varietà, quando vedi Joe il Barman, è un comico.
Oppure Reginald Van Gleason.
HANK: D’accordo.
IRV: Dangerfield lo definirei un comico. C’è una linea sottile. Quando
fanno qualsiasi tipo di pezzo, sono comici. Quando provocano reazioni,
sono comedian. Dangerfield sapeva fare entrambi. Jack E. Leonard
entrava dicendo: “Benvenuti, avversari”. Questo è il modo in cui
11 Gianni e Pinotto. [n.d.t.]
12 Dall’omonimo film L’Uomo Ombra (The thin man) 1934. [n.d.t.]
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partiva, non lo trovi adorabile? Fammi spiegare perché la questione è
così confusa: parlando di queste persone, ci siamo sempre riferiti a loro
come comedian. Quelli che strappano le risate. Questo ci basta sapere.
I comedian sono diversi dagli umoristi. Un comedian è insicuro sul
palco, mentre l’umorista che siede alla macchina da scrivere può avere
i suoi guai e le sue miserie, ma riceve sollievo buttando giù i suoi pensieri.
Sono uomini malinconici in contrapposizione ad alcuni nevrotici
comedian. Alcuni.
HANK: Quindi, Sid Caesar, con tutti i suoi accenti, è un comico o
un comedian?
IRV: Sid Caesar è.
HANK: Cos’è?
IRV: Semplicemente è.
HANK: Tu sei uno stand-up comedian, Irv. Conosci qualche bella
barzelletta?
IRV: Ne ricordo alcune un po’ vecchie. Un padre porta per la prima
volta suo figlio in metropolitana fino a Van Cortland Park nel Bronx. E
il ragazzino gli chiede: “Papà, come si chiama quel fiore?”, e il padre
risponde “Come faccio a saperlo? Ti sembro uno stilista?”
HANK: La sai quella dei due bambini nella sabbionaia? Quello circonciso
dice all’altro...
IRV: “Non potrò camminare per un anno”.
HANK: Giusto.
IRV: Non sai raccontare le barzellette. Se non sai raccontare le barzellette,
non ti azzardare a farlo. Se ti piace raccontare le barzellette,
fai pratica. Altrimenti fai a meno di raccontarle. E soprattutto, non le
raccontare a qualcuno che sa come si racconta una barzelletta.
HANK: Ops.
IRV: È come il colesterolo: o ce l’hai o non ce l’hai.
HANK: Touché. Che mi dici delle gag? Come le definiresti?
IRV: La gag è essenzialmente una freddura o una barzelletta breve, o
una cosa del genere.
HANK: E come le scrivi? Intendo dire, come ti saltano in mente?
IRV: Durante la stesura dei film dei Fratelli Marx, provavo a scrivere
battute legate al contesto della storia e agli incidenti che si verificavano.
Ad esempio, ne I Cowboys del Deserto c’è una scena in cui Groucho cade
dalle scale e Chico lo schiaffeggia e cerca dell’acqua per farlo rinvenire.
Groucho dice: “Lascia stare l’acqua, prendi del brandy”.
HANK: La mia battuta preferita.
IRV: Non la chiamerei una gag perché da sola non regge. È un pezzo
con una trovata finale.
HANK: Un pezzo con una trovata finale.
IRV: Sì.
HANK: Non sono sicuro che Freud nella sua analisi dello homour la
pensasse così... ma “Prendi del brandy” non è un altro dei non sequitur
di Groucho?
IRV: È il tappo sull’azione. Su un pezzo di bravura.
Ti dirò che cos’è una gag. Citerò Red Buttons: “Non comprare mai
gribbenes da un mohel”. La gente urla quando la sente. È una battuta
fatta e finita, e divertente.
HANK: Gribbenes?
IRV: È yiddish. Serve per fare i ciccioli; quei croccanti pezzi di pelle
di pollo e cipolle brunite ricavati dalla trasformazione del grasso di
pollo. Se devo proprio dirtelo, per la cronaca, un mohel è il tizio che
effettua la bris. Che poi è la circoncisione.
HANK: Mi sa che confondo “pezzo” con gag.
IRV: Una volta, dopo che Larry Gelbart mi fece un complimento, gli
scrissi: “È stato come prendere un Viagra ma di un’altra specie, mi si è
ingrossata la testa”.
HANK: Questa è una battuta. Classica struttura da gag. Ti consideri
un ridanciano americano?
IRV: Cosa?
HANK: Sei un guru della battuta, Irv.
IRV: È difficile definire l’arguzia. Io so soltanto che una risposta secca
che demolisce un pallone gonfiato è uno strumento molto utile per
farti stare bene.
HANK: Una risposta secca è come una battuta di una gag?
IRV: Le risposte divertenti non le chiamerei gag. Ascolta. Louis Nye
mi raccontò una barzelletta su una nuova dieta in cui il primo giorno
mangi tre banane, il giorno successivo mangi tre fragole, e il giorno
dopo tre formaggini, e il giorno successivo caghi un murale. Io ho aggiunto
murale. Louis utilizzava dipinto. Questo è quello che faccio, trovo
la parola giusta per renderla più divertente.
HANK: Quindi questa è una gag...
IRV: Non c’è differenza tra una gag e una barzelletta, in fondo. Una
barzelletta può essere una lunga storia che termina con una battuta riso42
43
lutiva, un aneddoto di due minuti. Una gag è una cosa breve. Darryl Zanuck
ha cofondato la 20th Century ed era responsabile della produzione
alla Fox dopo la fusione del 1935. Ha prodotto dei grandi film. Ma una
volta Zanuck si arrabbiò con me per via di una gag.
HANK: Che cosa era successo?
IRV: Fece uscire un film e io gli dissi che non era stato rilasciato, ma
che era scappato.
Il ladro di pessime gag
“Fantastico, Red, fantastico. Red? Hai detto alcune delle cose più
divertenti che userò mai”.
Milton Berle, 1983 – rivolto a Buttons al matrimonio di Irv e Norma
HANK: Veniamo al sodo. Quando hai pensato per la prima volta che
il mondo dello spettacolo sarebbe stato il lavoro della tua vita?
IRV: Nel 1931. Facevo l’usciere part-time e il bigliettaio in un piccolo
teatro, il Little Carnegie Playhouse sulla Cinquantasettesima strada.
Pochi metri a est della Carnegie Hall, vicino al Russian Tea Room. Il
teatro era di proprietà del cugino di mio padre, Leo Brecher. Lasciai lo
Yonkers per prendere questo lavoro e intascare bei soldi – 18 dollari a
settimana – con i quali mia madre, mio padre, mia sorella, mio fratello
e mia nonna avevano una speranza di sopravvivere. Noi sei vivevamo
in un appartamento di terza di categoria, composto di due stanze e adiacente
al binario sopraelevato del Bronx. Lavoravo sei giorni su sette,
dieci ore al giorno, più due ore di viaggio in metropolitana.
Questa era la mia vita a quel tempo. Non pensavo che fosse proprio
“il mondo dello spettacolo”. Quello arrivò più tardi, nel 1933, e fu un
evento bizzarro a mettermi nella direzione che mi ha portato fin qui.
HANK: A Hollywood.
IRV: No. Qui con te, quasi alla fine del mio viaggio.
Il Little Carnegie Playhouse fu la prima sala cinematografica in America
a proiettare film stranieri. Eravamo conosciuti come cinema d’essai
e i nostri clienti erano soprattutto i tedeschi che abitavano a Yorkville,
nella parte orientale di Manhattan. Lo sapevo perché le mie mansioni
comprendevano la macchina stampa indirizzi. Era una macchina che
utilizzava lastre di metallo con nomi e indirizzi in rilievo, che marchiavano
le buste con i programmi settimanali. Nei primi anni Trenta, agli
inizi dell’ascesa al potere di Hitler, ricordo che l’FBI venne e prese
le lastre. Non ci diedero spiegazioni. Questo accadde nel 1931 o nel
1932. Quasi tutti i nomi sulla macchina per gli indirizzi erano tedeschi.
Avevamo qualche sospetto (Circa nello stesso periodo o poco dopo,
un pugile professionista di nome Barney Ross andò a Yorkville con un
paio di tizi con le mazze da baseball e spaccò la testa a un gruppo di
antisemiti. È stato grandioso).
Comunque, un pomeriggio del 1933, dopo aver stampato le buste ha
migliaia dei miei personali nemici, arrivò il recensore del settimanale
Variety (la “Bibbia dello Show Business”). Wolf Kaufman era lì per vedere
la nostra ultima opera d’importazione, un film con Emil Jennings
intitolato Sturme der Liedenschaft.
Conoscevo Wolf. Si fermava sempre al chiosco dei biglietti.
Ma quella volta mi disse: “Ho sentito delle tue gag l’altra sera, ragazzino”.
Dissi: “Di che cosa sta parlando?”
“Beh, so che ogni tanto ti pubblicano una gag nella colonna di Winchell
e ho sentito Bob Hope citarne un paio durante il suo monologo al
Loew’s State”.
“Sta scherzando!”
Abbastanza spesso spedivo delle gag d’attualità – delle freddure –
su una cartolina postale da un centesimo ed ero sempre entusiasta se
Walter Winchell sul Mirror o Ed Sullivan sul Daily News le pubblicavano
con il mio nome. Avevo milioni di lettori. E i miei amici erano
molto impressionati.
“La gente rideva?”, chiesi a Wolf
“Sì, ridevano”, disse Kaufman. “A lungo e fragorosamente. Per questo
lui le usa”. Poi avvenne qualcosa di sorprendente. Wolf aggiunse:
“Lo sai che la gente viene pagata per scrivere queste cose?”
Dissi: “Davvero?”
“Già”, disse Wolf. “Se puoi scrivere altre freddure, fai un’inserzione
su Variety e forse potrai venderle”.
“Ma io non mi posso permettere un’inserzione su Variety”.
Disse che un riquadro di 2 centimetri costava 15 dollari.
“È praticamente una settimana di stipendio” dissi. “Io ne guadagno
appena 18 a settimana”.
44 45
“Facciamo così. Scrivi l’inserzione e io la mando in stampa. Il giornale
si può permettere di anticiparti 15 dollari. Li restituirai quando avrai
venduto le prime barzellette”.
Che brava persona. Da allora sono sempre stato abbonato a Variety.
Per 75 anni.
Bene, ero davvero eccitato e già mi vedevo a depositare assegni di
tutti quei comedian famosi nella banca che era dentro la mia testa. In
pausa pranzo chiamai Al Schwartz. Anche lui inviava battute ai giornali,
ma sua madre insistette per farlo andare alla facoltà di legge. Gli dissi
che stavo per scrivere un’inserzione e che poteva entrare nell’affare per
metà – sette dollari e cinquanta a testa – e che avremmo in seguito restituito
i soldi a Variety.
Da lettore accanito di tutto quello che aveva a che fare con lo show
business, conoscevo la crescente popolarità di un giovane, agguerrito
comedian chiamato Milton Berle. Non lo avevo mai visto. Non lo avevo
mai sentito alla radio. Ma sapevo che stava salendo alla ribalta della
notorietà vantandosi sul palco di aver rubato materiale ad altri comedian.
E la gente rideva per questo. E gli altri comedian, gente che non
scherza, erano davvero furenti con lui.
Mi sedetti per scrivere l’inserzione – una cosa che non avevo mai fatto
prima – della stessa larghezza di una colonna di Variety. Ma che cosa
scrivere? Poi la folgorazione mi colpì: fu quasi un prodigio. E detto
sinceramente, se esiste un momento che cambia la tua vita, quello fu il
mio momento. L’inserzione recitava:
“Freddure totalmente a prova di Berle.
Così tremende che neanche Milton le ruberà.
The House that Joke Built13 [La Fabbrica delle Battute]
Schwartz e Brecher, Circle 7-1294”.
Quella sera dopo il lavoro corsi per dieci isolati giù fino alla Quarantesettesima
e, come mi aveva detto Kaufman, lasciai una busta all’ufficio del
giornale. Nei giorni che mi separavano dal numero successivo di Variety,
svolsi il mio lavoro da usciere pieno di rinnovata speranza. Il mercoledì
seguente la mia concentrazione venne distratta da alcuni problemi a casa,
in pratica eravamo a corto di soldi per l’affitto. Fu solo quando il postino
13 La Fabbrica delle Battute, parodia di “The House that Jack Built”, una popolare
filastrocca. [n.d.t.]
consegnò la copia settimanale di Variety che mi ricordai dell’inserzione.
Presi a sfogliare freneticamente il giornale... e finalmente la vidi. Era solo
un’inserzione tra le tante. La più piccola. La stavo fissando quando il telefono
suonò. Risposi e quello che successe cambiò la mia vita.
“Little Carnegie Playhouse. Come posso aiutarla?”
La voce di un uomo in un pessimo accento tedesco disse: “Vass time
der farshtunkener movie es playeenk dis nacht?”
Dissi: “Lee, sparisci!”
Pensavo che fosse il mio amico Lee Geier. Cercava sempre di fare il
simpaticone al telefono. Così appesi.
Il telefono squillò di nuovo.
“Little Carnegie Playhouse”.
“Fammi parlare con Schwartz o Bretsher”.
Bretsher?
“Piantala Lee, sto lavorando”. Un altro stupido scherzo. Riattaccai.
Un momento più tardi stava squillando di nuovo. E questa volta la
voce era forte e chiara.
“Nessun figlio-di-puttana attacca in faccia a Milton Berle. Chi diavolo
pensi di essere?”
Realizzai e iniziai a tremare.
“Chi è?”, balbettai di rimando.
“Te l’ho detto. Sono Milton Berle. Sei tu il ragazzo saggio che ha
pubblicato l’inserzione o no?”
“Sì, ma in realtà stavo solo scherzando”.
“Non voglio le tue scuse, cretino. Se pensi di essere così divertente,
fatti trovare al Capital Theatre stasera alle undici. Vai all’ingresso degli
artisti e chiedi di me. Porta qualche gag d’attualità. E sarà meglio
che siano divertenti!”
“Sì, sicuro. Alle undici in punto”. A malapena riuscii a pronunciare
quelle parole.
“Mi esibirò per una terza settimana. Ho bisogno di alcune battute su
Bing Crosby e Kate Smith e George Givot. Sono in cartellone a partire
da domani. Ascolta, tu fatti trovare alle undici all’ingresso degli artisti.
Ti manderanno su da me”.
Appesi il telefono. Mi sembrava che la stanza turbinasse intorno a
me. Non potevo credere che una grande stella del vaudeville volesse che
io... mi avesse appena chiamato per... ero terrorizzato!
46 47
Mollemente, quel giorno cercai di provare a fare il mio lavoro di
usciere. In pausa pranzo, corsi fuori a comprare tutti i giornali. E New
York ne aveva di giornali allora! Il New York Times, il Sun, il World-
Telegram, l’Herald Tribune, il Mail, il Daily Mirror e il Daily News. Era
possibile avere delle vere notizie da questi giornali, a differenza di oggi
che le sole news che ricevi sono quelle di cosa hanno combinato Dick
Cheney e quel finto Robin Hood di Karl Rove.
In America nel marzo del 1933 stavano succedendo un mucchio di
cose su cui valeva la pena scrivere. La Grande Depressione era ancora
in corso. Roosevelt si era insediato come Presidente un paio di mesi
prima e aveva appena chiuso la banche. La gente non poteva prelevare i
propri soldi per comprarsi il cibo. Un’attrice magnifica di nome Marlene
Dietrich stava facendo notizia perché portava i pantaloni. Era l’inizio
di una moda. Che sensuale bellezza aveva.
Pensai, mi sforzai, sentii la pressione del novellino che si dirigeva verso
il proprio carnefice, un comedian. Buttai giù circa una dozzina di battute
su vari argomenti, chiamai Al Schwartz e presi nota di alcune cose divertenti
a cui stava pensando: “Le cose vanno così male che i dottori usano il
boršč14 per le trasfusioni di sangue”. Lo so. Settant’anni dopo non supera
la prova del tempo...
Quando il Little Carnegie chiuse andai al Capitol, a pochi isolati di
distanza sulla Broadway. Ero dannatamente nervoso. Non ero mai stato
nel backstage di un teatro. Non avevo mai conosciuto nessuno dello
show business, a eccezione di altri uscieri di cinema. Non avevo mai
parlato con qualcuno che fosse famoso, e quando l’uomo alla porta degli
artisti mi mandò di sopra nel camerino di Milton Berle, ero congelato
dalla paura. Ero solo. Al Schwartz disse che non poteva venire con
me. Sua madre premeva per farlo studiare per un esame di legge e non
gli avrebbe permesso di rimanere fuori fino a quell’ora tarda.
La porta era contrassegnata da una stella. Tenevo in mano i fogli con
le battute. Provavo a respirare mentre il cuore martellava nel petto. Bussai
alla porta e persi tutti i foglietti. Ero in ginocchio a raccoglierli quando
la porta si aprì. Ciò che vidi fu la metà inferiore di un uomo, completamente
nuda. Essendo nuovo nello show business, non lo riconobbi
finché non alzai gli occhi. Sapevo ovviamente che questo era Milton
Berle perché avevo visto le sue foto sui giornali, ma non l’avevo mai
visto così nel dettaglio. Vedevo la ragione della sua leggendaria reputa-
14 Minestra di colore rosso a base di barbabietola molto diffusa nei paesi slavi. [n.d.t.]
zione tra le socievoli ragazze dello show business, quella che gli valse
l’invidia di alcuni suoi contemporanei nel campo della fornicazione.
Il suo uccello. Era tremendo, aveva le dimensioni di un cotechino. Era
come se avesse un’altra piccola persona lì sotto. Ed era una grande star.
“Oh”, disse “stavo aspettando mia madre”.
Pensai che dovevano essere una famiglia molto unita.
Berle continuò: “Chi saresti tu, Schwartz o Bricker?
Ero così stordito che dissi: “Penso di essere Bricker. Sono Bricker.
Irving Brecher!”
“Che cos’hai per me?”
Gli mostrai i miei fogli. Li agguantò e chiuse la porta, e io rimasi lì ad
aspettare la chiamata del governatore.15 Alcuni istanti dopo aprì la porta
e disse: “Alcune sembrano buone”.
Tirai un sospiro di sollievo.
“Ti dirò che faremo ora, ragazzo. Vai subito al Park Central Hotel e
sali al secondo piano, all’ufficio del mio agente, Charlie Morrison. Ti
darà un assegno. Poi torni qui perché dovremo lavorare tutta la notte”.
“C-cosa?”
“Devo tirare fuori un nuovo monologo per lo show di domani, e tu
mi aiuterai”.
“Tutta la notte?”
“Posso usare un po’ di questa roba, ma me ne serve un mucchio di più”.
Percorsi i cinque isolati fino al Park Central, trovai l’ufficio dell’agente
al secondo piano e bussai alla porta. Un bell’uomo dai capelli bianchi la
aprì e quando gli dissi che mi aveva mandato Berle, mi diede una busta.
Quando la porta si chiuse, tirai fuori l’assegno. Era la più grande
somma di denaro che avevo mai tenuto in mano in una volta sola:
cinquanta dollari.
Ed era stato facilissimo, pensai. Diventerò ricco!
Sulla strada di ritorno verso il Capitol mi fermai a un telefono pubblico,
tirai fuori un nichelino e feci il numero di casa, ansioso di annunciare
che ero entrato nello show business. Ricordo che snocciolai di botto
le novità, che mia madre non riusciva a capire del tutto, ma che quando
le dissi che avrei passato tutta la notte fuori casa, in una camera di hotel
con un attore, il suo tono si fece preoccupato.
“Non ce l’hai il pigiama?”
15 Colui che negli USA può interrompere all’ultimo un’esecuzione.
48 49
“Va tutto bene” dissi. “Non mi leverò i vestiti. Me ne starò seduto a
una macchina da scrivere e farò tutto quello che il signor Berle mi dirà
di fare. Questo significa che potremo pagare l’affitto tutti i mesi. E forse
anche mangiare”.
Non ricordo la sua risposta, in verità non ricordo nemmeno se ne
diede alcuna.
Le dissi di non preoccuparsi e che sarei tornato a casa l’indomani.
Quando tornai al Capitol, Berle aveva finito di vestirsi e andammo
in taxi al suo ufficio, all’Edison Hotel sulla Quarantasettesima. Lavorammo
tutta la notte, io e questa star emergente venticinquenne che mi
spronava a scrivere altre battute basate su quello che dicevano i giornali.
Continuavo a suggerire gag, alcune delle quali mi piacevano molto anche
se a lui no, mentre di altre non ero molto entusiasta. Lui ne riscrisse
qualcuna finché non ne fu soddisfatto. Guardandomi indietro, fu un’esperienza
inquietante. Era come se io fossi lì a guardare me stesso alla
macchina da scrivere, mentre lui camminava avanti e indietro ripetendo
più e più volte le battute che gli piacevano. Fu come una lezione della
durata di una notte intera.
La mattina successiva Berle disse: “Sto per tornare al teatro. Il mio
primo spettacolo è alle undici. Puoi ordinare la colazione e venire più
tardi. Lascerò detto di lasciarti entrare”.
Ben prima delle undici, ero seduto in mezzo all’orchestra del Capitol
Theater, a fare colazione con le mie unghie. Il mio cuore stava facendo
una folle danza. Non ero mai stato così nervoso.
E finalmente giunse l’ora fatidica. Il primo spettacolo di un programma
giornaliero che comprendeva quattro show di Milton Berle, ospiti
d’onore e la proiezione di un film. Il mio cuore sobbalzava. L’orchestra
suonò il saluto d’apertura alla star e dalle quinte saltò fuori questo
longilineo, dinamico burlone, il mio nuovo buono pasto. Mentre la
folla applaudiva Berle guadagnò il centro del palcoscenico e li salutò
con il braccio disteso esortandoli a continuare. Poi, come una mitragliatrice
di due metri, iniziò a sparare. Fuoco rapido. E per la mia
incontenibile gioia, ogni colpo veniva salutato da una risata, alcune
piccole, altre grandi.
La memoria di Milton Berle era stupefacente. L’uomo aveva imparato,
parola per parola, tutto il nuovo materiale che avevamo messo insieme
la notte precedente. Quando tirò fuori alcune delle battute che
avevo scritto io e il pubblico rise – a volte ruggendo e almeno una volta
applaudendo – andai in estasi.
Pensai, senza dubbio, che il mio futuro era deciso.
Dopo il monologo, Berle svolse il suo compito di maestro di cerimonia
per gli altri artisti in cartellone mentre io rimasi seduto, in grado a
malapena di guardare.
Lo show terminò e mentre salivo le scale del backstage mi aspettavo
di ricevere una pacca sulla spalla. Udii una voce rabbiosa, urlante, provenire
da dietro la porta del camerino di Berle. Poi la porta si spalancò
e un grosso uomo con la faccia rossa ne uscì, e girandosi puntò il dito
contro Berle: “Ricorda quello che ti dico. Lascia stare quelle stronzate
o non lavorerai mai più in un teatro Loew’s. Capito?”
Mi sfrecciò davanti, e la sua mole quasi mi fece cadere dalle scale.
Quando entrai nella stanza di Berle, lui era furibondo e malediceva
quell’uomo che lo costringeva a eliminare qualcuna delle nuove battute.
L’uomo era Louis K. Sidney, il direttore del teatro. Aveva detto a
Berle che alcune delle gag erano troppo oscene e non potevano essere
ripetute.
Berle era furioso. Come ogni comedian, odiava rinunciare a una risata.
Ma sapeva anche che, se avesse ripetuto quelle gag, ci avrebbe
rimesso il lavoro.
Erano giorni in cui il vaudeville era molto severo su quello che i comedian
potevano o non potevano dire. Le battute proibite potevano porre
fine a una carriera.
Quali erano le battute di cui Berle non voleva disfarsi? Non ho mai
conosciuto un comedian che tagliasse di sua volontà una risata assicurata,
a meno che il suo lavoro non fosse in pericolo. Cosa c’era di così
terribile? Beh, a quel tempo il sindaco di New York era Jimmy Walker.
Era famoso per essere una sorta di playboy e un gaudente. E adesso era
davanti alla Commissione Seabury, un collegio moralizzatore del Congresso
che vigilava sulla corruzione nelle alte sfere. Le voci prevalenti
tra i gossippari newyorchesi dicevano che il sindaco, un devoto padre
di famiglia che andava in chiesa tutte le domeniche, avesse un’amante
segreta, una bella bionda di nome Betty Compton. La fiera smentita
di Walker aveva fatto notizia. Quando il presidente della commissione
accennò alla condotta illecita del sindaco, questi disse: “Posso serenamente
scambiare la mia vita privata con quella di qualsiasi altro uomo”.
50 51
La battuta che avevo scritto per Berle era: “Hai sentito cosa ha detto
Jimmy Walker alla commissione? Quando l’hanno accusato di voisapete-
cosa? Ha detto: «Posso serenamente scambiare mia moglie con
quella di qualsiasi altro uomo!»”
A quella battuta il pubblico schiamazzò. Berle proseguì: “Quando il
presidente Roosevelt chiuse la banche, e nessuno poteva prendere soldi
da spendere, Marlene Dietrich fu sorpresa con i pantaloni abbassati”.
Le urla furono altissime. E partirono fischi di approvazione dagli
agenti di commercio che in genere assistevano al primo show.
Berle era furioso ma dovette abbandonare quei testi. Rimpiazzammo
alcune battute con parecchie altre più gradite ai poteri in carica.
Ma da ragazzo di diciannove anni quale ero, quel pomeriggio il mio
stato di euforia proseguì anche quando tornai al lavoro al Little Carnegie.
Ero nello show business, e lo show business era fantastico, e avevo
venticinque dollari in tasca. Avendo guadagnato la metà di cinquanta
dollari con tale facilità, presi una decisione importante per la mia
carriera, degna di un amministratore delegato della Enron.
Dal momento che ero così giovane, e così inebriato, feci qualcosa
di completamente folle.
Tornai al Little Carnegie e dissi al direttore Manny Rosenberg, che
nel frattempo mi chiedeva del perché fossi in ritardo, che me ne sarei
andato alla fine della settimana.
“Cosa?”, disse il signor Rosenberg. “Ti licenzi?”
“Sì, signore. Ora scrivo i testi per Milton Berle. Sa, il comedian”.
Sembrava sorpreso.
“Ho visto Berle un paio di volte”, disse. “È uno spasso. Sei sicuro che
stai facendo la cosa giusta, licenziandoti?”
“Penso di sì. Sì, sono convinto”.
Ma quando gli strinsi la mano e me ne andai, non ero più così sicuro.
Nella mia ingenuità, davo per scontato che dal momento che una grande
star come Berle si esibiva in dozzine di teatri per tutto l’anno, avrebbe
avuto bisogno che io lo rifornissi di nuovo materiale ogni settimana.
Non avevo capito che lui avrebbe utilizzato gli stessi testi anche nel
prossimo teatro. E in tutti quelli dei suoi prossimi ingaggi!
E il signor Milton Berle si esibiva in un mucchio di teatri.
C’era tutto un circuito, e il Loew’s Capitol Theater di Broadway era il capostipite
di un’intera catena di teatri Loew’s, molti dei quali sparsi lungo la
costa orientale, e tutti di proprietà della Metro-Goldwyn-Meyer (questa era
la situazione anni prima che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti
costringesse gli Studios a lasciare la proprietà delle sale cinematografiche). Il
Capitol proiettava solo pellicole appena sfornate dalla MGM, e in più mandava
in scena uno spettacolo dal vivo di un’ora e mezza. Il varietà aveva
sempre un protagonista principale e numeri di spalla di cantanti e ballerini. Il
pubblico amava questo genere di intrattenimento e per me era entusiasmante.
Il vaudeville riusciva a dare qualcosa a chiunque fosse in platea. Era
come un grande buffet di portate di divertimento. Il mio teatro favorito
era il Keith Fordham, nella parte migliore dell’Upper Bronx, quella occidentale.
Dovevamo percorrere il Grand Concourse16 per arrivarci. La
Park Avenue del Bronx, la prima strada con alti edifici di appartamenti
(alti sei o otto piani). Qui è dove andavo con uno o due amici, se avevo
un quarto di dollaro, e potevamo vedere sei diverse performance.
Era elettrizzante. Acrobati, una coreografia di ballo, cantanti e comici.
Una performance si chiamava Charles Withers ‘Opry’ House, con questo
interprete vestito da tuttofare che cercava di costruire lungo tutto il palcoscenico
uno scenario che riproduceva l’interno di un teatro dell’opera. I
risultati erano disastrosi. Le cose cadevano, turbinavano intorno a lui e gli
rovinavano addosso. Riusciva a limitare il disastro imminente con tempismo
perfetto, acchiappando gli oggetti, lasciandoli cadere. Per venti minuti
ci piegavamo in due dalle risate ogni volta che pigliava una mazzata.
A volte in cartellone c’era un uomo di nome Owen McGivney, un
trasformista. Prima appariva in giacca e cravatta per poi scomparire
dietro un divisorio. Mentre l’orchestra suonava, lui usciva fuori
dall’altra estremità in meno di dieci secondi vestito con un abito totalmente
differente. Era splendido. Ripeteva l’azione più e più volte,
saltando fuori vestito da pirata, da giocatore di baseball, da capocameriere
in smoking o da becchino.
Era incredibile. Una volta (molto più tardi) il direttore artistico mi
permise di rimanere dietro le quinte a guardare la performance. Così
potei vedere cosa succedeva e come McGivney riusciva a farlo. Aveva
degli aiutanti e una ragguardevole impalcatura di costumi che saltavano
fuori in un attimo.
Una performance poteva anche consistere in un ballo romantico. Avevo
una cugina, Evelyn, che faceva parte dello spettacolo di ballo. Era
16 Il Grand Boulevard and Concourse, o semplicemente Grand Concourse, è un
vialone che collega Manhattan con il Bronx, costruito sul modello degli ChampsÉlysées
parigini. [n.d.t.]
52 53
una ragazza splendida. E il suo partner era un bel ragazzo ebreo. La mia
bellissima cugina dai capelli corvini. Il suo viso era incantevole.
La loro performance si chiamava Maurice e Cordoba. Erano una
grande coppia. Un numero da applausi a scena aperta ogni volta che si
esibivano. Maurice La Pue era il vero nome del ragazzo ebreo. Si facevano
passare per ballerini latini, e questo dava loro un valore aggiunto.
L’alternativa era farsi chiamare Brecher e La Pue.
Era una danza molto sexy per quei tempi. Tempi in cui imperversavano
i cereali Pablum17 su Good Housekeeping.18 Le rotazioni del corpo
erano il massimo che potevi aspettarti. E io avevo dodici anni e mia
cugina circa venti.
Per venticinque centesimi vedevi gli spettacoli. Una volta all’anno
la performance passava di nuovo dallo stesso teatro. E se ti capitava di
vederlo di nuovo lo apprezzavi allo stesso modo in cui ti era piaciuto la
prima volta. Perché erano classici dell’intrattenimento.
Ma ci voleva mezzo dollaro per vedere Berle al Capitol (Il Little
Carnegie Playhouse – le pellicole costavano circa quaranta centesimi
– chiedeva due dollari perché presentava una tipologia di film più esclusiva.
Un film d’importazione per un pubblico selezionato. Non c’erano
molti cinema d’essai nel Paese).
Comunque, aspettai in casa per una settimana, cercando di prendere il
coraggio a due mani e tornare al Little Carnegie nella speranza di avere
indietro il mio lavoro. E infine l’angelo che veglia sopra i tonti fece la
sua apparizione.
Berle iniziò a chiamarmi ogni tre o quattro settimane, da Chicago o
St. Louis, chiedendomi di comunicargli via telefono un po’ di battute
sull’attualità, cosa che feci con gratitudine. Ogni tanto un assegno arrivava
per posta, a volte di 15 dollari, a volte di 25 dollari. Abbandonai i
miei progetti di comprarmi una Rolls Royce.
Un giorno chiamò e venni scosso dall’eccitazione e dal sollievo quando
mi disse che era stato scritturato per un nuovo show.
“Il Rudy Vallee Radio Show”, disse. “La prossima settimana dovrò
fare cinque minuti con Vallee. Hai mai sentito il programma?”
“Sì, signore. Preferisco Jack Benny e Fred Allen (Avevo desiderato
ardentemente scrivere per il mio programma preferito, il Jack Benny
Jell-O Hour)”.
17 Nota marca di cereali per bambini. [n.d.t.]
18 Magazine americano femminile fondato nel 1885. [n.d.t.]
“Pure io”, disse Berle. “Ma Vallee mi paga. Ci sono 50 dollari per te se
riesci a tirare fuori qualche minuto di roba buona. Sull’attualità, ma non
come quella che quel pezzo di merda al Capitol mi ha tagliato. I tizi della
radio sono anche peggio degli stronzi che gestiscono il vaudeville”.
Un paio di giorni più tardi, dopo un esaltante ma angoscioso periodo
di intenso lavoro di neuroni, ebbi la mia seconda crisi: incontrare Berle
nell’ufficio del suo manager, sperando che gli piacesse quello che avevo
scritto. La prima volta che ero andato a vedere Berle al Capitol avevo le
farfalle nello stomaco. Stavolta, appena entrato nell’ascensore del Brill
Building, avevo le poiane. Ero morto e stavano piluccando le mie ossa.
Improvvisamente, pensai che niente di quello che stavo per consegnargli
era divertente.
Ma mi sbagliavo. Lui in realtà si complimentò con me a un livello più
personale di quanto avesse fatto in precedenza.
Al Capitol mi disse: “Questa roba è divertente”. Ma questa volta mi
disse anche: “Te lo devo concedere, ragazzo. Tu sei divertente”.
Milton Berle e il bordello
di Buffalo
“La cosa bella di sognare è che incontri
persone di una classe migliore”
Battuta di Brecher per Berle
IRV: Frequentare Berle lontano dal palco era interessante. Non era
capace di starsene seduto a parlare come facciamo noi. Quando non era
in scena era come se fosse fuori posto, senza tregua, sempre in cerca di
distrazioni. Un fine settimana del 1933, come sorta di parziale pagamento,
Berle mi invitò a seguirlo in uno spettacolo di vaudeville allo Shea’s
Theater di Buffalo. Quello che ignoravo è che oltre a uscire dalla città,
per la prima volta avrei avuto un altro tipo di incontro ravvicinato con un
incantevole mondo: il sesso.
A 19 anni per me il sesso era ancora e soltanto una parola.
Venni caricato su una lunga Cadillac a sette posti guidata dalla guardia
del corpo di Berle, un brutto ceffo di nome Danny. Fui sorpreso di
scoprire che portava una pistola, ma Berle mi rassicurò che Danny era
un suo accanito fan. La madre di Berle, Sandra, una donna terribilmente
54 55
autoritaria che organizzava in prima persona tutto il suo carrozzone,
insistette affinché suo figlio avesse una guardia del corpo ora che era
divenuto una “star”.
“Una pistola torna comoda quando rubi il materiale ad altri, Milton”,
gli dissi per canzonarlo. “Io non ho più bisogno di rubare materiale. Ora
io ho te”.
Vivendo con i miei genitori a Yonkers, non ero mai stato in nessun altro
posto, e un viaggio in auto fino a Buffalo era eccitante anche perché
Danny guidò per quasi tutto il tragitto ad alta velocità.
Berle ci sistemò in quello che pensavo essere un hotel carino e, per
la prima volta in vita mia, dormii da solo (A casa, dove io e il mio fratello
più giovane Jack eravamo compagni di stanza, eravamo i ragazzi
immagine della Grande Depressione). E il giorno seguente mi piacque
sedermi in platea a guardare Berle esibirsi per i locali. Come al solito,
raccolse un successo enorme. Una delle ragioni del suo successo era
che non cedeva mai, anche quando il pubblico era di quelli tosti. Berle
non lasciava il palco finché le persone in sala non capitolavano e poteva
così andarsene al suono del loro applauso scrosciante. Era un mastino.
Dopo aver visto qualche performance aggiunsi un paio di battute al suo
monologo, che piacquero al pubblico e a noi che ci stavamo godendo
lo spettacolo.
La sera dell’ultimo show, alle nove e mezza circa, l’orario in cui di
solito andavamo a mangiare un boccone e poi filavamo a letto, mi disse
che doveva fare un gita per vedere alcune cugine.
“Hai delle cugine qui?”
“Sì, vivono a Tonawanda”.
Era un città mineraria lì vicino.
“Puoi venire anche tu”, disse. “Non te ne pentirai, sono persone piacevoli”.
Presto raggiungemmo una periferia formata da case brutte, basse e scure,
e ci fermammo davanti a una completamente avvolta dalle tenebre.
“Le tue cugine abitano qui?”
“Sì, ti piaceranno, vedrai”.
Berle fece un ghigno. Non si era levato il trucco, portava ancora il
rossetto e il fard che usava per lo spettacolo. Anche Danny stava ghignando.
Mi chiedevo come mai.
Come uscimmo dall’auto qualcosa mi preoccupò, ma non sapevo
esattamente cosa, finché la porta della casa non si spalancò e una
bionda spettinata con un reggiseno ristretto sopra un seno enorme
disse: “Ciao bamboli”. Realizzai che quello era il tipo di posti di cui
avevo letto nei racconti e che venivano descritti come “palazzi del
divertimento”, ossia i bordelli.
Berle parlò alla donna alla porta.
“Ci manda Tony dello Shea’s Buffalo”, disse allegramente.
I miei occhi si spalancarono.
Berle mi guardò.
“Amerai le mie cugine, vedrai”, disse. “Anzi, ancora meglio, sono
loro che ameranno te”. Entrammo e ci ritrovammo in una piccola stanza
dall’aspetto trasandato con un caminetto acceso. Ero lì con Berle e Danny
e qualche donna piuttosto giovane, tutte vestite in modo seducente e
con abiti succinti. Ero allo stesso tempo eccitato e terrorizzato. Mentre
me ne stavo lì imbambolato, Berle parlava con la maitresse: “Questo
ragazzo è alla sua prima volta”.
Si stava comportando come un veterano, e probabilmente lo era.
“Bene, diamoci da fare, compari”, disse allegramente. “Fate la vostra
scelta!”, quindi aggiunse, “ma prima che voi ci intratteniate, perché non
posso far divertire io voi un poco?”
Berle attaccò a fare quella che allora si chiamava commedia swish19
o nance. Tirò giù la visiera del cappello e prese a camminare con un
ancheggiamento esagerato. A quei tempi era raro per chiunque riuscire
a farlo sul palco, e Berle lo faceva solo per un breve istante. E
ora era lì che sgusciava per il soggiorno facendo battute. Fu spudoratamente
divertente e appariva molto femmineo con il cappello calato,
il rossetto e il trucco.
Improvvisamente un uomo grande e grosso entrò nella stanza. Aveva
un grosso sorriso stampato in faccia. Era il proprietario. Finché i suoi
occhi non caddero su Berle conciato a quella maniera. Si avvicinò e
gridò: “Ma che cazzo? Questo è un finocchio! Vattene via di qui immediatamente,
brutta checca!”
“Non sono un finocchio”, cercò di protestare Berle. Gli disse di rilassarsi.
“Fanculo”, disse il tizio grosso. “E portati via anche le tue fidanzate!”
Quando prese l’attizzatoio dal caminetto, ci precipitammo fuori
e scappammo da Tonawanda. E quella fu la mia prima e unica visita
a un bordello.
19 Performance caratterizzata da travestimenti trasgressivi da parte di un comedian.
[n.d.t.]
56 57
Ragazze! Berle! Catskill!
IRV: Tirare fuori il denaro per un autore non era una delle cose-dafare-
oggi preferite da Berle. Ma a volte capitava offrisse anche un compenso
maggiore, specie quando era a spese di qualcun altro. Nell’agosto
del 1933 disse che avrebbe passato il weekend al Grossinger’s. Avevo
sentito parlare molto di questo posto sui monti Catskill, famosi per i
moltissimi hotel che offrivano buon cibo e relax ai newyorchesi amanti
del divertimento, soprattutto ebrei.
“È tutto gratis”, disse Berle. “Vuoi venire?”
Sicuro che lo volevo. Ero
alto quasi un metro e novanta
e pesavo cinquantacinque
chili. Berle diceva che sembravo
“un pezzo di filo interdentale”.
Disse: “Dovresti mangiare
di più”.
Volevo dire: “Dovresti
pagare di più”. Ma non
osai. Ero timido, temevo di
poter far saltare anche quegli
occasionali dieci o venti
dollari che mi arrivavano,
chiedendo una retribuzione
maggiore per tutte le risate
che gli stavo procurando...
Raggiungemmo i monti
Catskill a bordo della
vistosa Cadillac di Berle.
Grossinger’s era enorme e brulicava di attività. Tra queste il golf e il
tennis e una grande piscina, e dal momento che Berle venne salutato
da Jenny Grossinger, era ovvio che avesse già fatto spettacoli qui. Un
buon numero di ospiti, che lo avevano visto nei teatri di Manhattan o del
Bronx, gli diedero la mano e lui dimostrò di apprezzare l’adulazione.
Posso ancora evocare il profumo della cena nell’enorme sala da pranzo,
con tutte queste differenti portate di cucina casalinga. E la cena fu
lunga perché Berle non se ne andò finché i convitati non finirono di
assediarlo per chiedergli l’autografo. Era davvero spassoso con loro,
poi decise che aveva bisogno di un sigaro. Così mi condusse dall’hotel
al paese vicino, che ospitava un emporio.
Quando entrammo, trovammo un commesso che sonnecchiava al registratore
di cassa e due donne, giovani e ben fatte, che sorbivano un
gelato sedute sugli sgabelli al bancone. Il suono della campanella alla
porta le fece girare per un istante, quindi tornarono alle loro chiacchere.
La star, circondata dalla folla fino a poco prima, qui veniva bellamente
ignorata. Provò a rimediare.
“Qual è il vostro miglior sigaro?”, chiese ad alta voce.
“Roi-tan”, disse il commesso. “Dieci centesimi”.
“Ne prenderò metà. Sono soltanto un povero comedian”.
Le ragazze lo guardarono per un breve momento senza segni di reazione
e io provavo a trattenere le risa nel vedere la frustrazione di
Milton. Giocò un altra carta.
“Avete Racing Form?20 Al mio cavallo piace leggerlo prima di andare
a nanna”.
Il commesso disse: “No”.
Ancora una volta le ragazze ignorarono Sua Maestà.
Berle si avviò risoluto verso il telefono a pagamento nell’angolo.
Buttò dentro una monetina e disse: “Interurbana? Quando ci vuole per
Manhattan?”
Inserì altre monete e aspettò, guardando dritto verso le due eretiche.
Quindi, a voce più alta di prima, parlò nella cornetta: “MAMMA?
CIAO, SONO MILTON BERLE”.
Le ragazze si girarono, scesero dagli sgabelli e se ne andarono.
Anni dopo, quando Berle aveva superato da un pezzo gli ottanta, ancora
sembrava a proprio agio solo quando si esibiva. Poteva essere nel
teatro più immenso o per il pubblico più sparuto, per lui non faceva differenza.
Colpiva allo stesso modo tremila persone o una singola vittima
fino a farle ridere.
Per questo al suo – credo ottantacinquesimo – compleanno, raccontai
davanti a uno stracolmo Friar’s Club:
Molti di voi sanno che a Milton piace esibirsi ogni volta che ne ha l’occasione.
È un drogato delle scene, felice soltanto quando ti sta incalzando
con una serie di battute che probabilmente hai già sentito in prece-
20 Daily Racing Form è un giornale di ippica fondato a Chicago nel 1894. [n.d.t.]
Milton Berle in un numero del 1937 di
Radio Stars, la rivista che vantava
“La tiratura più alta tra i radio magazine”.
58 59
denza. Ad esempio, l’altro giorno ero alla City National Bank di Beverly
Hills, aspettando il mio turno in una lunga coda per fare un prelievo. Non
posso permettermi di fare un versamento...
Milton entra, come al solito rumorosamente, e molti dei clienti lo riconoscono
e gli sorridono. Amano Milton. Lo vedo che si guarda in alto e individua
la telecamera di sicurezza della banca, quindi si sposta un poco per
essere sicuro di essere al centro dell’inquadratura. Attacca con un pezzo
sul suo recente ricovero in ospedale. Mentre sta facendo il suo monologo,
entrano due uomini con indosso le maschere da sci e le pistole in pugno.
“Mani in alto!”, grida uno di loro. “Tutti!”
Tutti obbediscono tranne Milton, che continua a sparare battute.
Uno dei due rapinatori sentenzia: “Diavolo, usciamo di qui. Ha detto le
stesse cose alla Wells Fargo la settimana scorsa”.
L’età dello spa sso
“Oh, come sono eccitato di essere qui e di essere invitato a tutti i matrimoni
di Irving. Tutto quello che posso dire è che spero che Norma e Irv
siano felici quanto io e Ruth desideravamo esserlo”.
Milton Berle
Il 27 marzo 2002 Milton Berle fece la sua apparizione finale in una
gremita cappella nei pressi dell’uscita della Freeway 405 a Culver City,
in California. Il posto: l’Hillside Memorial Park, casa dell’eterno riposo
di Al Jolson, Eddie Cantor, Jack Benny e molti altri. Pochi giorni dopo
il funerale Irv tirò fuori una scatola di vecchie audiocassette dall’armadio
della sua camera da letto. Su una c’era scritto:
“Hollywood press club
1/19/92 Friars Club
80 yrs show biz Milton Berle”
Presenziando alla cena di gala in onore di Milton Berle, Brecher intrattenne
la folla riconoscente del Friar’s Club con alcuni aneddoti, concludendo
così: “E quello fu l’inizio della mia più lunga e gratificante
amicizia, con quel micio che stasera abbiamo trasformato in leone. Milton,
domani è l’inizio di un nuovo capitolo nella vita della nostra nazione.
Gli sforzi del presidente Clinton per rendere l’America un posto più
felice dureranno al massimo otto anni. Tu lo hai fatto per ottant’anni.
Auguro tutto il bene al Presidente, ma ancora di più lunga vita al re!”
Quindi fu il turno di quello che per il re è un sintetico ringraziamento:
durò quaranta minuti.
Non ho mai chiesto a Irv del funerale di Milton Berle. Ma Irv, che
aveva conosciuto Berle più a lungo di chiunque altro, mi raccontò del
senso di perdita che provava.
IRV: Anche se c’era da aspettarselo – Milton aveva novantatré anni –
non sei mai veramente pronto. Mi sento male. Molto male. Hai visto il
resoconto del New York Times? Anche il Los Angeles Times gli ha dato
molto spazio.
Nella cappella di Hillside, Red Buttons disse alcune cose divertenti.
Rivolto alla vedova di Berle: “Lo hai ucciso tu, sai. Tutto quel sesso...”
Il discorso di Norm Crosby fu piacevole, Jan Murray parlò in modo eloquente
e giocoso. Se Milton avesse saputo che gli altri comici avrebbero
raccolto tutte quelle risate, non sarebbe morto.
Aveva avuto una grande vita e tutti erano lì a magnificarla.
Poi ci spostammo tutti al Friar’s per un festino pomeridiano. Larry
Gelbart e Sid Caesar vennero da me.
“Perché non hai parlato, Brecher?”, chiese Gelbart. “Tu sei l’uomo
più autorevole di tutti su Berle”.
Fu dolce a parlare così.
“E poi sei un sacco più divertente di questi tizi”, disse Caesar.
Che tipo!
“Non me l’hanno chiesto”, risposi loro. “Ma non sono offeso”.
Ma ero risentito per non aver potuto esprimere il mio più lungo e
caloroso legame, e l’ammirazione per un così straordinario talento che
mi aveva dato l’opportunità di condurre la vita che ho fatto. Comunque
la pensiate, era un fenomeno. Ultimo di cinque figli, con una madre
sorvegliante che assomigliava a un terzino, Milton divenne il più grande
successo di tutti i tempi.
Si può dire che nessuno sia mai stato in grado di toccare gli spettatori
americani con la forza che Milton Berle ha mostrato durante il Texaco
Star Theatre. Prova a riguardare queste immagini oggi, vedrai Berle
rompere tutti gli schemi e creare un nuovo capitolo nella commedia. Ha
insegnato tutto a tutti. E anche a me. La tua vita cambia non solo in base
a quello che fai, ma anche in base a quello che fanno gli altri...
60 61
“Il servizio funebre era più che altro uno show”, è quello che dissi a
Sid e Larry. “La sua vedova ha fatto il casting. E deve aver pensato che
non ero un nome grande abbastanza”.
Bisogna riconoscere che i comedian incassarono molte risate. Sono
sicuro che se c’è una vita dopo la morte per i burloni, Milton avrà provato
a superarli.
Così non saprò mai quante risate avrei ricevuto se avessi fatto un elogio
funebre. Ma così siamo pari. Neanche Milton ne dirà uno per me.
Il vaudeville di Hoot Gibson
“Hey, Mr Roberts, vuoi scambiare dei film?”
“Che cos’hai?”
“Hoot Gibson e la Figlia dello Sceriffo”.
- Mister Roberts (1955)
“Quel funerale mi ha riportato indietro nel tempo”, mi confessa
Brecher la volta seguente che mi reco nel suo appartamento per registrare
i suoi racconti. “Molto indietro. Non ho dormito affatto la scorsa
notte perché mi frullavano in testa tutti quegli anni. Ho cominciato
a vedere facce di comici del vaudeville, ragazzi e ragazze ai quali
vendevo le gag per venti dollari. E per molte persone, nel 1935, venti
dollari erano la paga di una settimana...”
IRV: Mentre Berle usava in ogni teatro lo stesso repertorio che avevo
scritto per lui, iniziai a scrivere in modo frammentario per circa
trenta spettacoli di vaudeville. Piccoli nomi, nomi sconosciuti, non
importava, l’idea era di rifornire queste aspiranti-star-che-mai-avevano-
sfondato con nuovo materiale. Gli attori di vaudeville erano noti
per la loro tirchieria. La loro idea di buon prezzo, per qualunque cosa,
era: gratis. Ma il più grande accordo che feci a quei tempi fu quando
un agente che conoscevo mi ingaggiò per cinquecento dollari. Una
fortuna! Hoot Gibson, la star del cinema western, stava facendo una
comparsata a Philadelphia. Mai sentito il nome? Hoot Gibson il cowboy.
Aveva bisogno di battute divertenti da dire mentre faceva i suoi
giochi con la corda. Lavorai tutta la notte e la mattina seguente stavo
ancora scrivendo con il blocchetto in grembo mentre il treno mi portava
a Philly.
Avevo visto Hoot nei film. Aveva fatto letteralmente dozzine di
film. Pensavo che fosse a posto. Mi piaceva di più il suo cavallo, ma
pazienza. Quando arrivai a Philadelphia presi un autobus fino al teatro
e salii fino alla porta con la stella sopra. Ero nervoso: non avevo
mai incontrato una star del cinema. Presi un respiro, ed entrai.
Hoot non era così alto come sembrava sul cavallo. Ma era abbastanza
attraente. All’improvviso mi accorsi che c’era una bella ragazza
nell’angolo più lontano del camerino. Sedeva davanti allo specchio
e si faceva le unghie. Si girò e fece una specie di cenno di assenso.
Gibson disse: “June, questo ragazzo mi ha portato roba nuova. Battute”.
(Scoprii più tardi che il suo nome era June Gayle).
Hoot iniziò a leggere un paio di pagine. Potevo capire dai movimenti
delle labbra che era un lettore lento.
June lasciò la stanza per prendere le sigarette. La star, le cui labbra
erano ormai stanche, grugnì qualcosa del tipo: “Questa roba è buona. Il
dannato problema è che la devo imparare. Questa è la parte brutta delle
comparsate. Se non fosse per i soldi, non le farei!”
Quindi camminò fino al lavandino presente nella stanza, slacciò la
patta e pisciò. Proprio nel lavandino! Non l’avevo mai visto fare prima.
Mi chiedevo se era così che facevano là fuori nel West.
I cowboy hanno i lavandini? Sapevo che avevano i pascoli...
Quando finì disse che il giorno seguente avrebbe provato a inserire
qualche battuta nel suo spettacolo, e io mi sentii abbastanza coraggioso
da dirgli: “A ogni modo, signore, l’agente che mi ha mandato mi ha
assicurato che lei avrebbe pagato cinquecento dollari”.
“Dannazione! Ho lasciato il libretto degli assegni in hotel!” Sfogliò
un monte di pagine davanti a me. “Vedo il tuo indirizzo qui”. Te lo
manderò per posta. Hai fatto un buon lavoro, compagno. Se vieni a
Hollywood, passa a trovarmi”.
Borbottai qualcosa tipo: “Ok, ricevuto”.
E me ne andai.
Quanti ne abbiamo oggi? Quanti giorni sono passati dal 1935?
Quell’assegno sta ancora viaggiando per posta.
Non andai più a vedere un altro dei suoi film, brutti come erano.
La volta successiva che vidi June Gayle fu anni dopo a cena a New
York. Mia moglie e io eravamo da Lindy’s con Fred Allen e sua moglie
62 63
Portland Hoffa. L’altra coppia era formata da Oscar Levant e da sua
moglie June Gayle. Era più bella che mai.
Non accennai a Hoot. Ed ebbi la sensazione che Oscar Levant non
avesse mai pisciato nel lavandino.
Al Lindy’s con Henny
IRV: A volte scrivevo una sceneggiatura per conto mio, a volte su
commissione, altre volte in società con qualcuno. Quando scrivevo per il
vaudeville, pregavo. Non esistevano associazioni che si prendessero cura
di me quando giravo materiale a Henny Youngman.
HANK: Hai scritto per Henny Youngman?
IRV: Allora lo conosci.
HANK: Henny era il re! L’ho visto una volta al Bottom Line. Scaldava il
pubblico per The Turtles.
IRV: Per chi?
IRV: Lo humour del vaudeville era meraviglioso; comprendeva team
comici verbali, sberleffi e cose più classiche, espressive. C’erano i comici
dialettali, un filone in cui si inserì Chico Marx con la sua commedia da
fasullo immigrante italiano, e gli immigranti amavano andare a vedere il
vaudeville. Qualche volta avevo scritto dei testi per un monologhista di
nome Henny Youngman. Henny disse che aveva sentito dire da Milton
Berle che gli avevo girato della “roba buona”. E lui aveva bisogno di qualche
piccola gag e freddura. Naturalmente, per i cinquant’anni successivi
o giù di lì Henny accettò tutti gli ingaggi che poteva sostenere sul palco
o in TV.
Quando anni dopo visitai New York, se Henny non stava lavorando
sedeva nel suo piccolo regno di ammiratori alla Carnegie Deli, dove deliziava
i suoi fan con esilaranti battute. E se ero abbastanza fortunato da
trovarlo durante la mia caccia al pastrami, ci abbracciavamo l’un l’altro
come vecchi amici e ogni volta lui mi diceva: “Per amor di Dio bimbo,
procurami una serie TV tutta mia!”
Non lo feci mai, né lui vi riuscì. Era la più grande frustrazione di Henny,
sebbene fosse un uomo ricco per via della sua ragguardevole abilità
finanziaria nel non pagare mai il conto al ristorante. A Henny piaceva
anche fare gli scherzi. Lo vidi farne uno a Leo Linderman.
Lindy’s era un gran posto a quei tempi. Sulla Broadway, tra la Cinquantaduesima
e la Cinquantatreesima strada, era un rifugio per la gente
dello spettacolo e anche per le persone che amavano la gente dello
spettacolo e volevano mangiare le stesse cose che mangiavano loro. Gli
artisti di vaudeville erano lì a colazione, pranzo e cena. Come qualità
del cibo era il massimo, ed era il ritrovo abituale di diversi personaggi
di Broadway che spendevano un quarto di dollaro per una deliziosa
tazza di caffé e consumavano l’equivalente di un dollaro in tovaglioli,
zucchero e crema. Una crema spessa e densa.
Uno dei personaggi era un bagarino grosso e selvatico di nome
Broadway Sam. Broadway Sam poteva, per un certo prezzo, farti entrare
ovunque. Ricordo che una volta gli chiesi se poteva trovarmi due
posti per L’Ultima Cena e lui disse: “Dove lo danno?”
Henny prendeva sempre lo stesso piatto: una buona porzione di deliziosa
carne di manzo con due piccoli panini ai semi, più o meno un
buon quarto di libbra di carne. Un giorno, mentre si recava da Lindy’s,
Henny si fermò allo Stage Delicatessen a un isolato di distanza, comprò
una libbra di carne di manzo e se la mise nella giacca del cappotto. Entrò
da Lindy’s col suo involucro di contrabbando e si sedette al solito tavolo
con i suoi amiconi. Mentre lo guardavano impassibili, ordinò il suo solito
pasto e il cameriere gli portò i due panini con il manzo. Henny tirò fuori il
suo pacchetto e con destrezza impilò una porzione extra da mezza libbra
di carne di manzo su ogni panino. I due sandwich stavano lì, imbottiti
con quattro o cinque centimetri di carne speziata: i sandwich erano così
alti che se una mosca si fosse posata sopra uno di essi, il naso avrebbe
preso a sanguinarle.21 In quel momento Leo Lindy, il maestro ristoratore,
arrivò al tavolo per salutare il suo amico. Si bloccò e fissò il gigantesco
sandwich di carne di manzo e si convinse di essere prossimo alla bancarotta.
Cacciò alcune imprecazioni in austriaco e corse dentro la cucina.
Mentre stavamo lì a guardare, lo chef dei sandwich schizzò fuori in preda
al terrore, cercando di guadagnare l’uscita, mentre Leo, quasi apoplettico,
brandiva una padella con l’intenzione di spaccare la testa al sabotatore.
Ma la risata del pubblico di comici alla fine salvò lo sventurato tizio. Fu
un’immagine molto divertente. Henny era un piccolo demonio!
“Rilassati, Leo”, disse Henny. “Valeva la pena spendere quattro dollari
per avere la tua attenzione”.
“Già, molto divertente”, disse Leo. “Dove hai preso la carne di manzo?”
“Allo Stage”.
“Allora niente sovrapprezzo”.
21 Per via della pressione atmosferica. [n.d.t.]
64 65
Leo Linderman era basso e affilato e gestiva gli affari con polso fermo.
I suoi camerieri erano dei veri personaggi, scherzavano e ti suggerivano
che cosa non ordinare. La cosa bella di Lindy’s era che, quando
avevo le pezze al sedere, me ne stavo a ciondolare lì fuori, sperando di
incontrare qualche comedian che avesse bisogno di materiale. E una
volta o due Leo venne fuori a dirmi: “Che cosa fai qui, ragazzo?” Era
dispiaciuto per me e ogni tanto mi regalava un sandwich. E quando
svoltai e cominciò a girarmi bene, lui non poteva essere più felice. Era
un uomo davvero rispettabile. E in più inventò, o meglio creò, la pietanza
più deliziosa che un uomo potesse desiderare. La celebre Cheesecake
di Lindy. Perché era così magnifica? Non lo so spiegare. In cima aveva
sempre ciliegie, mirtilli e fragole. E la sua crema era favolosa. Se ne
parli con Norma, vedrai i suoi occhi brillare.
Verso Henny ho sempre nutrito una forte riconoscenza per il modo
in cui mi trattava. Amavo il suo stile. Era assolutamente selvaggio, una
raffica continua di parole e battute.
Ogni sua storiella non aveva connessione con le altre; era più che altro
un concetto espresso brevemente, lo schizzo su una tela. Come quella
donna che chiede allo spazzino: “Sono ancora in tempo per la spazzatura?”
E l’uomo risponde: “Si, salta dentro”.
Quando Youngman mi disse che per i miei testi poteva spendere al
massimo duecento dollari, non ci potevo credere. Non avevo mai visto
duecento dollari tutti in una volta. Ricordo che avevo problemi a pagare
le bollette. Svolazzai fino al mio appartamento.
Poco dopo ricevetti una chiamata da Henny: “Il materiale è abbastanza
buono. Non ne userò solo un paio. Il resto va bene”.
Rantolai un “grazie” e mi misi felicemente al lavoro scrivendo qualsiasi
cosa che ritenessi avrebbe incontrato il suo stile e la sua approvazione.
Posso ancora vedermi mentre cammino per Broadway per andare da
Youngman, arrovellandomi nervosamente su cosa gli sarebbe piaciuto
di quello che avevo da offrirgli e se sarei stato pagato o se sarei rimasto
invece a bocca asciutta come tante altre volte in passato. Henny era
molto amato e tenuto in grande considerazione dagli altri comedian.
Milton Berle, Jan Murray e Shecky Greene amavano tutti Henny, e tutti
potevano fare imitazioni esilaranti di lui, le imitazioni più divertenti che
mi sia mai capitato di vedere.
Henny Youngman era un uomo unico nel suo genere, e che uomo.
Ma i tempi cambiano. Broadway si trasformò in un posto dove non si
poteva più camminare. Qualcuno ti urtava e poi ti svuotava le tasche. Divenne
un posto molto brutto. Leo Lindy morì e gli successe suo nipote che
incasinò tutto. Era un vero shmuck22 e non riusciva a farsene una ragione.
Come si racc onta la barzelletta
dello stuzzicadenti
IRV: Dovrei sculacciarti! Non puoi allungarla fino a farla diventare l’Antico
Testamento. Lasciala così.
IRV: Alla cassa di Lindy c’era una donna anziana e annoiata e dalla
voce stridula che aveva a che fare con i clienti più duri e furbi dalla
mattina presto alle due di notte. Era il personaggio a cui ero più affezionato.
Era di poche parole, andava dritta al punto ed era maligna in
modo delizioso. Una volta Broadway Sam andò alla cassa, mise giù il
suo conto da venticinque centesimi e si mise davanti alla scodella che
conteneva diverse migliaia di stuzzicadenti. Con la sua grossa mano ne
agguantò una manciata. Non appena lo fece, Miss Conto lo fissò con gli
occhi a fessura e gli disse: “Stai costruendo una casa?”
HANK: Irv, mio padre mi ha raccontato questa storia, solo che era
ambientata da Ratner, giù a Delancey.
IRV: Non so dove l’abbia sentita. Io l’ho vista da Lindy’s. L’ho sentita
da Broadway Sam. Io l’ho vista. Ratner non aveva personaggi del genere.
HANK: Prima di uscire, un tizio prende uno stuzzicadenti. Poi ne
prende un altro. La donna che lavora alla cassa gli dice: “A che ti serve,
ci costruisci una casa?” È un classico.
IRV: Non fa più ridere se prende soltanto uno stuzzicadenti. Fa ridere
solo se ne prende una dannata manciata! Non ci costruisci una barzelletta
con un secondo stuzzicadenti.
HANK: No?
IRV: È una brutta barzelletta.
HANK: Perché? Dimostra la sua taccagneria. Ci abbiamo riso un
mondo.
22 Termine di derivazione ebraica che significa “cretino”. [n.d.t.]
66 67
IRV: No. È un modo più debole di raccontarla. Perché non è abbastanza
visivo. Potresti giungere alla conclusione che lo stuzzicadenti si rompe
e lui ne prende un altro. Questo non è un gruber yingl. Sai cosa vuol dire?
Faresti meglio a imparare l’yiddish. Ti arricchirebbe come scrittore.
HANK: Gruber yingl?
IRV: Un yingl è un “giovane”. Un gruber è uno “sciattone”.
HANK: Che parola. Comunque, sto dicendo che se ne prendi uno in più...
IRV: Non è più una barzelletta!
HANK: Ma è su di LEI.
IRV: Ti dico che è una brutta barzelletta.
HANK: Dici che è su di LUI. È un’immagine.
IRV: Prendi la barzelletta. Mettila in bocca a Groucho. Il tizio fa così:
prende una manciata, forse duecento stuzzicadenti. Lei dice: “Cosa ci
devi costruire, una casa?” Se lui prende solo uno stuzzicadenti quel
commento è una sciocchezza. Si può concepire che se ne prende duecento...
non puoi concepirlo con uno stuzzicadenti.
HANK: Perché dovrebbe prenderne duecento?
IRV: Perché è un fottuto zozzone! Perché è gratis. E lei è sarcastica:
“Che cazzo credi di fare, costruirci una casa?”
HANK: Dal mio punto di vista è nell’altro modo.
IRV: Okay, bene. Vedo che dovrò controllare molto attentamente le
barzellette in questo libro.
HANK: Sono d’accordo sul fatto che la sua replica era in pratica una
battuta fulminante. Dimmi di più sulle battute fulminanti.
IRV: Richiedono qualcuno che ti prepari la battuta. Hope invece le
utilizzava nei suoi monologhi. Seaman Jacobs gliene ha scritti moltissimi.
E poi ne ha scritti anche per George Burns. Seaman23 ha novantatre
anni e ancora scrive.
HANK: Siete mai stati amici tu e Bob Hope?
IRV: Solo una volta ebbi a che fare con lui, agli inizi. Quell’anno
stava per diventare la stella di Ziegfeld Follies. Il capo della compagnia
Schubert mi ingaggiò per scrivere un paio di sketch per la rivista.
Così mi mandarono da lui, che era entusiasta che io scrivessi gli
sketch, tanto che dissi: “Si potrebbe avere una parte dei soldi in anticipo?”
Divenne bianco. Così dissi: “Lascia stare”. Non li scrissi mai. A
ogni modo stavo per andare sulla costa opposta per scrivere dei film.
Ricordo che fui sorpreso di sapere che Bob Hope era morto, perché
23 Seaman Jacobs è morto nel 2008. [n.d.t.]
non ci si cava denaro dalla morte. Soldi. Questa era la sua principale
motivazione. Veniva pagato anche per la beneficenza. Per la carità.
Che tipaccio. La gente di solito si aspetta che un performer lavori
gratis per aiutare le raccolte fondi, ma quando Hope era coinvolto gli
dovevano girare le buste sotto il tavolo. Questo riduceva le somme
della raccolta fondi, ma produceva il beneficio della sua presenza. La
sua immagine pubblica era splendida.
HANK: Ti ricordi di quando ha fatto i cento anni?
IRV: Quando Hope ha compiuto cent’anni, credi che gli abbia mandato
qualcosa? Merda. Fanculo a lui. Se avessi potuto faxargli merda l’avrei
fatto.
HANK: Stai parlando di Bob Hope.
IRV: Era uno stronzo. Attirava le folle, era un’icona, questo non
si discute. Come persona non era il massimo, ma il suo talento era
notevole. Era uno showman vivace e ha meritato quello che ha avuto,
l’attenzione del mondo. Era il comedian più popolare che l’America
abbia mai prodotto. Quello che faceva, lo faceva bene. Ed
eccoti qualcos’altro: Bob Hope – misantropo com’era – fece qualcosa
di buono per me. In affari, era un killer. Ma di fatto fu lui a
farmi entrare nello show business. Il momento fu quando Wolf
Kaufman di Variety entrò al Little Carnegie e mi disse che Hope
aveva usato un paio delle mie battute nel suo show al Loews State.
Wolf le aveva riconosciute come mie quando le aveva lette
sulla colonna del giornale di Walter Winchell. Così, abbastanza
curiosamente, Hope fu lo strumento che mi fece partire. “Nessun
uomo è un’isola”, scrisse Donne. Così vanno le cose. Quando
Hope morì, tutti erano lì a parlare di lui, ma io non mi feci avanti.
68 69
Il mickey mouse magazine
IRV: Penso che Topolino sia omosessuale.
Editor: Cosa?
IRV: Ha vissuto tutto questo tempo con Minnie.
Editor: E quindi?
IRV: Non è mai rimasta incinta!
IRV: Cominciavo a sentirmi frustrato nel vendere le mie gag alla più
spilorcia forma di vita umana, gli artisti di mezza tacca del vaudeville.
Ma un giorno del 1935 un addetto stampa che conoscevo mi diede una
dritta su un nuovo magazine pubblicato da un uomo di nome Hal Horne.
Horne era il capo della comunicazione della United Artists Pictures che
distribuiva cartoon a una bobina24 di Topolino. Disney gli aveva dato la
licenza per far partire il magazine del Topo.
A quel tempo, l’unica cosa che Walt Disney produceva per le case
cinematografiche era Topolino. I cartoon erano una vera attrazione!
Molto popolari, erano a colori, e facevano ridere la gente, sebbene non
si potesse ancora immaginare che da quell’esordio Walt Disney sarebbe
divenuto un gigante.
Riuscii a incontrare Horne dopo qualche tentativo. Era un tipo affabile
sulla quarantina. Disse che stava cercando autori di storie per quello
che sarebbe stato un mensile “rivolto ai bambini e realizzato per essere
divertente”. Provai a impressionarlo con le mie credenziali – poco impressionanti
in effetti – menzionando Berle, Youngman e Hoot Gibson.
“A quale college sei stato?”, mi chiese.
Dissi che ero andato alla Columbia, alla NYU, al CCNY e alla
Fordham.
“Spettaunminuto. Come mai hai cambiato tutte quelle scuole?”
“Ci andavo a vedere le partite di football. Se perdona il linguaggio,
non mi sono mai, per così dire, immatricolato”.
Iniziò a ridere e disse: “Sei assunto. Cinquanta dollari a settimana.
Per ora, tu capisci. Finché non vediamo come va”.
Il giorno seguente mi presentai agli uffici del magazine al 545 della
Fifth Avenue. Il French Building. Era un’esperienza completamente
nuova. C’era un certo tizio al posto di comando, Mr. Pugh, ma non so
24 Agli albori del cinema i film a una bobina erano cortometraggi della durata massima
di dieci minuti. [n.d.t.]
dire cosa sembrasse comandare. C’era una coppia di persone che disegnava
cartoni di Topolino e Minnie. Conobbi Kay Kamen. Avrebbe fatto
la Storia sviluppando un’intera nuova industria con il merchandising
dei personaggi della Disney, creando il giornale di Topolino, gli orologi
di Topolino, gli spazzolini, le ciotole per cani, la carta da parati per gli
asili e Dio sa cos’altro. Le capacità di Kamen erano molteplici, e oltre
a macinare miliardi per la Disney serviva una serie di altre compagnie.
Io e Kay diventammo buoni amici e mi si spezzò il cuore quando morì
con sua moglie in un incidente aereo nelle Azzorre. Kay era un genio.
Poi spuntò il tizio con il quale Hal Horne mi disse che avrei collaborato:
un uomo che in pochissimo tempo divenne il mio migliore amico. Era
un piccolo scrittore di Philadelhia, miope e completamente calvo, di
nome Abe Lipshultz. Uno dei primi lavori editoriali che feci per conto
di Horne fu riscrivere il suo nome in Alan Lipscott (Horne si rifiutava di
ammettere quello che noi sapevamo: Disney non era un fan degli ebrei).
Io e Lipscott scrivemmo storie, film satirici con attori come “Clark Bagel”
e cose di questo tipo, pezzi da magazine umoristico universitario,
storie piene di spirito che erano divertenti solo per gli adulti.
La vita del magazine fu breve, ma nel frattempo la mia cambiò radicalmente.
Vivevo nella zona nord del Bronx, in una topaia di appartamento.
Lipscott viveva al Mayflower Hotel a Central Park West. Aveva una
stanza e un bagno per trentacinque dollari al mese. Una volta, quando
mi lamentai del lungo tragitto che mi toccava fare in metropolitana dal
Bronx, si offrì di condividere con me la sua tana. Pagavo quindici dollari
al mese. Era una pacchia. Potevo camminare fino all’ufficio del giornale
e per trentacinque centesimi godermi un banchetto all’Automat,25
dove mi piacerebbe andare ancora oggi se ce ne fosse uno.
Lipscott aveva passato i trenta da un pezzo mentre io avevo ventun
anni. E dal momento che lui mi offriva l’opportunità di vivere con
stile, cercai di essere il più accomodante possibile. Questo significava
che due o tre volte a settimana, nonostante fossi stanchissimo, non potevo
tornare all’appartamento fino alle undici o mezzanotte, perché il
mio amico, sebbene molto poco attraente, era un esperto nell’attrarre
donne che apprezzavano certe attenzioni nei modi giusti. Se chiedevi
25 In voga a New York negli anni Trenta e Quaranta, gli Automat erano fast food
automatizzati, posti in cui cibi e bevande venivano emessi da distributori previo
inserimento di monetine. [n.d.t.]
70 71
a Lippy perché gli piacesse vivere al Mayflower, lui rispondeva: “Perché
è da qui che passano”.
Un altro motivo per il quale il Mayflower era celebre era che qui
abitava Joe DiMaggio. Era all’apice dalla sua fama, la più grande stella
yankee dai tempi di Babe Ruth, e dalle poche volte che lo vidi in hotel,
la sua testa andava a braccetto con la sua media battuta.26 A meno che
non ci fosse in giro qualcuno della stampa, si dimostrava burbero e pretendeva
attenzioni particolari dalla reception.
Era un periodo di povertà per tutta l’America. Le persone come
DiMaggio non ne soffrivano. Godeva di quella popolarità alla quale i
grandi atleti, naturalmente, sono destinati. Pensavo fosse bello vivere
nello stesso edificio di una grande star, anche se a noi toccava vivere
come cani.
Ebbi l’occasione di vedere il vero DiMaggio in un pomeriggio di
pioggia. Per evitare l’acquazzone presi una scorciatoia attraverso il negozio
di fiori che si trovava all’interno dell’edificio dell’hotel. Salutai
la piccola signora italiana, una vedova che lottava per tirare su quattro
figli. Improvvisamente capii che si stava asciugando gli occhi. Stava
piangendo. Quando le chiesi che cosa non andasse, lei scrollò le spalle
e disse: “Oh niente, va tutto bene...”
Ma io insistetti. Era sempre stata carina con me. A volte mi dava un
fiore avvizzito di quelli avanzati. Mi dispiaceva per lei. Non le ho mai
comprato dei fiori, anche perché non avevo nessuno per cui comprarli.
Finalmente disse: “Ve lo dico, non lo dite a nessuno?”
“Prometto”.
“Il signor DiMaggio viene qui e dice che vuole una dozzina delle rose
migliori. Io ne sono contenta. Una dozzina. E gli dico «Grazie». Poi lui
prende carta e penna. Io ripeto «Grazie mille, fanno tre dollari». Ma lui
prende la penna e scrive. Questo è quello che mi ha dato”.
Era il suo autografo su un biglietto. Lui le disse che quello era meglio
dei soldi. In quel momento smisi di essere un fan di DiMaggio. È stato
un brutto fallo.
HANK: Chi era il tuo giocatore di baseball preferito?
IRV: Mel Ott dei Giants. Era un grande centrocampista e colpitore di
fuoricampo.
HANK: E il Mickey Mouse Magazine fallì?
26 Nel baseball, la media battuta di un giocatore è la statistica che descrive la percentuale
di battute valide sul totale delle volte che è stato in battuta validamente. [n.d.t.]
IRV: Il ratto ci scaricò. Non mi piaceva scrivere di Topolino e Minnie,
così un giorno andai a parlare con Hal Horne. Con la mia migliore faccia
di bronzo gli dissi: “Hal, non mi trovo molto bene a scrivere di questi
personaggi. Credo che Topolino sia omosessuale. Vive con questa
femmina topo e non combina nulla! Lei non è mai rimasta incinta. Non
dovremmo farli divertire un po’? Magari fargli avere qualche topastro?
Horne saltò in piedi, livido. Disse: “Sei pazzo?” Vuoi farmi distruggere
Walt Disney! Esci di qui!”
Feci per andarmene ma mi fermai e dissi: “Ho un’altra idea, Hal.
Perché non gli facciamo adottare un gatto?”
Comunque, nessuno comprava il magazine. Così il Mickey Mouse
Magazine si rivelò un disastro e Hal Horne un completo fallimento
come editore.
Ma devo qualche cosa a Horne. Una volta mi portò fuori a pranzo
da Lindy’s e mi presentò Goodman Ace, che era il protagonista di
uno show radiofonico tutto suo, The Easy Aces. I quindici minuti di
show consistevano in questa coppia che amava fare commenti spassosi
mentre giocava a bridge. Quello sì che era uno show! Era estremamente
popolare perché Goodman era molto pungente. Lo show
si dimostrò popolare al punto che la Educational Films scritturò i
coniugi Ace per fare una serie di cortometraggi da una bobina, ma
Goodman era troppo occupato con lo show radiofonico per occuparsi
della stesura dei testi e così ingaggiò Alan Lipscott e il sottoscritto
per scrivere tredici corti.
Era la grande occasione verso il successo. Consisteva in Goodie
e Jane che guardavano un documentario e facevano osservazioni divertenti.
Lui faceva la parte del marito paziente, Jane interpretava
l’ottusa Dora, una sorta di discepola della scuola per cervelli di gallina
di Gracie Allen27 che faceva commenti divertenti ai quali Goodie
ribatteva seccamente, e con grande humor, nella sua maniera impeccabile.
La portarono in teatro prima di avere successo al cinema, e io
e Alan ottenemmo duecentocinquanta dollari per ogni corto da dieci
o dodici minuti.
27 Gracie Allen è stata la moglie di George Burns, con il quale formò – agli inizi
della carriera nei teatri di vaudeville, alla radio e anche al cinema – una coppia
comica formidabile in cui George interpretava l’uomo posato e Gracie una donna
frivola. [n.d.t.]
72 73
Quella fu la prima volta in cui mi cimentai con la scrittura cinematografica
e il più lucrativo lavoro mai fatto fino a quel momento.
Goodie era allo stesso tempo il critico teatrale del Kansas City Star.
Una volta scrisse un pezzo che diceva: “Ho dovuto recensire questa
commedia in condizioni sfavorevoli. Il sipario era alzato”. E sulla commedia
I Am a Camera scrisse: “Non è una Leica”.
Così credo che il Topo portò a qualcosa di meglio. Sai, se avessi questi
giornali di Topolino oggi, varrebbero una dannata fortuna.
Eve
IRV: All’inizio del 1936, quando il Mickey Mouse Magazine era tenuto
ancora in vita artificialmente, Horne, che ovviamente non era William
Randolph Hearst,28 decise che una sezione sulla moda con articoli
sui vestiti per bambini avrebbe attratto più lettori. Mi disse di fare un
colloquio con il fashion editor di Parents Magazine.
Non fu semplice. La donna che entrò nel nostro piccolo ufficio era
favolosa. Alta e amabile, la valutai sui trentacinque anni, con una bellissima
chioma bianca. Ero così colpito da lei che balbettai a malapena
il mio nome. Disse di chiamarsi Eve Bennett. E io le credetti. Avrei
creduto a qualunque cosa questa bellezza mi avesse detto.
Era sexy ma con molta classe, calata in un lungo cappotto di visone e
con una voce come il velluto, con una leggera sfumatura del sud.
Feci alcune considerazioni insignificanti che erano a malapena domande.
Ma dissi anche qualcosa che la fece ridere.
Chiaramente non era travolta dall’idea di poter lavorare per il Mickey
Mouse Magazine.
Ma fui io a essere travolto: mi innamorai. Quando si alzò per andare e
mi diede il suo biglietto da visita, fui tentato di seguirla ovunque.
Non riuscivo a togliermela dalla testa. Per settimane continuai a fantasticare
sulla bellezza di quella creatura in cappotto di visone: pensavo
fosse già sposata o l’amante mantenuta di qualche magnate.
Una notte giacevo disteso, immaginandola di fianco a me, ma non al
Mayflower perché nell’altro letto ci sarebbe stato Lippy. No, la immagi-
28 Celebre editore statunitense che ha sdoganato il giornale facendolo diventare un
mass media. [n.d.t.]
nai con me sulla sabbia di un’isola deserta o sul ponte di un transatlantico.
Vi risparmio tutto questo fantasticare, ma tutto ciò avvenne davvero.
Dopo un paio di uscite della versione più mondana del Mickey Mouse
Magazine, un sabato stavo facendo colazione all’Automat, il posto
giusto per qualcuno che guadagna cinquanta dollari a settimana. Non
ne potevo davvero più. Così vinsi la timidezza di fondo che ho sempre
avuto con le donne e usai il telefono a gettoni.
Il nichelino che buttai dentro fece il suo dovere. Miss Bennett rispose
allo squillo con la stessa voce soave che avevo riascoltato nella mia
testa per mesi.
“Pronto?”
“Pronto”, dissi. “Sono Irving Brecher. Ci siamo incontrati al Mickey
Mouse Magazine”.
“Oh sì, mi ricordo”.
Riuscii a dire qualcosa sul fatto che non era stata ancora presa alcuna
decisione riguardo alla sezione moda per il magazine. Mi ringraziò e
poi osai dire: “Mi piacerebbe portarla fuori a cena, sempre che non
abbia un marito geloso”.
Lo ricordo come fosse successo un minuto fa.
Ero in un lago di sudore.
Ci fu una pausa, poi lei disse: “Non c’è nessun marito”. Iniziò così.
La gente non poteva credere che avevamo una relazione, per via della
differenza d’età. Lei aveva trentasei anni, io ventuno. Ero pazzo d’amore.
Non si era mai sposata, complici un paio di storie che l’avevano
delusa. Ma ti dirò una cosa: fu molto difficile convincerla a sposarmi.
Eve mi trovava molto divertente. Ma aveva un gran bel lavoro al Parents
e faceva molti più soldi di quanti ne facessi io, dal momento che
portava a casa settecento dollari al mese con il suo lavoro al Parents più
un altro lavoro extra come consulente di moda. E quella era un’epoca in
cui la maggior parte delle donne veniva fortemente sottopagata.
Incontrare Eve mi portò fortuna. Aveva una gran fiducia nell’astrologia
e nella numerologia, cose di cui io non sapevo nulla. La prima
volta che la portai fuori a cena parlammo di teatro e cinema e lei riuscì
a farmi dire quali erano i miei obiettivi. Dissi che ne avevo due: uno è
scrivere film e l’altro è “un giorno sposare qualcuno come te, anzi mi sa
che devi essere proprio tu”.
Rise. Non era una di quelle oche che ride a tutto quello che dice il proprio
cavaliere. Con Eve, se non era divertente, niente risate. Poi lei pre74
75
disse il mio futuro con la numerologia. Ogni lettera del proprio nome
corrisponde a un numero differente, partendo da questo presupposto lei
calcolò su un foglietto di carta che il mio era il 9.
“È un numero perfetto per avere successo”, disse sorridendomi.
Ci incontravamo tutte le volte che lei acconsentiva e io ignoravo bellamente
i suoi educati commenti che tra noi non avrebbe mai funzionato.
E invece funzionò per i quarantadue anni e mezzo di un matrimonio
che ebbe momenti meravigliosi e periodi difficili finché non la trovai
una mattina con quel suo sorriso magnifico, addormentata per sempre.
Una donna alla quale nel 1943 era stato detto che le restavano cinque
anni di vita e poi visse per altri trentasette anni e mezzo. Semplicemente si
rifiutò di morire per un cancro al seno. Si comportava come se non lo avesse.
E per anni confortò e aiutò altre donne che soffrivano di questa malattia.
Morì di attacco di cuore. Qual è il modo migliore per affrontare la tristezza,
tsuris, nella vita? Io sono uno degli uomini più apprensivi che ti capiterà
mai di conoscere. Ho scoperto che non mi ha mai risolto un problema. Le
cose di cui ti preoccupi di più, sono quelle che accadono meno spesso.
Ma la sorpresa vi lascerà davvero di stucco.
Ho ancora quel pezzo di carta con il numero 9. Sto ancora aspettando
il successo.
Radio Milton
“Una persona rara. Come scrittore non ha davvero eguali.
Di superiori, certamente...”
- Berle al settantacinquesimo compleanno di Brecher
Nel gennaio del 2005, all’età di 91 anni, Brecher viene ingaggiato
per una conferenza. L’Oasis Center, nel centro commerciale Westside
Pavilion, lo ha invitato a tenere uno dei suoi seminari per anziani.
“È in cima allo shopping center dove c’è Nordstrom”, spiega a Norma.
“Ci saranno soprattutto donne tra i sessanta e i novant’anni. Hanno
un grande salone. Mi hanno detto che ci sono anche un po’ di dollari
per me. Cinquanta dollari. Gli ho risposto: «Li userò per portare fuori a
cena una di quelle donne»”.
Norma ride.
“È organizzato dal National Jewish Fund”.
“Dal Jewish Family Services” lo corregge Norma.
“Jewish Family Services. Pensavo che sarebbe divertente fare ancora
dello stand-up. Ora devo vivere fino a marzo”.
Due mesi dopo, di fronte a circa quaranta persone raccolte dentro la sala
comune del Westside Pavilion, al terzo piano, subito fuori dal reparto valigie
dei magazzini Robinsons-May, Irving S. Brecher (come l’Oasis lo riportava
sul programma) si esibisce per due ore raccontando aneddoti, gag
e improvvisando sulle differenti età dell’oro che aveva vissuto di persona
a Hollywood. Fa una spiritosa imitazione di Samuel Goldwyn, una comica
camminata accovacciata in stile Groucho, un fischio tra i denti alla Jackie
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Gleason, una ricostruzione di come Herman Mankiewicz vomitò davanti
agli invitati di una cena negli anni Quaranta. In altre parole, ci ammazza.
Lo show continua anche dopo, al Junior’s Deli dall’altra parte della strada.
Lì, davanti a un caffè, a me, a un mio amico, a Norma e al suo amico
Eddie Marx, regala ulteriori quarantacinque minuti su Robert Wagner, Ernie
Kovacs, Carole Lombard, Spencer Tracy e Edward G. Robinson.
Pochi giorni più tardi, nel suo ufficio, gli chiedo se abbia imparato a
fare stand-up guardando Milton Berle negli anni Trenta.
“No”, risponde. “Ho iniziato cazzeggiando al club”. Intende
all’Hillcrest.
IRV: Come ti ho detto, Eve mi portò fortuna. Pochi mesi dopo che ci
incontrammo feci il grande salto. Nel 1936 Berle stava viaggiando per
il Paese portando di teatro in teatro lo stesso repertorio che sfoderava
da due anni. Io e Alan Lipscott avevamo finito di scrivere i corti per
Goodman Ace e facevamo lavoretti scrivendo gag. Per esempio, fummo
ingaggiati per uno show radiofonico chiamato Follies de Bergere.
La protagonista era Fifi D’Orsay, che nel 1929 aveva fatto la bisbetica
nel film Hot for Paris diretto da Raoul Walsh. In radio divenne Mademoiselle
Fifi. Lo spettacolo comprendeva Willi e Eugene Howard, due
fratelli molto popolari nelle riviste di Broadway, che facevano spettacoli
con titoli come George White’s Scandals. Nomi così.
Mi piaceva Willie, un comico dalla piccola faccia triste e dal naso
aquilino, sul mio taccuino era il più divertente tra i comici per i quali
avevo lavorato o che avevo visto in azione, con l’eccezione di Charlie
Chaplin. Eugene era fortunato ad avere Willie come fratello, perché non
aveva talento. Ma avevo saputo che Willie aveva rifiutato offerte pur di
non abbandonare Eugene. Era un tipetto dolce ed era una gioia scrivere
per lui. Ho ancora qualcuno dei suoi dischi di canzoni divertenti. Willie
Howard aveva un classico del suo repertorio che si chiamava The French
Lesson. Insegnava il francese, ma utilizzando l’yiddish. Io e Lippy scrivemmo
una lezione di francese per ciascuno degli show radiofonici di
Fifi. Ma il programma attirò pochi ascoltatori e io sono probabilmente
l’unico in vita a ricordare quanto fosse divertente Willie Howard...
Poi arrivò una chiamata da Berle. Avevamo litigato perché lui si era
rifiutato di pagarmi una cifra ragionevole per le poche volte in cui mi
aveva chiamato a scrivergli i testi per le ospitate in qualche show radiofonico,
tipo quelli di Rudy Vallee o Fred Waring.
Disse: “Hai letto di David Freedman, vero?”
Sicuro che l’avevo fatto. Al tempo David Freedman era lo scrittore
di gag radiofoniche numero uno. Aveva scritto tutti gli show di Eddie
Cantor e adesso era in causa con lui per un mucchio di soldi. Ho dimenticato
i dettagli, ma Freedman cadde stecchito in tribunale nel bel
mezzo del processo. Fu scioccante.
“Sì”, dissi a Berle. “È terribile”.
“Sì”, disse. “Doveva scrivere un episodio pilota per me. Se dovesse
andar bene, mi aspettano tredici settimane sullo Yankee Network – fuori
Boston – e se funziona avrò cinquantadue settimane sulla CBS. Un
network nazionale. Roba grossa. Farai il pilota per me?”
Feci il riluttante. Ma quando menzionò i 250 dollari a settimana, dissi:
“Ho un socio. Lo conosci, è Alan Lipscott”.
“Voglio solo te”.
Dissi che avrei parlato con Alan, cosa che feci, e non fu facile.
Alan mi rassicurò che era tutto a posto (Era molto generoso e gentile.
Ma la parte bella è che nel 1940 ci riunimmo perché lo chiamai come
sceneggiatore dello show radiofonico di The Life of Riley).
Chiamai Berle. “Milton”, dissi. “Farò il pilota, ma prima di stringerti
la mano voglio un contratto che garantisca tutto quanto mi hai promesso,
incluso il tuo accordo con lo sponsor. A proposito, chi è lo sponsor?”
“I rasoi Gillette. Bravo Irv. Il primo spettacolo è domenica”.
“Domenica l’altra?”
“Questa domenica. Voleremo a Boston venerdì perciò inizia a scrivere
per carità di Dio”.
Era martedì.
Dissi che non ero preoccupato per la sceneggiatura. Quello che mi
preoccupava era il volo. Non avevo mai volato.
“Non mi piace nemmeno prendere l’ascensore”, gli dissi.
“Non c’è da aver paura”, rispose Berle. “Ti piacerà”.
“Preferirei aspettare finché non avranno abrogato la legge di gravità”.
Spesi i due giorni successivi a cercare di sviluppare qualche idea, ma
non andavo da nessuna parte perché la prospettiva di entrare in un aeroplano
mi stava devastando. E non potevo confessare a Eve che ero quello
che ero, un codardo. Quando le dissi che avevo questo grosso affare fu
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entusiasta per me. Poi quando le dissi che dovevo volare per tutto il tragitto
da New York a Boston, lei disse: “Oh, grandioso. Adoro volare”.
Ecco la donna che amo che mi fa sentire un idiota.
Poi venne il momento di stringere i denti.
Nel 1936 gli aerei all’aeroporto Idlewild non avevano lo stesso aspetto
di quelli di oggi. Quello per Boston era molto piccolo e aveva due
eliche. I Fratelli Wright ce lo prestarono per il viaggio. Milton provò
a calmarmi perché, egocentrico com’era, capiva che nello stato in cui
ero – bianco come un fantasma, chiaramente in panico – ero sul punto
di dire: “Non ci vengo. Strappa il contratto”.
In qualche maniera mi armai di coraggio e salii i gradini per imbarcarmi
in quella trappola mortale. Ho forse già detto che stava piovendo?
Sicuramente la pioggia avrebbe reso impossibile la visuale al pilota.
Beh, almeno una volta caduti non avrei più dovuto pensare a cosa scrivere.
In qualche modo crollai su una poltrona, di fronte a Berle. A quei
tempi i posti non erano tutti rivolti in avanti. A scopo di socializzazione
erano disposti come in un treno, alcuni guardavano il retro, altri la parte
frontale. Credo che fosse così perché quando si cadeva si poteva atterrare
uno sull’altro, per ridurre l’impatto.
Quando l’assistente di volo mi allacciò gentilmente la cintura, mi feci
forza ripensando nella mia testa ai ragazzi che conoscevo, i miei amici,
chiedendomi quali avrebbero portato in spalla la mia bara.
Me ne stavo lì tremante nel mio impermeabile. Udii il motore tossire
e finalmente calmarsi e iniziare a rollare. Lo chiamano rullaggio.
L’assistente di volo che stava ricoprendo di attenzioni Berle – blaterando
senza sosta di averlo visto durante un’esibizione in qualche
nightclub di Broadway – ci chiese se volessimo pranzare. Io feci cenno
di no e Milton disse: “No, grazie tesoro. Ho fatto un’abbondante
colazione!” (A quei tempi non servivano drink a bordo; ti davano una
gomma da masticare per farti stappare le orecchie. Non ti facevano
pagare nulla per questo, e io pensavo che fosse generoso da parte di
American Airlines).
Improvvisamente il mio stomaco sobbalzò quando sentii l’aeroplano
decollare dalla pista e andare incontro al disastro.
I comedian possono essere molto premurosi quando hanno bisogno
di materiale. Berle era molto preoccupato dal mio aspetto atterrito. Si
sporse in avanti e mi diede un buffetto sul ginocchio mentre il velivolo
si muoveva spaventosamente su e giù.
“Stai tranquillo”, disse. “Respira profondamente. Lasciatelo dire, io
volo sempre. È il solo modo per poter viaggiare”.
Poi incappammo in una serie di vuoti d’aria, seguiti da improvvise
risalite.
Poi Berle mi vomitò addosso.
Per fortuna indossavo l’impermeabile.
In qualche modo tenni duro per il resto del viaggio. Se ricordo bene,
non ci schiantammo.
Invece arrivammo in stato di agitazione al Parker House Hotel.
Non ricordo molto dell’episodio pilota, tranne che faticai molto sulla
sceneggiatura e che mi ritrovai in uno studio radiofonico, quella domenica
sera, ad ascoltare il pubblico che rideva alle battute di Berle.
Il programma si chiamava The Gillette Community Sing. Un titolo
schifoso, terribile. Il mio contributo fu di circa venticinque minuti dei
quarantacinque totali dello show. Il resto consisteva in una performance
musicale di Wendall Hall e degli Happyness Boys. Wendall Hall era un
cantante e chitarrista country. I Boys erano famosi nel vaudeville – erano
Billy Jones e Ernie Hare – ed erano noiosi da morire.
Dopo lo spettacolo il capo della comunicazione di Gillette, un tipo
paterno di nome Charles Pritzger, mi diede una pacca sulla spalla e mi
fece molti complimenti. Facemmo altri dodici programmi e... boom! In
ottobre andammo in onda di domenica sera sulla CBS. Pritzger divenne
un nostro fan, e si spinse così in là da procurarci un aumento di paga.
Fece in modo che la Gillette mi pagasse per scrivere uno stacco
pubblicitario comico al trentesimo minuto di ogni show. Era qualcosa
di nuovo per la radio. Per esempio, c’era una giovane cantante
carina nello show, Eileen Barton, che ebbe una buona carriera, e
cantò pure con Frank Sinatra. La chiamavo “Jolly Gillette”, la figlia
dello sponsor, dell’età di sette anni, che disturbava Berle. Eileen interpretava
la bambina precoce che rovinava la reputazione della star
generando grandi risate. Lo show veniva diffuso dal vecchio CBS
Hammerstein Theater in centro a Manhattan. Il cartellone diceva:
Milton Berle e la Gillette Comm unity Sing e ogni sabato sera c’era
gente ad assistere. Gratis, ovviamente.
Quando lo show andava in onda, credo alle sette di sera in tutto il paese,
lo registravamo in studio su un enorme piatto di acetato da 33 giri. Per i
posteri, o da ascoltare il giorno seguente. Qualunque cosa venisse prima.
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Ma lo spettacolo non divenne mai quel genere di hit che noi avevamo
ovviamente sperato diventasse. Di nuovo, chi può spiegare il gusto
di un pubblico? Penso che, grande com’era come stand-up comedian,
Berle si esibisse un po’ troppo velocemente alla radio per la gente
là fuori in ascolto nel cuore del Paese. Oppure può essere che risultasse
troppo newyorchese. Che significa ebreo. Ma io scrissi lo show
per cinquantadue settimane, alcune delle quali trascorse in California,
dove mi sarei trasferito.
In quel periodo i programmi erano in genere scritti da uno o massimo
due o tre autori. E Gillette mandava in onda appena tre minuti di
annunci sui trenta dello show. Oggi trovo divertente che su mezzora di
programma televisivo gli spot siano di otto minuti. Poi guardo i credit e
dopo i nomi di quattro o cinque autori inizia la parata: un coproduttore,
il produttore associato, l’associato del produttore, l’associato del cocoproduttore.
In altre parole, un mucchio di cocò e cucù.
La ragione per cui TV e radio sono così piene di quelle cazzo di
pubblicità soporifere è perché il presidente ‘Cazzone’ Reagan, amico
delle grandi corporazioni, ha deregolamentato ciò che l’FCC29 aveva
stabilito: regole rigide per limitare l’ammontare degli spot a tre minuti,
perché tutti i venditori ambulanti e gli imbroglioni che proponevano le
loro merci stavano utilizzando uno spazio pubblico. Sai cos’ha scritto
Art Buchwald sulle Reaganomics? Aveva un’opinione molto bassa di
Reagan come presidente, e disse qualcosa del genere: “Non sarebbe
mai diventato presidente se Jack Warner, una volta soltanto, gli avesse
permesso di farsi la ragazza del film”.
Il West
“Rusty, l’ovest non mi piace. La gente è buona solo ad ammazzarsi.
Preferirei che l’ovest fosse a est”.
- Chico Marx aka Joe Panello ne I Cowboys del Deserto
Mi sarebbe piaciuto condurre, assieme a Brecher, un nostro show radiofonico
privato, pieno di musica e monologhi divertenti. Entrambi
amiamo la magia del mezzo quanto amiamo quella dei film. Dopotutto,
alla radio “i film sono meglio”. Ci andammo vicini con un pezzo per
29 Federal Communications Commission. [n.d.t.]
la National Public Radio, All Things Considered, durante il quale assistemmo
a una proiezione di un musical della MGM, Mademoiselle du
Barry30. Il nostro debutto radiofonico catturò le reazioni di Brecher nel
guardare il suo film sessanta anni dopo averlo scritto. Puoi ascoltarlo
con le tue orecchie visitando il sito IrvBrecher.com.
Fu scrivendo lo show Gillette per Milton Berle che Brecher finì per la
prima volta sulla Costa Ovest. Berle venne scritturato dalla RKO come
protagonista di un film intitolato New Faces of 1937, così l’intero cast
del Gillette Community Sing si spostò in treno per fare lo show radiofonico
a Hollywood finché Milton non avesse terminato le riprese del film.
IRV: Un viaggio di tre notti da New York alla California era qualcosa
di memorabile per un bambino abituato a corse da pochi centesimi
lungo il Bronx. Prendemmo il celebre treno Twentieth Century da New
York a Chicago e poi cambiammo per il Santa Fe Super Chief. Una
sera, dopo aver banchettato con le trote di montagna appena pescate,
portate a bordo in Colorado, Milton ci radunò tutti quanti. Disse che
voleva cantarci una canzone. Le strofe erano prese dalle parole presenti
sopra il lavandino in ogni bagno dei treni: per favore non usare lo
scarico quando il treno è fermo in stazione. Era un tentativo galante,
in genere scritto su una placchetta, per mantenere le stazioni il più profumate
possibile, perché tutto quello che scaricavi finiva sulle rotaie.
Berle ci fece sedere nel vagone bar e cantò: “I passeggeri per cortesia
facciano attenzione / si trattengano dal tirare lo sciacquone / mentre il
treno è fermo alla stazione / Vi amo...”
Una canzone perfetta per la Shit Parade. Ma dal momento che Berle
aveva la reputazione di rubare materiale, potrebbe non aver composto
lui i testi. E dubito che lo abbiano fatto Cole Porter o Irving Berlin.
Ma quella canzone divenne la ragione per la quale quindici anni dopo
divenni nemico giurato del boss degli studi Paramount.
[Brecher racconta la storia successiva come se fossimo davvero su quel
treno diretto in California, in quei giorni emozionanti di tanti anni fa]
30 DuBarry Was a Lady, regia di Roy Del Ruth (1943).
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Nel 1952 stavo scrivendo e dirigendo per la Paramount il musical
Qualcuno mi Ama31 con Betty Hutton. Il capo degli studios era Y. Frank
Freeman, il che era un bel mistero. Era un tipo del profondo Sud, un
asettico analista di numeri scelto dai proprietari terrieri verso i quali la
Paramount era in forte debito. Parliamo di milioni. Il film preferito di
Freeman era probabilmente Nascita di una Nazione32 e sono sicuro che
facesse parte del Klan. Non aveva nessun talento per produrre film ma
questo non lo fermò. Il suo accento e le maniere cortesi gli conferivano
un’aria di autorità e naturalmente noi impiegati gli portavamo il massimo
rispetto. Il mio grande errore fu quello di voler essere divertente con
un pesce lesso come Freeman.
Stavo pranzando a un tavolo con Dinah Shore e Robert Merrill. A sorpresa,
Freeman ci raggiunse e chiese educatamente se poteva unirsi a noi.
“Ma certo”, dicemmo in coro e lo accogliemmo con grande calore.
Adoro Dinah, era una splendida ragazza ebrea. E Merrill, che cantante
di opera straordinario. Freeman si sedette e la conversazione virò sul
tempo, sul mercato azionario e sulla siccità giù al sud che aveva seriamente
compromesso una piantagione di sua proprietà, credo in Alabama,
ma non sono sicuro.
Tutto stava filando liscio quando Dinah disse qualcosa che portò al
disastro. Dinah raccontò che sarebbe partita quella sera per fare uno
show di varietà a New York la domenica seguente.
Freeman disse: “Ti invidio. Trovo molto piacevole viaggiare in treno”.
“Anche a me piace, ma volo con la TWA”, disse Dinah.
Freeman continuò con la sua predica: “Trovo triste che le ferrovie
stiano cominciando a scomparire. Niente mi piace di più di quelle meravigliose
cene a bordo del Twentieth Century o del Super Chief . E che
servizio. Oh si, nessuno è migliore di quei camerieri. Questi neri sanno
fare il proprio mestiere”.
Come un idiota, aprii bocca.
“Sono d’accordo, Mr Freeman”, dissi. “Sono bravi camerieri. Pochi
mesi fa, mia moglie ed io stavamo tornando dalla California a bordo del
Super Chief. Mentre eravamo nel vagone ristorante lei disse che appena
arrivati a casa avrebbe dovuto iniziare a cercare una cameriera, perché
la nostra era andata in pensione ed era tornata in Messico. Un cameriere
che aveva udito tutto quanto, molto molto educatamente si presentò
31 Somebody Loves Me, regia di Irving Brecher (1952).
32 The Birth of a Nation, regia di David Wark Griffith (1915).
come Eddie Dauzer e disse: «Chiedo scusa, ho sentito che state parlando
di cercare una cameriera. Beh, mia moglie Stella sta cercando un
lavoro e potrebbe fare al caso vostro»”.
Così, tornati a casa, mia moglie chiamò a colloquio questa Stella.
Disse che le sarebbe piaciuto avere il lavoro. E noi dicemmo OK. Ma
poteva accettarlo, disse, solo se noi avessimo accordato il permesso a
suo marito di dormire nella camera della cameriera nelle notti in cui non
lavorava sui treni. Per noi non c’era nessun problema”.
Freeman disse: “Siete stati molto fortunati. Vi serviva la cena?”
“Sì”, dissi. “Ma non ha funzionato. Abbiamo dovuto lasciarli andare via”.
“Che cosa è successo?”
“C’era un problema. Eddie non riusciva a scrollarsi di dosso le abitudini:
non tirava mai l’acqua del bagno quando la casa era ferma”.
Dinah e Merrill scoppiarono a ridere. Freeman, sentendo di essere
stato preso in giro, finì la cena, si alzò e se ne andò. Ma non prima di
avermi lanciato uno sguardo glaciale e di aver detto: “Lieto di essere
stato d’aiuto. È stato molto divertente”.
La cosa meno divertente fu che alla Paramount, che mi aveva opzionato
per un altro film, non mi richiamarono più.
Comunque, tirai sciacquoni per tutto il tragitto lungo il Paese quando
Berle ci portò a Hollywood, da dove facevamo la trasmissione radiofonica
della domenica e lui poteva fare il suo film. Non dimenticherò mai
come fui investito dal profumo degli aranceti quando scesi del treno. Un
aroma che ti stordisce.
Avevamo un paio di giorni liberi prima che iniziassero le riprese del
film, e io avevo terminato sul treno la sceneggiatura per il successivo
show radiofonico, così Berle mi invitò ad andare a Palm Springs. Gli
Studios ci misero a disposizione una macchina con autista e mi ritrovai
in un paradiso. Questo posto non aveva niente a che fare con il Bronx. E
Palm Springs non aveva niente a che vedere con Coney Island, a parte la
grande quantità di sabbia. Trascorremmo un paio di giornate monotone
a prendere il sole e a guardare le lucertole accoppiarsi. Io e Milton giocavamo
a gin, nuotavamo e non vedevamo l’ora di ripartire.
Berle viveva in un hotel di Hollywood e la sua segretaria mi aveva sistemato
in una stanza con bagno al Rossmore-Clinton, un vecchio resi84
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dence alla fine di Vine Street. Quella zona di Hollywood era molto tranquilla
e per un dollaro potevi fare colazioni favolose da Musso&Frank’s.
A quel tempo l’Hollywood Boulevard era solo una sequenza di piccoli
negozi. Piacevole e accogliente come un piccolo villaggio. C’era
una grande gelateria chiamata Brown’s e, a poche porte di distanza, il
Grauman’s Chinese Theatre, che era il cinema più celebre. Sid Grauman,
un piccoletto con i capelli bianchi, teneva qui tutte le anteprime ed
è sempre qui che le star, inclusi i Fratelli Marx, lasciavano le impronte
delle scarpe e dei piedi nel cemento.
Scrissi le sceneggiature per la radio nella mia stanza. Berle le lesse e
poi andammo a provare e a trasmettere lo show da un ex teatro di vaudeville
sopra Hollywood Boulevard.
Più tardi andammo al Brown Derby, il mio ristorante preferito nonché
locale più famoso della città. E non solo per via del buon cibo, ma
anche perché era il posto più in tra i Vip. E tra i sempliciotti e i paesani
che venivano da fuori città e se la facevano addosso dall’emozione
quando incontravano Clark Gable, Gary Cooper o Joan Crawford. Restai
a bocca aperta molte volte. Ero un appassionato irriducibile di
film (Lo sono ancora. Il mio genere di pellicola preferita ha a che fare
più con i dialoghi che con l’azione). Ricordo ancora la prima volta
che vidi Ingrid Bergman entrare con un uomo fortunato e sedersi a
un tavolo non troppo distante dal mio. Non penso di aver terminato il
mio pasto. Me ne stavo lì a fissare di nascosto il panorama più bello
che avessi mai visto, inclusi montagne, fiumi, i dipinti del Louvre...
A proposito di avvistamenti famosi, una volta Berle mi portò a una
specie di party in piscina in un famoso hotel dove vivevano le star del
cinema, il Garden of Allah. Riconobbi alcune facce. C’erano alcuni
produttori, forse registi, e un mucchio di caratteristi, molti dei quali
anziani. E un po’ di giovincelle calate in quelli che per l’epoca erano
considerati audaci costumi da bagno.
Mi è capitato di fare qualche scherzo tra amici, ma mai meschini. Ma
a questa festa al Garden of Allah, Berle ne fece uno. Prese una coppa di
plastica e la riempì di champagne. Poi tirò fuori un pacchettino, lo aprì – io
ero l’unico a guardarlo – e versò una specie di polverina nello champagne.
“Cosa stai facendo?”, dissi. “Cerchi di drogare qualcuno?”
“Noooo... cerco di farmi due risate”. Indicò una giovane donna a pochi
metri di distanza. “Le ho chiesto se voleva uscire a cena e lei mi ha smontato.
Ha detto: «Chi sei?», le ho risposto: «Non mi conosci, ma dove vivi?
Sono Milton Berle!». Lei ha replicato: «Buon per te». Poi mi ha mollato
lì come una nullità per andare a leccare il culo a qualche produttore”.
Guardai e vidi la ragazza puntare nella nostra direzione mentre parlava
al produttore. All’improvviso impallidì, deglutì e sgattaiolò fino a
noi. C’era aria di fregatura.
“Milton”, disse. “Ma certo che so chi sei. Stavo solo scherzando.
Adoro il tuo show radiofonico. E so che stai per recitare il ruolo principale
in una pellicola della RKO”. Quindi attaccò a parlare con voce da
bambina: “Credi che ci sarebbe una parte per questa piccolina?”
“Può essere”, disse Milton.
Ti piacerebbe farmi...” – ammiccò lei – “... un provino?
“Dove alloggi, dolcezza?”, disse Berle porgendole la coppa di champagne.
“Brindiamoci sopra!”. Lui però non bevve. Sollevò una limonata
e brindò.
Circa un’ora dopo il sole caldo era alto, alcune donne si tuffarono nella
piscina, nuotarono per qualche bracciata e uscirono per essere asciugate
da uomini premurosi con grandi asciugamani e piccole erezioni.
Poi Berle mi diede di gomito.
“Guarda”.
Cercai di non scoppiare a ridere.
Miss Provino Privato stava posando sul trampolino, mettendo in mostra
il suo notevolissimo fisico per chiunque stesse guardando. Poi fece
un tuffo esperto in acqua. Una volta risalita per respirare, iniziò a nuotare
fino al lato opposto della vasca quando all’improvviso un flusso,
una scia di acqua blu apparve dietro di lei. Proveniva dall’altezza delle
gambe e quando le persone lo scorsero scoppiarono a ridere. Quando
virò per riprendere a nuotare e vide l’acqua blu, la poveretta avrebbe
voluto affogarsi. E invece balzò fuori dall’acqua, corse via e probabilmente
non è più stata vista da allora.
Fu divertente, ma crudele. Capii che la ragazza non avrebbe preso
parte al film di Berle. La pellicola di Berle non fu un successo. Ma fu il
primissimo film al quale lavorai come sceneggiatore. Ecco come andò.
Gli RKO furono i primi Studios che vidi in vita mia. RKO stava per
Radio Keith Orpheum, una corporation formatasi con la nascita delle
radio. Keith Orpheum era un circuito di vaudeville che si era messo
a fare film. Per questo motivo lo chiamarono RKO Radio Pictures.
Il Radio City Music Hall era il loro grande spazio a New York ed
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era proprio lì che avrebbe debuttato New Faces of 1937. La RKO era
in Gower Street, non lontano da un altro dei teatri di Sid Grauman,
l’Egyptian. Gli Studios erano giusto accanto a un cimitero dove, appresi
più tardi, si potevano sotterrare i brutti film. Non si doveva fare
un lungo viaggio. Edward Small, produttore di New Faces, mi chiamò.
Disse che Berle voleva che io riscrivessi la sua parte. La sceneggiatura
originale era opera di due uomini che più tardi divennero miei
cari amici: Nat Perrin e Philip Epstein. Era tratta da uno spettacolo di
Broadway andato in scena un anno prima, e la pellicola portò sullo
schermo un mucchio di gente di teatro che non aveva mai girato un
film in precedenza, come Harriet Hilliard, che divenne famosa come
Harriet Nelson in Ozzie And Harriet. Un altro personaggio era Mad
Russian, interpretato da un comedian newyorchese di nome Bert Gordon.
Ti salutava così: “Come hai stato?”
Anche Joe Penner (“Vuoi comprare un papero?”) fu della partita, e
un altro personaggio era Parkyerkarkus, che era la creazione di Harry
Einstein, un artista di vaudeville (Einstein ebbe un figlio che cambiò il
nome in Albert Brooks, il comedian).
E Berle era la star.
La cosa migliore del mio lavoro al film era il fatto che improvvisamente
mi ritrovai con quello che per me era un salario enorme: 750
dollari a settimana. Ero anche pagato 650 dollari a settimana per fare
lo show radiofonico. I miei genitori credevano che fossimo la famiglia
più ricca del Bronx.
Avevo i nervi a fior di pelle per via del lavoro alla sceneggiatura del
film ma presto mi dominai. Naturalmente era per me una cosa nuova
scrivere una commedia e dover visualizzare gli attori mentre recitavano
le battute o facevano scherzi sul grande schermo del cinema. Ma la
cosa più incredibile accadde subito prima di tornare a New York con
lo show radiofonico, quando il mio nuovo agente, Walter Meyers, mi
portò ai Warner Brothers Studio a Burbank (a quel tempo a Burbank
c’erano in giro i cervi). Meyers disse che un cineasta di nome Mervin
LeRoy aveva chiesto di vedermi. LeRoy aveva diretto film enormi come
Piccolo Cesare33 e Io Sono un Evaso,34 così ero molto eccitato all’idea
di incontrarlo. Quello che dirò ora potrà sembrare strano. Difficile da
credere. Quando entrammo nel suo ufficio, LeRoy era al telefono. Mise
33 Little Caesar, regia di Mervyn LeRoy (1930).
34 I am a Fugitive from a Chain Gang, regia di Mervyn LeRoy (1932).
una mano sulla cornetta per un secondo per dirci che stava parlando con
sua moglie. Avevano appena avuto un bambino. Porgemmo le nostre
congratulazioni e lui tornò al telefono, ma solo per un secondo.
“Mi scusi, cara?”, disse. “Ti richiamo presto”. Appese la cornetta e guardò
intensamente e a lungo attraverso la scrivania nella mia direzione. Poi si girò
per guardare dietro di sé sul muro dove era appesa una grande fotografia
incorniciata di un uomo che riconobbi immediatamente: Irving Thalberg.
Conoscevo la sua figura perché l’avevo vista sui giornali e sulle riviste. Thalberg
era morto pochi mesi prima, a 37 anni, ed era stato un brutto colpo per
il mondo del cinema perché lui era il più grande, il migliore e il più potente,
e aveva reso la MGM di gran lunga la più importante casa di produzione
cinematografica.
LeRoy si voltò e vide che pure io guardavo la fotografia. “Irving Thalberg
era il mio migliore amico”, disse. Era in piedi mentre allungava la mano.
“Irving”, disse stringendomi la mano, “penso che Irving ti avrebbe preso
con lui. Così lo farò io”.
E fu così che Mervyn LeRoy mi assunse alla Warner Brothers. Come vi
sembra? Tutto per via di un’impressione, perché pensava che assomigliassi
a Irving Thalberg. Fece l’accordo con Walter Meyers e quella sera mi portò
a una cena con invitati a casa di suo suocero.
Suo suocero era Harry Warner.
La prima cena con invitati della mia vita! Immaginate un ventitreenne in
un posto del genere, in uno dei palazzi di uno dei proprietari della Warner
Brothers! Lì incontrai Jack Warner, uno dei fratelli di Harry.
“Fate attenzione tutti!”, gridò. Jack raggiunse una lampada, spense l’interruttore
e lo riaccese dicendo: “Sono un comedian illuminato”.
Tutti quanti risero educatamente, ma non penso che voi stiate ridendo, o
no? Jack Warner pensava di essere divertente e non lo era. Sperava di essere
un comedian, ma in realtà era uno strazio.
Ma in quel momento avevo ventitré anni e speravo che parlando con questo
magnate tutto sarebbe andato per il verso giusto.
LeRoy mi presentò. “Jack, questo è un nuovo sceneggiatore che ho appena
assunto, Irving Brecher. Irv, questo è il signor Warner, il boss degli Studios”.
“Lieto di conoscerla, signor Warner”, dissi con voce tremula.
Tirò fuori una graffetta dalla tasca della giacca, la brandì e disse: “Se non
scrivi bene, ti graffetto”.
Niente che qualcuno ruberebbe, sono sicuro. I dirigenti sono l’acne della
perfezione. Brufoli.
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PARTE III
Ciak, si gira
Mentre studiamo la sceneggiatura de Il Piacere dello Scandalo, 1937.
A sinistra c’è Carol Lombard, al centro Mervyn LeRoy. Io sono quello sulla
destra che cerca di far credere che sta guardando la sceneggiatura mentre in
segreto sta fantasticando di essere Clark Gable, il marito della Lombard.
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ComE Abbiamo Acchiappat o Il Mago
“Ho un occhio rosso e l’altro verde, non so mai
quando fermarmi o andare!”
- Frank Morgan, in MGM Good News
IRV: Quando sono tornato a Hollywood nel 1937 con un contratto
di sei mesi con Mervyn LeRoy, questi mi mise al lavoro sui dialoghi
aggiuntivi de Il Piacere dello Scandalo,35 il film che stava dirigendo.
La protagonista era Carol Lombard. Racconterò di lei più avanti, nel
frattempo mi sistemai al Fontenoy a Whitley, un isolato a nord dell’Hollywood
Boulevard e Musso & Frank’s adesso era ancora più vicino,
così potevo prendere uova e pancetta ogni mattina per ottantacinque
centesimi. Per il pranzo avevamo a disposizione la mensa della Warner
Brothers.
Le riprese de Il Piacere dello Scandalo terminarono subito dopo Natale
e LeRoy mi disse che stava per passare dalla Warner alla MGM
come regista e produttore. Disse che Louis B. Mayer gli aveva concesso
un grande accordo, che sarebbe stato confermato dai giornali di settore
il giorno seguente, un contratto senza precedenti: seimila dollari a settimana,
il più ricco mai stipulato dalla MGM, più di quanto prendessero
Gable e la Garbo. Gli espertoni ritenevano, e io credo che avessero
ragione, che Mayer volesse far girare le palle a Jack Warner, che non
era solo il boss degli Studios ma anche il fratello del suocero di LeRoy,
Harry Warner. Jack e L.B. Mayer si odiavano, perciò questo doveva
essere un segno della superiorità di Mayer. Perché LeRoy era in gamba,
ma nessuno era così in gamba.
Il giorno dopo Capodanno LeRoy passò alla MGM, e di conseguenza
anche il suo gregge: quelli di noi sotto contratto personale, ovvero Kenny
Baker, Lana Turner e il sottoscritto. Kenny Baker era un cantante
utilizzato in Tre Pazzi a Zonzo, film nel quale non lasciò il segno e che
segnò la sua fine. Andava forte nello show radiofonico di Jack Benny,
ma anche lo stesso Jack lo considerava insignificante. Sapete tutti cosa
divenne Lana Turner. Che stellina voluttuosa. Da teenager comparve
35 Fools for Scandal, regia di Mervyn LeRoy (1938).
brevemente nel film di LeRoy Vendetta,36 basato sul linciaggio di Leo
Frank, un ebreo accusato di stupro che non ho mai dimenticato perché
mi colpì molto. Lana era una scoperta di LeRoy e divenne una grande
star. Gli editorialisti la chiamavano, a buon diritto, ‘La Ragazza col
Pullover’.37 Non si usavano parole come tette nel 1938. Aveva l’aspetto
di una che stava contrabbandando meloni.
Un paio di giorni più tardi eravamo a Culver City, dove fui pervaso
dalle mie solite ansie su cosa stessi combinando e su quanto male potessero
andare le cose. Mi venne assegnato un ufficio al secondo piano
dell’Irving Thalberg Building, al numero 242. Non riuscivo a credere
di essere lì alla MGM, negli stessi Studios con i suoi immensi teatri di
posa e dozzine di volti famosi, attori che quando ero un bambino del
Bronx avevo visto al cinema. Avevo ventiquattro anni, avevo una paga
di 650 dollari a settimana per almeno sei mesi, e quando non mi davo
dei pizzicotti ero in un perenne stato di nervosa eccitazione. La Metro
aveva il maggior numero di celebrità: Garbo, Garland, Hepburn, Tracy,
i Barrymore e i miei idoli, i Fratelli Marx.
Ero seduto nel mio ufficio a scrivere una lettera al mio amore a New
York quando il telefono suonò. La segretaria di LeRoy disse che lui
voleva vedermi. Mervyn era un piccolo ometto dietro una grande scrivania
all’interno di un grande, lussuoso ufficio. Prese in mano una voluminosa
sceneggiatura. La copertina era blu. E mi disse: “L.B. vuole
che produca questo. È una sceneggiatura completa, pronta all’uso.
Tranne per il fatto che dovrebbe far ridere di più”.
“Che cos’è?”, chiesi.
“Il Mago di Oz. È tratto da un libro. Leggilo. Ho segnato le parti
per i personaggi comici... come diavolo erano i loro nomi? Riscrivile
daccapo”, disse Mervyn. “Più velocemente che puoi, dobbiamo girare
tra dieci giorni”.
Feci esattamente come mi disse. Lessi la sceneggiatura dopo aver letto
il libro. LeRoy aveva ragione. Servivano risate. I tre comici erano
Bert Lahr nel ruolo del leone codardo, lo spaventapasseri interpretato
da Ray Bolger e l’uomo di latta Jack Haley. Il mio preferito era Bert
Lahr. In passato avevo trascorso un po’ di tempo libero a New York
con Bert. Gran bel tipo, lo avevo visto sul palco di Broadway in alcuni
36 We Don’t Forget, regia di Mervyn LeRoy (1937).
37 Lana Turner venne ribattezzata ‘The Sweater Girl’ perché indossava sempre
maglioni attillatissimi che ne mettevano in evidenza le forme. [n.d.t.]
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varietà in cui era la star: era uno dei miei comedian preferiti e mi aveva
sempre fatto morire dal ridere. Era davvero divertente.
Riscrissi il copione, aggiungendo battute e pezzi nella convinzione
che avrebbero aumentato il tasso di risate. Dopo che Mervyn lo lesse,
sembrò compiaciuto. Florence Ryerson e Noel Langley avevano scritto
la sceneggiatura originale. La leggenda narra che molti sceneggiatori
fossero stati chiamati per Il Mago di Oz.38 La tecnica era nota come
spiking o hyping, riferita a una scena o a una battuta. Una volta che entrò
in scena LeRoy, non so bene cosa sia stato fatto alla sceneggiatura,
tranne che per la levigatura che diedi io stesso ai tre personaggi. Feci
anche alcune rielaborazioni del mago, ma non contribuii abbastanza in
termini di metratura di pellicola da entrare nei titoli di coda come cosceneggiatore.
Per la verità, neanche LeRoy vi rientrava a pieno titolo.
Ma devo dire anche una cosa: nessuno si aspettava che il film avrebbe
avuto un tale successo.
Poi non feci più nulla per alcuni giorni ed ero una specie di anima
in pena, finché non ricevetti una chiamata da un produttore di nome
Louis K. Sidney. Non potevo crederci. Era lo stesso uomo che cinque
anni prima al Capitol Theater avevo visto tagliare le mie battute
perché le considerava oscene. Il manager che minacciò di cancellare
lo spettacolo di Berle. E adesso eccolo qui, incaricato della produzione
di cortometraggi. La cosa mi suonò come una retrocessione,
ma mi presentai al suo ufficio giù nella hall. L.K. era un tipo alto
e paterno (aveva un figlio, George, che girava cortometraggi), mi
salutò calorosamente, e io astutamente evitai di menzionare il fatto
che lo avevo odiato più di qualunque altra persona dentro e fuori
dallo show business. Invece ascoltai quando mi disse che l’azienda
stava mettendo in piedi uno show radiofonico settimanale chiamato
MGM Good News. Un’ora di varietà fatto con ospitate delle stelle
della MGM, scene tratte dai film e le musiche del direttore d’orchestra
Meredith Wilson, che anni dopo avrebbe composto la musica e
i testi di The Music Man. Sidney disse che Fanny Brice avrebbe partecipato
con qualche minuto del suo personaggio Baby Snooks “…
e qui entri in gioco tu, con uno spazio settimanale dedicato a Frank
Morgan. Lo conosci?”
38 The Wizard of Oz, regia di Victor Fleming (1939).
“Si, ho scritto qualcosa per lui per Il Mago di Oz”, dissi. “Inizieranno
a girarlo tra un paio di giorni”, disse Sidney. “Gireranno senza di lui
quando sarà impegnato in radio”.
Disse che Meredith Wilson avrebbe avuto il ruolo principale. Così
creai un personaggio per Frank Morgan, che era un vecchio sporcaccione
con un debole per le giovani donne e una vera passione
per l’alcol. Sapevo per certo che la seconda parte era vera, perché
il giorno della trasmissione mi ero seduto con lui al bar del Roosevelt
Hotel sull’Hollywood Boulevard. Lui bevve quattro Stinger e
faticai per convincerlo ad andare, con passo malfermo, agli Studios
che erano dietro l’angolo. La cosa stupefacente era che, una volta
in onda, i suoi tempi e il suo stile erano perfetti. E bisogna anche
aggiungere il suo modo di ridacchiare, che contribuì a rendere più
efficaci le battute.
MGM Good News era lo spettacolo in cui per la prima volta scrissi
per Jack Benny, che intervenne come ospite. Alla fine Frank Morgan
ebbe il proprio show radiofonico, andato in onda per anni. Un altro
personaggio coinvolto nello spettacolo fu l’autore e produttore Ed
Gardner. Era un uomo dalla voce dura, che creò la serie radiofonica
Duffy’s Tavern e che interpretava il ruolo di Archie in quello stesso
show. Ai tempi era sposato con Shirley Booth, la famosa attrice che
era stata protagonista di Torna Piccola Sheba!.39 Uno degli autori di
Duffy’s Tavern mi disse di come una volta, mentre stavano facendo
lo show, Gardner indisse una riunione per andare avanti con la trama.
Dopo un paio d’ore non stavano andando da nessuna parte. Niente.
Veramente frustrato, Gardner finalmente disse: “Bene, potremmo anche
finirla qui. Sembra che ci manchi l’ispirazione. Credo che quello
di cui abbiamo bisogno sia un bel pompino”.
Uno degli autori disse: “Grande Ed! Dove potremmo andare?”
Gardner disse: “Non so voi, ma io vado a casa mia”.
Fare lo show di MGM Good News per alcuni mesi fu bello, ma non
era quello che volevo. Quello che volevo arrivò subito dopo che lo show
si interruppe per l’estate e io venni lasciato libero. Arrivò una telefonata
ancora più inaspettata di quella di Berle di cinque anni prima che mi
introdusse nel meraviglioso mondo nel quale mi trovo tuttora.
39 Come Back, Little Sheba, regia di Daniel Mann (1952).
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I Fratelli Marx Al Circ o
“L’unica cosa positiva di girare Tre Pazzi a Zonzo fu l’inizio
della mia amicizia con Irv Brecher”.
- Groucho Marx
IRV: Era LeRoy al telefono e, al pari della sua statura fisica, fu molto
breve.
“Irv, ti senti divertente?”
“Non particolarmente”.
“Faresti meglio a esserlo. L.B. vuole che io produca il prossimo film
dei Fratelli Marx e tu lo scriverai”.
“Cosa?”
Non potevo crederci. Ma fu quello che disse. Ebbi la visione di me
stesso a Yonkers, mentre guardavo i Fratelli Marx in un cinema per il
quale il vecchio signor Brennan mi aveva dato un pass. Pensai a come
ero diventato un impallinato dei fratelli.
Era così strano. Quasi come un sogno. O forse uno strano intermezzo...
non avevo mai davvero pensato di poter scrivere per loro, per quanto
li adorassi. Ero ancora nuovo del giro. Ma stavo crescendo in fretta.
“Voglio che tu incontri Groucho”, disse LeRoy. “Lui parla a nome
dei fratelli. È il solo che legge qualcosa. Chico è troppo impegnato con
le corse e non sono sicuro che Harpo sappia leggere. A ogni modo,
Groucho è l’uomo con cui devi avere a che fare. Lui si occupa della
sceneggiatura e, quando è soddisfatto, il film si fa”.
“Bene, allora immagino che mi piacerà incontrarlo”, credo di aver detto.
Il giorno seguente, mentre camminavo verso l’ufficio di LeRoy, ero
terrorizzato dal fatto che avrei incontrato miei idoli e, come mi era stato
detto, che avrei scritto per loro.
A parte il fatto che ero sicuro che non sarei stato all’altezza e che sarei
stato licenziato per non essere stato abbastanza divertente, ma poi... come si
parla a una star? Berle non era quel tipo di celebrità. Avevo parlato a Carole
Lombard, ma lei non era seduta lì a giudicarmi. Se ci ripenso ho la certezza
che le mie ginocchia e la mia voce in quel momento stavano tremando.
Groucho sedeva con i piedi appoggiati sulla scrivania di LeRoy, fumando
un grosso sigaro. Mervyn fece gli onori di casa.
“Groucho, questo è Irv Brecher. È uno scrittore molto divertente. Farà
lui la sceneggiatura”. Groucho annuì.
Allungando la mano, dissi: “Buongiorno signor Marx”, lui mi strinse la
mano e rivolse a LeRoy la sua famosa espressione con il sopracciglio alzato.
Disse: “E questo sarebbe lo scrittore divertente che hai intenzione
di mettere su questo film? Un tizio la cui idea di improvvisazione è
«Buongiorno»?”
Mervyn rise. Io quasi mi strozzai. Ma mi ripresi prontamente.
“Ho detto buongiorno perché volevo adularvi. Ho sentito che lo avete
usato anche voi in uno dei vostri film”.
Groucho sorrise, mostrando che era umano, e poi con fare da fratello
maggiore – aveva circa vent’anni più di me – disse: “Se non parli di
film, ti porto a pranzo”.
“Mi piacciono la politica e il baseball”, continuò, mentre entravamo
nell’ascensore. C’era un’altra persona insieme a noi, una donna alta con
un enorme cappello a tesa larga. Anche con la tesa giù, riuscii a dare
un’occhiata. Era Greta Garbo. Che momento!
Groucho abbassò la testa e guardò in alto sotto la tesa. Poi disse educatamente:
“Mi scusi, signore, ma voi non siete quel tizio che ho incontrato
in un hotel a Cleveland?”
Tutto quello che sentii dalla divina Garbo fu un grugnito. Quando l’ascensore
si aprì, scomparve. Era meravigliosa, ma devo dire che aveva
dei piedi veramente grossi.
Vi ho già raccontato quanto mi divertivo da bambino nel truccarmi da
Groucho. Lo dissi anche a lui durante il pranzo alla mensa.
“Smettila”, disse. “C’è una legge contro le imitazioni di un ufficiale”.
“Sei un ufficiale?”
“Io e i miei fratelli abbiamo un’associazione per evadere le tasse. Io
sono uno degli ufficiali”.
Presi la famosa zuppa di pollo inventata dalla sorella di L.B. Mayer.
Non ricordo cosa mangiò Groucho. Ero ancora sulle nuvole e iniziavo a
preoccuparmi di cosa diavolo avrei potuto scrivere per un film che parlava
di “Un qualche circo pieno di merda di cavallo” (parole di Groucho).
Solo qualcuno che l’ha fatto può sapere che cosa vuol dire mettere insieme
dal nulla, o meglio dalla propria testa, novanta minuti di materiale che
procuri una vagonata di risate. Senza niente su cui basarti, non una commedia
o un libro, è veramente come andare alla cieca. Così, in un modo
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o nell’altro, ti arrangi per
portare a termine il lavoro.
O almeno speri.
Dopo aver messo in
piedi un plot abbastanza
semplice, scritto soprattutto
per fare da sfondo a
cinque o sei sequenze di
follia marxiana, passai a
sviluppare la sceneggiatura,
che mi lasciò insonne
per parecchie notti. Infine
venne approvata dalla
produzione. Ma questo
solo dopo che il materiale,
per mia grande gioia,
ottenne la genuina approvazione
di Groucho.
Mi ci vollero otto o
nove settimane e penso
che se Groucho non si
fosse deciso l’avremmo
tirata molto più per il
lungo, perché lui non era
a proprio agio davanti
alla macchina da presa.
Odiava recitare. Sebbene avesse scritto un libro molto piacevole, Groucho
and Me, era già stufo di recitare. Ma ormai era una star planetaria.
Avrebbe fatto qualunque cosa pur di rimandare le riprese fino al momento
in cui non fosse stato necessario da un punto di vista economico.
Così cercava ogni scusa. Ma dal momento che nessun altro sceneggiatore
ha mai avuto, da solo, il credit in un film dei Fratelli Marx – e a me è
successo due volte, in Tre Pazzi a Zonzo e con I Cowboys del Deserto –
credo che ciò dimostri la sua soddisfazione per quello che scrissi. Suona
un po’ egocentrico, ma andò esattamente così. A volte i Fratelli Marx si
servivano di più di tre autori. Altre volte ne usavano interi plotoni. Io ne
feci due da solo, e, mentre li facevo, io e Groucho diventammo sempre
più intimi. E dopo averli scritti ero esausto. Ce l’avevo fatta. Immagino
che per la maggior parte degli sceneggiatori non sia molto divertente tirar
fuori quella che si spera sia una scena comica originale. Ma il divertimento
è assoluto quando alla fine la vedi sullo schermo. Sempre che funzioni.
Per esempio, una battuta che il pubblico sembrava amare in Tre Pazzi
a Zonzo, è pronunciata da J. Cheever Loophole a Mrs. Dukesbury.
Dukesbury era interpretata da un’attrice classica, Margareth Dumont.
Dumont faceva sempre la figura della sciocca d’alto bordo: rigida, compassata,
incomprensibile, pomposa e compassionevole. Sempre vittima
del delizioso ladrocinio di Groucho.
Così la Dukesbury organizza un sontuoso banchetto per una raccolta
fondi nel suo palazzo di Newport. I 400 più ricchi individui dell’alta società
stanno per arrivare e la Dumont sta impartendo ordini sulla sistemazione
dei posti al tavolo principale. Sta aspettando un ospite importante.
Ed è stata raggirata da tutte le balle che Loophole – che poi è Groucho –
le ha raccontato. A un certo punto, lei dice: “Il giudice Channock siederà
sul mio fianco sinistro. E tu Cheever caro, siederai sul mio fianco destro”.
E Groucho dice: “E come mangerai, con una cannuccia?”
Questa è una battuta che nemmeno un regista di seconda categoria potrebbe
rovinare. Lo dico perché, sebbene mi piacesse come persona, ebbi
problemi con Eddie Buzzell, che girò entrambi i miei film con i Fratelli.
Prima di arrivare sulla Costa Ovest, Edward Buzzell era un primo
attore, essenzialmente un comedian nei musical di Broadway. Aveva
di fatto partecipato a spettacoli di vaudeville con i Fratelli Marx.
Aveva girato un mucchio di piccoli film alla Universal e alla MGM ed
era lontano dall’essere considerato un regista “importante”, ma L.B.
Mayer non amava la comicità dei Fratelli Marx, e aveva messo sotto
contratto Buzzell come regista per il fatto che girava in fretta. Faceva
risparmiare soldi. Sapevo che i Fratelli non erano contenti della direzione
di Buzzell dopo la magnifica esperienza con Sam Wood in Una
Notte all’Opera.40 Lui li inibiva, non si sentivano altrettanto liberi, li
costringeva a fare troppe leziosità.
Ma dopo la dipartita di Thalberg due anni prima ora Mayer poteva fare
il bello e il cattivo tempo sulla produzione e sul personale da impiegare.
Ma in qualche modo Buzzell mi fece un favore. La sua richiesta per
una battuta in Tre Pazzi a Zonzo mi mise nelle condizioni di produrre
40 A Night at the Opera, regia di Sam Wood (1935).
La mia sceneggiatura originale, intitolata
Tre Pazzi a Zonzo, del 1939
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quella che poi si rivelò una bomba, in senso comico. Nel film, la stella
del circo era Peerless Pauline. La interpretava Eve Arden, agghindata
in un body molto sexy. La sua parte consiste nel camminare sul soffitto
e in una scena si trova nel camerino, con le suole a ventosa che le
consentono di rimanere a testa in giù. Groucho, rivendicando una folle
passione, la raggiunge sul soffitto e dice cose del tipo “Sono innamorato
fin sopra le caviglie”, che è una battuta semplice, vedi la scena ed è
subito ovvio il perché Loophole la dica. In realtà lui è lì per recuperare
il portafoglio con diecimila dollari rubato a Kenny Baker, e se non verrà
restituito manderà il circo in bancarotta (Loophole cerca di togliere le
castagne dal fuoco al protagonista e alla primadonna del circo, gli ingenui
della storia, un plot molto semplice). Groucho sospetta che Eve
Arden sia una complice dei ladri ed è sicuro che abbia lei il portafoglio.
Per questo si comporta in quel modo fintamente romantico.
Fu a quel punto che venni chiamato sul set, perché Buzzell aveva
bisogno di una battuta di Groucho, una risposta che doveva risolvere la
sequenza, piuttosto che lasciarlo lì fermo a guardare Eve Arden che si
infila il portafogli rubato nella scollatura.
Inizialmente, Loophole le dice: “La cosa che mi piace di te, è che i
soldi non ti danno alla testa”.
Poi ci pensai sopra un momento e suggerii che Groucho camminasse
verso la telecamera e parlasse direttamente al pubblico: “Ci dev’essere un
modo per avere indietro i soldi senza avere problemi con il Codice Hays”.
Oggi nessuno la capirebbe.
L’Ufficio Hays era la censura, il comitato controllore del cinema attivo
fin dagli anni Venti (venne finalmente abolito nel 1968 da Jack
Valenti per fare spazio all’attuale visto censura) pagato dalla stessa industria
per far fronte a un’ondata di sentimento anti hollywoodiano che
aveva investito il Paese. Era come un’istituzione religiosa, intransigente
verso qualsiasi allusione alla sessualità. Qualsiasi. Un marito e una moglie
non potevano essere mostrati a dormire nello stesso letto. Non si
poteva dire hell o damn. W.C. Fields si inventò nuove imprecazioni per
aggirare la censura, come Godfrey Daniel! o Mother of Pearl!
La grande domanda con ogni sceneggiatura era: “Passerà l’Ufficio
Hays?” Alcuni film avevano offeso la Bible Belt.41 Un uomo e una donna
che si baciavano sulla bocca mostrando un briciolo di passione potevano
mandare in bestia milioni di brave persone timorate di Dio che
erano costrette a interrompere la loro masturbazione per scrivere una
lettera di lamentele. Tutto ciò ebbe l’effetto di ripulire i western e di far
dilagare l’autocensura.
Nel frattempo Peerless Pauline aveva messo i soldi sotto le tette e uno
scrittore diede la battuta al regista...
Buzzell mi guardò come se fossi un idiota.
41 La Bible Belt è l’area culturale del sud-est degli USA in cui vive una grande
percentuale di cristiani protestanti. [n.d.t.]
La stesura della scena dell’aula del tribunale che fu tagliata da Tre Pazzi a Zonzo.
“Your Honor, I move for an adjournment“, said J. Cheever Loophole. “And
I’m gonna keep moving!” (“Vostro onore, chiedo che il dibattimento venga aggiornato”,
dice J. Cheever Loophole. “Altrimenti continuerò a dibattermi!”)
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Groucho disse che la battuta gli piaceva.
“Stai scherzando?”, chiese Buzzell. “Che razza di merda è questa?
Nessuno conosce l’Ufficio Hays”.
Groucho disse: “Mi piace lo stesso”.
“Io sono il regista di questo film”, disse Buzzell. “E non ho intenzione
di girarla”.
“LeRoy mi ha chiesto di darti una battuta e questo è il meglio che
posso fare”, dissi.
Buzzell dev’essersi sentito di colpo importante. Forse per aver sentito
il nome di LeRoy, che lo era un po’ più di lui.
“Allora fallo girare a LeRoy”.
E se ne andò dal set.
Tutto quello che potei fare fu chiamare LeRoy.
“Vuoi che la giri io?”, gli chiesi.
“Irv, tu non sei un membro della Guild. Forse un giorno. Ma nel frattempo,
fottitene”.
Mandò S. Sylvan Simon, che aveva girato alcune pellicole con la
MGM. A Simon piaceva la battuta e in breve girò la scena di Groucho
che la pronunciava. Un mese dopo, all’anteprima non ufficiale, ricevette
la più grande, lunga risata del film. Mi dispiaceva per Buzzell, che
sembrò scomparire nella poltrona della sala.
Risero così a lungo che dopo la proiezione la MGM dovette aggiungere
uno spezzone che coprisse il tempo del putiferio del pubblico. Per
valorizzare la risata.
Groucho disse più tardi: “È stata la più grande risata che ho ricevuto
in vita mia”. Ma soprattutto provò che il pubblico che andava al cinema
era vivo e ben consapevole del comportamento dell’Ufficio Hays e della
censura praticata in quello che si reputava un paese libero.
Come Chico salvò i Fratelli Marx
Chico nel saloon in braccio a una ragazza sexy: “Per tutta la vita ho
sognato di incontrare una ragazza come te [si sposta sul grembo della
ragazza a fianco]. E quella ragazza sei tu”.
- I Cowboys del Deserto
L’aneddoto dell’Ufficio Hays risale al 1939. Sessantacinque anni
dopo, i film dei Fratelli Marx sono ancora proiettati ai festival e sulle
TV via cavo. Li proiettano assiduamente anche in Europa; Brecher mi
dice che c’è un posto a Parigi dove proiettano un loro film tutti i giorni.
Intanto sono a Westwood a osservare una troupe della Warner che
sta girando un filmato su Irv che verrà aggiunto al nuovo DVD di Una
Notte all’Opera, il più grande successo dei Fratelli Marx (mi ero precipitato
lì dopo che lui mi aveva chiamato per dirmi che il nostro appuntamento
a pranzo era saltato perché doveva esibirsi). Questa traccia
di commento, “Remarks on Marx”, include Larry Gelbart che loda i
ragazzi per la loro “tenuta che non accenna a diminuire” e che, di fronte
al fatto che ci sarà sempre un establishment, chiosa: “finché avremo
tre persone che cercheranno di abbattere, di farsi beffe o di mettere in
imbarazzo l’autorità, loro rimarranno al loro posto e continueranno ad
attrarre nuovi fan”. E il regista Robert S. Weide li definisce “i primi
anarchici della commedia cinematografica” e racconta il famoso aneddoto
sulla frustrazione provocata da Groucho a Sam Wood, il regista di
Il gruppo di Tre Pazzi a Zonzo: io sono dietro Groucho e Margareth Dumont,
Harpo è di fianco a Eve Arden, Kenny Baker e Florence Rice. Chico, non presente
nella foto, sta cercando di fare evoluzioni al trapezio.
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Una Notte all’Opera e Un Giorno alle Corse.42 Wood non era abituato
a girare commedie. E disse all’indirizzo di Groucho: “Bene, non si può
cavare fuori un attore dall’argilla”. E Groucho disse: “E non si può
cavare fuori un regista dal legno”.43
Dopo trentatré minuti di battute di attori e autori come Kitty Carlisle,
Carl Reiner, Dom DeLouise e Ann Beatts, viene lasciato a Brecher l’onore
di chiudere. Seduto sulla sedia del soggiorno, con la testa inclinata
all’indietro e una pila di sceneggiature rilegate sullo scaffale dietro di
lui, rompe il silenzio dicendo: “So che saranno in giro per sempre. Ovvero
un bel pezzo dopo che la maggior parte di noi se ne sarà andata. E
come diceva Groucho: «Ciao, devo andare»”.
Durante la registrazione racconta ai tipi della Taylor Made Films
(ingaggiati da Warner): “È incredibile quanto fossero popolari. Tutti
sono degli esperti su di loro. Di tutti i nomi che avete citato, credo che
solo due abbiano lavorato con loro, oltre a me, Bob Weide e Carlisle.
Troppe persone alle quali sarebbe piaciuto essere sul vostro DVD hanno
fatto l’errore di morire”.
Dice che l’Opera è “il più grande film dei Fratelli Marx perché è così
serio, pomposo e cerimonioso, e che di tutti i loro film è il migliore per
strappare risate. Offriva l’opportunità ideale per scatenarsi contro i personaggi
più boriosi del film, in particolar modo contro l’egocentrico protagonista,
Rudolfo Lassperri, interpretato da Walter King”. Dice anche che
La Guerra Lampo dei Fratelli Marx44 è il suo secondo preferito, “perché
la guerra si combatterebbe meglio con la satira”.
La troupe che effettua le riprese è ossequiosa, rispettosa e premurosa,
e dopo che se ne sono andati Brecher mi mostra un assegno da mille
dollari e racconta una storia che non compare nei filmati, un classico
sugli insoliti imbrogli di Chico avvenuto circa un anno dopo che la
Paramount aveva lanciato i Fratelli Marx nel 1934. Avevano girato cinque
film: Noci di Cocco, Animal Crackers (“I primi due, molto grezzi,
ricalcavano più che altro i loro spettacoli dal vivo”), Monkey Business,45
42 A Day at the Races, regia di Sam Wood (1937).
43 Legno in inglese si dice wood, che è il cognome del regista.[n.d.t.]
44 Duck Soup, regia di Leo McCarey (1933).
45 Monkey Business, regia di Norman Z. McLeod (1931).
I Fratelli Marx al College46 e La Guerra Lampo dei Fratelli Marx. Irv
dice che sebbene ammiri moltissimo cineasti come Weide che avevano
diretto Lenny Bruce, Mort Sahl e Larry David, e che gli era piaciuto
il suo film, The Marx Brothers in a Nutshell, tutti ma proprio tutti si
sbagliano su questo aneddoto... che è un punto di non ritorno nella storia
della commedia americana... la leggenda sconosciuta, e credo qui
abbellita, nella versione personale di Brecher.
IRV: Solo quando fummo sulla strada per Chicago, Joliet e Detroit,
per irrompere sulle scene della commedia con I Cowboys del Deserto,
capii quello che il pubblico sentiva nei confronti di ognuno dei tre fratelli.
Avevo supposto che Groucho fosse il più popolare perché era quello
più citato dai fan. Ma sul palcoscenico Chico era quello che prendeva
la maggior parte degli applausi. Groucho prendeva la maggior parte
delle risate, per via dei baffoni dipinti, delle sopracciglia alzate e del
sigaro sporgente. E Harpo riceveva la sua dose di risate, era un elfo con
un buffo parrucchino, il sorriso stampato e grandi occhi all’infuori.
Chico non riceveva così tante risate. Ma mentre il loro impatto complessivo
come trio era straordinario, era Chico che, per qualche ragione
singolare che arrivava dritta al cuore, riceveva la maggior approvazione
nei teatri. Quando i tre comedian scoprirono il modo di bloccare la scena
per ricevere più applausi, a farne incetta era Chico, per il suo bizzarro
modo di suonare il piano e la sua idea di accento italiano: qualunque
cosa dicesse, Chico ci piazzava dentro una a: “It’s-a-fine. Who’s-a-fine?
That’s-a-fine, I tell-a you”. Non dimenticherò mai il giorno in cui Groucho
mi disse: “Chico ci ha salvato la vita. Quando le cose andavano
bene abbiamo sempre avuto dei gran mal di testa per colpa di Chico,
perché non riesce a smettere di giocare. E anche se è un grande giocatore
di carte, non la smette finché non ha perso. E se vince qualcosa con
le carte, si gioca tutto alle corse o su una partita di baseball. È sempre
sotto. Ma in certe cose è un genio”.
Gli ultimi due film che girarono per la Paramount furono dei fiaschi.
Erano fermi, senza offerte da parte degli Studios, il che era molto fastidioso
per degli attori con quell’ego. Harpo passava gran parte del suo
tempo studiando l’arpa e giocando con il bambino che aveva adottato, che
adorava. Groucho, che era fondamentalmente introverso, trascorreva il
tempo leggendo e rispondendo via lettera ai suoi ammiratori, che inclu-
46 Horse Feathers, regia di Norman Z. McLeod (1932).
104 105
devano George Bernard Show, T.S Eliot, George Kaufman e altri. A quel
tempo si scriveva tanto; le chiamate a lunga distanza erano troppo costose.
E Chico, il più grande, assecondava l’inclinazione per i suoi più grandi
passatempi: andava alle corse tutti i giorni, si fermava all’Hillcrest
o a casa di qualcuno per giocare a gin rummy e poi chiudeva la serata
facendo l’amore con qualche giovane fanciulla che, immagino, riceveva
una promessa: “Sarai nel nostro prossimo film, tesoro”.
Ma non c’era nessun prossimo film. Così Chico ricorse al suo migliore
amico, un tavolo da gioco. Si esibiva in trucchi con le carte di vario
tipo. Il dirigente della MGM incaricato della distribuzione era anche lui
un membro dell’Hillcrest: Al Lichtman, un boss della MGM potente e
tenuto in alta considerazione. Inoltre si considerava un grande giocatore
di gin rummy. Un giorno al club, dopo pranzo, sfidò Chico.
“Tutti dicono che sei il migliore del club. Io non credo”.
Fu detto con un sorriso e Chico rispose con modestia: “Sono fortunato.
Vinco, perdo...”
Lichtman propose di giocare un paio di mani e Chico accettò. In poche
ore Chico aveva perso qualche centinaio di dollari, si alzò e si scusò.
Non aveva contanti né assegni con lui e il vittorioso Lichtman disse:
“Nessun problema. Ci vediamo domani, Chico”.
Il giorno seguente giocarono e Chico perse ancora, quasi mille dollari.
In seguito confessò privatamente a Lichtman che era a corto di
soldi. Lichtman, fiero di aver battuto Chico, specialmente con tutti quei
kibbitzers47 a guardarlo, fu magnanimo e gli disse di non preoccuparsi.
Il giorno seguente Chico chiese se si poteva raddoppiare la puntata:
“Facciamo dieci cent al punto, dammi la chance per rifarmi”.
Lichtman accettò con entusiasmo. E stavolta Chico non vinse una
singola mano. Perse circa duemila dollari. Quando fu finita Lichtman,
da gentiluomo, lo informò: “Sei sotto di seimilaottocento, Chico”.
“Lo so, Al”.
Lichtman educatamente chiese di essere pagato e Chico ammise – quasi
in lacrime, mi disse Groucho – che non poteva fare fronte al debito. Infatti
era quasi alla bancarotta. Disse tristemente: “Se noi facessimo un film,
avrei i soldi. Dio sa quando accadrà. E così potrei pagarti, ovviamente”.
47 Termine yiddish che indica le persone non giocanti intorno a un tavolo da gioco,
che spesso commentano o dispensano consigli non richiesti. [n.d.t.]
Lichtman gli diede una pacca sulla spalla, gli disse che era tutto a
posto, e sfoderò un grande sorriso: “Solo ricordati di dire a tutti chi è il
migliore giocatore di gin del club”.
Chico lo abbracciò forte.
Un paio di giorni più tardi Chico ricevette una chiamata dal loro agente,
l’altro fratello Zeppo: “Grandi notizie, Chic! All’improvviso ho ricevuto
una chiamata dall’MGM. Vogliono metterci sotto contratto. Ci
puoi credere?”
“Chi ha chiamato?”
“Al Lichtman. Ha detto che lo ha suggerito a Thalberg che ha dato l’okay”.
I fratelli erano di nuovo in affari. In pochi giorni firmarono un contratto
per cinque film da centocinquantamila dollari ciascuno. Chico andò
al club e ringraziò sommessamente Lichtman per il ruolo che aveva
avuto nell’accordo e Lichtman disse modestamente: “Faremo un po’ di
soldi per voi ragazzi. Festeggiamo? Giochiamo un po’ a gin”.
E così giocarono. Di colpo il miglior giocatore di carte del club divenne
uno zimbello. Per le tre ore seguenti, Al Lichtman non vinse una
mano. Chico lo lasciò in mutande. Anche se il gin rummy è in parte un
gioco di fortuna, un grande giocatore come Chico sapeva come avere
la meglio. Dopo aver rivinto i 6800 dollari, e anche qualche cosa in più,
Chico lasciò il tavolo, per non danneggiare il suo ingenuo salvatore
verso il quale, credo, fosse sinceramente riconoscente.
Prendi il brandy
“Eravamo giovani, felici, temerari! Quella notte bevvi champagne dalla
tua ciabatta. Mezzo litro. Poteva essere di più, ma era aperta sulla
punta. Ah, Hildegard!”
“Io mi chiamo Susanna”
- Groucho Marx e Margaret Dumont
Questa è una lettera di rettifica indirizzata all’editor del Greater Los
Angeles Jewish Journal:
Caro Rob,
Riguardo la mia storia su Irving Brecher, ecco le correzioni che
dovresti gentilmente pubblicare. La battuta d’apertura, pronunciata
dal personaggio J. Cheever Loophole interpretato da Groucho
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Marx che corteggia Margaret Dumont in Tre Pazzi a Zonzo, NON
è come segue:
“Quella notte bevvi champagne dalla tua ciabatta. Mezzo litro.
Poteva essere di più, ma tu portavi le solette interne”.
Questa frase è tratta da The Marx Brothers at the Movies di
Paul Zimmerman e Burt Goldblatt (Berkeley Books, 1968). Ma è
sbagliata. La battuta corretta, dalla sceneggiatura originale del
signor Brecher, è così: “Avrebbe potuto essere di più, ma erano
aperte sulla punta”.
“Solette interne”, mi ha spiegato lo sceneggiatore “non è divertente
e non ha senso!”
Inoltre il titolo della storia mostra Brecher di fianco al nome di
Zeppo, Groucho, Harpo e Chico Marx. Zeppo non ha fatto film dei
Fratelli Marx insieme a Brecher, né Brecher ha mai scritto alcunché
per Zeppo.
Inoltre “Irving S. Brecher” non sarebbe dovuto comparire. Il
signor Brecher trova la S pomposa e non l’ha mai usata in vita sua.
Non la usa dal 1918, da quando era un bambino di quattro anni
del Bronx di nome Irving Sidney Brecher.
Grazie per la tua attenzione per queste correzioni. Probabilmente
ce ne saranno altre.
Touché! Chiaramente non ho interrogato Irv abbastanza a fondo sui
nostri idoli ebrei. Provvederò a correggere quell’errore alla prima occasione...
HANK: Posso farti qualche altra domanda sui Fratelli Marx?
IRV: Ma certo! Ne sono felice. Non è mai esistito niente di paragonabile
a loro. Ma la regia di scarso livello che Buzzell ha applicato ai loro
film mi ha lasciato l’amaro in bocca.
HANK: Non mi sembri risentito.
IRV: Non sono risentito per gli anni trascorsi a Hollywood. Ho conosciuto
un mucchio di folli. Mi divertivano mentre io facevo divertire
il pubblico.
HANK: Non hai mai lavorato con Zeppo Marx e ho notato che nella
tua rubrica del 1937 c’è Gummo Marx ma nessun numero di telefono.
IRV: Che problema c’era? Sapevo come contattarlo.
HANK: Parliamo de I Cowboys del Deserto, la grande attrice Margaret
Dumont...
IRV: Lei era in Tre Pazzi a Zonzo.
HANK: Ma non in I Cowboys del Deserto.
IRV: Non c’erano parti per lei.
HANK: Difficile da credere.
IRV: Credici. Quella povera, patetica creatura...
HANK: Patetica? Non era la decana degli storditi? L’opposto della
frivolezza e...
IRV: Non fu nemmeno in Monkey Business. Presero Thelma Todd.
HANK: Che opinione avevi di Ms. Dumont?
IRV: Era la più anziana vergine della MGM. Un giorno Margaret
Dumont venne da me e disse: “Sa, signor Brecher, sono stata in molti
film con i ragazzi e sono sempre stata leale verso Groucho. Può scrivere
qualcosa che mi aiuti ad avere più successo, come dire, nella mia carriera
e che non mi caratterizzi così tanto?
Così dissi: “Bene, ci penserò sopra”.
In un momento d’incoscienza, scrissi una scena in cui lei cercava di
sedurre un gorilla, e la sottoposi al produttore.
Disse: “Devi essere matto. Vuoi che un gorilla faccia l’amore con Margaret
Dumont? L’SPCA48 ci darà addosso per crudeltà verso gli animali”.
HANK: Ottima battuta.
IRV: La scena non fu mai girata.
HANK: Torniamo a I Cowboys del Deserto. Un recensore scrisse:
“La maggior parte delle sequenze sono quelle che i Fratelli Marx hanno
provato negli ultimi tour di vaudeville. Il film inizia con la scena alla
stazione ferroviaria in cui Chico e Harpo stanno turlupinando Groucho...”
HANK: Cosa significa “turlupinare”?
IRV: Non lo sai?
HANK: Una parte dei lettori potrebbe non saperlo.
IRV: Significa “truffare”. Harpo e Chico fregano Groucho alla stazione.
HANK: Non si sente più quella parola.
IRV: No.
HANK: Parliamo di anarchia? Diresti che è questo che portarono al
cinema? Anarchia dal dolce profumo lasciata libera...
48 Society for the Prevention of Cruelty to Animals. [n.d.t.]
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IRV: Non parlerei di dolcezza! Nessuno aveva mai recitato le battute
come faceva Groucho. Quello che aveva creato molto tempo prima sul
palcoscenico lo trasferì nei film, una nuova tecnica comica in cui le
battute erano pronunciate tutte d’un fiato.
HANK: Potremmo definirla una tecnica “fuori dal tempo”.
IRV: Uno stile che presto gli altri comedian copiarono. Carol Lombard,
Eve Arden, William Powell e altri cominciarono a recitare così.
Che grande riconoscimento fu per Groucho.
HANK: Hai visto Brazil? Terry Gilliam ha inserito una clip presa da
Noci di Cocco. Al centro della scena c’è la TV con questo selvaggio
combattimento in bianco e nero dei Fratelli Marx, circondato dal caos
esplosivo e lurido di Terry Gilliam. È la combinazione di due visioni
surreali, quella di Groucho e quella di Gilliam.
IRV: In I Cowboys del Deserto vennero usati effetti speciali con risultati
sorprendenti. Specialmente durante la sequenza finale sul treno.
Una settimana prima delle riprese, il capo dell’unità di produzione, Bernard
Hyman, uno dei dirigenti più rispettati di MGM, mi chiamò. Disse:
“Sai che adoro la sceneggiatura, ma ho brutte notizie. È appena arrivato
il budget e dobbiamo tagliare 150.000 dollari dalla sceneggiatura”.
Il budget era di oltre un milione di dollari.
“Da quello che vedo l’unica parte in cui fare dei grossi tagli”, disse
Hyman, “è nelle ultime due bobine con la scena d’azione del treno.
HANK: La famosa scena dell’inseguimento in cui i cattivi li rincorrono.
IRV: Mi lamentai, perché, secondo me, tagliare grossi pezzi delle
gag avrebbe annacquato le risate. Questo era l’atteggiamento tipico di
uno sceneggiatore abbarbicato a quanto aveva messo su carta a costo
di sforzi sanguinosi. Bernie Hyman mostrò compassione ma ribadì che
non aveva scelta. Così, con un senso di disperazione, tagliai e riscrissi
buona parte dell’ultima sequenza dell’inseguimento in modo da arrivare
alla somma di cui aveva bisogno. Con un senso d’inquietudine consegnai
le revisioni.
Due giorni prima delle riprese, ero distrutto.
Hyman mi chiamò e disse: “Elimina tutti i tagli. Ho detto a quelli ai
piani alti che sarebbe meglio fare le cose nel modo giusto o non farle del
tutto. Così spenderemo un po’ di più e ci proveremo”.
Quella era l’attitudine che prevaleva negli anni in cui ho lavorato alla
MGM. Una delle risate più grandi si verifica quando il treno passa attraverso
una fattoria e un tizio col martello sopra il tetto neanche se ne accorge.
Poi, sui binari, Harpo si sporge dal treno e viene agganciato dal palo
della posta. Rimane appeso nella morsa del braccio d’acciaio, poi viene
gettato nella porta aperta dell’ultimo vagone e sbatte contro il controllore
che vola fuori dalla carrozza nello spazio. Da morire dal ridere.
La seconda unità fece quella scena un pezzettino alla volta. Avevano
questa stupefacente abilità. Ci volle tempo per costruire ed eseguire
tutto e costò parecchi dollari. Fu un buon pezzo.
HANK: Pezzo? Un buon pezzo di stunt, intendi?
IRV: Comunque sia, fu un buon pezzo di film.
HANK: La folle corsa sul treno era nella classifica delle 10 Migliori
Sequenze del cinema, giusto?
IRV: Questo è un po’ come autoincensarsi, ma sì. A dirlo fu il critico
del New York Times, Bosley Crowther. Pensa a tutte le buffonate dei fratelli.
Ora pensa a loro inseguiti dai cattivi su un treno pieno di passeggeri.
A un certo punto finiscono il carbone così i ragazzi devono bruciare
i vagoni merci per fare vapore nel motore. Devono bruciare il treno per
continuare a viaggiare, e fanno a pezzi tutto per ricavare tutto il legno
che possono. Inclusi i sedili e il soffitto del vagone ristorante. Furono
due bobine infernali. Gli effetti speciali ricordavano quelli dei film di
Buster Keaton, che al tempo era sul set a lavorare con Harpo. Giravamo
nella San Fernando Valley e quel treno... beh, si prese delle libertà.
HANK: Chico, Harpo e Groucho, non erano davvero loro a correre
in cima al treno. O sì?
IRV: Penso che fossero proprio loro ma il treno era fermo. Loro correvano
e lo sfondo si muoveva.
HANK: Com’è possibile?
IRV: Il treno sembra solo muoversi. È la proiezione sullo sfondo che
crea il movimento. Si chiama trasparente. La stessa cosa avviene nella
scena della diligenza che quasi si ribalta. In sala fu uno scoppio di risa.
Questa è la parte bella della scrittura. I soldi servono a pagare l’affitto
ma l’approvazione del pubblico è la vera soddisfazione. Gli sceneggiatori
vivono del proprio ego. Prova soltanto a immaginare: sono giovane,
sono ambizioso e sono sotto pressione.
Mi facevo pressione da solo per tirare fuori sempre del materiale.
HANK: Per questo Harpo ti chiamava ‘Irv il Nervoso’?
IRV: Mi chiamava così perché ero un tipo sempre in movimento.
HANK: Hai sviluppato un tic, giusto? Una specie di spasmo fisico
mentre scrivevi per loro?
110 111
IRV: Sì, a un certo punto mi venne fuori questa cosa. Ma poi passò.
Era come un torcicollo. Lo stress di dover fare le cose, di doverle fare
bene, e di doverle fare da solo era diventato intenso. Era la pressione di
dover essere divertente in ogni momento.
Nat Perrin, che aveva scritto alcuni film dei Fratelli Marx per la
Paramount, un giorno mi disse: “Irv, quanto pesi?”
Pesavo poco più di sessanta chili bagnato fradicio. Ed ero alto 185 cm.
“Nat”, dissi “perché vuoi sapere il mio peso?”
“Perché”, rispose, “tu devi essere lo scrittore più forte in città”.
Non so se fosse vero, ma certo dovetti fare i conti con l’insonnia per
un lungo periodo.
HANK: Wow. Che tipo di approccio avevi, cercando di creare le scene
e le gag per degli artisti che erano avanti e naturalmente brillanti? Sto
cercando di immaginarmi te a 24 anni che tenti di trovare la tua identità
comica mentre scrivi per i Fratelli Marx.
IRV: Questione di fortuna. Non ero un professionista inveterato.
Il fatto è che, se non avessi avuto fortuna, questi film non sarebbero
qui. Quando scrivevo, parlavo a me stesso a voce alta con l’accento di
Groucho. C’erano anche lunghi momenti in cui sedevo alla mia scrivania,
mi stendevo all’indietro e chiudevo gli occhi. Non dormivo, era
una specie di autoipnosi o di meditazione. Lo facevo anche a casa, nel
mio letto, subito prima di addormentarmi. Pensavo a una sola cosa,
chessò, al viola. Cercavo di non pensare ad altro che non fosse il colore
viola. E i pensieri e le idee prendevano corpo. Come le cinque scene
comiche di cui avevano bisogno. O solamente dei frammenti. A volte
chiudevo gli scuri del mio ufficio agli Studios e mi sdraiavo.
Arrivava un’immagine... e prendevo nota... qualcosa circa un biglietto
da mille dollari attaccato a una corda e Groucho che lo agguanta.
Questa divenne parte della scena d’apertura de I Cowboys del
Deserto nella stazione ferroviaria.
HANK: Quella del turlupinamento?
IRV: Già. Groucho era un magnifico protagonista e nei panni di S.
Quentin Quale, se la cavò egregiamente.
HANK: Cosa mi dici dell’inizio con i pionieri che vanno a ovest?
IRV: È quello che chiamiamo l’avanti veloce. La scena della stazione
è subito dopo quella.
HANK: E la scena del saloon in cui Harpo affronta un cattivo con una
spazzola invece di...
IRV: Uno scopettone. Uno scopettone al posto di una pistola. Non
è quel che si dice un grande scherzo. Ma la cosa interessante è che se
scrivi una cosa del genere per Harpo Marx – e per il suo cappello da
cowboy – nessuno crede che possa essere stata scritta perché Harpo
la fa sua e ci ricama sopra. Oppure lui aveva un’idea e io pensavo a
svilupparla.
Dentro il saloon, tutti questi extra facevano veramente ridere. Harpo è
così arso al bar che si accende un fiammifero sfregandolo sulla lingua.
HANK: Come l’avete girata quella scena?
IRV: Gli misero della carta vetrata sulla lingua. La incollarono alla
sua gomma da masticare e lui poté accendere.
HANK: Roba forte.
IRV: Certamente.
HANK: Questo è il personaggio di Harpo, Rusty. Ma che mi dici del
nome che hai dato a Groucho?
IRV: S. Quentin Quale. Era un gioco su una espressione che si usava
una volta. Si riferiva al nome che i burloni usavano quando si parlava
di sesso con ragazze minorenni. La pena era una lunga detenzione in
prigione, nel penitenziario di San Quintino.
HANK: Cavolo.
IRV: Il termine quale49 non significava che nella vita vera Groucho
andava con le ragazzine. Non era da lui. La sua seconda moglie aveva
superato i vent’anni.
HANK: Ah! Nei tuoi dialoghi sembri divertirti a giocare con i luoghi
comuni. Puoi spiegare qualcuna di queste battute? Qualcuna di loro diventò
un tormentone?
IRV: Una in particolare tra gli uomini che frequentavano i bar. La battuta
è di Groucho quando affronta nel saloon Robert Barrat, che interpreta
Red Baxter, il cattivo. Baxter fa cadere Quale dalle scale, e questi
atterra ai piedi della rampa privo di conoscenza. Chico corre da lui, lo
schiaffeggia e gli porge dell’acqua per farlo rinvenire. Groucho apre gli
occhi e dice: “Lascia stare l’acqua. Cacciami il brandy in gola”.50
HANK: Adoro quella battuta.
IRV: I ragazzi la dicevano ai loro baristi: “Joe, cacciami del brandy in gola”.
49 In italiano: “Quaglia”. [n.d.t.]
50 Nella versione italiana del film la battuta: “Forget the water. Force brandy down
my throat” è stata in realtà tradotta depotenziata: “Lascia stare l’acqua. Prendi il
brandy”. [n.d.t.]
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HANK: Un tormentone dei primi anni Quaranta. Fantastico. Come quel
“Cheeseburger, cheeseburger” che John Belushi e Dan Aykroyd resero famoso
al Saturday Night Live, forse due generazioni di comici più tardi.
IRV: Ad ogni modo, fa sempre piacere all’autore.
HANK: Diventare parte della cultura in corso.
IRV: La battuta proveniva da una frase convenzionale in film con minatori
o scalatori che venivano salvati mezzo congelati e mezzo morti.
E qualcuno del gruppo di salvataggio diceva sempre: “Cacciagli del
brandy in gola!”
HANK: Che sensazione dev’essere, sentire uno sconosciuto pronunciare
una battuta della tua sceneggiatura.
IRV: Mi piaceva. Ma non dimenticare che serve un lavoro immensamente
faticoso per arrivarci. Michael Kanin, il marito di Fay Kanin
– insieme scrissero alcuni grandi film – disse qualcosa che non ho mai
scordato: “Scrivere è duro, devi stare seduto ore e ore di fila. Odio scrivere,
ma adoro... averlo fatto”.
HANK: Verissimo. E sarebbe un grande titolo per il libro.
IRV: Cosa? Kanin?
HANK: No, “Cacciami il brandy in gola e altre battute che ho scritto per...”
IRV: “Cacciami il brandy in gola?” Non vuol dire nulla!
HANK: Beh, è solo la battuta più famosa che dici di avere mai scritto.
Me la immagino sull’intera copertina, scritta in maiuscolo. CACCIAMI
IL BRANDY IN GOLA. Fa molto McSweeney.
IRV: Eh?
HANK: È una casa editrice molto di moda, creata da Dave Eggers,
quello che ha scritto L’Opera Struggente di un Formidabile Genio. È
pervaso da quel bizzarro, non lineare, autoironico sense of humour che
i ragazzi di oggi cercano.
IRV: Beh, non lo conosco. Ho un titolo per te: L’Età della Risata.
HANK: Sì! Bello anche questo.
IRV: O quello a cui pensavo l’altro giorno: Don’t Rain on My Tirade.51
HANK: Andata per questo.
IRV: OK, stringiamoci la mano. Stringo la mano tutte le volte. Dalla
prima volta in cui incontrai Groucho.
51 Titolo ironico (In italiano suonerebbe più o meno come: “Non rovinare la mia
tirata”) che vuole parodiare Don’t Rain on my Parade, canzone di scena cantata da
Barbra Streisand. [n.d.t.]
HANK: Che mi dici di Chico? Tu il suo nome lo pronunci sempre
‘Chick-o’. Io pensavo che fosse ‘Cheek-o’.
IRV: No, il mio è il modo corretto. Aveva quel nome perché inseguiva
sempre le ragazze.
HANK: Ma aveva una moglie. Che mi dici di lei?
IRV: Betty. Chico fu molto duro con sua moglie. Lei soffrì a lungo
l’indifferenza del marito, perché quasi ogni notte Chico era fuori a giocare
a carte o a donne. Groucho mi disse che una volta arrivò a casa
la mattina seguente e trovò un percorso di carte da gioco che partiva
dall’ingresso della casa, attraversava il salone, saliva per le scale e arrivava
fino al letto di Betty.
HANK: Era il suo modo di dire fottiti a Chico?
IRV: No, era il suo modo di dire fotti me! È un quadro divertente,
Betty ha senso dell’umorismo. Forse per questo, nonostante tutto, il
loro matrimonio durò così a lungo.
HANK: Dal necrologio del L.A. Times della moglie di Harpo, Susan:
“I Fratelli Marx, celebri per film come Animal Crackers, Monkey Business,
I Cowboys del Deserto, La Guerra Lampo dei Fratelli Marx e
Una Notte all’Opera.
IRV: Non male. Mi fa piacere che alcune persone hanno apprezzato
il lavoro. Mi sarebbe piaciuto fare di più. Provo come una sensazione
di lavoro incompiuto.
HANK: Voglio chiederti di più su Harpo.
IRV: Harpo era un meraviglioso diavoletto.
HANK: Nel saggio di Alan Pale, Comedy is a Man in Trouble: Slapstick
in American Movies, vieni citato quando dici che ad Harpo interessavano
solo le sue scene e che lasciava la struttura complessiva a Groucho.
IRV: Harpo non si interessava mai di nulla.
HANK: Viene descritto come silly, lo stupido dei fratelli Marx. Ho
cercato la derivazione della parola silly e originariamente significava
“benedetto” nella Bibbia. Poi si è trasformato in “innocente”, quindi in
“semplice” fino al significato di oggi “sciocco”.
IRV: È abbastanza interessante. Harpo aveva l’innocenza di un
bambino. E sembrava che si divertisse un mondo a prendere in giro
le persone. Come in I Cowboys del Deserto quando batte sul tempo
il cattivo ma invece di sparargli strofina la spalla del tizio con lo scopettone.
Era matto e dispettoso, quando pensava che ci fosse motivo
di esserlo.
114 115
Durante le riprese de I Cowboys del Deserto decise di dare una festa
di compleanno speciale in onore di Eddie Buzzell. Fu la festa meno
convenzionale alla quale io abbia mai partecipato. Gli invitati furono
fatti salire su un autobus noleggiato che li lasciò di fronte al Brown
Derby a Hollywood. Harpo ci aveva promesso una grande cena, così
avevamo già l’acquolina in bocca quando scendemmo dall’autobus.
Ma non ci fu permesso di entrare nel ristorante. Invece un carrello
degli hot dog si fermò di fronte a noi. L’ombrellone riportava la scritta
“Tanti Auguri Eddie” e l’omino cominciò a distribuire panini. I festaioli
erano troppo occupati a ridere per riuscire a mangiare.
Quando lo scherzo terminò, a quel punto cenammo sul serio al Derby.
Quindi il bus ci portò all’Olympic Arena, dove ogni venerdì sera si
svolgevano dei combattimenti. Dal momento che era sabato, il posto
era vuoto, a eccezione di due wrestler che si scagliavano l’uno contro
l’altro sul ring. Due enormi, grassi, anziani wrestler. Quando completarono
una serie selvaggia di mazzate, improvvisamente si bloccarono, si
girarono e a braccetto cantarono tanti auguri a Buzzell.
Harpo adorava questo tipo di divertimento. E non era mai offensivo.
Un uomo meraviglioso e allo stesso tempo un intrigante chutzpah.52
Harpo era adorabile. Non stavamo certo seduti tenendoci per mano a
cantare. Ma potevi toccarlo. Con lui potevi arrivare un po’ più vicino di
quanto era possibile fare con Groucho.
HANK: Che bello, Irv. Voglio leggerti un’altra recensione, da Londra,
su I Cowboys del Deserto.
“La storia è molto ben raccontata. Groucho, mentre lega una sciarpa
sulla bocca di un macchinista, guarda la platea e dichiara: «Questa è la
migliore battuta del film». Si sbaglia. Il climax... è la corsa tra il treno
e un cavallo, molto ben fatta... il treno che arriva in trionfo come un
papero mezzo spennacchiato... [dopo] un viaggio da incubo durante il
quale il legno delle carrozze viene usato come combustibile... Per la
prima volta nelle loro carriere, i Fratelli Marx si sono cimentati con lo
slapstick”. Non lo capisco.
IRV: Nemmeno io. Che diavolo, vuoi andare a prendermi mezzo sandwich?
HANK: Mi piace anche il passaggio della tua sceneggiatura in cui S.
Quentin Quale guarda la platea e dice: “Ehi, tu in sala di proiezione, ti dispiacerebbe
mandare indietro il film fino a «Posso avere indietro l’atto»”?
52 Parola ebraica traducibile con: “insolente, impertinente”. [n.d.t]
IRV: Credo che Buzzell l’abbia fatta tagliare.
HANK: Ne I Cowboys del Deserto è presente un altro tormentone di
Groucho Marx: “Il tempo ferisce tutte le guarite”, dice nel saloon. È una
battuta che una volta ho sentito in bocca a John Lennon.
IRV: Davvero?
HANK: Te lo sto dicendo! Per questo te lo chiedo. È stato usato nel
tuo film per la prima volta?
IRV: Non sono sicuro che sia roba mia.
HANK: Sto solo dicendo, dimenticati di “Caccia il brandy nella mia
gola”. “Il tempo ferisce tutte le guarite” è ancora così attuale...
IRV: Non voglio che sia attribuita a me. Andiamo a farci un sandwich.
Brecho Marx
IRV: Vi ho già detto che quando ero un bambino, la cosa più bella del
mondo era truccarsi da Groucho?
Bene, una mattina d’estate del 1939 Harpo mi chiamò molto presto.
I fratelli, un regista, qualche attore e il sottoscritto avevamo in
programma di lasciare Hollywood in treno per andare a Joliet, in
Illinois, e mettere in piedi una versione dal vivo de I Cowboys del
Deserto in un teatro di vaudeville. Prima di girare il film, portammo
sul palcoscenico il materiale per vedere se faceva ridere. Il piano,
utilizzato precedentemente da MGM per affinare le scene comiche
di Una Notte all’Opera, aveva senso. Lo spettacolo doveva avere un
narratore che declamava una trama di massima che legasse insieme
quattro dei cinque blocchi di scene comiche, separati da canzoni
cantate dagli attori romantici, numeri musicali di Harpo con i suoi
piacevoli assoli di arpa e Chico, che era sempre una garanzia di
successo con quel suo strano modo di maneggiare i tasti, come se
suonasse per ridere e non quello che il compositore aveva in testa.
A ogni spettacolo ero tra il pubblico o nel retro del teatro a prender
nota di come i numeri girassero. Se qualcosa non funzionava, lo
rimpiazzavo nello spettacolo successivo. Ci si attendeva da loro che
imparassero le battute. Chico non imparava mai davvero la maggior
parte delle battute, era sempre da qualche altra parte. Ma Groucho
era una persona responsabile e di Harpo non ci si doveva preoccupare:
non aveva mai battute.
116 117
Non potevamo usare questo metodo – tornare alle loro radici nei teatri
del vaudeville – con Tre Pazzi a Zonzo perché le scene richiedevano
troppe variabili: trapezi, un orso, qualche elefante, avete presente, no?
Così Harpo mi chiamò per dirmi che un fotografo stava aspettando
agli Studios per fare le foto che servivano urgentemente per i poster e
per i cartelloni de I Cowboys del Deserto.
“Vai alla MGM”, disse “ti truccheranno in modo da farti sembrare
Groucho”.
“Di che stai parlando, Harpo?”
“Oggi è l’ultimo giorno utile per fare gli scatti e Groucho non ha intenzione
di alzarsi dal letto”.
“Perché?”, chiesi. “Con chi è?”
“Magari fosse così fortunato. Invece pensa di essersi preso un raffreddore.
Poi ha starnutito ed è diventata peste bubbonica”.
Groucho era ipocondriaco. Se appena tirava su col naso, annullava
tutte la attività sociali e lavorative in ballo.
“Faranno le foto a me?”, dissi ad Harpo, “Stai scherzando”.
Harpo disse: “Irv, ti ho visto fare Groucho alle feste con un sughero
bruciato. Non ti preoccupare, quando ti avranno truccato, sembrerai lui”.
Così mi precipitai agli Studios per vedere Jack Dawn, il famoso make-
up artist che aveva truccato Greta Garbo, Joan Crawford, Myrna Loy
e tutte le altre bellezze. E adesso toccava a me! Quando Jack Dawn
terminò di colorare i miei riccioli ondulati e poi li pettinò a la Groucho,
e mi fece le sopracciglia e il labbro superiore con il lucido da scarpe,
tutto quello che mi serviva era un lungo sigaro.
Quando guardai nello specchio, era lì: Groucho aka Julius Marx.
L’impatto di essere un personaggio famoso non mi colpì finché non
arrivai in Illinois tre giorni dopo con il resto della crew. Uscendo dalla
stazione, ebbi l’improvvisa sensazione di vedere un cartellone che annunciava
l’imminente apparizione dei tre Fratelli Marx. E quello ero io,
stretto tra Harpo e Chico, un tentativo fraudolento di ingannare la buona
gente di Joliet. L’unica cosa che poteva smascherarmi era al dito di
“Groucho”: un anello a forma di occhio di tigre che mi aveva dato mio
zio Paul, un broker nel mercato dei diamanti della Quarantasettesima
strada. Tirate fuori le vostre lenti d’ingrandimento. È lì la prova.
Quando andammo a Detroit, Groucho era occupato con quattro
show al giorno al Fox Theater, così mi chiese di fargli un favore. La
sua giovane figlia Miriam era arrivata da Los Angeles e Groucho voleva
che io la portassi allo spettacolo. Andai a prenderla al suo hotel
e camminando passammo davanti a un muro coperto con i poster
promozionali a 24 fogli che annunciavano I Cowboys del Deserto.
Grande come un cartellone.
Miriam guardò l’immagine, Harpo e Chico e in mezzo Groucho, e
con un tono enigmatico disse: “Non ho mai visto prima quell’anello al
dito di papà!”
Sollevai la mia mano e gliela mostrai. Stavo portando l’anello.
Non ci poteva credere. Quello in mezzo ero io. Questo sì che era divertente.
Credo che ora, perfino da adulto, la cosa più grande nella mia
vita nel mondo dello spettacolo sia stata truccarmi da Groucho.
Ma il momento più memorabile del viaggio fu il momento in cui io
e Groucho, tra uno show e l’altro, stavamo camminando verso l’hotel
quando sentimmo lo strillone urlare: “I nazisti invadono la Polonia!”
“La sola cosa buona che può uscire da questa storia”, disse Groucho
“è che sarà la fine delle barzellette sui polacchi”.
Chico e Harpo si chiedono chi sia l’uomo in mezzo a loro: “Sono io, Groucho!”
118 119
Harpo perde il suo Mezuzah
Harpo Parla! 53
Questo è il nome di un libro che Adolph Marx ha scritto con Rowland
Barber nel 1961. È su uno scaffale nel soggiorno di Irv che insiste che
io lo legga perché è pieno di bellissime storie on the road sui Fratelli
Marx, accadute dopo che la madre Minnie spinse i cinque ragazzi nel
mondo dello spettacolo.
Harpo dice che la prima cosa che fece sul palcoscenico fu bagnarsi i
pantaloni. In seguito viaggiò per venticinquemila miglia e in trecento
differenti città nel giro di dodici anni. Smise di parlare per sempre nel
1964 a settantasei anni, una perdita enorme, dice Brecher.
Susan Marx e Brecher rimasero amici, e nel dicembre del 2002 lo
chiamai per leggergli il suo necrologio dal L.A. Times:
“Aveva novantaquattro anni”, disse, sapendo già tutto. “Adorabile.
Era un’attivista a Palm Spring, dove vivevano. Era dolce, una bella persona,
dal cuore puro. Adottarono quattro figli. Bill Marx ora è sulla sessantina e
parliamo spesso. Ha appena scritto un libro su suo padre e mi ha chiamato
per scriverne l’introduzione. Susan Marx... Dio, le volevo davvero bene...”
Quindi disse bruscamente, con il suo respiro successivo: “Ascolta,
ragazzo, diamoci una mossa, devo raccontarti queste storie prima di tirare
le cuoia. È una cosa spiacevole da affrontare. Io stesso non ne sono
particolarmente entusiasta”.
HARPO PRENDE UN TAXI DA TIFFANY
Un giorno, mentre camminava per New York, irriconoscibile senza
il parrucchino, Harpo passò davanti a Tiffany sulla Quinta strada, dove
una coda di taxi stava aspettando di essere pagata. Un alto usciere che
lavorava per Tiffany stava gridando: “Ehi tu, fottuto ragazzo ebreo, sposta
quel tuo taxi ebraico!”
Harpo sentì tutto e allora entrò nel primo ten cent store54 che gli capitò
a tiro, andò nel reparto bigiotteria, comprò una borsa di diamanti
e rubini per un nichelino, tornò verso il negozio di Tiffany e ci entrò.
L’usciere con le vene viola sul naso stava ancora urlando: “Ehi kike,55
53 Harpo Marx, Rowland Barber, Harpo Speaks!, Limelight Editions 1961. [n.d.t.]
54 Negozio che vende vari articoli a prezzi molto bassi. [n.d.t.]
55 Termine spregiativo per indicare una persona ebrea. [n.d.t.].
muoviti!”. Harpo andò a sbattere contro di lui e lasciò cadere le borse di
gioielli sul marciapiede. L’usciere si piegò per aiutare a raccogliere gli
oggetti caduti e Harpo allungò un gioiello al tizio, dicendogli: “Questo
è per te, buon uomo. Me lo posso permettere”. Il tizio a momenti svenne
alla vista del diamante.
“E per cortesia mi chiama un taxi?”, aggiunse Harpo. “Sono in ritardo
per la sinagoga”.
Quello fu una gran bel modo di vendicarsi. Quando avrà portato a
stimare il diamante, al tizio sarà venuto un infarto.
IL MEZUZAH DI HARPO
Harpo Marx era affezionato al suo mezuzah, un gioiello composto da
un pezzo di metallo con all’interno una piccola pergamena con il nome
di Dio. Lo portava intorno al collo appeso a una piccola catenina d’oro.
Tutte le volte che lo vedevo ce l’aveva indosso. Per anni.
Tornò a casa da un viaggio a New York e quando gli parlai lui disse:
“Sono arrabbiato. Ho perso il mio mezuzah, era come un portafortuna
per me. Di sicuro l’ho perso sull’aereo”.
Dissi: “Glielo hai fatto cercare?”
Harpo disse: “Sì, ho lasciato il mio nome e la descrizione dell’oggetto.
Non credo che lo rivedrò mai più”.
Ma quando lo incontrai qualche giorno più tardi, mi disse: “Ci puoi
credere? Hanno ritrovato il mezuzah. Non sto scherzando. Mi hanno
chiamato e mi han detto «Signor Marx, abbiamo buone notizie per lei.
Abbiamo trovato il suo fischietto. Ma qualcuno lo ha riempito con della
carta, che abbiamo tolto così ora può soffiarci dentro».
HARPO DIVENTA DISOCCUPATO
Negli anni Sessanta Harpo si era ritirato, tranne quando si esibiva per
qualche serata fuori città. Un giorno disse di essere andato all’ufficio
di collocamento (lo facevamo tutti tra un lavoro e l’altro, ti davano sessanta
dollari a settimana per tredici settimane. Una volta vidi Adolph
Monjou arrivare in Rolls Royce, uscire dalla macchina, entrare e poi
tornare indietro con i sessanta dollari).
Harpo allo sportello dell’ufficio.
“Nome?”
“Harpo Marx”.
“Per quanto tempo è rimasto disoccupato?”
120 121
“Circa due settimane”.
“Qual è stato il suo ultimo lavoro?”
“Ho suonato l’arpa al teatro dell’Opera di Toronto”.
“E qual è stato il suo compenso?”
“Quattordicimila dollari”.
L’impiegata reagì nervosamente. Pensava di aver a che fare con un
pazzo quando l’uomo dietro Harpo disse: “È Harpo Marx, il comico.
Fanno un sacco di soldi quando lavorano”.
L’impiegata si ricompose. “Va bene”, mormorò. “Vuole ancora i sessanta
dollari?”
Harpo disse: “Se non li prendo, al dipartimento del tesoro non quadreranno
più i conti”.
Li prese. Il resto della fila dietro di lui se la fece addosso dal ridere.
IL BIRDIE DI HARPO
Harpo Marx amava il golf e avevamo l’abitudine di giocare assieme.
Un pomeriggio all’Hillcrest Country Club, ricordo che faceva molto
caldo, Harpo si tolse la maglietta, fradicia di sudore.
Giocò il resto della gara in pantaloncini. Quando rientrammo nella
clubhouse, gli venne detto: “Non è permesso giocare a golf senza maglietta”.
Il presidente del circolo gli diede una bella strigliata.
“Giocare senza maglietta è una grave violazione. Se succederà di
nuovo, verrete sospeso per sei mesi”.
Harpo si scusò sinceramente.
“Non mi toglierò più la maglia”, disse. “Davvero non so che mi è
preso. Forse un colpo di sole”.
La volta successiva, quando arrivammo alla nona buca dopo il colpo
d’inizio, con tutta la clubhouse che poteva vederci, Harpo si tolse i pantaloni.
Giocò il resto della partita con il sospensorio.
Quando finimmo di ridere, puntai il dito verso le sue mutande e gli
dissi: “Non vale, tu hai una mazza in più!”
HENRICI DI CHICAGO
Dei tre fratelli, Chico era la pecora nera. Ma era così dolce, così affascinante.
Amava anche frequentare brutti ceffi e picchiatori. Una volta
tra uno spettacolo e l’altro mi portò fuori a pranzo da Henrici, un famoso
ristorante di Chicago. All’improvviso sbucarono questi tre tizi vestiti
con le giacche di lana scozzese e i nasi rotti.
Appena videro Chico gli piombarono addosso e nel loro inglese elementare
dissero: “Ehi Chikky boy, che ci fai qui a Chicago?”
E poi uno di loro lo tirò su e lo abbracciò. Sono dei duri.
Chico glielo disse e aggiunse: “Questa è la persona che sta scrivendo
il film”.
Uno dei tizi mi diede una pacca sulla spalla che a momenti mi sloga
una clavicola.
E finalmente uno di loro disse: “Chico, fino a quando ti fermi qui?”
“Stiamo lavorando”, rispose Chico.
Disse: “Abbiamo un ranch appena fuori città. A Weathon. Un grosso
ranch”.
“Mazel tov”.56
“No, dovete venire lì, Chico, in memoria dei vecchi tempi. Noi andiamo
a caccia. Ti piace cacciare?”
“Beh, è davvero da un sacco di tempo che non vado a caccia”.
“Noi andiamo a caccia”.
“A cosa sparate?”
“Polli, gatti, cani”.
Che uomini di sport.
LA STORIA PREFERITA DI HARPO SU THORNTON WILDER57
Una ragazzina arrivò e gli chiese cosa sia la guerra. Wilder glielo disse: “È
quando un milione di uomini con le pistole vanno a cercare un altro milione
di uomini con le pistole e poi si sparano cercando di uccidersi a vicenda”. La
ragazzina disse: “Ma se nessuno si fa vedere?” Wilder non seppe rispondere
all’osservazione.
LA LINGUA INCIVILE
Groucho mi chiamava ‘Brech’. Harpo mi chiamava ‘Irv il Nervoso’ perché
ero su di giri tutto il tempo. La droga non c’entrava. Ero iperattivo. Sempre
in movimento. In Tre Pazzi a Zonzo chiamai il personaggio di Groucho
‘J. Cheever Loophole, Aquila Legale’. Era ispirato al nome di J. Cheever
Cowdin, un tagliatore di teste che riduceva le spese del libro paga per conto di
una banca che aveva prestato troppi soldi alla Universal, all’epoca annaspante.
Un banchiere yankee dal naso piccolo e dalle labbra sottili. Pensai che il
56 Congratulazioni, in ebraico.
57 Thornton Wilder (Madison, 1897 – Hamden, 1975) scrittore statunitense vincitore
di tre premi Pulitzer.
122 123
nome sarebbe stato un affronto per chiunque lo avesse letto. Così pomposo.
Non l’ho mai incontrato di persona, ma uno sceneggiatore della Universal mi
disse di aver sentito qualcuno in mensa parlare con Cowdin del nome “offensivo”
di quel personaggio.
“Chiunque lo abbia fatto”, giurò Cowdin “non lavorerà mai qui”.
Di fatto, se n’era già andato da un pezzo quando andai a lavorare alla Universal
per scrivere e girare The Life of Riley nel 1948.
ARCH TI PRESENTO GROUCH
Durante la guerra, io e Groucho ci incontrammo con Arch Oboler nel suo
ufficio. Oboler era un grande produttore radiofonico di spettacoli thriller
come Lights Out, e andammo a trovarlo per sottoporgli delle idee. Lui doveva
produrre uno show radiofonico per le Forze Armate e io ero lì per discutere
uno spazio di dieci minuti per Groucho (All’epoca scrivevo un sacco di materiale
radiofonico per Groucho, ma questa è un’altra guerra). Oboler si riferiva
a se stesso in terza persona.
Per quindici minuti,
suggerii un’idea dietro
l’altra, e tutte le volte
Oboler ripeteva: “Uh-uh,
a Oboler non piace. Qualcos’altro?”
Credo di aver tentato
sei o sette volte, ricevendo
sempre un “Oboler non
pensa che sia divertente”,
oppure un “Oboler non ha
intenzione di accettare”.
Non c’era niente da
fare.
Groucho scrollò la cenere dal suo sigaro proprio al centro della scrivania
dell’uomo. Poi sorrise e disse: “Quando Oboler si fa vedere, ditegli che può
andare affanculo”.
E ce ne andammo.
SPORT NAZIONALE
Nel 1948 andai con Groucho e Julius Epstein a una partita di baseball semipro,
al Gilmore Stadium, che adesso è il centro commerciale Grove tra la
Terza e Fairfax. Eravamo seduti a vedere la partita quando un tizio si avvicinò
e ci fece: “Avete sentito la radio? Lo stato della Palestina ha appena annunciato
di aver cambiato nome in Israele”. E Julius disse: “Altri sei mesi e lo
cambieranno in Irving”.
L’ULTIMO GROUCHO
Una volta Groucho era ospite a casa mia e gli stavo mostrando il mio cane,
Toulouse-Lautrec, un piccolo barboncino nero poco più grande di un cane
in miniatura. A chiamarlo così fu mia figlia Joanna. Glielo comprai quando
si lasciò col suo ragazzo e si sentiva depressa. Era un cagnolino formidabile
e brillante. Toulouse-Lautrec arrivò e fece quello che la maggior parte dei
cani fanno con i pantaloni degli uomini. Annusò i risvolti. Groucho disse:
“Deve aver sentito l’odore di mio figlio”.58
Groucho diventa Woody
“Supponi che ti porti nella mia villa di campagna detta ‘La Piccola
Fogna’. Cosa direbbe la mia famiglia?
[Un ubriaco rutta] Beh, lo direbbe più delicatamente”.
- S. Quentin Quale, I Cowboys del Deserto, al saloon Crystal Palace
rivolto alla cantante glam Lulubelle, la ragazza di Red Baxter.
Stiamo andando al Label’s Table, il deli preferito di Brecher. Guidiamo
a est sulla Wilshire, poi a sud verso la Beverly Glen, poi a est sulla
Pico, passiamo per i Fox Studios e per l’Hillcrest C.C., davanti al centro
Simon Wiesenthal con il Museo della Tolleranza, prendendo parte alla
sfilata sulla Pico-Robertson, il vecchio quartiere ebraico. Ma il Label è
facile da mancare. Il locale è grande quanto-un-buco-nel-muro con una
larga finestra che riporta la scritta “Sandwich Special”. Parcheggiamo
58 Di solito si dice: “Deve aver sentito l’odore del mio cane”. [n.d.t.]
Una lettera di Groucho
del dicembre 1940: “Ci
siamo fermati per vedere il
presidente Roosevelt e lo
show Spewack. Roosevelt
era fuori città. Sarebbe stato
meglio se anche lo Spewack
fosse stato fuori città...”
124 125
sulla Pico, proprio di fronte all’ingresso, grazie al tesserino blu per gli
handicappati di Irving, e guido lui e il suo girello dentro il locale.
Il suo volto raggrinzisce in un sorriso a metà. “Posso annusare gli
ebrei”, dice e il grande comedian dei Catskills Jack Carter è dentro con
sua moglie, entrambi in tuta da ginnastica. Si avvicinano per salutare,
e Bruce, che gestisce il Label, è sempre carino con Irv. A volte cominciano
a parlare di aglio; la teoria di Irv è che l’aglio ha perso vigore da
quando la Cina ha preso il potere e ha cominciato a esportarlo...
Ordiniamo al bancone un pastrami sandwich da dividere, con insalata
di cavolo e senape extra, e lui dice di prendergli un mucchio di stuzzicadenti,
e dopo averlo sistemato in uno dei tavoli arancioni di plastica
scivolosa del Label (e aver sistemato da qualche parte il girello) piazzo
il registratore e il microfono, non troppo vicino al piattino di senape
extra posta di fianco al suo mezzo sandwich.
HANK: Uff. Bene. Possiamo finalmente iniziare?
IRV: Ok!
HANK: Hai detto che Groucho era il tuo alter ego, un ribelle, un dissidente,
che tu eri un artista di quelli che non risparmiano le parole, come
Groucho. Ma se fossi stato timido? Avresti avuto ugualmente successo?
IRV: Ne dubito. Le parole da sole non mi hanno portato al successo.
Sono state le parole che ho messo su carta. Ero timido se dovevo salire
su un palcoscenico.
HANK: Ah. E come riesci a farle lavorare per te?
IRV: Come nelle commedie, devi volare alto ed essere divertente,
non tergiversare.
HANK: Che critica faresti ai tuoi film con i Fratelli Marx?
IRV: Se fossi un critico, suggerirei di tagliare tutte le scene con gli
amanti. Sono irritanti. Sono sempre tra i piedi. Una Notte all’Opera e
Un Giorno alle Corse sono stati fatti con Thalberg, che prendeva solo
amanti con vero talento. Alan Jones con Kitty Carlisle e Maureen Sullivan.
Interpreti di classe.
HANK: Ho letto che Roland Barthes ha mostrato ai suoi studenti
universitari alcune scene di Una Notte all’Opera per illustrare la teoria
semiotica.
IRV: È interessante. Ma vorrei ancora mandare avanti veloce le scene
d’amore di Tre Pazzi a Zonzo e I Cowboys del Deserto. E Groucho era
d’accordo con me. Pensava che i “team amorosi” dovessero essere molto
più che buoni. Una sera andammo a vedere un film che si chiamava
Sansone e Dalila (1949). Il protagonista era Victor Mature in perizoma.
Sembrava una versione più piccola di Schwarzenegger. Che torace. E
la protagonista femminile era una donna splendida di nome Hedy Lamarr,
che se ne andava in giro con uno slip. Era bella di viso, ma il resto
del corpo era quello di un ragazzo. Più tardi chiesi a Groucho cosa ne
pensava e lui disse: “Non mi piacciono i film in cui le tette dell’attore
protagonista sono più grandi di quelle della protagonista femminile”.
HANK: Ah! È vero che hai trasformato Groucho in Woody Allen?
IRV: Beh, lo chiamai la prima volta che vidi Woody Allen in televisione.
Woody era al Jack Paar Tonight Show. Non era ancora nessuno,
era un novellino. Una delle sue gag mi ribaltò: “Non sono tenuto a
estendere ulteriormente il mio tempo”. Tirava fuori un orologio da tasca
attaccato a una catena. Apriva il coperchio. Dava un’occhiata al quadrante.
“Quest’orologio è un cimelio di famiglia”, disse. “Mio nonno
me l’ha venduto sul letto di morte”.
Questa era la battuta per cui chiamai Groucho.
HANK: Wow.
IRV: Tutto quello che feci fu una telefonata.
HANK: È come se Allen Ginsberg trasformasse Bob Dylan nei Beatles.
[Silenzio]
HANK: O se Paul Krassner convertisse Groucho all’LSD.
[Silenzio]
HANK: Woody ha preso un sacco di cose da Groucho, specialmente
in Io e Annie.59 È questa la ragione per cui lo ami?
IRV: No. Non le ha prese da Groucho. È roba sua.
HANK: In Prendi i Soldi e Scappa,60 i genitori di Virgil Starkwell
sono travestiti da Groucho.
IRV: Ah, sì. Puoi citare una persona e ammirarla immensamente. I
bisbetici si somigliano.
HANK: Hai trasformato Groucho in qualcuna delle sue mogli?
IRV: No.
HANK: Ne aveva qualcuna.
IRV: La prima fu Ruth Johnson, madre dei suoi due bambini. Una
bella bionda. Poi ci fu quella che era sposata con Leo Gorcey. Kay. E la
sua terza moglie era una bellezza di nome Eden Hartford.
59 Annie Hall, regia di Woody Allen (1977).
60 Take the Money and Run, regia di Woody Allen (1969).
126 127
HANK: Nel libro Groucho: The Life and Times of Julius Henry
Marx, Stefan Kanfer si chiedeva se Groucho fosse così segnato dal predominio
di Minnie [sua madre], che gli aveva usurpato l’infanzia, da
sentire l’impulso incontrollato di tiranneggiare e umiliare ogni donna
che gli capitasse a tiro.
IRV: Non credo fosse così. Non era il tipo che picchiava la moglie.
Era più il tipo che la metteva sotto intellettualmente, a volte davanti agli
altri. Non erano colte come lui e non avevano il suo stesso interesse
viscerale per la musica.
HANK: Ho appena visto una battuta che hai dato a Groucho, in un
libro chiamato Great Hollywood Wits di Gene Shalit.
IRV: Gene Shalit. Quelle sue recensioni dei film erano uno strazio...
HANK: Il libro è una collezione di battute argute, e lui cita dalla tua
sceneggiatura de I Cowboys del Deserto: “Lulubelle, ma sei tu! In piedi
non ti riconoscevo”.
IRV: Oh sì, battuta divertente. Groucho nella diligenza.
HANK: Il suo primo ingresso nel saloon. Adoro Groucho quando
dice: “Ragazzi, spazzate quei furfanti”. E qualcuno dice: “Ma qui fuori
non c’è neanche un cane”. E così Groucho, più dolce, dice: “Allora
spazzate la strada”. E poi vede Lulubelle al bar.
IRV: E le dice che in piedi non la riconosceva?
HANK: Già. Davvero audace, vero?
IRV: Davvero audace, se era quello che intendevo dire. Non so perché
i censori l’abbiano fatta passare.
HANK: E Lulubelle risponde a Groucho: “Pavone buffone”.
IRV: Ah!
HANK: Un’altra che mi piace è quella in cui Groucho sta cercando
di ottenere l’atto di proprietà di Dry Gulch e dice: “Avrò quell’atto di
proprietà immantinente, qualunque cosa questo significhi”.
IRV: Ah ah!
HANK: Comunque, Irv, parlando dell’attribuzione della battuta de I
Cowboys del Deserto, Shalit ha scritto: “Sceneggiatura di Jack Jevne,
Charles Rogers, James Parrot, Felix Adler”.
IRV: È un oltraggio! Si è bevuto quel cazzo di cervello. Spero di riuscire
a scoprire come contattare Shalit e dirglielo. Gesù, spero che ci sia
un modo per citarlo per danni.
HANK: Ma la gente non fa la revisione di questi libri?
IRV: La maggior parte dei libri su Groucho è piena di imprecisioni
su di me. La scemenza peggiore è quella scritta da Kanfer che hai citato
prima. C’era un altro libro chiamato Monkey Business, scritto da qualche
succhiacazzi. Diceva che facevo coppia con un altro tizio e neanche
lo conoscevo quell’uomo! Mi ha fatto infuriare, quel cazzo di libro.
Non credo che abbia venduto dieci copie. Io ho buona memoria, sai.
HANK: Sì, ricordo.
IRV: Ora lo sai.
HANK: Stai dicendo che tutti i libri sono inesatti?
IRV: No, ho detto la maggior parte.
HANK: Ne sto leggendo uno che mi piace, Groucho, Harpo, Chico
and Sometimes Zeppo, di Joe Adamson.
IRV: Dài? Credo di averlo.
HANK: Non solo, ci sono venticinque pagine che parlano di te...
IRV: Oh?
HANK: Riporta questa citazione di Groucho: “La prima cosa che
scompare quando gli uomini trasformano un paese in uno stato totalitario
sono la commedia e la comicità. Per il fatto che ci ridono in faccia,
non credo che la gente davvero capisca quanto siamo indispensabili per
la loro sanità”.
IRV: Ben detto.
HANK: Ho scovato un piccolo libro scritto nel 1966 intitolato The
Marx Brothers: Their World of Comedy, di Allen Eyles. È inglese. Li
chiama: “I più eroici di tutti i comedian cinematografici”.
IRV: Oh, davvero?
HANK: Dice che hanno portato la commedia dell’arte nel vaudeville
e al cinema...
IRV: Oh, sì.
HANK: “Affrontano un mondo che li ostacola e li sottomette come
farebbe un cowboy che si sbarazza del cattivo”.
IRV: Questa è la parte che mi piace di più. Fanculo ai pezzi grossi.
HANK: Ma poi questo tizio, Eyles, dice che non gli interessano i due
film che hai scritto tu.
IRV: Molto male. Mi dispiace.
HANK: Sì... ad esempio, definisce I Cowboys del Deserto “un insipido
pout pourri dell’equivoco”.
IRV: Ma di che diavolo parla? Che commento pretenzioso... insipido
pout pourri. Ma a chi interessa? Può andare affanculo.
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HANK: Capisco perché alcuni di questi libri sui Fratelli Marx ti descrivano
come abbastanza insolente a quel tempo.
IRV: No. Ero spaventato.
HANK: Spaventato? Tu chiedi molto a te stesso, e lo fai ancora, o no?
IRV: Io sono quello che sono. Perché non cercare di cavarne il massimo?
La vita insegna che se hai dato amore e ne hai ricevuto in cambio,
la tua vita è stata piena. Ma se avessi fatto dire una cosa del genere a
Buddy Hackett, sarebbe suonato ridicolo.
HANK: Troppo sdolcinato?
IRV: Sì. Ma io non sono un comedian, io lo posso dire.
HANK: Posso chiederti: preghi mai, magari come modo per affrontare
la paura?
IRV: Dico una preghiera ogni sera prima di andare a letto: “Sh’ma
Yisroel Adonoi Elohenu Adonoi Echod. Baruch Shem K’vod Malchuso
Lo-olam Vaw-ed.61 Questo mi ricorda che sono un ebreo. Buona
notte.
I Film Non si Fanno da Soli
Rags Ragland: Gli procureremo un Rooney.
Red Skelton: Un Rooney? Che cos’è?
Rags Ragland: è una versione potenziata di Mickey.
- Madenmoiselle du Barry, 1942
La MGM era nota come “la fabbrica dei sogni” ma Brecher la chiama
semplicemente “Metro”, il luogo in cui dice di aver speso “dieci anni
miserabili ma felici”. Gli ho chiesto se i suoi momenti più belli li ha
trascorsi con gli altri sceneggiatori intorno alla famosa tavola rotonda
degli Studios.
“Poteva essere rotonda”, ribattè seccamente “Ma noi non la chiamavamo
così. Dicevamo semplicemente: «Ci vediamo a pranzo al tavolo».
La gente non parla così: «Ci vediamo alla tavola rotonda...»”
61 “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Benedetto sia
il nome del Suo Glorioso Regno nei secoli dei secoli”.
Un pomeriggio ci troviamo nello studio di Brecher perché voglio vedere
Jolanda e il Re della Samba,62 un musical che Brecher ha scritto
per Fred Astaire ed è stato diretto da Vincente Minnelli nel 1945. Norma
è lì che cerca di sfoltire la loro collezione video. Dice che la stanza
non li può più contenere per via di tutti i DVD che l’Academy manda e
che lui non può più vedere.
“Qui ce n’è uno”, dice. “Sua Altezza si Sposa”.63
“Oh, non ci serve quello”, dice Brecher.
“E invece sì!”, cinguetta Norma. “C’è quella splendida scena con
Fred Astaire che balla sul soffitto e sul muro”.
“Va bene”.
“Per quando sei malato e non puoi fare niente, nemmeno leggere”,
continua Norma. “Rimane!”
Lei mi raccontò che una volta, quando Irv la portava al cinema, non
le consentiva di mangiare e bere nulla perché diceva che il rumore disturbava
la sua concentrazione. Per questo, disse Norma, vedevano la
maggior parte dei film alla DGA o alla Academy of Motion Picture,
perché lì non si poteva portare dentro il cibo.
“Quello!” torna alla carica Norma con Sua Altezza si Sposa. “E Spettacolo
di Varietà64 in cui Astaire e Jack Buchanan danzano”, e attacca a
cantare: “I guess we’ll have to change...”
Si unisce anche lui e ora stanno cantando entrambi: “I guess we’ll
have to change our plans...”
Amo questa coppia. Mi ricordano di come i miei genitori diventano
teneri quando parlano dei vecchi film.
“È del mio amico Arthur Schwartz”, dice Irv. “È una delle cose più
magiche che potrai mai trovare in un film”.
“Sua Altezza si Sposa è un film terribile”, dice Norma. Ma lo guarderei
tutti i giorni solo per quella scena”.
“Oh sì”, dice Irv.
“Va bene, ora non vi scoccio più. Voglio solo stare con i ragazzi,
come farebbe una sorellina. Ecco, sono una bambina!”
62 Jolanda and the Thief, regia di Vincente Minnelli (1945).
63 Royal Wedding, regia di Stanley Donen (1951).
64 The Band Wagon, regia di Vincente Minnelli (1953).
130 131
“Fallo”, dice Irv. “Rimani! Ci godremo tutti assieme Sua Altezza si
Sposa... ma potrebbe rivelarsi terribile, capisci?”
Guardandoli penso che la vita può essere terribile, ma basta ascoltare
Irv e non sarai mai triste.
Norma lo tormenta affinché mi mostri un video che tiene nel suo armadietto
in mezzo a una collezione di dischi a 78 giri. Lo trovo. È un
nastro di un pranzo annuale organizzato dall’associazione femminile
del suo country club: “I Film non si Fanno da Soli: Women’s Committee
Panel, maggio 1992”.
“Vai avanti”, Brecher mi dà istruzioni mentre introduco il video nella
console. “Ce la fai?”
“Certo”.
“E manda avanti tutta quella roba con i saluti del presidente, l’introduzione
e tutte quelle stronzate”.
“Va bene”.
Mentre mando avanti veloce, vedo una panoramica del pubblico presente
all’evento, circa duecento donne sedute a tavola. Poi un’inquadratura
di un palcoscenico leggermente rialzato, e seduti di fianco a
Brecher ci sono: Howard Kock, produttore; Robert Wise, regista; Fay
Kanin, sceneggiatrice; Ralph Winters, editor e Sidney Poitier, stella del
cinema. Brecher ha settantotto anni nel video, e sembra un giovanissimo
vecchio, molto alto e in un completo grigio chiaro.
E qui, con espressione impassibile, fermandosi durante la risata delle
donne per bagnarsi il dito e girare pagina sul podio, ecco quello che
disse (Un raro, piccolo sorriso svela quanto lui trovi piacevole parlare
allegramente a un pubblico, specialmente di donne, e farle urlare):
[Brecher appare sul video, mentre parla al palco. Risate tutto intorno
a lui]
IRV: Buongiorno signore... vedo che ci sono pochi mariti qui. Dovrò
parlare pulito. Grazie Barry [Merkin] per la tua presentazione, spero di
esserne all’altezza, la preferisco al modo in cui mi presentarono tempo
fa quando parlai ai ragazzi di un college: “Ed ecco qui a voi... il Dean
Emerito della commedia”.
Non ho mai finito le scuole superiori ma so che emerito significa che
non lavori più. Un uomo disoccupato è qualcuno che ha perduto le sue
facoltà.
Oggi la vostra presenza così numerosa può forse voler dire che desiderate
conoscere qualcosa di più sulle tecniche cinematografiche. La
vostra curiosità riguardo quello che c’è dietro lo schermo è comprensibile,
ma io penso che ci sia un’altra ragione per cui siete qui. Credo che
la calamita che vi ha attirate qui sia una stella splendente. Sidney Poitier.
È sempre il bel protagonista che le attira. L’uomo di charme e carico di
sex appeal sul quale le donne amano fantasticare. Nei recessi segreti dei
loro cuori c’è sempre un attore. Mostratemi una ragazza che colleziona
figurine di un produttore. O di un regista. O di uno sceneggiatore. Santo
Dio. La responsabilità di questa grande folla è tutta tua, signor Poitier.
Non intendo metterti in imbarazzo. So che sei un tipo modesto. Il che è
strano per un attore, ma è la verità. Perché sei pieno di talento e molto
affascinante.
E ci vuole un uomo del genere per strappare queste zelanti casalinghe
dai loro ferri da stiro e dal lavaggio dei vetri per farle uscire a mangiare
cibo cucinato da qualche sconosciuto. Le donne di Hillcrest sono più
contente quando sono a casa loro, nel loro piccolo nido accogliente. Mi
azzarderei a dire che il 90% di queste donne non è stato in un ristorante
da ieri sera.
Fay, non sono sessista, credimi. Sono dalla parte del movimento femminista
e amo il movimento femminista. Su e giù, e di traverso.
No, in verità, Fay, io non sono sciovinista. Io facevo parte del gruppo
che ha obbligato questo club a finirla con la discriminazione di genere.
Quello che un tempo era il grill riservato agli uomini ora è aperto liberamente
anche alle donne, e penso che questo sia grandioso. È quasi un
giorno che non sento una barzelletta sporca.
Ora, riguardo allo scrivere film, e più precisamente la sceneggiatura,
che è la matrice come ha detto il signor Wise, quella cosa che, secondo
gli autori, può rendere grande o affossare un film. Non ho intenzione
di parlare del come si fanno i film, perché francamente non conosco
nessun processo speciale, trucchi, regole o sistemi che fanno il lavoro
al posto tuo. Non intendo farla facile, ma gli autori creativi che ho conosciuto
sembrano possedere tutti un istinto innato. Chiamatelo dono.
Forse è una questione genetica. O ce l’hai o non ce l’hai. Come il colesterolo
alto.
Però credo che vogliate ascoltare qualcuna delle formidabili battute
coniate dai superlativi autori che ho conosciuto in quella che era, o piuttosto
quella che adesso viene chiamata “L’età dell’oro del cinema”. E
132 133
questo fu molto tempo prima che MGM divenisse un hotel di Las Vegas
o che la Columbia Pictures iniziasse a produrre sushi surgelato.
Anche se molti di noi erano pagati bene, noi scrittori non dovevamo
dimenticare di essere considerati sacrificabili. Li spremi ben bene, e
quando sono asciutti spremi qualcun altro. Gli sceneggiatori sono sempre
stati considerati un male necessario dalla maggior parte dei capoccia
degli Studios. Qualche raro regista o producer apprezzava il nostro
contributo. Un caso tipico è quello a cui Fay ha accennato, quello che
riguardava Anna Sothern. Ho letto un’altra recensione, Fay, di un film
di Ann Sothern, che diceva quello che tu hai riportato. Stavolta era Louella
Parsons che diceva: “La sceneggiatura era orribile ma il film è divertente
perché Ann Sothern è riuscita a improvvisare alcune battute
molto divertenti”.
Io conoscevo Ann Sothern. Non era in grado di improvvisare un rutto
dopo una cena ungherese di dieci portate...
Così noi schleppers65 ci siamo rifugiati nell’umorismo, abbiamo preso
per il culo i grandi capi, ci siamo presi gioco del sistema. Abbiamo
anche riso di noi stessi. Il tavolo degli autori alla MGM era un campo
di battaglia. Le nostre armi erano lingue affilate. Guardandomi indietro,
ci divertimmo veramente tanto anche se eravamo trattati da miserabili.
Uno degli autori più arguti era Herman Mankiewicz, che avrebbe
scritto più tardi Quarto Potere.66 Era davvero brillante. La sua bestia
nera era la lampante stupidità dei capi. Un giorno a pranzo Norman
Krasna arrivò e disse: “Avete sentito di Dick Scheier?” Scheier era un
vecchio, un tipo simpatico, che aveva scritto alcuni film muti agghiaccianti
e ora era mantenuto come atto di carità grazie alla gentilezza di
un produttore che era anche suo cognato. Se ne stava lì, a cazzeggiare e
a grattarsi, senza fare niente per guadagnarsi la pensione.
“Perché, che è successo a Scheier?”, chiesi.
Kresna disse: “Gli hanno appena assegnato il compito di insegnare ai
novizi come si scrive una sceneggiatura”.
Mankiewicz disse che era stata una mossa brillante: “È un po’ come
mettere il tizio con il peggior caso di malattia venerea a capo della clinica”.
Un’altra volta Mankiewicz era uno degli invitati a una cena elegante.
Il nostro ospite era Arthur Hornblow. Era un produttore di grido, con
molti film di livello al suo attivo come Giungla d’Asfalto e Testimone
65 Termine di derivazione yiddish che significa “svitati”. [n.d.t.]
66 Citizen Kane, regia di Orson Welles (1941).
d’Accusa.67 Ma l’orgoglio più grande di Hornblow era la sua leggendaria
cantina. Per ogni portata ci faceva servire un raro, favoloso, differente
tipo di vino. E si premurò di raccontarci tutto sulla sua vigna, quanti
anni avesse, chi fosse il suo vinaio, di chi fosse figlio, come si chiamasse
il suo cane... Hornblow era un tale maniaco del vino che una volta
dissi a uno sceneggiatore che lavorava per lui: “Hornblow non legge la
sceneggiatura a meno che non sia a temperatura ambiente”.
Comunque, quella sera, Herman bevve tutti e cinque i favolosi vini
che gli avevano portato e improvvisamente si sentì molto male. Barcollò
fino alla toilette e rimise l’intera cena.
Hornblow gli corse dietro: “Stai bene, Herman?”
Herman disse: “La tua cena era perfetta; il vino bianco è venuto su
insieme al pesce”.
I leccapiedi di Hollywood che vivevano leccando il culo di qualche
potente non mancavano mai, ma non ne ho mai conosciuto uno più
consacrato al lecchinaggio di un produttore per il quale scrissi diversi
musical. Arthur Freed non faceva nulla per nascondere la sua ruffianeria
nei confronti di L.B. Mayer. E questo è strano perché Freed aveva
anche del talento. Aveva scritto i testi per molte canzoni di successo e
aveva un vero fiuto per riconoscere il talento altrui e mettere insieme
commedie musicali. Non aveva bisogno di degradare se stesso baciando
il didietro di Mayer.
Dorothy Kingswell, una nuova autrice, mi disse: “Non ho mai visto
L.B. Mayer senza Arthur Freed; devono essere molto intimi”.
Dissi: “Sono così intimi, che se il barbiere vuole radere Freed, deve
prima insaponare il culo di Mayer”.
Mi sento in imbarazzo a citare me stesso, ma tutti i miei soci si trovano
lassù... e mi mancano. Mayer, sapete un sacco di cose su di lui. Gli
piaceva solo un certo tipo di film sentimentali. Parlava sempre di valori
della famiglia, moralità, fedeltà. Non solo con noi, probabilmente anche
con le sue amanti. Soprattutto, Mayer era un vero patriota. Per esempio,
Laurence Stallings aveva scritto un film di guerra, Gloria.68 Ma quella
era storia di anni prima.69 Da allora era sul libro paga di MGM, e anche
lautamente, senza produrre alcunché. Ma Mayer era orgoglioso di avere
67 The Asphalt Jungle, regia di John Huston (1950), Witness for the Prosecution,
regia di Billy Wilder (1957).
68 What Price Glory?, regia di Raoul Walsh (1926).
69 Nel 1926.
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il suo eroe di guerra da mostrare. Un grande patriota, Mayer. Stallings
aveva perso una gamba in battaglia, così camminava con passo pesante
per tutti gli Studios con il suo arto in legno. Per ricordarti che era un
eroe, picchiettava continuamente la sua gamba infestata di termiti con
un bastone. Quella gamba di legno era la sua garanzia del posto di lavoro.
Una volta ebbe una bruttissima discussione sulla politica con Ben
Hecht. Alla fine Stallings urlò: “Tu, bastardo raccontapalle! Spero che
ti deportino!”
Ben Hecht rispose: “Tu, eroe strapagato. Spero che ti ricresca la gamba!”
Ma c’era anche chi rispettava gli sceneggiatori, specialmente molti di
quelli che facevano parte del nostro club, che di volta in volta si offrivano
di investire nel film se ero io a progettarne uno. Con una sola, piccola
condizione: “Se c’è una bella parte per una bella e giovane ragazza... Mi
devi credere, Irv, non è come pensi. È solo un’amica di un amico di un
cugino di un fratello di mio zio. Credimi, non tradirei mai mia moglie.
Quella troia”.
Pensavo fosse oltraggioso. Ma io rispetto un marito che sostiene la
propria moglie e la sua carriera. Come il marito di Pia Zadora, una che
si era sistemata bene. Era una donnina carina. E piena di talento. Ma
i film che fece furono dei flop, la critica non apprezzava la sua recitazione.
Così finalmente disse a suo marito: “Caro, non sono tagliata
per i film, ma per il palcoscenico. Con un pubblico dal vivo, sono una
grande attrice”. Suo marito disse: “Tesoro, allora fai un’opera teatrale.
La finanzierò io”.
E cosi fece. Scelse Il Diario di Anna Frank. Lei faceva Anna Frank. Provarono
ad allestirla a Miami davanti a un pubblico ebreo ben disposto. Durante
il terzo atto, quando i nazisti arrivarono e dissero: “Dove si nasconde?”,
quattrocento ebrei si alzarono in piedi e risposero: “È in soffitta!”
A volte, cercando di far ridere, alcuni di noi superavano il limite. So
di averlo fatto anch’io. Stavo per avere un importante incarico da Arthur
Hornblow che ho nominato in precedenza. Hornblow era un brav’uomo,
come ho detto, e anche di talento. Ma molto compito e formale,
particolarmente nel linguaggio e nelle allusioni.
Eravamo a casa sua a fare un gioco di gruppo molto popolare all’epoca
che chiamavamo “Sciarada” o “Indicazioni”, un gioco dei mimi
– credo che tutti voi lo conosciate – in cui dovevi dare all’altra squadra
una frase o un titolo da mimare. Io ero il capitano della mia squadra e
scrissi il titolo di una canzone che avrebbe dovuto recitare Hornblow.
Era “I’m Forever Blowing Bubbles”.70 Non sapevo che stava uscendo
con Bubbles Schinasi. Non ottenni più il lavoro.
[Risate e applausi arrivano appena Brecher abbandona il palco e
Barry Markin prende il microfono: “Un altro fuoricampo, Irving”, dice
mentre il nastro finisce]
Chiesi a Irv di spiegare
HANK: Bubbles Schinasi?
IRV: Sei nato troppo tardi. Erano gli anni Quaranta. Arthur Hornblow
usciva con una bellezza di nome Bubbles Schinasi. Suo padre era un
miliardario turco, un re del tabacco, credo che smerciasse le sigarette
Murad. In realtà sarebbe stata una grande commedia sulla carta: I’m
Forever Hornblowing Bubbles.
HANK: E che mi dici dell’incredibile storia di Pia Zadora?
IRV: Era una barzelletta! La migliore barzelletta che abbia mai sentito.
E tutto quello che ho detto è vero, tranne il fatto che non so se fece
la commedia o no. Potrebbe tranquillamente averla fatta, ma nessuno sa
chi abbia detto: “È in soffitta...” Non fu mai attribuita a me, ovviamente.
Non so chi l’abbia scritto. Questa storia di essere citati, a volte è quasi
impossibile scoprire chi è stato a scrivere o a dire cosa per primo.
Certe Notti alla Tavola Rotonda
della MGM
HANK: Dimmi di più riguardo alla capacità di avere sempre la risposta
pronta.
IRV: Apparentemente nella maggior parte di noi alberga il desiderio
di essere portatori di qualcosa di divertente, sia di persona che al telefono.
Successe così più di una volta. L.B. Mayer era l’uomo più potente
di Hollywood e nessuno pronunciava il suo nome invano. Cosa che io
70 Blowing bubbles significa “gonfiare balle” ma il verbo “to blow” ha anche implicazioni
sessuali. [n.d.t.]
136 137
feci. Ero stato alla MGM per pochi anni ed ero stato ospite un paio di
volte nella sua casa sulla spiaggia a Santa Monica, dove saltuariamente
invitava registi, produttori e anche qualche sceneggiatore per il brunch
domenicale. Forse la sparai grossa perché sono un assiduo oppositore
del nepotismo, probabilmente perché ero invidioso di chiunque avesse
abbastanza influenza da poter fare a meno di lavorare. Mi piaceva attirare
l’attenzione sui tizi che avevano il giro gratis.
Mervyn LeRoy aveva sposato la figlia di Harry Warner, Doris. Ultimamente
l’Amministrazione Bush ha perfezionato questo tipo di favoritismo,
ma quando il produttore Jack Cummings sposò la nipote di
Mayer, dissi che lui era il prodotto del “nepotismo”.
Comunque, successe che un giorno ero nel palazzo degli Studios e
stavo pranzando con Ruth Flippen, al tempo una nuova autrice, e lei era
per natura curiosa su tutto quello che accadeva. Cercai di rispondere
alle sue domande meglio che potevo.
Poi lei prese a chiedere: “C’è un uomo. Conosco il suo nome perché
l’ho visto entrare e uscire dall’ufficio. Si chiama Revnes”.
“Bingo!”, dissi con gioia. “Hai appena vinto il nepo-premio. Quello
è Maurice Revnes”.
“Dalla finestra del mio ufficio”, disse lei “lo vedo entrare e uscire
più o meno sempre alla stessa ora. Non lo vedo mai in mensa. Stavo
anche guardando i film in corso o programmati... è qui da tanto? E che
film ha fatto?”
“È qui da quando ci sono io”, le dissi. “Oltre cinque anni. Ma no,
nessun film. Ha un lavoro molto più importante. Come già sai, il suo
ufficio si trova al piano più alto del Thalberg Building. È nell’angolo
nord-ovest. Nelle giornate limpide si può vedere l’oceano Pacifico. Il
compito di Revnes è sedersi lì e guardare verso l’oceano. E se vede un
ghiacciaio entrare in rotta di collisione con il palazzo, si prende la briga
di mandare un messaggio a L.B. Mayer”.
Rise un bel po’. E anche alcuni degli sceneggiatori al tavolo. Dopo essermi
crogiolato nella loro approvazione, cominciai a diventare nervoso.
E se qualcuno lo andava a riferire a Mayer? Potevano essere guai
grossi.
Il giorno seguente, quando ero sul punto di provare a scrivere qualcosa,
ricevetti una chiamata da una delle segretarie di Mayer. Potevo cortesemente
salire di sopra? “Mr. Mayer vuole vederti”. Il mio stomaco
precipitò. Ero come uno zombie mentre salivo per andare incontro al
mio destino. Ero sicuro che mi avrebbe cacciato dalla compagnia, nonostante
avessi un contratto. Quando arrivai Ida, la sua segretaria numero
uno, mi guardò severamente, e immaginai che avesse sentito quello
che avevo detto e che non lo approvasse. Pigiò l’interfono e quando la
voce di Mayer disse: “Si?”, lei rispose “Il signor Brecher è qui”.
“Mandalo dentro!”, abbaiò Mayer.
Ebbi la fugace apparizione di me stesso mentre liberavo la scrivania,
quindi feci un profondo respiro ed entrai. L’ufficio di Mayer era
enorme, naturalmente, ed ero stato lì dentro già altre volte, ma non mi
era mai sembrato che dalla porta alla sua scrivania ci fosse tutta quella
distanza. Sicuramente stavo tremando quando finalmente lo raggiunsi.
Mi guardò con espressione torva.
“Hai detto qualcosa su Revnes?”
“Sì, signore, l’ho fatto. E mi dispiace. Credo che non avrei dovuto
dirlo. Stavo solo scherzando”.
All’improvviso Mayer sorrise.
“Ma in pratica hai ragione”, disse. “Quello shnorrer71 è sul libro paga
perché io ho il cuore tenero con i parenti in difficoltà. Sua madre è mia zia.
Lei è stata buona con me quando ero un bambino in Canada. Così gli
permetto di guardare i ghiacciai. Che Dio impedisca agli azionisti di
scoprirlo”.
Che sollievo.
“Grazie, signor Mayer”, dissi riprendendo a respirare. “Farò attenzione
a ciò che dico”.
“Se è divertente, mettilo nero su bianco. La commedia fa vendere i
biglietti!”
E me ne uscii di lì velocemente.
Pochi giorni dopo la battuta del ghiacciaio su Revnes, ricevetti una
chiamata da Fred Allen. Fred veniva a farmi visita ogni volta che passava
da Hollywood e a me piaceva stare con lui e con sua moglie, Portland
Hoffa. Lei faceva la parte della signora stupida nel suo show radiofonico.
Quella era la prima volta che mi telefonava da New York. E con la
sua solita grazia, invece di comportarsi come se mi stesse facendo un
favore, disse molto educatamente: “Ho saputo quello che hai detto sul
ghiacciaio. Harry Tugend mi ha chiamato per dirmelo. Probabilmente
perché nel mio spettacolo non perdo mai occasione di abbattere i cretini
71 Termine yiddish che significa “mendicante”. [n.d.t.]
138 139
delle agenzie di annunci, saresti d’accordo se appiccicassi la tua storia
del ghiacciaio a uno dei nostri imbecilli di Madison Avenue?”
Gli risposi: “Detto da te, è un grande onore”.
E certamente, nel suo monologo di apertura la domenica sera successiva,
raccontò la storia, che ricevette una risata molto compiaciuta e
qualche applauso dal pubblico presente in studio.
La storia del ghiacciaio compare anche nelle antologie, ma la paternità
della frase viene attribuita ad altre persone. In un’autobiografia di
un compositore che conoscevo, Saul Chaplin, viene attribuita a Herman
Mankiewicz. Mank non ne aveva bisogno, era già abbastanza spiritoso
di suo. Quella del ghiacciaio è la storia più erroneamente attribuita che
io abbia mai detto, ma in genere mi arrabbiavo poco quando qualcosa
che avevo detto io veniva attribuito a qualcun altro. Una volta dissi una
cosa quando ero alla MGM e un tizio che sedeva al tavolo di fianco a
me disse: “Mi piacerebbe averla detta io”.
E io dissi: “Vedrai che finirà così”.
E per provare che sono fedele a quello che ho appena detto sul fatto
di attribuirsi le cose immeritatamente, vi racconterò una storia e l’attribuirò
a me stesso.
Ero da pochissimo alla MGM ed ero appena stato invitato al tavolo
degli sceneggiatori. Un veterano di nome George Oppenheimer [La
Fine della Signora Cheyney,72 contribuì ai dialoghi di Un Giorno alle
Corse] un tipo molto loquace, abbastanza effeminato nel parlare, teneva
spesso banco.
Divagava su lunghe storie, vantandosi senza sosta e con grande abilità
nel ricordare i nomi delle persone, delle città e dei luoghi in cui era
stato durante i suoi viaggi attraverso l’Europa: “Insieme a Somerset
Maugham andammo al Capo, poi vedemmo Noel Coward a Capri e
quindi finimmo con Chevalier a una soiree nello chateau del marchese
Passardiere...”
Quando fece una pausa per prendere un respiro, scoccai la mia freccia.
“Signor Oppenheimer?”
“Si?”
“Quindi immagino che siate stato a Parigi”.
“Parigi!”, strillò. “Parigi è la mia seconda casa”.
“In questo caso, mi passerebbe per cortesia il pane francese?”
72 The Last of Mrs. Cheyney, regia di Richard Boleslawski (1937).
La risata che provocai fu abbastanza forte da inimicarmi Oppenheimer
per un bel pezzo.
Uno scrittore che io consideravo molto tagliente era un grande, affascinante
irlandese di nome John McClain. All’inizio del 1942 stavamo
discutendo della nuova guerra a cui la nazione stava partecipando e di
quanto potesse rivelarsi dura. McClain era il più ottimista possibile.
“Vinceremo”, disse. “E se ci riusciremo, sarà la seconda volta di fila”.
John ci aveva lasciati già da un pezzo prima che il Vietnam e l’Iraq
rovinassero il nostro record. Infatti, tutti questi ragazzi con i quali mi
divertivo un mondo al tavolo se ne sono andati.
Ora vi racconterò una storia da attribuire con assoluta certezza a George
Kaufman, il magnifico commediografo di Broadway nonché grande
regista di commedie. Una volta si trovava ad Atlantic City, dove
stava allestendo un nuovo show. Alfred Bloomingdale, figlio ed erede
dei grandi magazzini di famiglia Bloomingdale’s, stava provando una
nuova commedia nella stessa città. Aveva dei problemi, così contattò
Kaufman, che in fatto di commedie era il numero uno sulla piazza.
“Per favore venga a vedere la mia commedia”, lo supplicò. “Ho bisogno
che mi dica cosa possiamo fare per aggiustarla. Non sta funzionando”.
Controvoglia Kaufman andò a dare un’occhiata a una matinée della
cosiddetta orribile commedia di Bloomingdale. Quando finì Bloomingdale
chiese ansiosamente: “Che cose ne pensa? Cosa dovrei fare?”
Con la sua classica maschera inespressiva, Kaufman disse: “Signor
Bloomingdale, dovrebbe chiudere lo spettacolo e tenere i magazzini
aperti la sera”.
La Metro era davvero un rifugio per gli scrittori. Mayer aveva un
istinto particolare per scovare i talenti e intorno a quel tavolo da pranzo
si sedettero personaggi splendenti e spassosi, alcuni dei quali scrissero
film di successo che ancora resistono bene sulle TV via cavo. La televisione
di oggi sarebbe nei guai se non fosse per i film fatti prima del
1960. Gli Studios hanno guadagnato milioni di dollari affittando quelle
pellicole ai network, e agli autori non è stato dato un centesimo. D’altro
canto, riceviamo assegni dalle compagnie televisive europee che rispettano
quello che loro chiamano “materiale artistico”. Ne ho ricevuto uno
da mille dollari recentemente per la messa in onda dei film dei Fratelli
Marx e per Yolanda e il Re della Samba.
140 141
HANK: Chi erano gli sceneggiatori intorno alla tavola rotonda?
IRV: Quelli per i quali sentivo di godere di un privilegio nel frequentarli?
Bene, c’erano scrittori come Joe Mankiewicz (Eva Contro Eva73),
suo fratello Herman (Quarto Potere) e Nat Perrin (Hellzapoppin’74). Billy
Wilder era lì mentre lavorava a Ninotchka.75 Dalton Trumbo sedeva con
noi, scrisse Missione Segreta,76 un film talmente patriottico da essere ricompensato
venendo imprigionato per comunismo. Ne facevano parte
anche i romanzieri Irving Stone (Brama di Vivere77) e Charles Jackson
(Giorni Perduti78). E pochi altri. Questo gruppo mi salvò dalla follia, perché
come puoi pensare di stare seduto tutto il giorno a guardare delle
pagine e a buttare giù cose per cui cui il pubblico dovrebbe ridere mesi
più tardi nelle sale?
Le conversazioni erano molto vivaci e lo sport principale era sbranare
i produttori per i quali lavoravamo. Lo sceneggiatore era molto in basso
nel totem hollywoodiano. Raramente era degno di attenzioni da parte
del regista o del produttore. Tranne in pochi casi e questi erano i migliori
nel loro lavoro, abbastanza intelligenti da ascoltare uno sceneggiatore
e soppesare il suo giudizio.
Fui fortunato in un film, L’Ombra dell’Uomo Ombra,79 con protagonisti
William Powell e Myrna Loy. Mi piacque particolarmente scriverlo
per via di Hunt Stromberg, l’unico produttore che nella mia carriera
ho pienamente rispettato. Faceva film fin dagli anni Venti, e ne fece tra
i migliori della MGM: Il Paradiso delle Fanciulle, L’Isola del Tesoro,
Orgoglio e Pregiudizio, Spregiudicati80 e due pellicole sull’Uomo Ombra
(L’Uomo Ombra e Si Riparla dell’Uomo Ombra81).
73 All About Eve, regia di Joseph L. Mankiewicz (1950).
74 Regia di Henry C. Potter (1941).
75 Regia di Ernst Lubitsch (1939).
76 Thirty Seconds Over Tokyo, regia di Mervyn LeRoy (1944).
77 Lust for Life, regia di Vincente Minnelli (1956).
78 The Lost Weekend, regia di Billy Wilder (1945).
79 Shadow of the Thin Man, regia di W.S. Van Dyke (1941).
80 The Great Ziegfeld, regia di Robert Z. Leonard (1936), Treasure Island, regia
di Victor Fleming (1934), Pride and Prejudice, regia di Robert Z. Leonard (1940),
Idiot’s Delight, regia di Clarence Brown (1939).
81 The Thin Man, regia di W.S. Van Dyke (1934), Another Thin Man, regia di W.S.
Van Dyke (1939).
In un’altra vita, Stromberg avrebbe potuto essere uno sceneggiatore, o
così mi sembrava, perché sentivo che, dispensando pazienza e consigli,
mi aveva fatto scrivere dialoghi e creare situazioni migliori di quanto
pensassi di essere capace. Un’esperienza rara. Era un mastino quando si
trattava di fare le cose bene. Aveva grandi qualità come editor. Quando
criticava una battuta di un dialogo o una scena, forniva sempre valide
ragioni, piuttosto che dire: “Non mi piace”, oppure: “Fa schifo”.
Dopotutto, anche con produttori privi di particolari abilità, non posso
dire di essere mai stato trattato male. Mi piace pensare che il motivo sia
che apprezzassero il mio lavoro. Ma probabilmente la causa è che la
maggior parte di loro aveva un lacchè che leggeva il materiale al posto
loro e poi riferiva al proprio boss che era buono o che andava bene.
C’era un produttore della MGM che mi diede l’opportunità di far fare
una gran risata a quelli che intorno al tavolo capivano l’yiddish. Harry
Rapf era universalmente disprezzato per via del trattamento brutale che
riservava agli autori. Li assumeva e li licenziava con disprezzo, arrivando
persino a calunniarli. Questo mostro era considerato il più inetto
produttore del gruppo... ma aveva azioni a sufficienza da preservare il
suo posto. Tutto quello che toccava, o anche solo a cui si avvicinava, si
rivelava un fallimento. Era un tale disastro che un autore lo soprannominò
‘l’angelo della morte’.
E io dissi: “L’angelo della morte in yiddish si dice malkha mooves.
Rapf dovrebbe essere chiamato il «malkha movies»”.
Una volta chiamò il mio amico Norman Krasna (Il Signore e la Signora
Smith82) e lo fece soffrire costringendolo a guardare la sua ultima
bomba, The Chief, con Ed Wynn che faceva il suo personaggio del
Perfetto Idiota. Quando la proiezione finì, Norman, che non era certo
timido, disse: “Va bene, l’ho visto. E allora?”
Rapf, con un moto di delusione disse: “Ha solo bisogno di un po’ di
lavoro. Come pensi che dovrei tagliarlo?”
Norman disse: “Esattamente a metà”.
HANK: Irv, che mi dici del tuo primo produttore, Mervyn LeRoy,
aka Marvin Levy di San Francisco? Nel suo libro su Louis Mayer Il
Leone di Hollywood, Scott Eyman riporta una tua frase: “Mervyn era
come un fratello maggiore per me”.
IRV: Si. Ho avuto molti fratelli maggiori. Milton Berle, ad esempio.
82 Mr. & Mrs. Smith, regia di Alfred Hitchcock (1941).
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HANK: Hai detto che anche il produttore Isadore ‘Dore’ Schary era
un fratello maggiore.
IRV: Beh, più LeRoy di lui. Schary era più vecchio di me, ed era un
bravissimo autore per film come Sunrise at Campobello,83 Tom Edison
Giovane.84 Ma non andava bene per i Fratelli Marx e mi mise i bastoni
tra le ruote ne I Cowboys del Deserto.
HANK: In che modo?
IRV: Quando diventò capo della produzione alla MGM, Schary si prese
la paternità della ristesura di una scena de I Cowboys del Deserto che
avevo scritto di mio pugno e che avevo dato a uno stenografo per batterla
a macchina. Trovai Schary che la leggeva al produttore, Jack Cummings.
“Irv, dovresti sentire questa!”, disse Cummings.
Sentire?
Io ho scritto tutta la fottuta scena! Ma in quel momento mi limitai ad
andarmene.
Anni dopo, quando Schary fu nominato capo della produzione della
Metro, disse a qualcuno di mettere mano al negativo de I Cowboys del Deserto
e di apporci sopra il suo nome. È nell’inquadratura a metà film. C’è
scritto, ai piedi dello schermo: “Dore Schary ha contribuito a questo film”.
Non ho mai visto un credit come questo. È unico al mondo. Mai sentito
di altri (credo). Un miserabile ladrocinio evidentemente ordinato da lui.
Pensavo di denunciarlo alla Writers Guild.85 Lo avrebbero smontato.
Probabilmente gli avrebbero revocato la tessera, se non fosse già morto.
HANK: Buon Dio. E tu ancora lo consideri un fratello?
Lo scoprii circa vent’anni dopo la sua morte! Gli volevo bene e lo rispettavo
allo stesso tempo! E lui produsse alcuni buoni film, come Odio
Implacabile,86 sull’antisemitismo.
Senti questa storia.
Negli anni Trenta e Quaranta ero un discreto giocatore di tennis, ed
ero membro del Beverly Hills Tennis Club. Ero solito giocare con Ricardo
Cortez, che era una stella del cinema, una stella del cinema alquanto
sbiadita da quel che ricordo. Ma dovetti abbandonare per colpa
dei miei occhi. Il mio dottore mi disse che potevo andare incontro al
83 Regia di Vincent J. Donehue (1960).
84 Young Tom Edison, regia di Norman Taurog (1940).
85 Il sindacato degli sceneggiatori. [n.d.t.]
86 Crossfire, regia di Edward Dmytryk (1947).
distacco della retina a causa di tutti i salti e saltelli del tennis. All’incirca
nello stesso periodo, Dore Schary mi disse: “Ragazzo. Ti sto per fare
un favore, ti vendo la mia iscrizione all’Hillcrest”.
“Non gioco a golf”.
“Dovresti. Fa bene alla salute”.
“Bene, grazie per aver pensato a me”.
“Ed è perfetto per tua moglie. Le piacerà. Insisto. Sono solo mille dollari”.
“Troppo caro”, gli risposi.
Ma era un venditore formidabile. Avrebbe potuto vendere un diaframma
a Madre Teresa. Così mi lasciai convincere. Inviai un assegno
da un migliaio di dollari al club e loro mi mandarono una lettera di benvenuto
con un annuncio: c’era da pagare anche una quota di iscrizione
di ottocento dollari.
Così mi ha fatto sborsare altri ottocento dollari.
Entrai nel suo ufficio come una furia.
“Caveat emptor!”, cantò. “Il compratore stia in guardia!”
Una settimana dopo, sulla proprietà dell’Hillcrest trovarono il petrolio.
Nel corso degli anni avrei incassato circa trentamila dollari in diritti.
Gliele cantai: “Caveat Shmaveat! che il venditore si comporti in
modo onesto, o la figura del cretino farà presto”.
HANK: Hai avuto spesso a che fare con Sam Goldwyn?
IRV: Goldwyn era il genere di persona che diceva cose del tipo: “Che
bel giorno è oggi, per essere un martedì”. Era l’uomo meno trasparente
che avessi mai visto. Non era uno snob. Non aveva tempo per essere
snob. Era uno che ignorava.
Una sera Ben Hecht venne a casa mia per cena. Venne anche Harpo,
e portò anche Goldwyn, dopo che avevano già cenato da qualche altra
parte. Goldwyn per qualche ragione pensava che fosse la casa di Ben
Hecht, e non la mia.
Goldwyn entrò in casa e si sdraiò sul divano bianco. Con le sue scarpe nere.
Disse a Ben: “Bel posto”. Ben puntò il dito verso di me, ma Sam si
rifiutò di credere che io potessi vivere a Bel Air.
Dopo cena, demmo la buonanotte a tutti e Goldwyn mi disse: “Posso
lasciarti da qualche parte?”
Mia moglie si coprì la bocca, isterica.
Dissi: “Al momento vivo qui. Possiedo questo posto. Potrei mostrarti
l’atto di proprietà ma so che vai di fretta”.
144 145
Best Foot Forward (1943)
HANK: Irv, uno dei tuoi film era nelle cronache di ieri. Una delle
protagoniste è venuta a mancare...
IRV: Lo so. June Allyson. Norma mi ha letto il necrologio sul Times.
Ha avuto una buona carriera e Best Foot Forward87 era il suo primo
film.
HANK: Nel necrologio hanno menzionato Best Foot Forward molte
volte. Lo hai scritto nel 1943?
IRV: Ce l’ho qui. June Allyson, Lucille Ball, William Gaston.
HANK: Il titolo dice: “June Allyson, la moglie adorabile dei film
della MGM, è morta a ottantotto anni”.
IRV: Venne qui direttamente da Broadway, dove aveva fatto lo show
teatrale. C’erano anche Nancy Walker e Gloria DeHaven che venivano
dallo stesso spettacolo per l’adattamento cinematografico. Fu la prima
volta davanti a una macchina da presa per tutte loro. Scrissi un ingresso
divertente per Nancy Walker. Era una fanciulla carina e divertente.
HANK: Si dice anche che Allyson era “la fidanzatina dei film che
piaceva ai filo-governativi” e di come lei “arrivò a Los Angeles in treno
con 10 dollari in tasca”.
IRV: Stronzate. Dieci dollari? Sono sicuro che l’hanno presa dal suo
libro. La gente racconta le proprie storie come vuole che siano. Ti ho
appena detto che arrivava dallo show di Broadway Best Foot Forward.
Ma l’attrice per la quale mi ha davvero gratificato scrivere era Lucille
Ball. Faceva la stella del cinema in declino che arriva all’accademia militare
per farsi pubblicità. Gestiva le battute comiche perfettamente, in
modo molto brillante, e non mi sorprese affatto che divenne una grande
star.
Il film era molto buono e aveva una splendida canzone, “Buckle
Down Winsocki” [Si mette a cantare] “Buckle Down Winsocki / Buckle
Down! / You can win Winsocki / If you knuckle down...”
È un classico e c’erano altri buoni pezzi come “Barrelhouse Boogie
and the Blues”. I film durante la guerra erano pura evasione.
HANK: Come sei arrivato a scrivere la sceneggiatura?
IRV: Fred Finkelhoffe ha chiesto ad Arthur Freed di prendermi.
87 Regia di Edward Buzzell (1943).
HANK: Finkelhoffe, accreditato insieme a te e a un altro autore di avere
scritto la tua pellicola più famosa sotto Freed, Incontriamoci a Saint Louis.
IRV: Che cosa intendi dire?
HANK: Questo è quello che dice un poster che ho visto a un festival
su Vincente Minnelli.
IRV: Non l’ho scritto con nessun altro. Se il poster dice così, è solo perché
è un cazzo di errore. Se i credits mostrano tre nomi, è davvero terribile.
HANK: Va bene, com’è stato lavorare con Fred Finklehoffe?
IRV: Fred era molto astuto. Era una specie di imbroglione pieno di
talento. Non disse nulla a Freed, ma dopo avermi preso in Best Foot
Forward, lavorammo insieme un paio di settimane prima che io scoprissi
che cosa stava facendo. Finklehoffe aveva organizzato uno spettacolo
di vaudeville, un gruppo di varietà di quattro o cinque atti che produceva
lui stesso. E se ne andò con loro. È difficile da credere adesso, ma
Freed chiamava per sapere come stava andando la scrittura: “Fammi
parlare con Fred”. E io dovevo mentirgli e poi chiamare Fred, che era a
San Francisco o da qualche altra parte con il suo spettacolo, che a sua
volta richiamava Freed. Non mi importava. Sentivo di doverglielo. Fred
mi aveva finalmente sganciato dai Fratelli Marx.
HANK: Chi vorrebbe scappare dai Fratelli Marx?
IRV: Dopo due film con loro, io non volevo più farne altri e loro volevano
che ne facessi un altro. Volevo cambiare aria. Non volevo andare
avanti con le caratterizzazioni. Questo invece era un modo diverso di
scrivere. Non era soltanto gag, gag, gag. E mi portò fuori da quel circuito,
al tempo non lo sapevo ancora, per condurmi verso qualcosa che
era molto meglio.
HANK: Incontriamoci a Saint Louis?
IRV: No!
HANK: Du Barry?
IRV: Best Foot Forward! Alcuni problemi con lo spettacolo di varietà
costrinsero Finkelhoffe a lasciare gli Studios e me. Contemporaneamente
avevo una commedia a New York, con la data della prima già
fissata. Quindi, quando finii Best Foot Forward lo diedi a Freed.
Con mia grande meraviglia, e irritazione, lui disse: “Che merda”.
Ribattei: “Che cosa intendi con «Che merda»?”
“Non va bene”.
“Mi dispiace”, dissi. “Ma io devo andare a New York per la mia commedia”.
146 147
E lui: “Tu non vai da nessuna parte, tu starai proprio qui”. Freed chiese
che riprendessi in mano la sceneggiatura dalla prima pagina. Io chiesi
che almeno la facesse vedere a Sam Katz.
Katz era un supervisore dei produttori. Un capo. Mi piaceva Sam
Katz. Era un uomo gradevole che in qualche modo aveva gravitato su
Hollywood dopo essere stato coproprietario di una catena di sale cinematografiche
del Middle West chiamate Balaban & Katz. Era nel suo
cinema di Chicago dove, pochi anni prima, avevamo testato gli sketch e
le scene per I Cowboys del Deserto dei Fratelli Marx.
A ogni modo posso ancora ricordare quanto fossi infuriato. Katz viveva
a quattro o cinque case a nord della mia a Stone Canyon. La mattina
seguente, Freed, che da quel momento in poi ho odiato, sedeva nel patio
del giardino di Katz. Freed, dannatamente sicuro di sé, fumava compiaciuto.
Sam Katz mi disse: “Perché non vai avanti a leggere, figliolo?”
Mentre leggevo, continuavo a guardare Freed. Katz stava sorridendo
sul prato e quando ebbi terminato, Sam disse che gli piaceva un sacco.
Freed disse: “Non te l’avevo forse detto Sam?”
Immaginate che stronzo che era. Fece un completo voltafaccia, da
vero serpente.
Sam disse: “Mi sembra divertente, Arthur. Non ti pare?”
E Freed si comportò da quel viscido che era.
“Oh, mi piace molto”, disse. “Quello che intendevo quando parlavo
di cose negative era che mi sembrava che qualche scena fosse un po’
troppo lunga. Niente di serio”.
Le sue spudorate stronzate mi lasciarono sbigottito. Ma mi ci stavo
abituando.
E infine lo girarono, con Eddie Buzzell come regista.
Ti dirò come lavorava la Metro. Mayer aveva un sacco di produttori.
Tre o quattro erano sotto un produttore esecutivo. Per esempio, Sam
Katz supervisionava Freed e Joe Pasternak, che produceva anche lui
musical, e Larry Weingarten. Freed era bravo; non capiva granché di
sceneggiatura, ma aveva un grande orecchio per la musica. Un altro era
Bernie Hyman, che aveva supervisionato il produttore di I Cowboys del
Deserto, Jack Cummings.
L’unico produttore che non mi piaceva era Freed. Lo incontrai la prima
volta che era produttore associato a Il Mago di Oz quando arrivai
alla MGM nel 1938. Dopo che scrissi i due film dei Fratelli Marx e
L’Ombra dell’Uomo Ombra, venni assegnato all’unità di Arthur Freed.
Da quel momento è asceso – o come direbbe uno scrittore, sprofondato
– al ruolo di produttore.
Avevamo un rapporto di odio-amore. Credo che lui amasse i risultati
delle pellicole che io scrivevo, ma so che mi odiava perché non avevo
paura di affrontarlo. Prima che vi facciate l’idea che io mi stia vantando di
essere coraggioso, concedetemi di fugare questa impressione. Io potevo
affrontare Freed perché gli altri autori potevano sopravvivere solo grazie
allo stipendio che lui gli dava. Per me era diverso. Ero il produttore e il
proprietario di una serie radiofonica di successo che andava in onda ogni
settimana sulla NBC, The Life of Riley. Mi fruttava più di quanto percepivo
alla Metro e mi permetteva di dire quello che ogni sceneggiatore
avrebbe voluto: “Fanculo ai soldi”. Quando non ti mancano puoi discutere,
contraddire il produttore e mantenere quel raro senso di autostima che
la media dei lavoratori non arriva mai a provare.
HANK: Cos’altro sei stato in grado di fare con tutto questo grano tra
le mani?
IRV: Una volta, dopo che Incontriamoci a Saint Louis divenne un
successo, MGM ricevette un’offerta dalla 20th Century Fox. Darryl
Zanuck voleva che la MGM mi prestasse alla Fox per scrivere Festa
d’Amore,88 un musical remake di un vecchio film di Will Rogers.
Declinai l’offerta perché non volevo lavorare a un remake. La Fox continuò
per la sua strada e produsse un film decente con buone canzoni.
Un’altra pellicola che rifiutai fu il sequel di Al Jolson.89 Harry Cohn
voleva che io la scrivessi e la dirigessi per la Columbia.
HANK: La Columbia era dei fratelli Cohn, giusto?
IRV: Harry era il proprietario e suo fratello Jack era a New York a
occuparsi della distribuzione. Dissi a Harry che non c’era modo di scrivere
niente che fosse all’altezza dell’originale. Capite cosa intendo? Lo
ringraziai educatamente e me ne andai. Il mio agente non era contento.
Sono sempre così quando perdono una commissione. Ti ho parlato
di Jolson. Era al tavolo dell’Hillcrest. Al Jolson era noto come ‘Il più
Grande Intrattenitore del Mondo’, per il suo splendido modo di cantare
e di raccontare che facevano di lui un gigante, anche quando andò in
pensione. Ed era anche l’egocentrico definitivo.
Ti racconto una storia. A un certo punto sposò una donna molto più giovane
di lui, una bella donna che lo adorava e che voleva essere non solo
88 State Fair, regia di Walter Lang (1945).
89 The Jolson Story, regia di Alfred E. Green (1946).
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una moglie amorevole ma anche la madre dei suoi figli. Ma non riusciva
a rimanere incinta. Da quello che sentii, Jolson era molto comprensivo,
ma questo non la aiutò. Anni dopo lei apprese che Jolson aveva fatto una
vasectomia, ma non glielo aveva mai detto. In questo modo, se la giovane
moglie fosse rimasta incinta, lui avrebbe saputo che lei lo tradiva. È vero.
Sapeva cantare. Ma in questo modo poteva anche scopare liberamente.
HANK: Aspetta un momento. Che cosa accadde alla commedia che
dicesti a Freed di dover seguire tornando sulla Costa Est?
IRV: Andai e lavorai sulla commedia, che completai a Boston. Quindi
ritornai alla MGM e un po’ di tempo dopo, il produttore della commedia,
Alfred Bloomingdale...
HANK: Quello della storia di George S. Kaufman...
IRV: Sì, sì, Alfred Bloomingdale allettò uno dei più grandi registi di
commedie di Broadway, George Abbott – fece Room Service e molte altre
commedie di successo – e Abbott accettò di rimettere in scena la commedia.
Questo era molto incoraggiante, così andai sulla costa orientale
l’inverno seguente per lavorare con Abbott alla commedia per Broadway.
HANK: Come si chiamava?
IRV: Sweet Charity.
Mi piaceva lavorare con Abbott e dopo qualche settimana di riscrittura
sotto le sue mani esperte, arrivò la sera del debutto al Mansfield Theatre.
HANK: Sweet Charity? Come la commedia di Neil Simon?
IRV: No, la mia venne prima. Parlava di una gara di beneficenza organizzata
da un gruppo di donne chiamato La Mano Amica. Era ambientato
in una piccola città del New England. Un mucchio di signore
yankee che rovina la vita delle altre persone quando cerca di mettere in
piedi una raccolta fondi. Erano tutte di buon cuore, e La Mano Amica
aiutò moltissime famiglie bisognose, ma ogni cosa, come spesso accade
nelle commedie, alla fine finisce a puttane. Il disastro è dietro l’angolo.
La sera della prima, io e Abbott eravamo dietro le quinte, a guardare
il pubblico. Io ero preoccupato. Sono bravo in questo e quella notte ero
al top della forma.
Dissi: “George, che ne pensi?”
Lui disse: “Stanno ridendo ma non sono sicuro che gli piaccia. Non
sono sicuro che provino simpatia per queste signore”.
“Credi che sarebbe stato meglio se la raccolta fondi con la jazz band
fosse stata organizzata dalle ragazze di un’associazione universitaria
femminile? Magari con un po’ più di sesso?”
Si batté la fronte nella tradizionale maniera ebrea, anche se non lo era,
e mi disse il proverbiale: “Adesso me lo dici?”
La commedia chiuse dopo una settimana. Le recensioni dicevano che
era un po’ divertente ma lontana dall’essere una grande hit. A volte
ricevi un sacco di risate ma non significa niente perché il pubblico non
si appassiona...
HANK: Ti ricordi chi erano gli attori di Sweet Charity?
IRV: Mi ricordo che Philip Loeb era molto divertente. Lui era il manager
della band e quando le donne non potevano pagarlo lui diceva:
“La Mano Amica mi ha dato un dito”. Risate a non finire. Philip Loeb.
Si suicidò nel 1950, dopo che finì nella lista nera del Comitato per le
Attività Antiamericane. Un’attrice di nome Augusta Dabney era molto
brava come protagonista, e un altro attore di quella commedia, Whit
Bissell, divenne un popolare attore caratterista in TV e al cinema.
HANK: E che fine fece la commedia?
IRV: Samuel French pubblicò il testo. Altri gruppi la ripresero, io
venni pagato pochi dollari. Più tardi, ricevemmo dal produttore di Neil
Simon la richiesta di poter usare il titolo. Non ricordo se venni pagato
o no ma glielo feci usare quando scrisse il libro per il musical Sweet
Charity.
HANK: Scrivesti altre cose per il teatro?
IRV: No. Avrei dovuto farlo di più. Avrei dovuto provarci di più. Ero
continuamente coinvolto nei film e nella televisione. La cosa positiva
di una commedia è che lo scrittore ha il controllo. La Dramatist Guild
ti protegge. Nessun regista o produttore può fare cambiamenti senza il
tuo permesso. Quando scrivi un film, sei come Rodney Dangerfield.90
Non ottieni rispetto.
HANK: Sì, noto che in queste guide sul cinema di Leonard Maltin,
vengono elencati migliaia di film, attori e registi. Ma non si cita mai lo
sceneggiatore.
IRV: È indicativo dell’arroganza di questi sedicenti esperti di cinema
che trascurano il fatto che una pellicola inizia sempre con una sceneggiatura.
Il film non potrebbe essere fatto senza persone come noi che
fanno questo lavoro, ma a sentire Maltin i film non vengono scritti.
90 Rodney Dangerfield (Long Island, 1921 – Los Angeles, 2004), è stato un comedian
statunitense, celebre per il tormentone “I get no respect” e per il relativo
monologo a tema. [n.d.t.]
150 151
HANK: Ho notato in un altro libro, uno dedicato ai musical di Hollywood,
che gli autori sono menzionati.
IRV: Oh, meno male.
HANK: Ma l’autore, Ted Sennett, tende a non apprezzare la maggior
parte delle sceneggiature scritte durante il tuo periodo alla MGM.
IRV: Che si fotta. Mi frega qualcosa della sua opinione? Quanti film
ha fatto lui?
Mademoiselle Du Barry (1942)
Gene Kelly: Ah... Rami, non è bellissima?
Zero Mostel: è solo un’altra femmina! Toglile gli occhi, il naso, la bocca,
le gambe e cosa rimane? Un’espressione vuota.
- Mademoiselle Du Barry
HANK: Qual era il tuo metodo per trasformare i musical di Broadway
in film?
IRV: Volavo a est e vedevo la commedia. Non prendevo alcuna nota.
La guardavo e basta. Guardavo il libretto, volavo indietro a ovest e scrivevo
il film. Lo so. Suona troppo facile. Ma non ti preoccupare, dovevo
sudare sette camicie.
HANK: Irv il Nervoso.
IRV: Sì. Ero di Tipo A, e non era un bene. Non avevo avvertito nessuno
che ero di Tipo A.91
HANK: Avevano mai avuto un Tipo A prima?
IRV: Quello che voglio dire è che mi muovevo un sacco. C’è una parola
tedesca: sitzfleisch. Quando non hai sitzfleisch, ovvero quando non
riesci a stare seduto, fai parte del Tipo A.
HANK: Buono a sapersi. In Du Barry c’era anche il grande Zero Mostel.
IRV: Zero Mostel faceva la parte del fachiro Rami the Swami. Fu
divertente scrivere i suoi dialoghi. Du Barry fu un film molto difficile,
era complicato mantenere il filo. Con tutti quei numeri musicali, che
erano grandiosi.
HANK: Opera di Cole Porter! E c’era pure Lana Turner, che come te
era sotto contratto con Mervyn LeRoy nel 1937?
91 La teoria delle personalità di Tipo A e B, in voga negli anni Cinquanta, descrive
due differenti tipologie di personalità in contrapposizione tra loro. Il Tipo A è combattivo,
il Tipo B più malleabile.
IRV: Sì, ma il suo era un cameo, niente di più.
HANK: Aveva un aspetto splendido. E Zero è smilzo come Rami the
Swami. Sembra così giovane, e faceva continuamente quella faccia da
scemo. Ovviamente era il 1943...
IRV: La Turner la inquadravano di tanto in tanto. I protagonisti erano
Lucille Ball, Red Skelton e Gene Kelly. Zero non era nel cast principale,
ma se lo avessi visto ne Il Violinista sul Tetto, allora avresti assistito
a una delle più grandi performance di sempre.
HANK: Hai qualche storia su di lui?
IRV: La cosa che ricordo di più di Zero Mostel fu quando lo invitai
a casa mia a cena e, quello stronzo, fece un buco nel divano con una
sigaretta. E non si scusò nemmeno. Questo è quello che ricordo di lui.
HANK: E di Gene Kelly?
IRV: Du Barry era il suo primo film. Aveva avuto molto successo a
Broadway con Pal Joey. Non credo di avertelo detto, Gene Kelly diceva
spesso che io facevo i migliori cetrioli all’aneto kosher del mondo.
Billy Wilder e altri ne andavano pazzi. Ne lasciavo sempre un barattolo
per Gene e Billy. Coltivavo i cetrioli nel nostro giardino nella bellissima
casa di Stone Canyon. Coltivavo l’aneto, coltivavo l’aglio, compravo le
spezie. E utilizzavo salgemma kosher. Facevo la salamoia in un grande
coccio, che conteneva più di venti litri d’acqua, che tenevo in un angolo
fresco del seminterrato. Poche case avevano il seminterrato e questo era
molto grande. Facevo chili di cetriolini. Forse dieci barattoli. E ogni
volta che lavoravo sotto pressione, andavo lì e stavo meglio, era una
terapia efficace. E l’aneto cresceva così velocemente, nel giro di una
notte, d’estate...
Come ho sedotto Judy:
Incontriamoci a Saint Louis (1944)
“L’adattamento [di Incontriamoci a Saint Louis] ha rivelato una delle
sceneggiature più brillanti di sempre, una delle poche ad aver toccato
con grazia il musical americano.
- Stephen Harvey nel suo libro, Directed by Minnelli
Quando: aprile 2004.
Dove: Il palazzo della Directors Guild of America, un edificio color
152 153
caffè sul Sunset Boulevard. Dentro al piano terra, nel foyer, un tappeto
rosso si srotola in mezzo a circa quaranta metri di barriere di corda.
Ammassati contro le barriere, un nugolo di uomini e donne in equilibrio
con fotocamere, videocamere, microfoni e computer portatili.
I media accolgono centinaia di ospiti che arrivano per un evento hollywoodiano:
la celebrazione del sessantesimo anniversario di Incontriamoci
a Saint Louis.
June Lockhart si fa vedere, e poi anche Liza Minnelli e Lorna Luft.
E poi spunta il mio buffo modello, che sfoggia una giacca grigia a quadretti
con cravatta colorata, accompagnato dalla splendida moglie Norma,
che passeggia come un’altezza reale del cinema in completo Armani
nero. Bersagliato di domande dai giovani giornalisti, Brecher fa una
pausa tra una spinta e l’altra al suo deambulatore, per offrire un flusso
senza fine di commenti spassosi.
“Signor Brecher, cos’ha di speciale questo film?”
“Che sono vivo!”, spara lui di rimando. “Questa è la cosa speciale,
perché io l’ho scritto quando avevo trent’anni e adesso ne ho novanta e
sia io che il film siamo ancora qui in corsa”.
Risate, soffocate dal poppeggiare dei flash.
“O per meglio dire”, continua, “sono qui a usare questo deambulatore.
Non ne ho veramente bisogno, potrei buttarlo via, e poi cadere per terra”.
“Signor Brecher!”, urla un paparazzo da dietro la sua fotocamera:
“Cosa vorrebbe che ricordassimo a proposito del film?”
“Il fatto che lo mandano costantemente in onda e che non mi paghino
mai un centesimo di diritti”.
Questo personaggio potrebbe tenere banco davanti a qualsiasi platea.
Si sporge in avanti sul suo deambulatore, inclinando la testa come se
stesse posando per USA Today, Extra, Inside Edition e gli altri organi
di informazione.
Qualcuno di quella che chiamano Fred TV del worldwideweb chiede:
“Oggi vi siete abbandonati ai ricordi con le altre persone coinvolte in
Incontriamoci a Saint Louis?”
“Tranne June Lockhart e Margaret O’Brien”, risponde Brecher, “tutti
quelli che hanno partecipato al film sono morti!”
Finalmente tutti raggiungono la hall e si dirigono nell’enorme auditorium.
“Amo la sua passione!”, dice un addetto alla sicurezza della DGA che
sta guidando Brecher e il suo deambulatore. “Dritto davanti a sé per un
metro...”
“Fondamentalmente sono alquanto incazzato”, gli dice Brecher, “ma
non lo dò a vedere”.
“Pure io!”, ride la guardia.
Dentro l’enorme teatro, a metà del corridoio centrale, Irv si mette a
parlare con Norma, sua figlia Joanna e i loro cari amici Ursula e Tom.
Poi arriva un agente che dice a Brecher che ha appena completato le sue
memorie sul lavoro alle poste della MCA e di quando ha preso il caffè
con Cary Grant. Il regista Arthur Hiller scatta una foto di Norma e Irv,
e il compositore e pianista Michael Feinstein si dichiara un suo fan e
promette di mandare a Irv i suoi CD. Direttamente da San Diego c’è
Hugh Martin, la metà vivente del team di compositori del film, Martin
& Blane (Uno dei loro numeri musicali “Have Yourself a Merry Little
Christmas” è stato usato da allora in due dozzine di film). Irv saluta
Hugh in mezzo al corridoio con un bacio. È la prima volta che lo vede
in quarant’anni e sono abbracciati l’un l’altro mentre un vicepresidente
senior di Warner Brothers sale sul palco.
“Stasera”, dice alla folla ancora brulicante, “vedremo una copia di
questo grande classico rimasterizzato con un processo ad altissima
risoluzione e una colonna sonora Dolby Digital 5.1. Abbiamo scannerizzato
le registrazioni Technicolor a tre pellicole in bianco e nero
a una risoluzione altissima. Le registrazioni sono poi state combinate
elettronicamente per creare le immagini a colori, che sono state anche
elettronicamente ri-registrate, stabilizzate e ripulite”.
Dopo questo spot, l’ospite della DGA presenta la figlia di Arthur
Freed, Barbara Saltzman. Dopo le lodi a Freed, che è morto nel 1973,
presenta Brecher, che nonostante il glaucoma e altri acciacchi, continua
a fare apparizioni in tutta la città. Dice:
“Questo è un film che ha trasceso lo scorrere del tempo. È potente
oggi come lo era sessant’anni fa. Le canzoni indimenticabili, le coreografie
abbaglianti, i costumi, le splendide performance dei protagonisti
(quando le star erano star e non... beh, quello che sono oggi...) e una
delle cose più grandi del signor Freed era che lui coltivava il talento
dappertutto. Fu lui a ingaggiare Lena Horne, Gene Kelly, Vincente
Minnelli e ogni sorta di persone stupefacenti. Uno degli sceneggiatori
154 155
chiave del gruppo di Freed ha creato le parole della sceneggiatura di
Incontriamoci a Saint Louis che sentirete stasera. All’età di venticinque
anni [sic], ha scritto Tre Pazzi a Zonzo dei Fratelli Marx, seguito da I
Cowboys del Deserto, e poi una serie di musical classici della MGM inclusi
Best Foot Forward, con
la colonna sonora di un team
di compositori di nome
Martin & Blane, credo che
ne abbiate sentito parlare...
[Applausi] e ovviamente,
Incontriamoci a Saint Louis.
Signori, diamo il benvenuto
a Irving Brecher!”
IRV: “Salve... ahem. Se
potessi, mi siederei, perché
in piedi non mi vedreste
ugualmente.
[Risate]
Sono affascinato dalla storia
della rimasterizzazione in
alta risoluzione.
Ho novant’anni, potete
fare qualcosa anche per me?
[Risate]
Sono davvero grato di essere
stato parte di qualcosa
che tutti sembrano amare e
lodare, così eviterò di parlare
male del film. Posso solo
dire che è bello essere qui.
Ma è bello essere ovunque, quando hai novant’anni.
[Risate]
Ovviamente sono molto felice e orgoglioso. Ma vi devo dire una cosa:
Saint Louis non sarebbe mai stato quel film che è ancora oggi senza
l’eccezionale contributo di un uomo che ho rivisto stasera per la prima
volta in tantissimi anni, un uomo che amo e ammiro, il compositore di
queste grandissime canzoni: Hugh Martin.
[Applausi]
Credo che sia seduto qui.
[Urla che dicono: “Dietro di te”]
Tutti voi probabilmente conoscete queste splendide canzoni, che diventarono
immediatamente dei classici, come “The Trolley Song” e
“The Boy Next Door” e “Have Yourself a Merry Little Christmas”.
“Merry Little Christmas” divenne una canzone talmente popolare che
a ogni Hannukah92 la cantano alla mia sinagoga.
[Risate]
Bene, prima di congedarmi devo dire che mi sento fortunato e felice
di aver svolto il meraviglioso, affascinante mestiere di scrivere film. Ho
avuto molte magnifiche relazioni e moltissimi amici, e penso che forse
mi sto vantando un po’, ma per favore perdonatemi. Dopotutto oggi non
ho nemici al mondo. Sono tutti morti.
[Risate, applausi e “Bravo!”]
Nel corso degli anni, sono stato molto compiaciuto dall’approvazione
che il film ha ricevuto. E una delle cose più gratificanti che ho letto
è stata che tra i film preferiti che Ronald Reagan guardava alla Casa
Bianca c’erano La Mia Via93 e Incontriamoci a Saint Louis. Il favorito
del presidente Bush è invece Non Aprite Quella Porta.94
[Segue il ruggito del pubblico. Con questo li ha messi definitivamente
al tappeto]
Quello che Brecher non disse loro quella sera alla DGA fu che Judy
Garland, la star a cui la MGM aveva pensato per il film, si era rifiutata
di girarlo. E, come spiegò, un film che si trova ai primi posti tra i classici
del passato e che ha di fatto “trasceso lo scorrere del tempo” esiste
soltanto per merito di una telecamera. “È una storia singolare” mi disse.
IRV: Una storia molto singolare. Il film migliore al quale sia mai
stato associato è stato fatto per la ragione sbagliata. Molti grandi film
vengono prodotti con entusiasmo, anche con passione. Incontriamoci
a Saint Louis è stato fatto controvoglia. Accadde che Arthur Freed mi
convocò. Il produttore e gli altri uomini in giacca e cravatta non credevano
nella sceneggiatura; dissero che non aveva “un intreccio o una
92 Hanukkah o Chanukkà è una festività ebraica conosciuta con il nome di Festa
delle Luci. [n.d.t.]
93 Going My Way, regia di Leo McCarey (1944).
94 The Texas Chain Saw Massacre, regia di Tobe Hooper (1974).
Tootie e Judy (Margaret O’Brien e Judy
Garland) in Incontriamoci a Saint Louis
156 157
vera trama”. Argomentarono soltanto che era stata approvata perché
durante la guerra c’erano soltanto due telecamere in Technicolor disponibili.
Freed disse che la Metro aveva il consenso per usarne una se
aveva tra le mani del materiale che valeva la pena girare a colori.
“Ma l’unica cosa che abbiamo da girare è questa merda”, disse indicando
una pila di sceneggiature. Quattro diverse sceneggiature giacevano
sulla scrivania ma nessuna di queste era mai arrivata in produzione
perché a nessuno negli Studios piaceva granché.
“Voglio che tu e Freddie cerchiate di mettere insieme qualcosa che
possiamo girare a colori. Non mi importa che cavolo sia” (Naturalmente,
girare un film a colori non cambia il modo in cui uno lo scrive. Ha
senso solo se fai un film in cui tagliano la gola a qualcuno. In quel caso
il colore è importante).
“Freddie” era Fred Finkelhoffe. Aveva talento; una volta collaborò a
un successo degli anni Trenta, insieme a un autore di nome John Monks
Jr, intitolato Brother Rat.95
Ho già detto che io e Freed non eravamo esattamente due amiconi?
Io ero ancora uno scrittore a contratto e sapevo di dover prestare attenzione
a qualunque cosa Freed volesse. Così ricevetti i miei ordini,
arrancai a fatica lungo il corridoio che portava alla stanza di Freed e io
e il mio amico Frinkelhoffe ci mettemmo al lavoro. Scrivemmo in casa
mia per un paio di settimane tirando fuori una traccia grezza dalle storie
di Kensington Avenue di Sally Benson, una serie sulla sua infanzia che
originariamente era stata pubblicata sul New Yorker.
Ma poi fui lasciato da solo. Fred dovette tornare sulla costa orientale a
Bucks County, in Pennsylvania, per cercare, disse lui, di salvare il suo matrimonio.
Era sposato con una famosa performer, la cantante Ella Logan.
E quella fu l’ultima volta che lo vidi, fino un paio di giorni prima che il final
cut venisse mostrato in anteprima fuori città. Quando finalmente terminai
una bozza della sceneggiatura, iniziai a lavorare con il regista, Vincente
Minnelli. Era un uomo di Broadway che aveva fatto un buon lavoro con il
suo primo film, Due Cuori in Cielo,96 con Ethel Waters, Lena Horne e quel
tizio che faceva Rochester nel programma di Jack Benny, Eddie Anderson.
Minnelli si dimostrò molto collaborativo. Lavoravamo a una scena
dopo l’altra, e mi esortava continuamente a migliorare i dialoghi o a
inventare nuovi elementi.
95 Regia di William Keighley (1938).
96 Cabin in the Sky, regia di Vincente Minnelli (1943).
Fu la mia prima esperienza di collaborazione armoniosa con un regista
dal talento così spiccato. Avevamo quasi finito con la limatura
quando Freed ci disse di presentarci nel suo ufficio.
Era visibilmente fuori di sé. Ricordo che fumava una sigaretta mentre
un’altra stava bruciando nel posacenere. Judy Garland gli aveva detto
che non voleva fare il film.
E non c’era nessun altro che potesse interpretare il suo ruolo.
Freed alzò i pugni al cielo. “Maledetta ingrata! Sono stato io a convincere
il signor Mayer a farle fare Il Mago di Oz. L’ho creata io”.
Io e Minnelli eravamo scioccati. Perché non voleva girarlo? Che aveva
detto? Freed pensava di saperlo: “Perché si sta scopando Mankiewicz”.
Sapevamo tutti che Joe Mankiewicz, autore e produttore, la stava influenzando.
Avevano una storia. Joe era un uomo di talento e a sentire i
suoi consigli, questo film non andava bene per la sua carriera.
“E quella ragazza che lavora per Judy”, disse Freed, menzionando il
nome di una press agent di cui ho dimenticato il nome. “Mi ha detto che
Mankiewicz pensa che Tootie le ruberà il film. Forse se voi cancellaste
il personaggio...”
“Sarebbe un disastro”, dissi. Margaret O’Brien doveva interpretare
Tootie. Era una bambina, forse di nove anni. Minnelli era d’accordo.
“Tootie porta l’azione a un livello più alto”, disse Minnelli. “Ma se
noi lo riabbassiamo...” Scosse la testa.
“Mi sono fatto sentire”, disse Freed astiosamente. “Forse L.B. può
farla ragionare”.
Io e Vincente tornammo nel mio ufficio e concordammo che l’unica
cosa da fare era finire il lavoro sulla mia sceneggiatura e sperare che qualche
miracolo cambiasse le cose. Minnelli, che non era un gran parlatore,
si accese un’altra delle sue Parliament, e con una serie di parole scelte con
cura disse: “Quella grandissima puttana! Stupida puttana di una tettona!”
Pensavo che andassero d’accordo, ma lui continuò a schiumare rabbia:
“Quella scema! Dar retta all’uccello di Mankiewicz... è fortunata a
essere ancora viva! Mi piacerebbe prenderla a calci in culo finché non
le cadono i denti”.
Poi il mio telefono squillò. Era Ida, la segretaria di Mayer. Voleva che
salissi subito da lui.
Ero in ottimi rapporti con L.B. In un paio di occasioni mi aveva anche
detto: “Uno di questi giorni farai il produttore per me. Di autori ne troviamo
quanti ne vogliamo, ma di bravi produttori...”
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Mi mancò il coraggio di correggerlo riguardo agli autori.
Questa volta il grande boss aveva un aspetto preoccupato.
“Non posso farci niente con quella maledetta cocciuta di Judy”, disse.
“Arthur mi ha detto che pensa che tu e lei siate in buoni rapporti”.
“Più o meno”, dissi. Mi piaceva Judy e pensavo che fosse dolce. “È
venuta a qualche festa a casa mia dove avevo invitato alcuni cantautori...
lei ha cantato e anche giocato con la mia figlioletta”.
“Forse”, disse Mayer, “potresti convincerla che la tua sceneggiatura
sarebbe perfetta per lei”.
“Non sono sicuro di riuscirci”.
E non lo ero.
Schiacciò l’interfono: “Chiamatemi la Garland!”
Lo ascoltai mentre le parlava dolcemente al telefono come avrebbe
fatto un nonno, tubando con lei, dicendole quanto le volesse bene, che
capiva che lei avesse opinioni diverse, che non avrebbe mai fatto niente
che potesse danneggiare la sua carriera, che lei era la sua star favorita e
un mucchio di altre smancerie. E lei gli rispondeva che non se la sentiva
di fare il film. Le avrebbe rovinato la carriera. Tutto molto drammatico.
Poi Mayer, il nonno intelligente, le chiese se lui avesse mai fatto qualcosa
per lei così meritevole da essere ricambiato con un favore. Lei disse di si.
“Allora il favore che ti chiedo è questo”, disse Mayer. “Tu conosci
Irving Brecher, è lui che ha scritto la sceneggiatura. E tu sai che puoi fidarti
di lui perché lui pensa che tu sia l’attrice numero uno. Tu gli piaci.
Vorrei che tu venissi qui domani cosicché lui possa leggerti la sceneggiatura,
che ti potrà aiutare a capire perché la parte della protagonista
può essere solo tua. Non ti chiedo altro, lo farai tesoro?”
Ci fu un momento di silenzio.
“Se questo non riesce a farti cambiare idea”, continuò Mayer, “allora
così sia. Cestineremo il film, perderemo almeno un milione di dollari
di spese di preproduzione, ma almeno ci avremo provato. Quando
puoi venire? Alle tre in punto va bene? Grazie, cara”.
Il giorno seguente quando Judy arrivò, il grand’uomo la abbracciò,
la baciò, il nonno gentile la tenne abbracciata un po’ troppo a lungo,
ovviamente per godere delle generose mammelle. Poi disse: “Potete
fare qui il reading...”, e ci condusse in una delle numerose suite laterali.
“Judy”, iniziai dopo che Mayer chiuse le porta dietro di noi. “Penso
che dovresti farlo. Non sono qui per chiedertelo, non è il mio mestiere
farlo, ma dopo che te l’avrò letto penso che potresti essere d’accordo
con me. Spero che lo sarai”.
“Ok, sai tutto il bene che penso di te”, mi disse. “Ma sono davvero
preoccupata”.
Potrei dire che era spaventata. Così mi sedetti per leggere, nel modo
più calmo che mi riuscì.
Devo aggiungere una cosa: il modo in cui lessi fu estremamente disonesto.
Quando arrivai alle battute di Margaret O’Brien, ovvero Tootie la
bambina, le buttai lì quasi come se non esistessero. Si potevano sentire
a malapena, le biascicai come se fossero cose di poco conto. Allo stesso
tempo, in ogni scena, enfatizzavo tutto quello che Judy diceva, pronunciato
con uno stile che eguagliava la migliore delle attrici della MGM.
Ogni cosa che leggevo era la più grande battuta che lei avesse mai sentito.
Non mi limitavo a leggere, recitavo facendo le pause nei posti giusti. Facevo
la voce femminile per attirare la sua attenzione, provocare sorrisi e
anche qualche risolino. Durante la sua prima scena con “il ragazzo della
porta accanto”, lei proruppe in una risata che mi diede speranza.
Dopo due ore, lei aveva una lacrima nell’occhio quando lessi la battuta
finale.
Esther: “All’Esposizione. Proprio qui dove viviamo. Qui a Saint Louis”.
Ci fu un lungo silenzio.
Finalmente lei sospirò: “Non so che cosa fare”.
“Te lo dico io cosa devi fare”, dissi. “Decidi che cosa fare dopo aver
fatto il film”.
Rise.“Ora vai a dire a L.B. quello che vuole sentire”.
E lei ci andò e disse a Mayer che l’avrebbe fatto. Ricevette in cambio
più abbracci, più strette e più generose promesse dall’uomo che ora
viene ricordato come il ‘Leone di Hollywood’.
Bene, ovviamente diventò il più grande film mai girato da lei. Quando
uscì, nel 1944, superò Il Mago di Oz e La Grande Parata97 nella
classifica dei più grandi successi al botteghino nella storia della MGM.
L’unico a guadagnare di più è stato Via Col Vento,98 che non venne di
fatto prodotto dalla MGM, ma venne fatto da David Selznick e distribuito
dalla MGM.
97 The Big Parade, regia di King Vidor (1925).
98 Gone with the Wind, regia di Victor Fleming (1939).
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Il fatto davvero curioso è che, quando iniziarono le riprese, Minnelli
dovette sotterrare il suo profondo risentimento nei confronti del precedente
voltafaccia di Judy. A parte la sua mancanza di fiducia nella
sceneggiatura, le era anche stato detto che Minnelli non era il regista
giusto per lei. E durante le riprese, lui sviluppò una terribile, terribile
antipatia nei confronti di Judy. Lei arrivava in ritardo e perdeva tempo
in sciocchezze, ad esempio con le pillole. Le sue pillole per la dieta la
sballarono; la rendevano nervosa al punto che non riusciva a dormire.
Così prendeva anche delle pillole per dormire, ma queste la intontivano
e lui la rimandava a casa. Minnelli diceva di lei cose atroci.
Il punto è che più avanti, quando con mia grande sorpresa intrecciò
una relazione con lei, lui non riusciva più a parlarmi. Posso dire che era
molto a disagio quando, nel corso delle riprese, dovevamo fare delle
correzioni e io ero sul set. Era troppo imbarazzato da quello che mi
aveva detto in precedenza sul conto di Judy e non poteva affrontare la
situazione (Naturalmente della loro relazione amorosa si è discusso e
scritto parecchio. Sempre che fosse una relazione amorosa. Non sono
tanto sicuro di cosa fosse).
In ogni caso, Incontriamoci a Saint Louis era sì una storia d’amore,
anche se negli Studios alcuni dirigenti dicevano che non poteva funzionare.
Mi ricordo di uno che disse: “Questa ferkaktah99 non ha una storia,
ma almeno avrà un bell’aspetto a colori”.
Non sapevano cosa fare di questo dramma appassionato condito da
grandi risate. Risate di gioia, non da scarica elettrica. Ad esempio, dopo
la scena della festa, quando Judy scende le scale e spegne tutte le lampade
e vuole essere baciata, il ‘ragazzo della porta accanto’ John Truett,
interpretato da Tom Drake, le stringe la mano. E continua dicendo: “Esther,
avete una gran bella presa per una ragazza”.
Poi lei dice che il suo profumo è “essenza di violetta”.
E lui ribatte: “Proprio come quello di mia nonna”, e questo la demolisce.
Che razza di imbecille che è questo Truett. Lei vuole che qualcuno
provi a sedurla e questo tizio è un vero bamboccio.
Lei riaccende le luci. Fine della scena. Giusto così. E poi lei guarda
oltre la ringhiera. Quel viso delizioso che l’idiota della porta accanto
non bacia nella semi oscurità dei candelabri. Si dovrebbe pensare che
anche un produttore esecutivo dovrebbe capire che cosa sta succedendo.
Non lo so. Forse era perché Tom Drake era così rigido. Ma più avanti,
99 “Schifezza”, dall’yiddish. [n.d.t]
Judy Garland e Tom Drake, nella neve, e i loro discorsi sul matrimonio,
e poi il cambiamento del loro entusiasmo a metà scena. Mostra la confusione
di due giovani persone alle prese con una separazione. Quella è
la scena più difficile che io abbia mai scritto per un film.
Il giorno dell’anteprima, Minnelli entra nel mio ufficio, isterico. Urlava.
“Non posso parlare a Freed! Mi ha buttato fuori dal suo ufficio. È matto.
Quel figlio di puttana ha tagliato la scena di Halloween. Devi parlargli”.
Così andai nell’ufficio di Freed e chiesi: “Perché quel taglio?”
Freed disse: “Chi cazzo sei tu per dirmi cosa devo fare? Io sono il
produttore”.
“Lo so”, dissi. “So anche che all’anteprima puoi permetterti di mostrare
qualunque cosa e tagliarla in un secondo tempo. Hai torto marcio
su questa cosa”.
“Fuori di qui”, fu la sua risposta di ritorno (Il che mi ricorda che
Freed non conosceva l’yiddish e che io potevo infilargli le cose sotto
il naso, come il nome sul programma di danza di Esther: Hugo Borvis.
Borvis significa “scalzo”).
Quella sera andai all’anteprima a Huntington Beach per i fatti miei.
C’erano solo due limousine a causa di un taglio dei costi dovuto alla
guerra. Minnelli non lasciò spazio per me sulla sua macchina perché
ormai eravamo separati da Judy. Andò con Ira Gershwin e sua moglie.
Fu una grande anteprima!
Freed aveva fatto marcia indietro e rimesso dentro la scena. La sequenza
di Halloween era la più memorabile di tutto il film. L’anteprima fu un successo
eccezionale e due dei produttori esecutivi, Ed Mannix e Ben Thau,
vennero da me. Mi dissero sul marciapiede: “Sai, non avrei mai pensato che
avrebbe funzionato, ma è proprio così. Non pensavo che avesse una trama”.
Spesso quando si parla della parte migliore di una scrittura si pensa
ai personaggi, non alla trama. Apparentemente la mancanza di una storia
tradizionale e il periodo di ambientazione, il 1904, si erano rivelati
attraenti. È molto insolito vedere un film basato su una serie di eventi,
non su una vera trama. Non è davvero un film di Hollywood di quei
giorni. Tornando indietro, se non avevi una storia che faceva bum-bumbum,
non veniva capita. Così mi sentii alla grande quando il pubblico di
Huntington Beach andò al settimo cielo. Che è la sola cosa che importa.
Quello e il fatto che i produttori esecutivi, gli uomini che avevano fatto
162 163
il film controvoglia solo perché volevano usare la telecamera a colori,
mi dissero con molta gratitudine: “Ci eravamo sbagliati”.
Nel 1945 gli Academy Awards non erano ancora uno show televisivo e
potevi vederli solamente se partecipavi alla cerimonia all’Hotel Biltmore di
Los Angeles. Eravamo stati nominati per la migliore sceneggiatura, ma io
sapevo che non avremmo vinto perché c’era un film drammatico nella rosa
delle nomination. Istintivamente sapevo che quando un musical si scontra
con un film drammatico, questi ha sempre la meglio. Così, nonostante l’eccitazione
di sedere al Biltmore, quando aprirono la busta non fui sorpreso di
sentire La Mia Via (Date un occhio agli altri film fatti nel 1944: La Fiamma
del Peccato, Evviva il Nostro Eroe, Vertigine, Acque del Sud).100
A posteriori, con tutte le difficoltà, il film rimane qualcosa a cui tengo
e a cui mi piace ripensare. Inoltre, niente vale quanto l’aver lavorato con
persone di talento. Come Minnelli, il miglior regista con il quale abbia
mai lavorato. Il suo occhio per il set e il modo in cui aprì la strada a molti
stili lo resero uno dei principali fautori del successo della pellicola.
Fece in modo che io cambiassi diverse cose e sono contento che l’abbia
fatto. Ero arrivato a un punto nella sceneggiatura in cui Esther e Truett
e il loro gruppo andavano in un posto chiamato Skinker’s Swamp per
divertirsi. A un certo punto saltavano tutti su un tram. Tutto quello che
feci alla fine della sequenza fu scrivere sulla sceneggiatura:
“Invece dei dialoghi, questo è un buon punto per inserire una canzone”.
Detto fatto.
E Martin e Blane ne scrissero una molto bella.
“Clang! Clang! Clang! Goes the trolley! / Zing! Zing! Zing! Went my
heart-strings!”
Dal 1949, o forse poco dopo, da quando arrivò il colore, hanno iniziato
a trasmettere Incontriamoci a Saint Louis in TV nel periodo di Natale
e da allora non hanno più smesso. Riesce a evocare così tanto il passato
come nessun altro film, ne cattura la qualità. La famiglia Smith, tutti
loro a partire dal padre Leon Ames fino a tutti gli altri, erano splendidi
da ritrarre. Marjorie Maid nei panni della domestica volitiva, Katie,
100 Double Indemnity, regia di Billy Wilder (1944), Hail the Conquering Hero, regia
di Preston Sturges (1944), Laura, regia di Otto Preminger (1944), To Have and
Have Not, regia di Howard Hawks (1944).
continuò con una serie di commedie, Ma and Pa Kettle. Mi piaceva
perché diceva le battute come le dicevo io.
Tootie era adorabile, e Margaret O’Brien vinse un mini Academy
Award.101 Parlava col cuore ed era così commovente quando abbatteva
quei pupazzi di neve e mentre Judy cantava con una forza devastante
“Have Yourself a Merry Little Christmas”. La canzone debuttò nel film
con dei testi che colpivano molto in quell’anno, il 1944. C’era la guerra.
La gente moriva. Padri. I bambini erano lontani da casa. Così Judy canta:
“Next year all our troubles will be out of sight / But until then, we’ll have
to muddle through somehow / So have yourself a merry little Christmas,
now”.
Il film funziona mostrando quello che il pubblico non può avere; la
maggior parte di noi non usciva di casa con quel tipo di calore e di amore.
Durante la guerra la gente aveva una gran voglia di quell’atmosfera
familiare e Incontriamoci a Saint Louis li riportò a casa nel 1904.
Quindi, era una fuga dalla realtà ma aveva anche una sua consistenza.
Non è stucchevole e non ci sono i cattivi. Oggi è un sollievo per le
persone abituate ai film hollywoodiani vedere un film che tratta una
famiglia senza stronzate sdolcinate. A modo suo, è un’opera sofisticata.
Si avverte l’amore tra queste persone e loro diventano divertenti nelle
loro frustrazioni. E tutto questo a una cifra per il biglietto che oggi non
lasceresti neanche come mancia. Quaranta centesimi.
Soprattutto, guardate Judy Garland. L’intera esperienza rimane soprattutto
una meravigliosa memoria di Judy, qualcuno a cui tenevo
moltissimo, al suo apice come performer di musical e come attrice.
Oggi è differente. A volte vedi qualcosa tra queste attrici, ma non
quella qualità di lunga durata che porti a casa con te. Nessuno si alza
nel mezzo di una tormenta per dire: “Devo correre a vedere un film di
Jennifer Lopez o morirò!” Sai? Oggi sembra che il lavoro più importante
di quelle starlette che si vedono in giro per un po’ sia sposarsi,
divorziare e poi risposarsi.
Con la Garland era questione di puro talento e una sorta di... qualcosa
di superiore. Aveva una vulnerabilità che ti faceva prendere cura di lei
e preoccupare per lei. Non deludeva mai il pubblico e io l’amavo. Tutti
la amavamo. Ed era giusto per noi doverci preoccupare per lei. Da quel
momento in poi, ebbe una vita tragica.
101 Inserito apposta per lei. [n.d.t]
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C’era un’attrice che aveva interpretato la parte della sorella maggiore di
Judy Garland in Incontriamoci a Saint Louis, una testa rossa di nome
Lucille Bremer: ebbene, neanche l’abilità registica di Minnelli ha potuto
fare niente per il suo aspetto legnoso. Per sventura degli Studios,
Bremer aveva interpretato Saint Louis e, cosa più importante, il nostro
produttore Freed aveva i bollori per lei.
Non era una stella. Non era nemmeno un asterisco. Dopo aver acconsentito
a leggere la breve storia che aveva comprato da Bemelmans,
dissi a Freed che non avevo intenzione di scrivere la sceneggiatura. Non
gli dissi che il motivo era che io e Minnelli non ci sentivamo a nostro
agio alla presenza l’uno dell’altro. Aveva sposato Judy dopo averla largamente
insultata in mia presenza durante le riprese di Saint Louis, e il
regista sembrava troppo in imbarazzo in mia presenza per comportarsi
in maniera disinvolta o amichevole.
Freed era ancora bellicoso nei miei confronti per via della brutta
discussione che avevamo avuto sulla sequenza di Halloween un anno
prima, ma ebbi la soddisfazione di dirgli che non pensavo che Mayer
avesse fatto una scelta felice con la Bremer.
“Nel ruolo di Yolanda?”, dissi. “Mai nella vita”.
Freed divenne rosso.
“Sto facendo il casting del film e lei è perfetta”.
“Guarda”, ribattei, “so che è carina, ma non sa recitare, tantomeno in
una commedia, che è quello che il film dovrebbe essere”.
“Sa recitare e lo sa fare in una commedia, e tu la scriverai”, disse
Freed. “I fatti sono questi”.
“Non trattenere il respiro”.
Tornai nel mio ufficio, sperando che fosse finita lì. Mi sentivo molto
sicuro di me perché avevo lo show radiofonico, The Life of Riley, che
mi fruttava molti quattrini tutte le settimane e avevo siglato l’accordo
per la messa in onda per un’altra stagione. Tuttavia, tenere testa a un
produttore della MGM equivaleva a pisciare in testa al re. Il telefono
squillò. Era la segretaria di Sam Katz, che mi chiamava per incontrare il
capo dell’unità, l’uomo al quale Freed faceva rapporto.
Katz sedeva nel suo ufficio dirigenziale, un piccolo uomo su un enorme
poltrona girevole. Quando entrai stava mangiando croccanti gambi
di sedano. A ogni morso mi sembrava di essere sempre più prossimo al
licenziamento.
“Ho ricevuto una telefonata da Arthur”, disse sorridendo.
Yolanda e il Re della Samba (1945)
“Gli appassionati di cinema dicono che il film era avanti rispetto ai suoi
tempi. Mi piace pensare che sia così”.
- Vincente Minnelli parla di Yolanda e il Re della Samba nella sua autobiografia
I Remember it Well
Le serate Writers Bloc a L.A. sono appuntamenti dal vivo in cui Andrea
Grossman mette due dei suoi scrittori preferiti sul palco e li lascia
andare a ruota libera. Mi è piaciuto molto vedere Norman Mailer,
Gore Vidal, Frank Rich e Larry Gelbart, ed ero nel pubblico quando due
esperti di film, Antonhy Lane e Peter Reiner, a un certo punto hanno
parlato di Incontriamoci a Saint Louis. Riguardo al pezzo su Halloween
che Arthur Fredd voleva tagliare – come Brecher aveva raccontato
– Lane disse: “La sequenza di Halloween è una delle migliori scene da
spavento infantile mai realizzate”.
Brecher sarebbe contento, pensai. Così alzai la mano subito dopo per
chiedere al critico del New Yorker la sua opinione sul lavoro del mio
creatore di sceneggiature preferito.
“Decisamente meraviglioso, devo ammetterlo”, rispose Lane.
“Quasi un’operetta, una miscela rara in cui non puoi dire dove finisce
il dialogo e dove inizia la musica”.
Tutti sembravano amare Incontriamoci a Saint Louis, ma il successivo
lavoro di Irv, Yolanda e il Re della Samba, venne giudicato da qualche
critico come una fusione non molto raffinata di frivolo e surreale. A
me piace perché mischia il folle dadaismo di Minnelli con una favola di
Ludwig Bemelmans e una sceneggiatura piena di gag scritta da Brecher.
C’è un pezzo molto famoso chiamato “Coffee Time” con Fred Astaire
e Lucille Bremer (Johnny Riggs e Yolanda Aquavita) che ballano in
mezzo al mistico paese natale di Bremer chiamato Patria, dove l’unica
bevanda analcolica è Aqua Vita, un romantico elisir...
Brecher lo ricordava in questo modo: “La pellicola fu un flop”.
HANK: Davvero? Perché dici così? Frank Morgan, il Mago di Oz in
persona, interpreta un imbroglione che porta Johnny Riggs in questo
strano posto chiamato Patria con montagne dalle cime innevate, fiori
selvatici e il mare. Astaire si guarda in giro e dice: “È un cimitero con
un treno che gli passa in mezzo”. È una gran bella storia.
IRV: E io penso ancora che avevo ragione a voler rifiutare l’incarico.
166 167
“Lo so”, risposi. “Odio Alexander Graham Bell”.
Katz mi guardò.
Finalmente disse: “Ha inventato il telefono”.
“Esatto”.
Mi piaceva scherzare con un tipo come Katz.
“Siediti”, disse. “Prendi del sedano. È arrabbiato. Tu non vuoi scrivere
questa cosa? Questa... come si chiama?”
“Gatta di Marmo e il Re della Samba”.
“Cosa?”
“Yolanda e il Re della Samba”. Ma dovrebbero chiamarlo “Come
Perdere un Paio di Milioni”, dissi.
Katz annuì.
“Hai ragione su questo, figliolo. Ma che rimanga tra di noi, sappiamo
che perderemo dei soldi. Vedi, che ti piaccia o no Freed...”
“Non dica altro”, dissi. “Lo disprezzo”.
“Il fatto è che gli Studios gli devono molto. Ci ha fatto fare un mucchio
di denaro con un mucchio di film. Fargliene buttare via un po’ con
questo bidone è una specie di regalo di ringraziamento. È solo per il
bene degli affari”.
“Può essere il bene degli affari degli Studios, ma non voglio che il
mio nome finisca su qualcosa destinato al fallimento. E questo film lo è,
con Lucille Bremer come protagonista”.
“Probabilmente hai ragione”, disse Katz. Fece una pausa: “Mi chiedo
se sia brava a letto”.
“Perché non lo chiede ad Arthur? Forse non c’è ancora riuscito e questo
film potrebbe dargli una mano”.
Katz sorrise compiaciuto: “La cosa principale è fare in modo che sia
contento. Fai il bravo ragazzo e scrivi la sceneggiatura”.
“Non posso farlo, Sam”.
Ora stava masticando carote.
Disse: “A ogni modo, quanto ti paghiamo?”
Era una situazione bizzarra. Aveva forse intenzione di ridurmi il salario?
“Mi pagate 1750”, risposi.
Katz si mise la mano a coppa sull’orecchio.
“Cos’hai detto? Non riesco a sentirti con la bocca piena”.
“Ho detto 1750”.
“Hai detto 2500?”
Sbattei le palpebre.
“Non l’ho detto”.
“Bene, lo dico io. 2500 a settimana. Per quattro anni”.
“Cosa?”, ero allibito.
“Un contratto di quattro anni. Quattro settimane all’anno di ferie
pagate”.Sorrise. Devo aver deglutito. Mi venne un pensiero: se avessi
scritto questo flop, avrei continuato a mangiare regolarmente per altri
quattro anni.
Dissi: “Sam, sono spaventato dall’idea che qusto lavoro potrebbe rovinare
la mia carriera”.
“Bene. Allora fai contento Arthur Freed. Vai e scrivi Yolanda e il Re
della Samba”.
“Così Freed potrà farsi la Bremer...”
Mi congedai e mi misi al lavoro. La Bremer era una ragazza carina.
Sapevo che sapeva ballare e che Astaire, che era un genio, poteva farla
sembrare migliore di quello che era. Ma ero terrorizzato all’idea di dover
scrivere dialoghi per lei. Non sapeva parlare. E non sapeva neanche
muoversi, a meno che non stesse ballando.
HANK: Hai risolto il tuo problema con Minnelli?
IRV: Non proprio. Ci comportammo da persone civili. All’epoca era
sotto l’influenza di Salvador Dalì, indossava un sacco di visiere colorate.
E anche se il film fu un flop meritato, divenne una pellicola di culto
in Europa. Ricevo assegni sui diritti dal Belgio, dove evidentemente
apprezzano questo genere di cose.
HANK: Sembra un luogo esotico, Patria. Avete girato in Sud America?
IRV: “No, a Culver City. C’era una scena nel taxi fatta in modo che
sembrasse il Messico, ma venne girata a Malibu”.
HANK: Ah! Si sente il tuo tocco internazionale.
IRV: A ogni modo, mi consolai con quell’incredibile contratto che
mi dava più soldi di quanti credevo ne esistessero al mondo. Ma non
rimasi quattro anni.
HANK: Perché?
IRV: Perché dopo Yolanda arrivò un altro incarico. E questa volta
Freed passò veramente il segno.
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Ludwi g Bemelmans:
Brama di risate
“È la più rara delle sorprese per un cineasta... è un’opera d’arte senza
tempo”.
- Kevin Thomas al Los Angeles Times sul revival di Yolanda del 1976
HANK: La maggior parte delle persone conosce Ludwig Bemelmans
per aver letto la sua serie di libri Madeline quando era bambino...
IRV: Conoscerlo fu l’unico aspetto per cui valse la pena di lavorare
su Yolanda.
HANK: Davvero? Cosa pensava del film che hai tratto dalle sue storie?
IRV: Gli piaceva. Era d’accordo con me che la nostra attrice protagonista
non era una star. Apprezzai moltissimo il tempo speso insieme
a Bemelmans. Mi disse che Yolanda era un’idea buttata giù su un
tovagliolo a Manhattan e venduta ad Arthur Freed: una storia fantasy
su un americano ammaliatore che si trova in una specie di repubblica
delle banane, dove briga per depredare una bella ereditiera della propria
fortuna ma, hai già indovinato, alla fine si innamora e rimette le cose
a posto. Non molto originale, ma io ero convinto di riuscire a tirarne
fuori una sceneggiatura decente. Durante i nostri incontri per discutere
sulla storia, però, parlavamo di tutto tranne che della sceneggiatura che
dovevo scrivere.
Ludwig Bemelmans era assolutamente intrigante e viveva come un
ricco bohémien. Era un ometto bavarese dalla faccia rubizza con una
testa pelata piena di storie divertenti e affascinanti. Mi disse che era
arrivato in America nel 1914 e che aveva iniziato dal livello più basso
che c’era, il garzone, nell’albergo più lussuoso che c’era, il Waldorf-
Astoria di New York. Lavorò per un anno a diciotto dollari a settimana,
poi passò a fare il cameriere, quindi maître d’hotel e infine maestro di
cerimonia, e gli uomini più facoltosi di New York lo accoglievano in
società presentandolo come un europeo dal sofisticato savoir-faire. Infine
iniziò a scrivere. Conservo delle copie di tutti i suoi libri. Leggili, ti
piaceranno. Il mio preferito è My War with the United States.
Metteva in mostra come un marchio di fabbrica la zucca pelata che io
sospettavo lucidasse con la cera. Ludwig trascorse l’ultima parte della
sua vita come Bonifacio del Bemelmans Bar all’Hotel Carlyle di Manhattan,
dove Bobby Short si esibiva al pianoforte e il bel mondo si riuniva.
Bonifacio stava a significare che lui era il ballaboosteh, il capo. Ebbi
un impeto di nostalgia quando andai lì con Norma negli anni Novanta e
il locale era ancora ricoperto con i suoi meravigliosi e originali dipinti.
Ma sotto il sofisticato Ludwig che amava parlare delle sue frequentazioni
importanti, si nascondeva ancora il cameriere del Waldorf-Astoria.
Una volta ritornò alle origini quando pianificammo di andare fino a
Malibu facendo credere che stavamo lavorando e discutendo di questo
penoso progetto. Disse che avrebbe preparato un picnic per la spiaggia,
ma quando venne a prendermi pioveva a dirotto. Così rimanemmo a
casa e quando fu ora di pranzo, mia moglie si offrì di servire quello che
lui aveva portato nel suo grosso cestino di vimini.
“No, no”, insistette Ludwig, “lascia fare a me”.
E noi rimanemmo là a guardare, mentre il capo cameriere sezionava
rapidamente un pollo arrosto con la velocità e l’esperienza di un artista.
Adagiò un tovagliolo sul suo braccio sinistro, servì i contorni con stile e
gustammo un pasto eccellente. E vuoi sapere quale fu la parte migliore?
Niente mancia!
Io e Ludwig parlammo per una settimana di seguito e prima di partire
fece questa osservazione: “Gli Studios di sicuro ti apprezzeranno. Qui,
sopra la testa, tu hai un’aureola”.
“Il fatto è che in questo lavoro”, commentai, “ora hai l’aureola e un
momento dopo scende giù e ti ritrovi un cappio”.
La mise in uno dei suoi libri.
Bemelmans aveva scritto quella amatissima serie di libri sulla ragazzina
di nome Madeline. I bambini delle future generazioni continueranno
ad apprezzarli. E in quel suo divertente e originale stile, dipinse
anche degli acquerelli che rappresentavano la mia bambina Joanna su
tutti i muri del mio ufficio! Qualunque cosa facesse con uno pennello
era divertente. Se disegnava una mela, ti faceva sorridere.
Quando acconsentii a scrivere la sceneggiatura, Ludwig entrò nel mio
ufficio e la primissima cosa che fece fu disegnare un murale su tutte e
quattro le pareti. Iniziò con un uovo, che si schiudeva e gradualmente
si sviluppava in una piccola e poi più grande caricatura di Fred Astaire
e Lucille Bremer, tra una serie di personaggi all’interno di un palazzo
spagnolo. Stava disegnando tutta la sceneggiatura dall’inizio alla fine, e
la parte conclusiva l’aveva fatta con ampie passate sopra la porta d’in170
171
gresso. Ogni centimetro quadrato di questa opera d’arte era un delizia
per gli occhi. Quando più tardi lasciai la MGM, il mio più grande rammarico
fu di non poter portare i muri con me. Mi accontentai delle foto.
Una delle sue storie dei
tempi in cui faceva il garzone
mi trasformò per
sempre in un cauto frequentatore
di ristoranti. Tra
i clienti della buona società
newyorchese con la puzza
sotto il naso, c’era una
vecchia vedova o forse una
zitella, o forse entrambe le
cose, che viveva al Waldorf
e seccava continuamente il
personale con lamentele e
richieste dirette verso ogni
povero cristo con cui aveva
a che fare. Bemelmans
ne passò di tutti i colori
per colpa di questa vecchia
strega, ma andò molto peggio
a un povero cameriere
preso di mira.
“Lei aveva abusato di lui
fino allo stremo”, ricordò
Ludwig con il suo solito
luccichio. “O comunque
parecchio, suppongo. Per caso passai nelle cucine attraverso un oscuro
corridoio, e lo trovai lì in piedi in una rientranza, che si stava masturbando
sopra la zuppa della vecchia. Lo licenziai. Ma non prima che
finisse il lavoro. Non sarebbe stato giusto interrompere qualcuno nella
sua ricerca della felicità”.
Era incomparabile. Che personaggio, che personaggio indimenticabile!
Un maledetto classico. Mi piacerebbe poterlo dire alla televisione.
E come risultato del suo implicito avvertimento, se adesso mi capita di
lamentarmi con un cameriere, è solo quando sto già uscendo per non
tornare mai più.
Addi o alla MGM
HANK: Mi accennavi che dopo il piacere di conoscere e frequentare
Ludwig Bemelmans per Yolanda e il Re della Samba, ti trovasti ad affrontare
un bel duello alla MGM, giusto?
IRV: Ludwig mi aveva fatto indirettamente un favore vendendo quel
ferkaktah con Lucille Bremer. Mi permise di avere quell’incredibile
contratto di quattro anni con il quale Sam Katz mi aveva corrotto. Centoquarantamila
dollari all’anno nel 1946... non so, sarebbero un paio di
milioni a settimana con il dollaro svalutato di oggi.
HANK: Come ti hanno cambiato la vita tutti quei soldi?
IRV: Siamo andati avanti come prima.
HANK: Non hai cambiato nulla?
IRV: No. Avevamo una bella casa. Un paio di macchine. È difficile
da credere adesso, ripensandoci. Comunque, Freed decise di fare un
remake di Ah Wilderness!, una delle più popolari commedie di Eugene
O’Neill, virandola in un musical. E ovviamente voleva che lo scrivessi
io. Forse voleva punirmi. Non avevo alcuna ragione per detestare il progetto,
tranne il fatto che non volevo fare un remake, anche se pensavo
che la commedia potesse rivelarsi un buon film. Tramutato in musical,
era la storia del passaggio di un ragazzo all’età adulta e si sarebbe intitolata
Summer Holiday. Il ragazzo era Mickey Rooney alla sua prima
esperienza sessuale con una bella donna più grande di lui, che doveva
essere Marilyn Maxwell. C’erano anche uno zio ubriacone, Walter Huston,
e Lionel Barrymore nella parte del padre di Mickey.
Rouben Mamoulian fu scritturato per la regia. Mamoulian aveva una
grande reputazione, tutta meritata, grazie a commedie di Broadway
come Porgy and Bess e a film che amavo come Passione e Il Dottor
Jekyll.102 Ero soddisfatto quando Freed disse in mia presenza che Rouben
sarebbe stato regista, produttore e coordinatore e che avrebbe lavorato
con me alla sceneggiatura.
“Ho tra le mani troppi progetti”, gli disse Freed, “così l’incarico passa
a te”.
Nelle settimane successive ci appassionammo a discutere i cambiamenti
dalla commedia originale, perché un musical necessita di un trat-
102 Golden Boy, regia di Rouben Mamoulian (1939), Dr. Jekyll and Mr. Hyde, regia
di Rouben Mamoulian (1931).
Durante la creazione di Yolanda e il Re della
Samba, Ludwig Bemelmans davanti a uno dei
suoi disegni sul muro del mio ufficio alla MGM.
La sua versione di graffito bavarese. Dietro la sua
testa c’è scritto il motto “Achieve the honorable”.
172 173
tamento molto differente del soggetto e della trama. Potevano essere
passate sei o otto settimane, e io ero contento perché avevo scritto tre
quarti della sceneggiatura e Mamoulian aveva espresso una buona dose
di entusiasmo.
Poi arrivarono le cattive notizie. Mamoulian ricevette una telefonata.
“Il signor Freed”, disse, “vorrebbe vedere cosa abbiamo messo su
carta”.
Entrai nella mia tipica modalità anti-Freed.
“Incrocia le dita, Rouben. Ho già avuto esperienze con questo tizio.
È bravo nel fare i casting, è bravo sulla musica. Ma quando legge una
sceneggiatura...”
Rouben si accese un’altra delle sue sigarette Turkish e disse: “È buona.
Gli piacerà”. Avevamo scritto circa ottanta pagine. Le portai giù
nella hall, le consegnai alla segretaria di Freed, e me ne andai a casa.
Quando arrivai la mattina seguente, la mia segretaria disse che Freed
voleva vedermi. Mentre entravo nel suo ufficio, potevo percepire quello
che stava per accadere. L’espressione sul suo volto era quella di un una
bestia in procinto di affondare i denti nelle carni della preda inerme.
Raccolse la sceneggiatura.
“Quando si parla di merda, questa è la prima in classifica”.
Infelicemente, dissi: “Molte persone la chiamerebbero la numero
due”.
Continuò dicendo come non fosse per niente divertente e come la
costruzione fosse del tutto sbagliata, le canzoni nel posto sbagliato...
“Non sono d’accordo”, ribattei, “ma credo che dovresti parlarne con
Rouben. Lui pensa che sia buona”.
Sbattè la mano contro la scrivania, alzando la voce in tono sprezzante.
“Non è lui il produttore. Sono io!”
Dissi: “Ero qui quando gli hai detto che l’incarico era suo...”
“Questo è troppo!”
“Arthur, perché non parli con lui e non gli dici che sotto la sua supervisione
abbiamo sviluppato una sceneggiatura che è una merda?”
Freed era furioso.
“E”, aggiunsi, “digli anche che sei tu il produttore”.
Era abbastanza.
“Non dirmi cosa devo fare”, esclamò, “tu, bastardo di un ebreo, fuori
di qui!”
Questa era la seconda volta che venivo cacciato fuori dal suo ufficio.
E sarebbe stata l’ultima. Quello stronzo di ebreo che odiava se stesso
aveva superato il limite.
Tornai da Mamoulian e gli dissi quello che Freed pensava della nostra
sceneggiatura. Questo uomo calmo e gentile scosse la testa, credo in
segno di rassegnazione. “Sapendo quello che mi hai detto del signor
Freed”, disse, “mi sarei preoccupato se gli fosse piaciuta la sceneggiatura”.
Friggevo dalla rabbia, dovevo dirlo a qualcun altro, così andai dal
direttore esecutivo con cui ero più in confidenza, L.K. Sidney. Eravamo
diventati buoni amici da quella sera del 1933 in cui, al Capitol Theater,
lo sentii minacciare di licenziamento Milton Berle. Sapevo che non
amava Freed. Tutti i dirigenti parlavano malissimo di Freed ogni volta
che non c’era nessuno in vista, ma facevano molta attenzione perché
era il cocco di Mayer. Aver fatto fare soldi a palate con i suoi film aveva
reso Freed un saccente presuntuoso ed era odiato da tutti.
Quando dissi a Sidney come Freed mi aveva insultato, balzò sulla
sedia dall’indignazione.
“Quel verme”, esclamò.
“Già”, ribattei. “Sono sotto contratto qui ma ho intenzione di andarmene.
Ora vado su da Benny Thau ad annullare il mio contratto”.
“Stai calmo, figliolo”, disse Sidney. “Non tagliarti la gola per colpa
di quell’egocentrico”.
Gli dissi che ero sicuro di non poter restare in un posto dove avrei
potuto vedere Freed, anche solo una volta ogni tanto. Così andai di
sopra da Ben Thau, il capo della sezione business. Thau era un uomo
tranquillo e serioso, che ascoltò la mia storia e infine sbatté le palpebre
quando arrivai al “bastardo di un ebreo”.
Mi chiese cosa volessi fare.
“Vorrei che tu rescindessi il mio contratto”.
Sembrò scioccato. Quindi tirai fuori l’assegno da diciottomila dollari
che avevo ricevuto come parte dell’aumento per Yolanda quando avevo
firmato il nuovo contratto.
“Rimettilo in tasca”, disse. “Ho un’idea migliore. Ora andiamo di
sopra da L.B. Dovrebbe sapere come il suo migliore amico tratta gli
autori”.
Lo devo ammettere. L’idea mi piaceva. sentivo che quest’uomo normalmente
privo di umorismo era impaziente di danneggiare Freed.
Chiamò e poi mi condusse di sopra nella stanza del re.
174 175
Ero molto teso quando entrammo. Ma fui sorpreso e contento di vedere
altri due ingranaggi degli Studios, due uomini che mi piacevano
e con i quali avevo confidenza: Eddie Mannix, capo delle operazioni
degli Studios, e Sam Katz.
“Che cosa c’è?”, chiese Mayer.
Thau rispose: “Brecher ha avuto un diverbio con Arthur. Un litigio.
E adesso vuole rescindere il contratto. Ho pensato che volessi saperlo”.
Mayer era impaziente.
“Che litigio? Che diverbio?”
Misi insieme una versione breve della faccenda e poi dissi: “La parte
che mi ha fatto veramente risentire è stata quando mi ha chiamato... con
un brutto nome”.
“Cos’ha detto?”
“Bastardo di un ebreo”.
Tutti i dirigenti nella stanza erano ebrei. Ma nessuno era più ebreo
di Mayer. Posso ancora vedere la sua faccia, un misto di shock e furia.
Azionò l’interfono e abbaiò: “Mandatemi qui Freed! Adesso!”
Sulla stanza calò il silenzio. Ma mentre aspettavamo, lui continuò.
“Figlio di puttana”, sbraitò rabbioso. “Un ebreo che insulta gli altri
ebrei”.
Pochi istanti dopo entrò Freed, sempre di corsa quando si trattava di
incontrare Mayer, avanzando a larghe falcate con stampato il suo solito
sorriso da “ti-amo-L.B.”. Improvvisamente, mi vide insieme agli altri
e la mascella gli cadde sulle scarpe. Se ne stava lì in piedi ammutolito.
Mayer si alzò e lo guardò dritto negli occhi.
“Arthur”, chiese, “di quale tempio fai parte?”
Freed borbottò il nome di una sinagoga.
“È lì che ti hanno insegnato a chiamare un fratello ‘bastardo di un
ebreo’?”
Potevo sentire lo sgomento di Freed. Poi finalmente riuscì a parlare.
“Mi dispiace, L.B. Credo di aver perso la testa”.
Mayer si sedette, congiunse le mani e impartì un ordine:
“Voglio che tu chieda scusa a questo giovanotto”.
“Io...”
“Girati e guardalo in faccia!”
Come un robot, Freed obbedì. Si girò verso di me. Stava ansimando.
“Mi dispiace. Ti chiedo scusa”.
“Va bene”, dissi. La coppia di testimoni stava cercando a malapena di
nascondere la propria gioia per questa pubblica gogna.
Poi Mayer riprese, seccamente: “Ora puoi andare”.
Freed se la svignò. Anche gli altri due se ne andarono, e io ringraziai
Mayer.
“Mi dispiace davvero andarmene”, gli dissi. “In particolare ti ringrazio
per avermi sempre trattato così bene...”
“Non dovresti andartene. Dimentica tutto, non dovrai lavorare mai
più con lui. Questo è il tuo posto, hai un grande futuro qui”.
“Grazie. Apprezzo quello che mi dici, ma se rimanessi qui continuerei
a imbattermi in lui, non credo proprio che funzionerebbe. Ho già
avuto abbastanza problemi con lui in tutti questi anni”.
Mi venne incontro girando intorno alla scrivania e fece per accompagnarmi
alla porta, poggiando il suo braccio intorno alla mia spalla. Ero
toccato da tanto calore.
“Beh, è un peccato”, disse. “Ma so che non avrai problemi a lavorare
per gli altri Studios. Ma promettimi che prima di firmare un contratto ci
penserai bene, e valuterai se richiamarmi e tornare”.
Promisi che l’avrei fatto.
Poi aggiunse: “Che rimanga tra noi, con quello che sta succedendo
qui, mi piacerebbe venire via con te”.
Fu l’ultima volta che vidi il vecchio cavallo da guerra.
HANK: Cosa mi dici di Freed? Fu l’ultima volta che vedesti anche
lui?
IRV: “Sì, ma voglio dirti un’ultima cosa riguardo a questo stronzo.
Una volta ho visto un DVD di Incontriamoci a Saint Louis, uscito circa
quindici anni fa. Sul disco erano stati aggiunti dei filmati di approfondimento
in cui il narratore, Roddy McDowall, diceva una cosa su come
“Freed avesse convinto Judy Garland a fare questo film”.
Non sono mai stato così maledettamente incazzato.
176 177
A Pesca con Groucho
HANK: Irv, non è stato Groucho una volta a dire: “La reverenza e
l’irriverenza sono in realtà la stessa cosa?”
IRV: Non a me.
HANK: Oh.
IRV: Non ho nemmeno idea di che cosa significhi.
HANK: Forse intendeva dire che, alla loro massima espressione,
sono entrambe sacre?
IRV: Se lo ha detto lui, non è una delle sue frasi più famose.
HANK: Va bene. Perché non mi parli di quella volta che sei andato in
campeggio con Groucho nel Wyoming?
IRV: Anche questa non è molto famosa...
HANK: Meglio ancora. Ma prima ti devo chiedere un’altra cosa.
IRV: Forza, ragazzo.
HANK: Perché il giorno in cui te ne andasti dalla MGM, L.B. Mayer
ti disse che voleva andarsene anche lui? Perché avrebbe dovuto? Lui
era il boss.
IRV: Fino a un certo punto. Lo disse perché era appena stato pugnalato
alle spalle. Da Dore Schary. Schary, uno dei suoi autori e produttori,
fece la spia su Mayer, e riferì le attività dello Studio al presidente della
società, Nicholas Schenck, che stava a New York. Schenck e Mayer si
odiavano. Era una lotta per il potere e Schenck aveva la mano migliore
perché deteneva la maggioranza delle azioni della Loews Incorporated,
la società madre.
HANK: Come ti sei sentito nel 1947, a lasciare dopo 10 anni?
IRV: Bene. Volevo fare altri film, ma, potendo scegliere, preferivo
farli con altri Studios. Prima di tutto, comunque, quello che volevo era
riposare. Per tre anni, dal momento in cui The Life of Riley venne messo
in onda, fui sommerso di lavoro, scrivevo film durante il giorno e mi
occupavo degli altri problemi di notte. Durante il weekend lavoravo con
i miei autori radiofonici, e poi da mezzanotte alle quattro del mattino mi
occupavo di riscrivere le sceneggiature per la radio di quella settimana.
HANK: Quando dormivi?
IRV: Quando hai trentadue anni te la devi cavare. Io avevo una tavola,
un tetto e una moglie che si prendeva cura di me. Quando tornai a casa
e dissi a Eve che avevo lasciato la Metro e uno stipendio da 2500 dollari
a settimana, mi aspettavo che fosse almeno sorpresa. Invece disse: “Ottimo.
Ora non ti resta che fare una cosa: vai a pesca”.
Il tempismo di quell’idea era perfetto. Lo show radiofonico stava per
entrare nel finale di stagione, il che voleva dire che mi aspettavano tredici
settimane libere prima di riprendere in ottobre. E in più ero pazzo per
la pesca. Ma non quel tipo di pesca da vecchi. Non mi piaceva pescare
nell’oceano, perché rimanere fermi su una barca con tutta quell’acqua
intorno è noioso e la vista è monotona. A differenza della pesca nel fiume
o nel lago, nell’oceano l’unico
paesaggio è un mondo di acqua e
al massimo uno dei tuoi compagni
di pesca che vomita (e che ti maledice
per averlo coinvolto nell’escursione).
Così cercai di mettere insieme
un gruppetto di amici abbastanza
sportivi da fare quello che avevo
sempre desiderato fare: andare a
pescare in un lago a tremila metri
sopra il livello del mare, in una
zona remota del parco nazionale
di Yellowstone. Un luogo dove
la natura è davvero aspra. L.K.
Sidney, il mio amico che lavorava
alla MGM, era stato là a pesca. Il
posto era il lago Hart e mi consigliò il nome di un hotel che ci avrebbe
anche procurato una guida per il lago.
Rideva mentre diceva: “Scoprirai che Moran, nel Wyoming, è una
specie di selvaggio West. Non è esattamente Beverly Hills”.
Conoscevo due ragazzi che furono entusiasti all’idea. Uno era Frank
Ferrin, il direttore pubblicitario di Chicago che aveva mandato in onda
Riley dopo averlo scoperto in fondo a una pila di tracce audio, ragione
sufficiente per amarlo. L’altro era Manny Rosenberg, che aveva gestito
il Little Carnagie Playhouse quando lavoravo là da ragazzo, e ora era
coproduttore della popolare serie radiofonica Sam Spade.
Manny abitava a New York e Frank a Chicago, quindi il piano prevedeva
che ci saremmo incontrati a Salt Lake City. Stavo per chiamare
Groucho e il suo nuovo amico
178 179
Moran per prenotare le stanze d’albergo, quando improvvisamente pensai
al mio amico Groucho. Sapevo che era molto depresso perché non
stava più lavorando. I suoi passatempi preferiti erano guardare le partite
di baseball, andare a teatro e ascoltare sinfonie – adorava la musica
classica – oppure sedersi sulla sua grande poltrona di casa a leggere un
buon libro e ascoltare in continuazione i dischi di Gilbert e Sullivan sul
suo Capehart, un costoso sistema fonografico che suonava il disco e poi
lo girava da solo. Groucho era un fanatico di Gilbert e Sullivan, poteva
rovinare la serata ai suoi ospiti costringendoli ad ascoltare The Pirates
of Penzance e tutte quelle chazzerei.103
Ero un po’ in apprensione nel chiedergli di unirsi a noi per andare in
una regione inospitale, ma sentivo che forse avrebbe potuto scuoterlo
un po’. Il suo ego stava sanguinando. Così feci un tentativo.
Composi il suo numero, il telefono squillò e lui rispose.
“Non compro niente”, proclamò la voce.
“Groucho”, dissi, “come stai?”
“Chi vuole saperlo?”
“Ascolta”, gli dissi. “Io e un paio di amici stiamo per partire per una
vacanza di dieci giorni”.
“Non dimenticarti di mettere in valigia un paio di vestiti di ricambio”.
Gli restituii una risata di cortesia.
“Pensavo che potresti venire con noi”.
“Quando partite?”
Glielo dissi, aggiungendo: “E pescheremo alla grande”.
“Stai scherzando?”, disse. “Sono qui seduto a fumarmi un Avana,
ascoltando Gilbert e Sullivan sul mio Capehart con la mia bella moglie
Kay, e tu vuoi che lasci questa donna di vent’anni più giovane di me che
credo sia ninfomane? È fuori questione. Brech, la tua testa dev’essersi
spappolata per aver scritto i film dei Fratelli Marx. Non esiste ricchezza
al mondo che mi possa convincere ad abbandonare questa spirale di
lussuria e a lasciare la mia sposa malata d’amore a dormire da sola per
dieci giorni. Buona notte!”
E poi appese. Ero dispiaciuto di averlo importunato.
Pochi minuti dopo il mio telefono squillò.
“Pronto, Brech?”, disse Groucho. “La mia sposa mi sta facendo la
valigia”.
“Quindi vieni?”
103 In yiddish, letteralmente, “immondizia”, “schifezze”. [n.d.t.]
“Così dice lei”.
“Grande!”
“Bene, dicono che il modo migliore di stare insieme per una coppia è
stare separati. Quando si parte?”
Volai a Salt Lake City, e Groucho, che odiava volare, mi raggiunse il
giorno seguente in treno. Sembrava già scontento di tutta la faccenda.
Invece Manny e Frank, entrambi pescatori, erano entusiasti di tutto ed
erano in soggezione per la presenza del celebre comico. Io avevo pensieri
contrastanti perché avevo già viaggiato in precedenza con Groucho,
con risultati disastrosi. Ma ci furono anche volte in cui si dimostrò
divertente, specialmente quando le cose si facevano difficili.
Quando fummo tutti in macchina, una Cadillac rossa del 1947 presa
a nolo, e ci fermammo per fare benzina lungo la strada per Yellowstone,
Groucho entrò nella stazione di servizio e ne uscì con un sacchetto
marrone. Si sedette davanti sul sedile del passeggero, di fianco a me.
“Che cos’hai lì, Groucho?”
“Dal momento che è ovvio che questa macchina si romperà in questa
landa desertica soffocante, ho preso qualcosa che salverà le nostre vite.
Noi siamo in quattro e qui dentro ci sono quattro pomodori. Ognuno
di noi avrà diritto a un pomodoro, e il suo generoso succo riuscirà a
mantenerci in vita finché qualche anima misericordiosa a bordo di un
camion non si fermerà e non userà la radio per chiamare un’ambulanza,
che probabilmente si romperà a sua volta”.
Dissi: “Posso avere il mio pomodoro adesso?”
“No. Dovresti vergognarti”, disse. “Come puoi fare questo a tre uomini,
mariti amorevoli, padri devoti e democratici da una vita?”
Circa otto ore dopo entrammo a Moran lungo una stretta strada e
all’improvviso ci ritrovammo nel selvaggio West. Su entrambi i lati della
strada c’erano piccoli negozi: il barbiere, l’emporio e un’impresa di
pompe funebri. Ma il loro numero era sovrastato dalla presenza di saloon
e piccoli hotel. Quel che era peggio, molti dei cowboy che giravano
intorno sembravano portare le pistole, in fondine sorrette dai cinturoni
con cartucciera. E la maggior parte di loro aveva le gambe ad arco.
Groucho disse: “Se metti in linea questi tizi nella giusta posizione,
puoi giocare a croquet”.
180 181
Dissi: “Grouch, credo che sarebbe saggio se non facessimo gli spiritosi
con nessuno qui. Perché se ci sparano, neanche un pomodoro potrà
salvarci”.
“Chi è che sta facendo lo spiritoso?”, disse. Sentii Frank e Manny che
ridacchiavano nei sedili posteriori.
Mentre i miei due amici dell’Est disfacevano le valigie, entrai con
la mia solita apprensione – Groucho mi stava seguendo – nell’hotel
Moran. La prima cosa che vedemmo fu un grande bancone circolare
attorniato da alcuni cowboy, oltre a un paio di bariste che portavano
gonne cortissime e reggiseni esilissimi che mettevano in mostra scollature
mozzafiato.
“Oh mio Dio, siamo finiti alle Folies Bergère”, mormorò Groucho.
Ce l’ho ancora davanti agli occhi: il saloon, le ragazze, il Grand Teton
e le gambe nude.
L’impiegato alla reception era un uomo secco secco che ci guardava
senza alcun tipo di reazione, aspettando pazientemente che parlassimo.
Ma il destino fu bastardo. Questo povero individuo sembrava fatto su
misura per Groucho: aveva un tic che gli faceva alzare il labbro superiore
e lo faceva muovere e mostrare dei denti finti e semi-bianchi che
ticchettavano.
“Abbiamo prenotato”, dissi. “Il nome è Brecher. Due stanze”. Fuori
dal mio angolo visivo scorsi Groucho appoggiato a una slot machine,
con le braccia conserte che scimmiottava il tic dell’impiegato (con la
differenza che Groucho aveva denti veri). A momenti mi strozzai per
trattenete le risate e rantolai che avevamo bisogno di una guida.
Il povero individuo era abbastanza gentile, credo perché non aveva
visto quello che stava facendo Groucho. Era proprio crudele.
Manny e Frank entrarono e Groucho li raggiunse al bar. Feci la registrazione,
presi le chiavi di due stanze adiacenti, pagai i venti dollari
per la prima notte, e mi toccò dividere la stanza con Groucho perché
eravamo gli unici due a non russare.
Ero stanco e suggerii di fare un sonnellino e poi di uscire a cena. Cosa
che feci, intendo il sonnellino.
Quando mi svegliai, sentii Groucho al telefono che chiedeva il servizio
in camera.
“Ah, no? Allora potete farmi mandare qualcosa dal bar?”
Si voltò verso di me: “Vuoi un drink?”
“No”.
“Per favore mandatemi un Old Fashioned... sì... grazie”.
Sentii un leggero brivido.
“Groucho, hai visto le ragazze al bar?”
“No, che cos’hanno?”
“Sembrano delle prostitute”.
“Davvero? Quanto vogliono? Non che io voglia commettere adulterio...”
“Ascoltami”, dissi. “Queste ragazze probabilmente appartengono a
qualcuno di quei tizi con le pistole”.
“Quegli uomini? Probabilmente sono comparse, staranno girando un
film”.
“Non hai visto le pistole?”
“Oggetti di scena. Perché sei così nervoso?”
“Le sole volte in cui sono nervoso è quando sono con te, Groucho”.
“Fidati di me, compagno. Non aver paura. Dal momento che hai avuto
la faccia tosta di invitarmi in questo viaggio tremendo, non ti ripagherò
facendoti fare delle pessime figure”.
“Grazie”.
Dicevo sul serio. Groucho aveva ragione. Sono un ebreo nervoso, che
salta in piedi se solo bussano alla porta.
Un momento dopo bussarono alla porta.
“Avanti”, urlò Groucho.
La porta si aprì, ed entrò lei, la bambola supersexy da venti dollari a
notte, con in mano un vassoio sul quale c’era il cocktail e mezza tetta
con tanto di capezzolo nudo al posto degli stuzzichini.
“Buona sera”, disse.
“Sera!”, rispose Groucho allegramente.
“Ho qui il vostro Old Fashioned”.
“Ma GRAZIE!”, disse raggiante. “Tu invece non sembri old fashion.
Ti interessa provare qualcosa di più moderno? Tipo rotolarti nel fieno
con me?”
Lasciò cadere il vassoio sul letto e corse fuori.
Mentre richiudevo la porta potevo vedere me stesso disteso su una
barella in un’ambulanza. Di certo avrebbe mandato su il suo uomo dalle
gambe ad arco per rispondere alla battuta di Groucho.
“Se riferisce a uno di quei tizi che se la scopano che cosa hai detto”,
gli dissi, “è probabile che ci uccida!”
182 183
“Non ci avevo pensato”, disse Groucho, “ero così arrapato”.
“Mi sa che tu vuoi finire accoppato!”
“No, solo scopato. Piantala di preoccuparti, sapeva che stavo scherzando”.
“Sei un illuso. Io me ne vado di qui”.
“Bene, spero che tu ti stia sbagliando, ma perché non andiamo sul
sicuro e non ce la svigniamo dalla finestra?”
Fu esattamente quello che facemmo. Presi la mia valigia e andai per
primo, calandomi furtivamente giù nel vicolo. Fortunatamente, eravamo
al piano terra. Un minuto dopo, un contrito Groucho discese con la
sua borsa e trascinammo i piedi lungo il vicolo fino all’entrata posteriore
di un altro hotel, da dove telefonai a Manny e Frank e dissi loro
quello che era successo. Lasciarono l’albergo e ci raggiunsero.
Groucho recitava insistentemente: “Non volevo insultare quella donna”,
assicurò ai nostri compagni. “Ero genuinamente innamorato di lei.
Mi piacerebbe sapere il suo nome”.
La mattina seguente ci venne presentata la nostra guida, Bob Robards,
un bell’uomo, alto, che gorgogliava promesse sulle meraviglie
che ci attendevano. A pelle non mi ispirava fiducia. Per molti chilometri,
mentre ci guidava fuori Moran e si inoltrava nelle montagne, ci regalò
un sacco di storie sullo stretto rapporto che lo legava a suo cugino, un
attore caratterista di nome Jason Robards. Lo conoscevamo, mi ricordai
perfino il titolo di uno dei suoi film, Strettamente Confidenziale.104 E
questa guida chiacchierona prese a raccontarci l’intera sceneggiatura
del film per dimostrarci che era suo cugino. Finalmente, Groucho – che
generosamente non aveva interrotto la storia –, annoiato a morte, disse:
“Non è che hai anche un cugino che ha fatto Via col Vento? No, perché
se è così, giuro che scendo dalla macchina”.
Robards si ammutolì. Ma avrebbe avuto la sua rivincita.
“Eccoci arrivati!”, annunciò.
“Non vedo nessun lago”, dissi.
“Deve aver pazienza, signore. Si trova lassù”. Robards puntò il dito
verso una delle cime della catena montuosa del Grand Teton. Fissammo
il pendio sopra di noi, alto e largo alcuni chilometri.
104 Broadway Bill, regia di Frank Capra (1934).
“Solo tremila metri di ascesa per il lago”, affermò. Dove, ci assicurò,
avremmo trovato un confortevole accampamento. “Ci potete scommettere!”
Poi ci diede un’occhiata che era un misto di compassione
e disprezzo, perché nessuno di noi quattro c’entrava con questa terra
selvaggia più di quanto c’entrasse Vladimir Horowitz.105
Passammo dalla Cadillac a una jeep a cinque posti, che Robards orgogliosamente
sosteneva di aver vinto in una partita a poker a un ladro
di bestiame ubriaco.
Groucho guardò la jeep con diffidenza: “Stiamo davvero per montare
su quella cosa?”
“Ci porterà a destinazione sani e salvi”, disse la guida. “E quando
arriveremo in cima, completeremo il tragitto con una bella escursione
a dorso di mulo”.
“Dorso di mulo?”, Groucho si girò verso di me. “Tu, figlio di puttana,
mi hai strappato alla società civilizzata per farmi morire su un mulo da
soma?”
Ma non avevamo scelta. Non appena questi quattro intrepidi idioti furono
stipati nella jeep, Robards iniziò a salire. Quattro uomini decadenti
e di mezz’età, abituati a stare in poltrona, a fare saune e massaggi e a
sorbire Martini, ora stavano provando la più violenta esperienza delle
loro vite. Per un’ora prendemmo colpi a destra e a manca mentre la
jeep si trascinava, sbandava, urtava e si lanciava in avanti. Manny prese
Groucho per un braccio giusto prima che questi cadesse fuori dalla jeep.
Io stesso me la vidi brutta un paio di volte.
Finalmente, l’agonia terminò. Eravamo in cima e si vedeva il lago,
che era almeno a quattro o cinque chilometri di distanza. Fummo condotti
davanti a una comitiva di cinque muli da soma dall’aria sconsolata.
Era la prima volta che ne vedevo uno in carne e ossa e in quel momento
desiderai non averne mai visti affatto. Mentre Groucho malediva
me e la vita in generale, riuscimmo in qualche modo a salire in groppa,
e con il cugino di Jason Robards che ci apriva la strada, iniziammo la
terribile sfacchinata verso il lago. Dico terribile perché, oltre alla nostra
guida, avevamo due nemici con cui fare i conti. Il primo erano i tafani.
Piccoli caccia bombardieri che si comportavano come se stessero
aspettando di fare un pasto da mesi, capaci anche di fare dei buchi nelle
nostre giacche di pelle ed estrarre il sangue. Iniziammo a darci manate
a vicenda per mandarli via. I ciuchini sbandavano da una parte all’altra
105 Il celebre pianista e compositore russo. [n.d.t.]
184 185
per evitare i buchi fumanti nel terreno che ricoprivano le sorgenti termali,
alcune delle quali zampillavano e spruzzavano getti di acqua rossa
bollente sulle loro povere gambe.
Non sono mai esistiti al mondo quattro idioti più miserabili e fuori dal
loro elemento di noi.
La sonora punizione provocò i gemiti, i lamenti e gli insulti di Groucho,
la maggior parte dei quali rivolti a me per averlo convinto a seguirmi
in quello che, ora ne era sicuro, era un viaggio verso morte certa. E
io ero preoccupato che quella potesse essere la fine della nostra amicizia,
oltre che la mia stessa fine.
Dopo parecchie, estenuanti ore, arrivammo sulle sponde di questo
lago meraviglioso e Groucho saltò giù dalla sella, felice di essere finalmente
al sicuro. Eravamo in una terra completamente selvaggia. Non
una barca, nessuna costruzione di alcun tipo, fatta eccezione per il confortevole
accampamento che ci era stato promesso. Consisteva in una
tenda larga a sufficienza per consentire a due uomini di dormire. Un
lato della tenda aveva un lungo squarcio attraverso il quale si potevano
vedere due sacchi a pelo.
Robards riprese a vantarsi.
“Vi ho detto che settimana scorsa c’era qui Robert Taylor insieme a
un gruppo di amici? Ha preso un sacco di pesce. Potete crederci? Non
mi ha neanche lasciato la mancia”.
Dissi: “Posso crederlo. È un repubblicano. E un persecutore dei rossi.
Ma che cosa è successo alla tenda?”
“Ah, quello? È stato un orso. Ci sono moltissimi orsi qui intorno. In
cerca di cibo, probabilmente”.
“Probabilmente è stato un fan”, disse Groucho acidamente, “che voleva
l’autografo di Taylor”.
Su questa nota allegra, tutti e quattro crollammo a terra e aspettammo
la cena, che la guida avrebbe dovuto fornirci come parte dell’accordo.
Viaggiare, alloggiare e mangiare, il tipico programma americano. Ma
il disappunto per le parole di Robards che promettevano grande divertimento,
si trasformò in profondo, sincero rancore quando ci confessò
che tutte le provviste che aveva portato in una piccola ghiacciaia erano
lattine di prosciutto Spam, pane bianco e qualche barretta di cioccolato.
“È colpa mia”, disse il nostro grande cambusiere. “Ho lasciato l’altra
scatola nella jeep”. Frank sospirò: “Fantastico. Se mai torneremo, potremo
fare un banchetto”.
Iniziammo a spizzicare un po’ di Spam con il pane, un’esperienza
terribile, ma Groucho si rifiutò e scivolò dentro la tenda. Frank e Manny
all’unisono decisero che siccome io ero il più vicino a Groucho,
avrei dormito con lui. Erano preoccupati che Groucho, il più anziano
del gruppo con i suoi cinquantasette anni, potesse ammalarsi.
Mi sentivo in perfetta forma quando entrai nella tenda. Provai a dormire,
ma ogni cosa puzzava di citronella. La nostra guida sabotatrice ne
aveva cosparso l’interno della tenda per allontanare le zanzare. Sopraffatto,
strisciai fuori dalla tenda e finalmente caddi addormentato su un
letto di aghi di pino.
La mattina seguente l’alba era meravigliosa e il lago Hart una vista
gloriosa. Frank e Manny sedevano intorno a un fuoco da campo acceso
dal nostro Conrad Hilton di terza categoria e bevemmo del caffè, caldo
ma non particolarmente buono. Un po’ di frutta in scatola e pane bianco
tostato ci resero un filo più contenti.
Finalmente, Groucho venne fuori strisciando dalla tenda. Io, Frank e
Manny eravamo sorpresi che fosse ancora vivo.
“Non grazie a te, Brecher”, disse. “Avrò la mia vendetta. Farò in
modo che tu debba scrivere un altro film per noi”.
La intendeva come una punizione.
Mentre guardava torvo la guida che gli offriva del caffè – che rifiutò
– disse: “Dal momento che lei è il manager di questo fottuto hotel di
lusso, per favore mi indica il bagno degli uomini?”
Robards, apparentemente immune a ogni maltrattamento verbale,
rise.
“Questa non era male, Grouchy!”
Ricevette in cambio un’occhiata fulminante da parte di Groucho, che
aggiunse: “Giovanotto, in futuro se vuole comunicare con me lo faccia
dandomi del lei”.
Robards indicò oltre la tenda un gruppo di enormi cespugli.
A suo modo, il povero Groucho cercava ancora di farci divertire. Così,
con la sua tipica camminata accovacciata, si allontanò di una trentina di
metri e scomparve nel folto della vegetazione. Nel frattempo io stavo
registrando un filmino con la mia cinepresa da 16 mm Bell & Howell.
Presi qualche inquadratura del lago, delle montagne e di un’aquila dalla
testa bianca in volo. Quando mi sedetti udii Frank dire: “Ma che succede?”
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Groucho, ancora in posizione accucciata, ma con i pantaloni abbassati,
si teneva la cintura e scendeva dalla radura incespicando.
“Non guardate adesso”, disse, “ma c’è un orso che mi insegue?”
Sopra il fogliame, interamente visibile, c’era un orso bruno in piedi
sulle zampe posteriori, che ci guardava incuriosito. Iniziò a fare una
danza, che ripresi con la cinepresa e che ancora conservo su pellicola,
poi, terminata l’esibizione, tornò sulle quattro zampe e finalmente
scomparve.
Groucho respirava a fatica: “Avrei dovuto chiudere la porta prima di
sedermi!”
Ridemmo come matti.
Dopo averlo sostenuto e avergli dato dell’acqua, Groucho ci disse:
“Ero in posizione, aspettavo che la natura facesse il proprio corso rimpiangendo
di non avere una copia del mio giornale da leggere, quando
ho alzato la testa e ho notato, a non più di cinque metri di distanza, che
alcuni cespugli si muovevano. E non c’era vento. Ho pensato, questo
dev’essere un fenomeno fisico! Poi ho intravisto una massa nera con
cinque grossi artigli che mi salutavano educatamente. E mi sono chiesto
chi nel nostro gruppo potesse avere cinque artigli. Quando non mi
è venuto in mente nessuno che rispondesse alla descrizione, ho deciso
di andarmene. All’improvviso l’orso si è alzato in piedi. E io ho fatto lo
stesso appena in tempo a salvarmi la pelle”.
Continuammo a ridere.
“Quando si va in bagno,” concluse, “d’ora in poi si va in gruppo”.
Trascorremmo il resto della mattina ridendo e pescando. Groucho
accettò con riluttanza di pescare, una cosa che non aveva mai fatto.
Eravamo sul lago in una barca a remi e io ero il rematore. Tirai fuori la
canna da pesca e vi applicai un amo con un verme che la guida aveva
recuperato sulla spiaggia. Groucho prese la canna e liberò il mulinello
in modo che l’amo e i piombini scendessero parecchio in profondità
nell’acqua. Robards disse che il lago era profondo più di trecento metri.
Così Groucho si mise lì seduto, amabilmente, con una lenza da pesca
in mano. Groucho Marx era di solito molto amabile quando era esausto
e non aveva la forza di urlare contro i suoi persecutori, come la nostra
guida.
Improvvisamente ricevette uno strattone. Armeggiò con la canna
quando gli ordinai di riavvolgere il mulinello. La canna si piegò mentre
il pesce combatteva ma alla fine emerse in superficie: era un’enorme
trota di lago. Ormai non c’era più partita per la trota, era andata in embolia,
la stessa cosa che accade agli esseri umani quando riemergono
troppo in fretta dopo essere stati in profondità: i polmoni collassano.
Groucho, per la prima volta dall’inizio del viaggio, sembrava contento.
Non aveva mai pescato un pesce prima di allora e questo era davvero
gigante, e quando fummo a riva facemmo tutti un delizioso pasto a base
di trota di lago fritta à la Groucho.
Prendemmo la via del ritorno dalla montagna sui muli, poi sulla jeep
e, finalmente, sulla Cadillac. Tornati a Moran, pagammo il nostro Meriwether
Lewis,106 che da allora Groucho chiamò Dr. Mengele. Gli allungammo
anche una generosa mancia; avevamo già concordato prima
che oltre alla sua paga di duecento dollari al giorno, per pietà dei nostri
concittadini americani gli avremmo dato un extra di quattrocento dollari,
ma accompagnandolo al consiglio che si ritirasse come guida.
Tornando a casa ci fermammo a Las Vegas, che allora era poco più di
un pugno di sabbia, una stazione di servizio, un emporio e un hotel con
annesso casinò chiamato El Rancho. E un nuovo hotel che aveva aperto
appena una settimana prima, all’estremità meridionale delle dune di
sabbia, che si chiamava Flamingo.
Aveva tutte le comodità di un hotel moderno. Incluse impiegate belle
e giovani vestite in modo da innalzare lo spirito e qualunque altra cosa
si potesse alzare in uomini lontani da casa. Il culmine più alto – o più
basso – fu incontrare Bugsy Siegel, il proprietario del Flamingo. Era un
ammaliatore, non fece mancare nulla a Groucho e ai suoi amici, e non
ne volle sapere di lasciarci pagare per il nostro sontuoso pasto.
Eravamo praticamente gli unici presenti, ma lui non era preoccupato.
Bugsy affermò: “La gente ama giocare. Verranno da Chicago e da
Los Angeles, e forse anche da New York, non appena avremo una tratta
aerea che fermerà qui, cosa che è già in programma”.
Come ricordo delle nostre avventure, feci un filmino di Groucho che
cammina intorno alla piscina del Flamingo occhieggiando le donne in
costume da bagno. E indovinate che cosa aveva in mano: un sacchetto
marrone con quattro pomodori marci. Quelli di oggi marcirebbero di
meno? Di certo non sono così buoni.
106 Celebre esploratore statunitense. [n.d.t.]
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Fu nell’ultima parte del viaggio che Groucho ricevette finalmente la
ricompensa che si meritava. Ci fermammo per fare benzina e lui chiamò
casa, forse per sapere se la sua giovane sposa fosse ancora lì.
Quando tornò alla macchina, chiese a Frank Ferrin: “Conosci un tizio
di nome John Guedel?”
Frank disse che sapeva che Guedel aveva prodotto degli ottimi show
radiofonici.
“Mia moglie dice che ha chiamato”, sogghignò Groucho. “Vuole parlarmi
di uno di quei quiz in cui si mettono in palio premi in denaro”.
“Stai scherzando?”
Groucho si schernì: “È un insulto. Chiunque sia questo tizio, è un
cazzone fuori di zucca”.
Guedel voleva mettere in piedi un nuovo tipo di show a premi con
Groucho come intrattenitore.
“Perché non lo incontri?”, propose Frank. Manny, Frank ed io pensavamo
che fosse una buona idea, se il compenso fosse stato adeguato, e
avrebbe potuto essere anche intellettualmente appagante.
“Non se ne parla”, tagliò corto Groucho. “Non sono così disperato. I
quiz a premi sono per gli idioti”.
Più tardi, quel giorno, arrivammo a casa. E circa una settimana dopo,
sulla prima pagina di un periodico di settore, c’era un articolo che diceva
che Groucho Marx era stato ingaggiato per fare un nuovo show intitolato
You Bet Your Life. Lo fece per quindici anni, a partire dal 1947,
alla radio e poi in TV. Fu ciò che lo sostenne per il resto della sua vita.
PARTE IV
La scrittura per la
TV e la regia
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La Mia Vita Salvata Da Un Becchino
“Chester A. Riley non molla mai.
A meno che non sia morto da sei mesi”.
William Bendix in The Life of Riley
Il New York Times pubblica ogni giorno una rubrica intitolata “Per la
Cronaca”.107 Recentemente vi è apparsa una correzione che aveva a che
fare con una celebre battuta scritta da Brecher. Il cronista sportivo Murray
Chass l’aveva erroneamente attribuita a Jimmy Durante. Così, per
ristabilire la verità, “Per la Cronaca” ha scritto: “La battuta di Chester
A. Riley in The Life of Riley, una sit com degli anni Cinquanta, non è
di Jimmy Durante”.
Ho mandato una email informando l’ufficio correzioni che la sit com
The Life of Riley in realtà esordì in radio nel 1944 e fu seguita da un
film nel 1949. Aggiungendo: “Riley – una creazione di Irving Brecher
– pronunciò la battuta in questione almeno sette anni prima di quanto
da voi riportato”.
(Per la cronaca, il Times non ha mai pubblicato questa precisazione.)
Come ha fatto Brecher a passare dai film della MGM alla TV della
NBC? Attraverso la radio, il magico media in cui scrisse per Milton
Berle…
HANK: Nel 1943 stavi scrivendo film per la MGM. Com’è successo
che nello stesso periodo tu abbia creato uno show radiofonico e poi sia
approdato alla TV?
IRV: Era uno show radiofonico che non volevo fare e che non si è
venduto. Cominciamo da qui!
Nell’estate del 1943 ero nel mio ufficio a lavorare alla sceneggiatura
di Incontriamoci a Saint Louis. Avevo messo un cartellino non disturbare
alla porta. Sentii bussare ed entrò il mio amico Groucho.
“Qualcuno con la testa sulle spalle deve aver messo questo cartello
sulla porta nel tentativo di tenerci separati”.
Risi, finché aggiunse: “Per impedirti di scrivere un nuovo show radiofonico
che ci farà entrambi ricchi”.
107 Nell’originale, For the Record. [n.d.t.]
“Impedirmi cosa?”, ribattei.
“Tu mi riporterai in radio”.
Lo show di Groucho era stato cancellato da poco per decisione, credo,
delle sigarette Old Gold. Si vedeva a occhio nudo quanto il povero
ragazzo fosse silenziosamente nervoso e frustrato. E questo mi dispiaceva,
ma dovevo dirgli chiaramente come stavano le cose.
“Groucho, niente mi farebbe più felice, ma sono sotto contratto con
gli Studios e non posso scrivere nient’altro al di fuori di quello che mi
assegnano”.
Era irremovibile: “Gli Studios vanno e vengono, ma la nostra amicizia
durerà per sempre”.
“Vorrei poterlo fare, Groucho”.
“Se sei mio amico lo farai per me. Non ti preoccupare, il tuo nome
non comparirà, così gli Studios non lo sapranno mai”.
Scossi il capo. Ero nei guai. Sapevo che era rischioso, ma non potevo
abbandonare Groucho.
“Tirerai fuori qualcosa – sorrise –, so che lo farai”.
Non ero proprio entusiasta.
“Dunque, l’unica cosa che mi viene in mente”, gli dissi, “sono un paio
di pagine che ho buttato giù quando ero ancora a New York”.
Un paio di pagine di niente in realtà, solo qualche idea. Quella di
cui parlai con Groucho aveva a che fare con un padre di famiglia – i
Flotsam – un tizio che passava da un lavoro all’altro sognando di fare il
colpaccio, intrallazzando qua e là e finendo sempre male.
“Sembra una parte fatta apposta per me!”, disse Groucho.
“Groucho”, consigliai, “per gli ascoltatori non sarai credibile con un
personaggio come quello. È essenzialmente il padre di famiglia medio”.
Il pubblico identificava Groucho come un tipo dai baffi dipinti che
dimena le sopracciglia e corre in giro piegato a metà pronto a saltare
addosso a chiunque gli capiti a tiro.
Ma lui era irremovibile.
“Mi crederanno. So recitare, so leggere il copione. Tu devi solo scriverlo”.
E poi, cosa insolita per Groucho, non disse cose impertinenti ma solo
una sincera supplica: “Per favore”.
Sapevo di non avere scampo, così per diverse sere lavorai a uno
script di prova per trenta minuti di disastro familiare (si sperava divertente).
Nel frattempo, Groucho aveva convinto il suo manager a trovare
192 193
un accordo con un’agenzia di Madison Avenue per finanziare un disco
di prova – un 33 giri – che registrammo dal vivo alla CBS di Hollywood.
Il pubblico rise a tutte le sue battute, quindi i tizi dell’agenzia e Groucho
pensarono di avere per le mani un successo. Pensai che era divertente
in studio, ma chi poteva sapere l’effetto che avrebbe avuto alla
radio? Chi avrebbe creduto a Groucho nei panni di un padre in carne e
ossa? Beh, la cosa morì lì, perché nessuno ci credette. L’agenzia William
Morris fece sentire il disco a un sacco di potenziali sponsor (dopo
che l’agente che per primo l’aveva finanziato l’aveva rifiutato) e nessuno
lo volle. Alla fine Groucho smise di chiamarmi per condividere il
suo disgusto per la mancanza di intelligenza delle persone che comprano
gli spettacoli radiofonici…
HANK: C’è una lettera in uno dei suoi libri in cui Groucho ti scrive:
“Ho l’impressione che ci sia una radicata avversione ad accettarmi in
qualsiasi ruolo diverso da quelli che ho sempre interpretato”.
IRV: Sì, a volte non è divertente avere ragione. Come l’avevo io,
sfortunatamente. Come Groucho, mi dimenticai anch’io del programma,
fino a pochi mesi dopo, quando ero seduto con mia moglie nel Fox
Village Theater di Westwood. Come preludio al film fu proiettato un
cortometraggio di Hal Roach dal titolo The McGuerins of Brooklyn. Il
protagonista era interpretato da una simpatica testa di rapa che avevo
visto anche in alcuni film drammatici, ma di cui conobbi il nome solo
dai titoli di coda: William Bendix. I suoi tempi comici erano molto,
molto buoni, e mentre tornavamo a casa dissi a mia moglie: “Ti ricordi
quell’audizione che feci con Groucho? Penso che questo tizio, Bendix,
possa essere adatto per la parte di Groucho”.
Annuì, aggiungendo: “Intendi, nella parte di un personaggio di
Brooklyn?”
“Sì, tutti ridono a Brooklyn, anche se mi sorprende che qualcuno viva
in quel posto”.
Il giorno dopo contattai l’agente di Bendix, si chiamava Stewart Stewart,
ma il suo vero nome era Muckenfuss. Avrebbe dovuto tenerselo.
Comunque, gli dissi che volevo sapere se Bendix era disponibile per
una serie radiofonica. Sì. Gli mandai il copione dopo aver riscritto il
personaggio principale un po’ in “stile Brooklyn”, anche se non usando
il tipo di parlata per cui Brooklyn è famosa. E decisi di cambiare il
nome di Flotsam, prima in Riley e poi in Chester A. Riley. Così The
Flotsam Family divenne The Life of Riley, un titolo che si è sentito per
anni. Lo vidi anche stampato. Era un titolo perfetto, significava una vita
di piacere, di comodità, con un sacco di soldi, proprio l’esatto contrario
di quello di cui lo show avrebbe dovuto parlare. Dopo che Bendix lo
ebbe letto, Muckenfuss mi chiamò e disse: “Bill lo adora, mettiamoci
d’accordo”. Ancora prima di incontrarlo, misi giù un contratto per il
primo anno di Bendix con un’opzione per i quattro anni successivi.
Poco dopo eravamo nello stesso studio della CBS, con un cast diverso,
e la prova andò meglio che con Groucho. Ci furono un sacco di
risate, ma si aveva anche la sensazione che le persone si prendessero un
po’ a cuore i momenti seri perché Riley non era sentito come un personaggio
finto. Era un padre di famiglia in carne e ossa, un marito vessato
con un basso quoziente di intelligenza. La riscrittura diede a Bendix
quello che Groucho non aveva: la credibilità.
Mi sentivo piuttosto ottimista.
Sei mesi dopo, però, non lo ero più così tanto perché nessun compratore
si era ancora fatto avanti. I miei stessi agenti avevano ovviamente
lasciato perdere e avevano smesso di chiamare. Ero tornato a finire St.
Louis quando una sera ricevetti una chiamata a casa.
L’operatore disse: “In linea con Chicago”.
Una strana voce dall’altro capo del filo si presentò come Frank Ferrin
dell’agenzia Leo Burnett.
“Lei ha a che fare con una registrazione radio chiamata The Life of
Riley?
Dissi di sì e lui continuò, raccontandomi in che razza di strano affare
fossi coinvolto.
“Rappresento l’American Meat Institute”, disse. “So che non c’è
carne da vendere di questi tempi, ma l’Istituto sta cercando uno show
radiofonico che mantenga il pubblico interessato ad acquistare carne
quando sarà disponibile. La guerra finirà prima o poi”.
“Incontriamoci davanti a una costoletta d’agnello”.
Chiesi a Ferrin come avesse fatto a trovarmi.
“Il suo nome era sul disco. Si sta chiedendo dove l’ho trovato? Per un
paio di settimane ho ascoltato centinaia di dischi di prova per trovare
qualcosa che mi piacesse abbastanza da proporlo al mio cliente. Qualcosa
che penso possa diventare una hit, perché in questo business – lei
capisce – il tuo culo è sempre in bilico. L’ho rintracciata chiamando la
194 195
Writers Guild di Hollywood. Voglio comprare lo show. Può mettermi in
contratto con i suoi rappresentanti?”
“Con i cosiddetti rappresentanti”, dissi io. “Tu tiri fuori uno show dal
fondo di una catasta e loro si beccano il dieci per cento su ogni spicciolo
che lo show guadagna, da qui all’eternità. O forse un po’ meno”.
Ringraziai Frank. È così che è nato The Life of Riley, quasi settant’anni
fa. E da allora quello spettacolo è stato trasmesso o venduto in
audiocassette e CD, anche su Internet, tramite una compagnia chiamata
Radio Spirits.
HANK: Prendi delle royalties per quei nastri?
IRV: Chi credi abbia pagato il tuo pranzo?
HANK: Quasi settant’anni fa…
IRV: Eh già, il 16 gennaio 1944. Probabilmente ci ascoltarono in sei.
Lo show andava sulla NBC Red Network (ne avevano due, la Red e la
Blue network. ABC era la Red) a mezzogiorno, le tre del pomeriggio
a New York. La domenica, a quell’ora, non c’erano molti ascoltatori e
io naturalmente sbraitai su quel terribile posizionamento. Ma il Meat
Institute non avrebbe pagato per spot serali e noi avevamo un contratto
per ventisei settimane, così andammo avanti diligenti come cagnolini.
La recitazione era buona, il pubblico in studio rideva e gli ascolti erano
ridicoli.
Ridicolmente bassi.
Ma questo non sembrava irritare lo sponsor. Accettarono l’opzione
per altre cinquantadue settimane. Ciò significa che per settantotto settimane
mi dovetti fare il culo. E intorno alla ventesima trasmissione,
qualcosa di simile a un miracolo cambiò l’intera storia. Cambiò la mia
vita.
Stavo visionando le prove a Hollywood e, dopo i tagli, lo show mi
risultava essere troppo corto di un minuto e mezzo. Avevo bisogno di
riempire quel tempo. Guardai cosa avevo nella storia: Chester Riley,
manovale alla Stevenson Aircraft, invece di tornare a casa dopo il lavoro,
è sparito. Manca da casa per un po’ e sua moglie Peg è allarmata
e teme che gli sia capitata qualche disavventura. Diversi personaggi
arrivano per rassicurarla, il che risulta più comico che confortante. Improvvisamente
pensai: quale visitatore riuscirà davvero a buttarla giù?
Quale riuscirà a deprimerla di più?
Un becchino. Quello sì che l’avrebbe messa al tappeto.
E trovai piuttosto facile farlo diventare divertente. Cosa c’è di più
divertente della morte? Doveva avere un tono di voce e un portamento
oscuri e sepolcrali. “O’Dell”. Sarà un simpatico irlandese amico di Riley.
“Digby” O’Dell creava una bella allitterazione. Poi mi si accese la
lampadina: “Digger”108 sarebbe stato il suo soprannome.
Tutti sul set mi fecero fretta, lo show iniziò improvvisamente e la storia
si dipanò con Digby O’Dell che bussa alla porta di una preoccupata
signora Riley. Lei apre e l’attore John Brown dice nel tono più luttuoso:
“Sono io, Digger O’Dell, il simpatico becchino”.
Il pubblico, colto di sorpresa, scoppiò in una risata.
Quindi introdusse la frase-cliché che ogni sopravvissuto dice a chi è
in una bara aperta: “Hai un bell’aspetto, molto naturale”.
Il pubblico esplose. E non smise mai di ridere per tutti i novanta secondi
dell’esibizione di Digger. Specialmente alla battuta finale: “Bene,
sarà meglio che mi scavi via”.
Quando l’attore lasciò il microfono e si sedette, per la prima volta la
scena si chiuse con un applauso.
La mattina dopo ricevetti una telefonata da Chicago.
Frank Ferrin mi disse: “Il pezzo del becchino è stato esilarante”.
“Già, sono stato fortunato”.
“E ora la buona notizia”, disse. “Quell’idiota del braccio destro dello
sponsor mi ha appena chiamato. Sono furiosi che abbiate messo un
becchino nello show”.
“Cosa? E non hanno sentito tutte le risate del pubblico?
“L’hanno odiato. È troppo macabro”.
Perché se l’erano presa? Perché non potevano permettersi di offendere
i becchini. Alcuni membri dell’American Meat Institute vendono
grasso animale agli operatori di pompe funebri, che lo usano per le
imbalsamazioni. Ridere dei becchini avrebbe potuto creare problemi.
“Mi hanno ordinato di dirle di non usare più quel personaggio”, disse
Ferrin. “Altrimenti la cancelleranno”.
Ero piccato. Nessuno, che fosse Milton Berle il primo giorno che lo
incontrai, o io anni dopo, vuole smettere di ridere. È il sangue che ci
mantiene in vita.
“Beh, Frank”, conclusi. “Immagino di essere nei guai”.
108 Letteralmente: “scavatore”. [n.d.t.]
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A quel punto lo sentii dire qualcosa che non mi sarei mai aspettato
da un uomo nella sua posizione in un campo in cui nessuno può
permettersi di essere in disaccordo con un superiore.
“FOTTIAMOCENE!”, disse. “Lo metta anche la prossima settimana.
Me la gioco io con quello stupido bastardo”.
“Sicuro?”
“Sicuro che sono sicuro”.
Riluttante, scrissi un’altra scena con Digby O’Dell. La reazione del
pubblico fu la stessa: pazzesca. Ferrin chiamò. Lo sponsor era ancora
più furibondo. Ferrin era dalla mia parte. Dopo la terza settimana immaginai
che lo sponsor stesse studiando il modo per rescindere il contratto,
quando ricevetti un’altra chiamata da Chicago.
“Senta questa”, disse. “La ABC ha ricevuto telefonate dagli ascoltatori,
e telegrammi, tutti inneggianti a Digger O’Dell!”
Le lettere arrivarono al network che me le fece pervenire. Lettere da
tutto il paese, tutte riguardanti Digger O’Dell, che ci ringraziavano per
aver reso la morte piena di humour. Persone anziane, giovani che scrivevano
per dire che quello era materiale fresco e innocente su un tema
che fa paura. Un coglione dello sponsor mi chiamò per dirmi che grande
idea fosse l’aver messo un becchino nello show: “Continuate così!”
Cosa che feci.
E ci fu una conseguenza ulteriore. Il Meat Institute mi inviò fette di
bacon. In tempi in cui dovevi essere un VIP per ottenere una libbra
di carne al mercato nero, in cui manzo e burro erano razionati, grossi
prosciutti cominciarono a fare capolino in casa. Le istituzioni possono
essere ipocrite come qualsiasi politico.
Dopo settantotto settimane, i tizi della Carne e io ci separammo. La
guerra era finita. Loro potevano vendere la loro carne e non avevano
più bisogno di me. E i miei agenti, che non avevano mai fatto niente
per spingere la realizzazione di “Riley”, ora erano molto coinvolti nella
faccenda. Mi procurarono subito un’offerta dalla Procter & Gamble per
un ottimo spot serale dopo The Ralph Edwards Show sulla NBC. Il
nostro sponsor nel 1945 era un nuovo shampoo chiamato Prell. Ogni
mese mi arrivava una fornitura di Prell e la mia capigliatura cominciò
ad assottigliarsi sempre più.
Gli ascolti, al contrario, erano sempre più alti. Frank Ferrin divenne
mio amico, continuò a portare avanti il suo programma radiofonico
(The Buster Brown Gang) e io produssi The Life of Riley per nove
stagioni, dall’inizio alla fine.
Che strano! Pensare che se non fosse stato per Digger O’Dell non
sarei qui ora. Come ti sembra: la mia vita salvata da un becchino.
John Brown, che interpretava anche Gills, il compare di Riley, venne
chiamato a fare discorsi nei panni di Digger. L’Associazione Nazionale
dei Becchini lo invitò alla propria convention. Al ritorno, raccontò che
il pubblico – quell’allegra brigata di marmotte, forse un po’ imbalsamate
a causa di bourbon e scotch – fu un gran bel pubblico.
“Ridevano un sacco”, Brown mi raccontò. “In particolare, mi fecero
notare in seguito una battuta. Quando Riley dice quanto gli piacerebbe
avere un lavoro facile, per esempio essere il caporeparto, io gli rispondo:
“Non essere invidioso. Come diciamo noi becchini: l’erba sul vicino
è sempre più verde”.
SOPRA: 1944, Seduta di prove di Life
of Riley davanti ai microfoni della MBC.
Dopo la radio arrivarono il film e le versioni
tv. Alla mia sinistra Tommy Cook (Junior)
e Paula Winslow (Peg Riley). Alla mia destra
William Bendix e il direttore d’orchestra
Lou Kosloff. A DESTRA: Bendix con
uno dei tanti premi che ricevette per il solo
fatto di fare quello per cui era pagato.
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Uno Sviluppo Piuttosto Disgustoso
Radio Spirits distribuisce via Internet CD e audiocassette dei vecchi
programmi radio (1925-1955). Il loro sito riportava: “«What a revoltin’
development this is»109 era il tormentone che impazzava nel Paese nell’estate
del 1943”. Chi lo conosce?”
“Era il 1944”, borbottò Brecher. “Lo spettacolo era appena nato!”
Radio Spirits si fa pubblicità su giornali come Radiogram, distribuito
dalla SPERDVAC (Society to Preserve and Encourage Radio Drama
Variety and Comedy). Nell’estate del 2001, controllando la posta, Brecher
trovò la sua solita – o quasi – copia di Radiogram. Ma quel numero
conteneva una sorpresa, un titolo a caratteri cubitali a pagina tre: “Morto
l’autore Irving Brecher. Ha fatto diventare «revoltin’ development» il tormentone
nazionale della frustrazione”.
Irv guardò Norma.
“Non so se dovrei finire questa colazione, dal momento che sono morto”.
“Davvero?”, rispose Norma, abituata alle battute.
Brecher le mostrò la rivista. “E sono un membro onorario della
Sperdvac!”, aggiunse. “Sono anche andato a uno dei loro congressi… ma
certo, questo non implica automaticamente il fatto che io non sia morto.
Non posso credere a questa fottuta cosa!”
Mi offrii di scrivere una mail a suo nome. “D’accordo”, disse. “Gentilmente,
spiegagli che sono ancora vivo, perché altrimenti smetteranno di
inviarmi la rivista”.
Irv alla fine riuscì a parlare con il curatore della rivista, dopo che la mia
email era tornata indietro.
Me l’ha raccontata così: “Il
curatore mi ha detto: «Immagino
che avremmo dovuto controllare
». Ho risposto: «Sarebbe
stata un’ottima idea». Ho cercato
di controllarmi e alla fine gli
ho detto: «Non vedo l’ora di
leggere il suo necrologio»”.
Non ho più saputo nulla di
Radiogram.
109 “Che razza di sviluppo disgustoso!” [n.d.t.]
L’Ebreo Preferito
di Jac kie Gleason
“Inizierà con il Burlesque e poi giù giù, cadrà sempre più in basso, finché
un giorno… televisione!”
Chester A. Riley
HANK: Hai detto che You Bet your Life di Groucho iniziò in radio
per poi approdare in TV. Lo stesso è accaduto con il tuo show radiofonico
The Life of Riley.
IRV: Quando iniziò You Bet your Life la TV non c’era. E improvvisamente,
l’anno dopo, c’era. Centinaia di apparecchi in tutto il Paese.
Fu eccitante per le persone potersi dilettare con questo nuovo mezzo,
anche se sul piccolo schermo passavano quasi soltanto programmi campione
o, a volte, cose anche meno interessanti. Milton Berle ha cambiato
tutto. È diventato un fenomeno. E il 1948 mi ha portato anche
un’altra esperienza di qualcosa che non volevo fare – ma ho dovuto fare
per forza – che si è rivelata una grande opportunità.
HANK: Come quando Riley – creato come Flotsam per essere impersonato
da Groucho – è diventato un successo con Digger.
IRV: Già.
HANK: Come quando eri riluttante a partecipare a questo libro?
IRV: Lo dici tu stesso.
HANK: Quindi, come mai non eri convinto quella volta?
IRV: Senti, per prima cosa nel 1948 i miei agenti se ne arrivarono con
un’offerta. Una società nuova di zecca chiamata Universal International
era interessata a fare un film basato sul mio show radiofonico. Mi fece
piacere, ma allo stesso tempo mi sorprese perché molti film basati su
show radiofonici si erano rivelati un fallimento, ad esempio Amos &
Andy o Edgar Berger & Charlie McCarthy.
Ma naturalmente fare film era il mio pane e l’offerta era generosa: sarei
stato proprietario di metà del film e avrei ricevuto un buon compenso
per scrivere, produrre e dirigere. Così, nel gennaio del 1949 iniziai le
riprese di The Life of Riley. Man mano che la data fissata si avvicinava
iniziai a fare ciò che mi viene meglio: preoccuparmi di un fallimento.
La notte prima dell’inizio delle riprese non dormii. Lasciai la mia
casa di Bel Air, attraversai Coldwater Canyon e arrivai alla Universal
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circa alle sei del mattino. L’unica creatura vivente in vista era l’uomo
al cancello dello studio. Mentre mi dirigevo al mio bungalow vidi un
paio di cervi correre via. Lo studio era circondato da boschi e spesso
gli animali selvatici facevano capolino, senza dubbio nella speranza di
diventare star del cinema.
Nel mio ufficio cercai di respirare profondamente per calmarmi, poi
passai a una tecnica che uso spesso quando sono sotto pressione: parlare
ad alta voce alla mia immagine riflessa nello specchio del bagno.
Mi facevo la ramanzina da solo, mi prendevo in giro e ridicolizzavo la
mia paura dell’insuccesso, del disastro. “Di cosa hai paura, schmuck?
Che si preoccupino gli altri!” E altri saggi consigli. Aveva funzionato in
passato. Anche questa volta sembrò funzionare. Fino a che non vomitai.
Dopo essermi trascinato sul set, salutai tutta la crew e, accolto calorosamente,
mi arrampicai sulla sedia col mio nome stampato sopra. E
ora ero un regista. Il mio cameraman era William Daniels, colui che ha
girato i film di Greta Garbo. Bill Bendix arrivò, salutò tutti e mi disse:
“Quando vuoi, I.B.”
Per prima cosa avremmo dovuto girare la fine di una scena d’azione
con protagonisti Riley e il suo amico Gillis, interpretato da James Gleason.
I due si trovano sull’altro lato della strada rispetto alla piccola
abitazione in affitto di Riley, mentre la sua padrona di casa è sul portico
della vicina che lo aspetta perché lui è in ritardo di tre mesi con l’affitto.
Prendendo in prestito un nichelino dall’amico, Riley telefona alla
padrona di casa che, sentendo lo squillo, rientra lasciandogli campo
libero per attraversare di corsa la strada – evitando per un pelo di essere
travolto – ed entrare in casa sua, giusto nel momento in cui la signora
torna alla sua postazione. La scena si chiude con un sospiro di sollievo
di Riley, che si lascia andare sul divano. Che si sfonda sotto il suo peso.
Non appena ebbi esclamato: “Taglia!” e “Buona!”, tutto il mio nervosismo
riguardo alla regia scomparve. Non era questa gran cosa – niente
più che assicurarsi che gli attori pronuncino le loro battute correttamente,
con la giusta inflessione e i giusti movimenti – anche se alcuni
registi la fanno sembrare più difficile di una scissione atomica. Il che,
ovviamente, si risolve in un mucchio di soldoni per loro. I grandi –
William Wyler, Ernst Lubitsh, Billy Wilder, ce n’erano molti – erano
davvero in grado di tramutare la sceneggiatura in realtà. Comunque, la
mattina dopo, mentre stavo girando nel deprimente salotto di Riley, fu
davvero una boccata d’ossigeno vedere il capo dello Studio, William
Goetz, entrare tutto sorrisi.
“Stavo dando un’occhiata ai giornalieri di ieri”, disse. “Hai fatto un
buon lavoro”.
Poi aggiunse quello che più importava agli Studios (soldi): “E la cosa
migliore è che hai fatto le riprese di due giorni in uno”.
Naturalmente io fui tutto un ringraziamento. Fui quasi tentato di perdonarlo.
Due giorni prima delle riprese Goetz aveva chiamato il mio
agente per dirgli che voleva che io lasciassi la regia perché era preoccupato
dalla mia inesperienza. Voleva mettere al mio posto qualche vecchio
ronzino che non aveva mai firmato niente di guardabile. Io ne fui
molto irritato e dissi al mio agente che non ne volevo sapere di essere
estromesso. E siccome il mio contratto diceva che potevo essere sollevato
dall’incarico solo in caso di ritardo, Goetz non ebbe altra scelta
che lasciarmi almeno iniziare il film. Da allora in poi passai i trenta
giorni più piacevoli della mia vita. Il film fu proiettato in anteprima a
Los Angeles e fu un successo di pubblico. I produttori erano entusiasti.
HANK: Quanto venne a costare?
IRV: Seicentomila dollari.
HANK: Ti ricordi la prima? Dove si tenne?
IRV: A Cincinnati. Era lì che aveva sede Proctor & Gamble, lo sponsor
dello show radiofonico, e la prima fu nell’ambito di una raccolta
fondi per un’organizzazione locale di beneficenza. Dopo quel weekend,
il film “prese il largo” – come si dice in questi casi – in dozzine di sale,
e a quaranta centesimi a biglietto arrivò a incassare oltre due milioni e
mezzo di dollari nel primo anno. Oggi una cifra come quella sembra
una cosa da nulla, ma allora erano davvero un mucchio di soldi. Era
una gran cifra.
Ora, tornando a quello che dicevo prima, alle grandi opportunità, ecco
cosa accadde.
P&G cancellò lo show radiofonico. Ero andato in onda al loro fianco
per cinque anni e, onestamente, mi sentivo come se quella tra me e
Howard Morgens – il titolare – e gli altri produttori, Gail Smith, Gil
Ralston e Al Halverstradt fosse stata un po’ una storia d’amore.
HANK: Non capisco come fai a ricordarti tutti i loro nomi, erano gli
anni Quaranta...
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IRV: Voglio ricordarli! Sono stati meravigliosi con me. Due di loro
arrivarono in volo da Cincinnati a casa mia, dissero che volevano parlare
con me della situazione. Erano quasi in lacrime. “Anche se amiamo
Riley”, disse Morgens, “dobbiamo cancellarlo”. Il brand che sponsorizzava
il programma voleva passare alla TV, il consiglio di amministrazione
insisteva in quella direzione. Penso che investirono nel Red
Skelton Show. Ma il loro sincero rammarico mi commosse, e ancora ne
conservo un ricordo accorato. Cancellato quello, caddi in ciò che pensai
fosse un baratro, ma che si rivelò più tardi una miniera d’oro.
HANK: Comprasti azioni P&G nel 1949?
IRV: Nel giro di pochissimo trovai un nuovo sponsor per la stagione
1949: la birra Pabst Blue Ribbon. Lo show andò in onda e riprese la
sua popolarità, nel frattempo c’era stato il film, quindi probabilmente
una cosa aveva aiutato l’altra. Quando iniziai a lavorare con Pabst, fui
avvicinato dal titolare della Warwick and Legler, la loro agenzia. Per
“avvicinato” intendo “attaccato”. Paul Warwick era un piccolo, ostinato
bulldog. Non era per niente lungimirante e si comportava come un
capopopolo.
Disse: “Bel lavoro, amico”.
Eravamo seduti nel mio patio a Stone Canyon.
“Grazie, Paul”.
“Lo mandiamo alla TV”.
“Cosa?”
“Il martedì sera alla NBC. Da ottobre”.
Non potevo crederci. Era luglio.
“Ma chi lo dice? Non ora, forse più avanti. Chi è che ha i set? E il
pubblico?”
“Ho una bella sorpresa per te”, disse Warwick. “Così potrai continuare
a pagare il mutuo per questa baracca”.
Non male.
“Beviamo qualcosa?”, chiesi, da perfetto ospite. “Una Pabst Blue
Ribbon?”
“Figurati se bevo quel piscio. Abbiamo una buona fascia oraria, così
quando i set ci saranno, Riley ci farà vendere un sacco di Pabst. Ora parliamo
di soldi. Non abbiamo bisogno del tuo agente, gli agenti servono
solo a mandare a monte gli accordi”.
Cominciai a farmi un’idea mia.
“Ascolta, Paul. Non se ne parla, nemmeno se Bendix fosse disponibile,
cosa che dubito perché è nella scuderia di Hal Roach che lo vuole
usare per i film che fanno i soldi veri”.
Warwick scosse tranquillamente la cenere del suo sigaro sul mio tappeto
cinese; Eve ha gusto per l’arredamento.
“Non ci importa chi lo interpreterà”, disse. “Bendix, Al Capone, tuo
zio, tuo cugino, il tuo rabbino. Hey, un rabbino potrebbe essere un ottimo
Riley!”
“Nessun rabbino lavorerebbe mai per la Pabst”, gli dissi. “Non è kosher”.
Quindi aggiunsi: “Scordatelo, ho già abbastanza da fare con la radio,
non ho bisogno della TV”.
“Me ne scorderò, dopo che il contratto sarà stato firmato”.
Prima che potessi dire ancora di no, Warwick emise la sua sentenza
come un giudice nell’atto di rispedirmi via.
“Lasciami chiarire le cose con te”, disse. “Riconosco che tu abbia
cervello – per essere un autore di Hollywood – ma hai fatto un paio di
migliaia di dollari come produttore radiofonico e potresti fare qualche
dollaro con il film, che a quanto ho sentito non sta andando così bene”.
“Hai sentito male”.
“Arrivo al punto: vogliamo che tu passi alla TV, o affosseremo il tuo
show alla radio”.
“Troverò un nuovo sponsor”.
“Non dire cazzate. Entro la fine della stagione un sacco di trasmissioni
saranno soppresse perché i soldi stanno passando tutti alla TV. La TV
è il futuro, e tu ci sarai”.
Ed è dove finii.
Qualche giorno dopo avevo uno schifoso contratto (8200 dollari per
ogni show) e il dovere di tirar fuori un programma TV di mezz’ora dal
plot radiofonico. Non capisco come la scelta di chi avrebbe interpretato
Riley potesse essere indifferente. Avrei dovuto sospettare qualcosa. Ma
Warwick era fiducioso. Mi diede una pacca sulla schiena e mi disse:
“Troverai qualcuno. Ci sono un sacco di attori che fanno la fame”.
Non ebbi altra scelta che andare a Est e iniziare il casting.
A quel tempo, una serie TV nazionale prodotta live a New York era
distribuita simultaneamente nelle città della parte orientale e centrale
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degli Stati Uniti. Non c’era la TV via cavo che attraversava tutto il continente,
non c’era alcun vettore da New York alla California. Così lo
show doveva essere passato al cinescopio – cioè fotografato su pellicola
scena per scena (non c’era ancora il videotape) – e il cinescopio veniva
spedito a Los Angeles e San Francisco dove veniva mandato in onda
nelle città a ovest delle Montagne Rocciose con una qualità piuttosto
sfocata. Era una versione di seconda classe dello show originale. Fu
solo quando il cavo coassiale unì le due coste dell’America che non ci
fu più bisogno del cinescopio.
Ad agosto l’agenzia William Morris mi assegnò un ufficio sulla Settima
Avenue e mi aiutò a trovare gli attori. Esaminai dozzine di uomini
che volevano il ruolo di Chester A. Riley. Bendix era così bravo che sapevo
che non avrei mai trovato nessuno capace di eguagliarlo, nemmeno
Lon Chaney Jr, a cui feci un’audizione; nessuno ci andava nemmeno
vicino. Dopo quaranta attori, niente. Ottobre stava arrivando. Improvvisamente
mi ricordai di aver visto un giovane comico un paio d’anni
prima, in un nightclub di L.A. chiamato Slapsy Maxie’s, di proprietà
di un pugile, ‘Slapsy’ Maxie Rosenbloom. Non mi ricordavo il nome
del comedian, così chiesi a George Gruskin, il mio agente che copriva i
nightclub. Raccolse qualche nome. E io feci bingo.
“Jackie Gleason?”
“Lui! Puoi trovarmelo?”
“Lascialo stare”, disse Gruskin. “Si esibisce nei localini e, sì, è divertente,
ma è un tipo totalmente irresponsabile. Si ubriaca, deve soldi a
tutti, non ti porterà che grattacapi. Lascia perdere”.
Ero alla fine del mio cammino. Alla Pabst non interessava chi avrei
ingaggiato, ma a me sì. Un attore sbagliato avrebbe potuto distruggere
la mia creatura.
Insistetti e ottenni ciò che volevo.
Il giorno successivo arrivò insieme al suo agente della MCA. Ce l’ho
ancora davanti agli occhi: bellissimo, circa 80 chili, un grande spazio
tra gli incisivi, capelli corvini e un ghigno sulle labbra. Il tipo di personalità
che piace da subito. Era intimamente divertente.
Parlammo. Conosceva lo show radiofonico. Si sarebbe sentito a suo
agio in TV? Si calò subito nel personaggio, improvvisando dialoghi e
lasciandosi andare su una sedia. Fisico, parlata, mimica: era istantaneamente
divertente. Dissi al mio agente di scritturarlo, se potevamo
permettercelo. Jackie fu felice del compenso, 500 dollari a puntata per
ventisei puntate con un’opzione per altre tredici. (Confronta una cosa
del genere con gli insipidi attorucoli di oggi che sgobbano per 500.000
dollari a puntata...)
Avere Gleason fu un sollievo. Ma la preoccupazione si andava trasformando
in angoscia, perché a cominciare da ottobre sarei dovuto
stare a New York a fare uno show televisivo che avrebbe comportato
diversi giorni di prove ogni settimana, più la scrittura dei copioni. Al
termine dell’episodio live avrei dovuto prendere un volo di otto ore fino
a Los Angeles per far andare in onda il mio Riley Radio Show. Sapevo
cosa sarebbe accaduto: durante uno di questi voli il mio aereo si sarebbe
schiantato da qualche parte nel Midwest. Oppure avrei avuto un attacco
di cuore per la pressione. L’assoluta necessità di essere sempre puntuali
al secondo è il peggior tipo di pressione. Così decisi di andare a parlare
con il presidente della NBC, Niles Trammel. Era stato gentile con me
in passato. Ci andai con Abe Lastfogel, il capo della William Morris, a
quel tempo il più potente agente del settore.
Niles Trammel era un cortese signore del Sud, e ci accolse calorosamente.
Con lui c’era il suo vice, il brillante Sylvester ‘Pat’ Weaver. Con
il suo genio creativo aveva portato al top la NBC radio e stava facendo
lo stesso con la rete televisiva.
Spiegai tranquillamente la situazione dopo un breve scambio di convenevoli:
l’impossibilità di fare due lavori contemporaneamente, un
liveshow radiofonico e uno televisivo nella stessa settimana su coste
opposte. Volevo fare lo show TV con Gleason su pellicola, come una
sorta di breve film che avrei potuto produrre a Hollywood (Niente voli
di qui e di là, niente attacchi cardiaci.)
“Inoltre”, dissi loro, “se fosse su pellicola, potremmo avere le stesse
immagini nitide su entrambe le coste, invece di quello che si vede ora,
un cinescopio sgranato e annebbiato”.
Niles annuì come se stessi dicendo cose sensate, ma Weaver intervenne.
“Sai cosa, Irv?”, disse. “Adoro il tuo show e tu mi piaci, ma metterti
su pellicola sarebbe come tagliarci la gola”.
“Perché, Pat?”, chiese Trammel.
“Siamo un network”, spiegò Pat. “Forniamo i nostri spettacoli a tutte
le città da New York fino alle Montagne Rocciose. Ci pagano per permettergli
di mandare in onda i nostri programmi. Se lo show di Irv fosse
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su pellicola, non avrebbero più bisogno di noi, lui gli manderebbe la
bobina e potrebbero mandarla in onda senza problemi. Non avrebbero
più bisogno della NBC”.
“Ora mandate in onda vecchi film che sono su pellicola”, obiettai, ma
non mi diede retta.
“Niles”, disse. “Saremmo fuori dal business”.
Trammel aveva afferrato il punto. Scosse il capo e diede una pacca sul
braccio a Weaver.
Pat Weaver era un vero pioniere. Oltre che il padre di Sigourney Weaver.
Mi piaceva, e adoro Sigourney. Pat fu il creatore di The Today
Show con il divertentissimo Dan Garroway, un programma che non ha
eguali in termini di originalità e livello di intrattenimento. E prima della
TV via cavo? Weaver creò una società che distribuiva i film, in quel
momento nelle sale, nelle case e alla TV. Ogni residenza riceveva una
scatola portamonete dove i proprietari potevano inserire una data somma
per vedere quello che era in programmazione una data sera. Cosa
buffa, avevo una casa a Palm Springs e fui tra i primi a installare il
sistema, credo si chiamasse “TV a sottoscrizione”. Quando si pagava la
quota mettendola nella scatola – un dollaro o due in quarti – si otteneva
il film. Ma presto si arrivò in tribunale. I proprietari dei cinema si misero
di traverso manipolando le informazioni per far sì che l’operazione
fosse dichiarata illegale. Una delle loro argomentazioni fu che così
veniva introdotta la stessa somma di denaro qualsiasi fosse il numero
degli spettatori. Chiaramente, preferivano che ogni spettatore pagasse
il proprio biglietto.
Weaver perse la battaglia. Quello era lo showbusiness.
Ma io la spuntai!
“Va bene, ragazzo”, mi disse Niles Trammel con il suo sguardo amichevole.
“Proveremo a fare come dici. Per una stagione. Ma ci riserviamo
il diritto di fare marcia indietro se lo vorremo”.
Dal modo con cui premette sul braccio di Weaver pensai che gli stesse
chiedendo di perdonarlo.
“Dubito che ci saranno problemi”, così Trammel la mise giù a Pat.
“Anche se fare tutto su pellicola”, si rivolse a me, “costerà sensibilmente
più del tuo budget, no?”
Annuii. Con Pabst ci eravamo accordati per 8200 dollari a puntata.
Un producer aveva già fatto i conti e concluso che ogni episodio di
mezz’ora sarebbe costato duemila dollari in più.
“Pensi che la Pabst non vorrà metterci altri soldi?”, chiese Trammel.
“Allora li metterò io”, dissi. Ero disperato, non avevo scelta.
Quelli di Pabst invece ce l’avevano. E dissero: “Pagherà Brecher”.
Tornai a Hollywood e iniziammo a girare con una cinepresa un’intera
puntata in un giorno. Finimmo lo show con quattro settimane di anticipo,
ottenemmo buone recensioni e indici d’ascolto del tutto rispettabili.
Jackie Gleason fu assolutamente fantastico, davvero migliore e più divertente
di Bendix.
Ma intorno alla diciannovesima settimana, Paul Warwick di Pabst mi
stava ancora sul collo. “Ancora sette settimane”, disse. “Con un’opzione
per ulteriori tredici”.
Dissi: “Sì, e mi sta costando solo duemila dollari a settimana”.
“Basta”, disse. “Mi stai facendo piangere. Facciamo così: invece di
tredici puntate e una perdita di altri ventiseimila dollari ne faremo solo
sei. Contento?”
Dissi: “Paul, così mi troverei con trentadue puntate. Non potrei vendere
a nessuno una serie di trentadue puntate, si vendono di trentanove
puntate. A stagione. Quindi o ne facciamo tredici o nessuna”.
“Ne farai sei”, disse Warwick.
Dissi: “Addio”.
E fu tutto.
Così mi ritrovai con ventisei puntate da mezz’ora.
Poi scoprii che mi avevano fottuto. Warwick aveva deciso di investire
negli incontri di pugilato al Madison Square Garden. Il pugilato sponsorizzato
dalla birra Pabst. Riley era stato solo un modo per presidiare
la fascia oraria, se l’avessi saputo non l’avrei mai fatto.
Comunque vincemmo un Emmy come “Best Filmed Comedy Series”,
il genere situation comedy nacque più tardi. Non saprei come definire
The Life of Riley, ma guardandomi indietro direi che è stata la prima
commedia a episodi trasmessa in televisione, qualcosa di diverso rispetto
ai tipi che saltavano fuori e raccontavano storielle. Un breve film
piuttosto che uno show di storielle di quindici minuti. In occasione del
cinquantesimo anniversario di I Love Lucy la CBS lo definì la prima sit
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com. Lucy Ball fu eccezionale, ma guardando ai fatti, l’abbiamo battuta
sul tempo.
Comunque, sai cosa viene fuori da tutto questo? Che un Emmy è
ottimo per grattarsi la schiena.
HANK: E cosa successe con William Bendix nel ruolo di Riley?
IRV: Aspetta. La TV era diventata qualcosa di piccante. Milton Berle
fu un colpaccio per la Texaco. Non riuscivano a preparare i set abbastanza
velocemente e le società si scapicollavano a comprare spazi pubblicitari
sulle nuove reti per spingere la loro spazzatura. Fu così che fui
tirato dentro – sedotto, se vogliamo metterla in termini migliori – dai
guadagni indecenti.
Negli anni Quaranta Bendix era così famoso alla radio che la gente
lo salutava “Hey Riley!” per la strada, al campetto da baseball, nei negozi.
E lui odiava questa cosa. Mandò da me il suo agente, il vecchio
Muckenfuss, Stewart Stewart. Mi disse che Bendix non avrebbe firmato
per altri episodi se non avessimo cambiato il nome del programma in
The William Bendix Show.
Guardai ‘Fuckenmuss’ e decisi di stare al gioco.
“Beh, la cosa ha senso”, dissi. “In effetti mi piace. Grande idea. Cambiamo
lo show, Bill è contento, facciamo milioni di ascoltatori ogni
settimana, The William Bendix Show è nella top ten, e poi un giorno,
Bill fa un errore e muore”.
Mucky fece una faccia strana.
“Ma la cosa non ferma lo show”, continuai. “Prendiamo un altro Bill
Bendix per interpretare Riley. La cosa ha senso. Lasciamici pensare per
i prossimi anni”.
Questo pose fine a quest’assurdità. Fu divertente quando nel 1949
Bendix mi disse che la TV era una moda passeggera. È la dimostrazione
che come produttore Bendix non era esattamente un Nostradamus.
Nel 1950, Gleason e io ci separammo da amici. Dumont Network
lo volle per un varietà. Niente di strano. Chiunque lo avesse visto nei
panni di Chester A. Riley sul piccolo schermo poteva rendersi conto di
come lui avesse sufficiente talento da avere il futuro assicurato.
Dumont era un network agguerrito e Jackie divenne rapidamente la
loro attrazione di punta. Un paio d’anni dopo era alla CBS e divenne
multimilionario grazie a un contratto con il boss del network, Bill Paley,
che gli diede sedici milioni di verdoni.
Mi piace ricordare quanto lui fu straordinario in quel primo autunno
in cui lavorammo insieme. E anche puntuale. All’avvicinarsi del Natale,
sapendo che Gleason era un fervente cattolico, chiamai il suo manager
personale, ‘Bullets’ Durgom. Bullets era un tipo carino, un piccolo
libanese dal cranio pelato che assomigliava a un proiettile calibro 45
visto di lato.
Gli chiesi: “Cosa dovrei regalare a Jackie?”
“Una bara”, disse Bullets. “Economica ma solida. Il figlio di puttana
mi deve tanti di quei soldi che lo vorrei sotterrare, il bastardo”.
“Vuoi proprio bene ai tuoi clienti!”
“È una spina nel culo. Ora mi sta assillando perché gli presti i soldi
per farsi incapsulare i denti”.
La cosa aveva senso. A causa dei suoi incisivi separati, Gleason spesso
finiva per fischiare involontariamente durante le registrazioni del sonoro.
Spesso dovevamo interromperci per rifare la battuta.
Improvvisamente mi sentivo fin troppo ben disposto.
“Dì a Jackie che pagherò la metà delle spese del dentista come regalo
di Natale”.
Bullets disse: “Stai scherzando?”
“Un paio di centinaia di verdoni non mi manderanno in rovina”.
Quando riappesi, la mia segretaria, che aveva sentito la conversazione
da un altro telefono si picchiettò la tempia con l’indice.
Le dissi: “Pensi che io sia pazzo?” E ci feci sopra una risata.
Bullets mi chiamò per dirmi che Gleason si era quasi messo a piangere
quando aveva saputo della mia offerta. Non si sarebbe mai aspettato
una reazione del genere.
“Si è quasi messo a piangere?”, chiesi.
“Dolce, vero?”
“Comunque, quanto verrà a costare far incapsulare i denti?”
Ci fu una pausa.
Bullets disse: “Jackie dice tremila”.
Quasi la cornetta mi cadde di mano. Quindici centoni? Mi sentii un
idiota totale.
“Beh, okay”.
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Quando arrivai alle prove il giorno successivo, Gleason mi abbracciò
sollevandomi da terra e mi disse: “Sei l’ebreo migliore che abbia mai
incontrato in vita mia”.
Risi.
HANK: Cosa facesti quando lo show venne cancellato? Eri in TV,
che guai hai dovuto affrontare?
IRV: Beh, nel pomeriggio giocavo a gin rummy. Giocavo a tennis.
Cercai di non darci troppo peso. E qualche volta mia moglie ed io portammo
i nostri due figli piccoli a Palms Springs per il weekend. Avevamo
comprato un terreno libero e stavamo prendendo accordi con un
architetto, così stavamo in un piccolo albergo lì vicino. Una domenica
mattina uscii in piscina e c’era un bell’uomo di mezza età lì seduto.
Venne a presentarsi.
“Mi chiamo Feder”.
“Brecher, lieto di conoscerla”.
“Brecher”, ripetè. “ Dove ho già sentito questo nome? In televisione!
Con Jackie Gleason! Esatto?”
“Sì. Lo ha trovato divertente?”
“Divertente? Merda, sono un dentista. Gli ho incapsulato i denti e non
mi ha mai pagato!”
“Beh, ha appena firmato un contratto per sedici milioni di verdoni”,
dissi. “Dovrebbero essere sufficienti per pagare il conto. Quanto le
deve?”
“Duemila dollari”.
“Ma a me ha detto che erano tremila! Ha mentito spudoratamente
riguardo ai miei soldi”.
“Intende, riguardo ai miei soldi!”
“È un fottuto imbroglione. Gli ho dato millecinquecento dollari invece
di mille!”
Comunque, dissi al dottor Feder che pensavo di sapere come venirne
fuori.
Avevo letto che Jackie Gleason – che viveva come un imperatore e
pesava più di 130 chili – avrebbe lasciato New York su un convoglio
ferroviario privato con il suo entourage, la band, il cast, le donnine, per
festeggiare il suo pingue contratto con la CBS. La palla di lardo avrebbe
tenuto una conferenza stampa al Bel Air Hotel per il lancio della nuova
stagione.
Così, quando tornai in città, chiamai il mio amico Bullets Durgom e
gli dissi del dentista.
Rise, ma senza gioia.
“Tipico”, disse.
“Sarò alla conferenza stampa”, dissi. “Con tutti i giornalisti di radio
e TV a rendere omaggio al re. Racconterò loro la mia storia di Natale”.
“Grande”, disse Bullets. “Mi piace l’idea”.
Il giorno dopo, con una consegna speciale, ricevetti un assegno di cinquecento
dollari firmato da Jackie Gleason. La causale era: “Rimborso
per cure dentistiche”.
L’ho incorniciato e appeso sopra la mia scrivania.
Apparentemente, nulla imbarazzava Jackie Gleason. Alcuni anni
dopo – penso fosse il 1955 o l’anno successivo – ero ai McCadden Stu-
Jackie Gleason paga il conto del dentista nel corso di una pausa delle riprese di The Life
of Riley. Al centro, Sid Tomack, che interpreta Gillis, il compare di Riley. Il suo vezzo
di portare il cappello rivolto all’insù sarà ripreso da Gleason quando ideò il personaggio
di Ed Norton in The Honeymooners, interpretato da Art Carney.
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dios di Hollywood a girare un episodio di un altro show televisivo che
avevo ideato, intitolato People’s Choice. La serie era interpretata da un
attore di nome Jackie Cooper e da un cane chiamato Cleo.
Lois, la mia segretaria, fece capolino nel mio ufficio.
“C’è una chiamata interurbana da Scottsdale, Arizona”.
“Da parte di chi?”
“Non l’ha voluto dire”.
“Passamela”.
Era una voce familiare. Milioni di persone la sentivano ogni settimana.
Era “Reginald Van Gleason”, uno dei personaggi di Jackie.
“Ma ciaoooooooooo caro amico. Sto sorridendo con i tuoi denti!”
Non potei fare a meno di ridere.
“Come stai, Jackie?”
“Molto ricco”.
Sapevo che non stava mentendo. Chiacchierammo amichevolmente.
“Come mai mi chiami?”, chiesi alla fine. “Ti serve qualche altra capsula?”
Divenne serio.
“Ho comprato il soggetto per il mio prossimo film. È una commedia,
e voglio che sia tu a dirigerla. Il protagonista è una sorta di Chester
Riley, un francese di nome Gigot. È divertente”.
Gli dissi che apprezzavo la sua offerta.
“Lasciami leggere il soggetto e se penso di poter fare un buon lavoro
sarò felice di accettare”.
“Grande, amico. Ci sentiamo!”
Disse che mi avrebbe inviato subito il soggetto per posta.
Non l’ho mai più sentito.
QUALCUNO MI AMA
(E PENSO SIA GEORGE BURNS)
HANK: Ieri sera ho visto un documentario sull’attore John Garfield [vero
nome Garfinkel] su Turner Classic Movie channel. Dicevano che morì a 39
anni, quando il Comitato per le Attività Antiamericane lo torchiò perché
sua moglie era comunista e lui rifiutò di fare nomi.
IRV: Che si fottano quelli di Turner. Quando morì, Garfield era sopra una
puttana.
HANK: Adesso possiamo parlare di qualcuno dei tuoi film successivi
con la MGM?
IRV: Certo, ragazzo.
HANK: Qualcuno mi Ama uscì nel 1952 e...
IRV: Non era per la MGM, lo scrissi e diressi per la Paramount.
HANK: Acc! Scusa.
IRV: Fu George Burns a parlarmene. Jack Benny fu molto carino in
quel film.
HANK: Burns e Benny, dev’essere stato un successone!
IRV: Aspetta. Burns disse che poteva fare in modo che la Paramount
lo producesse. Era ambientato all’epoca del vaudeville. Blossom Seeley
era una cantante che era stata sposata con un lanciatore di baseball di
nome Rube Marquard, ma che ora era sposata con il suo partner, ex star
del vaudeville, Benny Fields. Burns voleva aiutarli finanziariamente,
erano suoi amici dei vecchi tempi del vaudeville. Così vendette un’idea
riguardo a Seeley e Fields a un team di producers chiamato Perlberg
e Seaton. George Seaton era un mio amico e mi chiese di scrivere e
dirigere il film, incentrato soprattutto su come Blossom e Benny Fields
si innamorarono e su quali furono le conseguenze per le loro carriere.
HANK: Da ciò il titolo, cioè loro amavano qualcuno?
IRV: No. “Qualcuno mi Ama” era anche una famosa canzone, scritta
da DeSylva, Brown e Henderson. La conosci?
HANK: Skitch Henderson?
IRV: No, no. [Brecher canta] “Somebody loves me / I wonder who?
/ I wonder who it can be? / Somebody loves me / I wish I knew / Just
who it can be worries me...”
HANK: Non male.
IRV: Una buona canzone, un grande standard. C’erano anche altri
grandi pezzi in quel film, come “Way Down Yonder in New Orleans”.
HANK: Raccontami dei due del vaudeville.
IRV: Blossom era una donna minuta, bionda, già anziana ma ancora
amante dello showbusiness, anche se non ne faceva più parte da parecchio
tempo. Suo marito era un tipo inutile, ancora azzimato con un
parrucchino perfettamente pettinato e un sano colorito abbronzato. La
loro impazienza nel riferirmi tutto ciò che pensavano fosse materiale
adatto a un film comico mi riempie ancora di tristezza.
HANK: Perché?
214 215
IRV: Perché evidentemente il loro momento era passato, ma loro avevano
l’illusione che quel film avrebbe rivitalizzato la loro carriera. Purtroppo,
sapevo benissimo che si stava aprendo l’era della televisione.
E avere settant’anni non era esattamente d’aiuto nel diventare una star
della TV nel 1952.
HANK: E la donna che interpretava Blossom, Betty Hutton? Una
vera bellezza?
IRV: Una star piuttosto importante. Ha fatto degli splendidi film con
la Paramount come Il Più Grande Spettacolo del Mondo110 e La Storia
di Pearl White.111 Canta “Somebody Loves Me” nel film.
HANK: Vuoi cantarla ancora?
IRV: No, ma lei la cantava molto bene. Avevo sentito che Betty Hutton
poteva essere un osso duro per un regista. Sai che Mel Torme veniva
chiamato “la nebbia di velluto”? Beh, lei era chiamata “la palude di
velluto”. Quindi ero vagamente apprensivo la prima volta che ci incontrammo,
ma lei si rivelò piuttosto ottimista ed entusiasta per il copione.
E quando entrammo un po’ in confidenza, mi disse che dopo le riprese
avrebbe sposato Norman Krasna, un mio amico. Ovviamente lei era
molto felice con il suo bell’anello di fidanzamento di diamanti, e pensava
che il suo promesso sposo fosse splendido a confronto con la sua
schiera di ex mariti.
Provammo i numeri musicali e proprio il giorno prima che iniziassero
le riprese il mio aiuto regista, Arthur Jacobson, mi colpì con una brutta
notizia: Betty Hutton era nel suo camerino in preda a una crisi isterica.
Krasna aveva rotto il fidanzamento e ci venne detto di sospendere le
riprese a tempo indefinito. Il produttore, William Perlberg, mi disse che
aveva cercato di parlarle, ma lei gli aveva risposto di non poter assolutamente
lavorare. Il ritardo nelle riprese ci sarebbe costato migliaia di
dollari. “Vedi se riesci a calmarla”, mi chiese.
Bussai alla porta del suo camerino, una voce mi invitò ad entrare, e lì
c’era una giovane donna tristissima, che si asciugava gli occhi seduta su
un letto. Ero solidale con lei, il che mi veniva facile dato che Betty mi
piaceva, aveva un che da ragazzina che trovavo attraente. Parlammo e
lei si calmò un pochino, e allora la donna di spettacolo in lei – lei aveva
davvero la meritata reputazione di una persona che vive per esibirsi – le
diede una seconda infusione di determinazione. E poi, il suo talento
110 The Greatest Show on Earth, regia di Cecil B. DeMille (1952).
111 The Perils of Pauline, regia di George Marshall (1947).
naturale nell’interpretare la vittima romantica la protesse. In un certo
senso voleva sfidare questo voltafaccia del destino. Mi assicurò che sarebbe
stata sul set la mattina dopo, e fu così.
HANK: Hai mai scoperto perché il tuo amico Norman Krasna...?
IRV: Non ho mai discusso con Krasna dei motivi della rottura. Leggi
il libro di Betty.
HANK: Ha scritto un libro?
IRV: Non saprei. Noi stiamo scrivendo un libro?
HANK: Continua così. Continua solo a ricordare. Lo avremo bello
e finito.
IRV: C’è una buona probabilità che sarò io a essere finito prima del
libro.
HANK: Ahi ahi! ‘Irv il Nervoso’... Quindi, come andarono a finire le
cose con Hutton e Qualcuno mi Ama?
IRV: Lei si esibì eroicamente e io finii di girare in anticipo e risparmiando
sul budget. Ma l’episodio che ricordo con più affetto è quando
sospesi le riprese per far sì che tutti potessero vedere Bobby Thomson –
l’esterno dei New York Giants – battere i Brooklyn Dodgers e vincere la
National League nel 1951 con quell’immortale home run. Lo vedemmo
tutti su un piccolo televisore piazzato sul set.
HANK: Eri un fan dei Giants.
IRV: Ero elettrizzato.
HANK: Ma non lo eri così tanto del film.
IRV: Il film non ebbe mai l’opportunità di diventare un successo perché
il produttore fece un errore fatale. Per interpretare Benny Fields
avevamo bisogno di un attore giovane e attraente, credibile come cantante
e ballerino e in grado di cavarsela nei dialoghi comici con un certo
stile. Invece Perlberg scritturò un attore drammatico di Broadway di
nome Ralph Meeker. Totalmente inadatto. Aveva un aspetto naturalmente
cupo e probabilmente faceva un buon lavoro quando aveva parti
serie.
Protestai, ma alla fine feci l’errore di accettare Meeker, quando invece
me ne sarei dovuto andare. Avrei dovuto andarmene, ma all’epoca non
c’erano molti giovani Fred Astaire in giro. (Beh, ce n’era uno, Tony
Martin, un cantante bellissimo e molto popolare.) Insomma, mentre
Hutton fu splendida e ci facemmo un sacco di risate, l’unica chimica
che si respirava nelle scene romantiche era quella dell’Alka-Seltzer.
216 217
HANK: Ma cosa intendi quando dici che te ne saresti dovuto andare?
IRV: Non avevo bisogno di soldi, ma sapevo che se avessi mollato mi
sarei fatto un sacco di nemici. Così tenni duro, scrissi anche la sceneggiatura
e fui pagato generosamente. Non intendo dire che la cosa fu una
sorta di “Ecco, infilatevelo su per il culo”, sapevo di aver fatto un buon
lavoro, così me ne feci una ragione.
HANK: E Meeker come si trovò nel ruolo?
IRV: Meeker era una merda secca. Intendo, un accettabile attore
drammatico, ma quanto a portamento non il tipo leggero e sexy da commedia
musicale che avrebbe dovuto rendere la vera essenza di Fields.
Un sacco di volte la Hutton mi ha confidato come avrebbe desiderato
avere al suo fianco chiunque tranne Meeker. E come cantante non era
credibile, anche se lo spacciavano per un professionista.
HANK: Come ballava?
IRV: Era fottutamente legato. Come un elefante.
HANK: Così il film ne soffrì.
IRV: Sì, ma poi smise di soffrire e morì.
HANK: Comunque, il film servì ad aiutare i tuoi amici, Blossom
Seeley e Benny Fields?
IRV: Beh, furono pagati! E Burns e io diventammo piuttosto amici.
Questo portò a due dei più importanti eventi di quella che mi piace
pensare come la mia vita, anche se a volte preferirei fosse quella di un
altro...
Uno accadde nel 1955, qualche anno dopo Qualcuno mi Ama. Feci
un nuovo show televisivo e Burns era tra i finanziatori. Fu il risultato di
una serie di cavilli – ti racconterò cosa accadde – ma la cosa migliore
fu nell’ambito di un’altra delle mie passioni: la stand-up comedy. Un
evento molto particolare, in occasione del suo novantacinquesimo compleanno.
HANK: Burns è vissuto fino a 101 anni. Quanti anni avevi tu quando
lui compì 95 anni?
IRV: Fu tre giorni dopo il mio settantasettesimo compleanno, il 20
gennaio 1991. Parteciparono oltre 300 membri dell’Hillcrest Club. Naturalmente
ci fu il tutto esaurito. Soli uomini. E fu il discorso più debordante
di ego che io abbia mai fatto. Il più improntato a strappare risate
al pubblico a cui abbia mai lavorato.
HANK: Mi sarebbe piaciuto ascoltarlo.
IRV: Sei gentile.
HANK: Ce l’hai su nastro?
IRV: Sì, spero che sia ancora in buone condizioni.
[Continuammo fino a che io andai a cercarlo per il suo VCR]
HANK: Chi altro intervenne a celebrare George?
IRV: C’erano Milton Berle, Red Buttons, Danny Thomas, Tony Martin,
Jack Lemmon...
HANK: Wow!
IRV: Sammy Kahn, Larry Gelbart, Hal Kanter, Jan Murray, Yakov
Smirnoff... il comico responsabile della cattiva reputazione della Russia.
HANK: Non era bravo come gli altri?
IRV: Faceva schifo.
HANK: Andiamo oltre.
IRV: A cena, stare lì con personaggi di quel calibro mi rese quasi
catatonico. Non avevo nemmeno bevuto il mio solito Martini perché
avevo bisogno di essere il più lucido possibile.
[Sul nastro: Dal piano sentiamo “There’s No Business Like Show Business”
ed entra George Burns. L’enorme sala da pranzo dell’Hillcrest.
Larghi tavoli rotondi con dieci o dodici invitati ognuno, tutti in piedi ad
applaudire mentre Burns fa la sua entrata. Jack Lemmon salta al piano
e suona la canzone successiva, “That’s Entertainment”. Burns sale sulla
pedana e si mette al centro. Osservando la scena da dietro, con gli uomini
seduti intorno a Burns (gli uomini che Brecher ha appena citato,
un insieme di colossi che Larry Gelbart ha definito “Monte Rushmore
con sigari”), notiamo una fotografia incorniciata. È un ritratto fatto da
Al Hirschfeld di un elegante Nat Birnbaum112 in abiti da cantante-ballerino,
con tenuta sportiva, paglietta e sigaro.
Sul podio, in mezzo a tutto questo, c’è un bell’uomo basso e affabile,
Barry Merkin, il cerimoniere dell’Hillcrest, già incontrato sul nastro di
un altro incontro al club intitolato da Irv “I film non si fanno da soli”.
“I ragazzi qui presenti hanno fatto tutto questo”, dice Merkin, “e
l’hanno fatto alla grande. Non hanno certo bisogno di un gran cerimoniere
per presentarli. A dir la verità, qualsiasi schmuck potrebbe farlo.
E infatti è così: Irving Brecher!”
Brecher si alza, con il suo portamento cordiale, e si avvicina al leggio
con ammirevole aplomb – in stupefacente contrasto con la persona fra-
112 Vero nome di George Burns. [n.d.t.]
218 219
gile e incurvata che fissa lo schermo senza vederlo ma sorride sentendo
la sua stessa voce di circa quindici anni prima – un sottile performer
in un morbido abito blu che estrae abilmente i suoi occhiali da lettura
con la mano sinistra, mentre sventola con la destra un foglio di appunti.
“Questa è la mia improvvisazione”, annuncia.]
[inizio della citazione]
[Rivolto a Merkin]
Grazie, schmuck.
[Risate]
In questa interminabile introduzione, almeno avete menzionato il mio
nome. E grazie per avermi citato per primo, davanti a questi grandi,
grandi comedian.
Almeno voi potete seguire.
[Risate. Brecher guarda Burns seduto proprio davanti al podio. Sta fumando
tranquillamente il sigaro e guarda fisso davanti a sé, impassibile,
probabilmente dopo parecchi Martini.]
Quello che è strano riguardo al nostro ospite d’onore, è che in una
professione così freneticamente competitiva, dove la pressione per stare
sotto i riflettori è così forte che spesso gli amici si voltano le spalle l’un
l’altro, George Burns non ha un solo nemico.
Sono tutti morti.
[Risata fortissima e diffusa, seguita da applauso. Un altro personaggio
seduto vicino alla pedana è Danny Thomas. Si gira verso Burns tenendo
in mano il suo lungo sigaro e, sporgendosi direttamente all’orecchio del
piccolo luminare, urla: “Grande battuta!” Al che George Burns abbassa
il sigaro e si unisce all’applauso.]
Sono orgoglioso di essere stato amico di George per la maggior parte
della mia vita... circa il trenta per cento della sua.
[Risate]
Ho amato George per il suo humour malizioso, il suo gusto per l’intrattenimento,
il suo modo modesto di affrontare i grandi successi. E
volendogli bene, ero preoccupato delle sue abitudini deleterie.
Come venti sigari al giorno. L’ho implorato: “Riduci... riduci”. Mi ha
risposto: “Non può farmi male, non inspiro”.
E quattro, cinque Martini. L’ho supplicato: “George, l’alcol è veleno”.
Ha risposto: “Non inspiro”. [Risate]
La cosa peggiore di tutte: il sale. L’ho osservato per anni: mette il sale
su tutto. Anche sulle aringhe sottaceto.
Gli ho detto, anni fa: “George, ti stai giocando anni di vita”.
Novantacinque. Un affare. Se mi avesse ascoltato, ora ne avrebbe almeno
cento.
[Risate. Irv guarda giù verso George vicino al leggio, che guarda fisso
davanti a sé con il sigaro in bocca.]
George, Matusalemme non fumava né beveva. E visse 900 anni. Certo,
è stato fortunato, a quei tempi non c’erano i medici.
[Allegri colpetti sui tavoli e tintinnio di argenteria. Burns abbozza un
sorriso.]
Stasera siamo qui per festeggiare anche il compleanno di un’altra venerabile
istituzione, i settant’anni dell’Hillcrest. L’Hillcrest è una sorta
di celebrità tra i country club, e ha sempre avuto membri di prestigio:
giudici, avvocati, medici, banchieri incensurati.
[Risate]
Ma il minimo che possiamo fare è attribuire il merito di molta della
fama di questo club agli impareggiabili uomini di spettacolo che sono
passati di qui. La maggior parte, purtroppo, ci ha lasciati: i Fratelli
Marx, Jack Benny, Jessel, Jolson, Danny Kaye, i Ritz, Holtz. Sono tutti
leggende: Milton, Danny, Tony, Red, George.
E abbiamo quelli che saranno leggende come Jan Murray e... Rickles...
Ma non sono ancora abbastanza vecchi!
E Jack Lemmon, il caro Burt Lancaster, Sidney Poitier...
E abbiamo molti uomini che hanno dato tono a questo club, uomini
che i nuovi membri non conoscono. Si sono uniti al club durante la
Depressione degli anni Trenta. Il club era affamato di nuovi membri e
delle loro quote.
Erano così disperatamente alla ricerca di soldi che il consiglio di amministrazione
ha fissato una nuova regola: devi avere due sponsor per
dimetterti.
[Risate]
Un candidato alla membership era un giovane di nome Ben Siegel.
Bello, affascinante e ben vestito. Vestito Brooks Brothers, giacca U.S.
Steel.113
[Risate]
113 U.S. Steel è il più grande produttore di acciaio degli Stati Uniti. [n.d.t.]
220 221
Il comitato chiese a Bugsy: “Qual è il suo ramo d’affari?”
Disse: “Contratti in cemento”.
[Risate]
“Siamo molto selettivi”, disse il presidente. “Ma abbiamo bisogno di
nuovo sangue”.
Bugsy chiese: “Bene, di chi?”
[Risate]
Bugsy ci ha mollato, è andato all’Est ed è diventato amministratore
delegato della Società Assassini.
E poi c’era Manny Lowenfeld. Era il proprietario di un monte di pietà.
Pensate che fosse un duro? Vi dirò quanto era duro: fuori dalla porta
del monte di pietà teneva appese tre palle.
Vere.
[Risate]
Ma il mio preferito tra i membri che ci hanno lasciato era Al Hart,
il banchiere ungherese. Al era un amico fedele per molti. Ed era anche
molto generoso.
Specialmente con le ninfomani.
[Risate]
Al era davvero un ungherese arrapato. Lo vedevamo un po’ come un
Casanova da quattro soldi. A un certo punto, il medico disse ad Al di
non bere. Ma un giorno noi sentimmo l’odore dell’alcol e ci preoccupammo
per lui.
Dissi: “Mio Dio, Al, hai bevuto. Il tuo alito sa di liquore”.
Sorrise sognante.
“Non ho bevuto, è questa mia nuova ragazza, si fa la doccia con lo
scotch!”
Al Hart mi manca davvero molto. Può essere stato duro con gli altri,
ma con me era come un caldo, tenero padre. Io lo chiamavo “Papà” e lui
mi chiamava “maledetto succhiacazzi”.
[Risate]
Infine, c’era questo membro che avrebbe potuto rubarti il cuore e
venderlo a un laboratorio. C.K. il Cleptomane. È andato in pensione.
Quest’uomo ha rubato tutto quello che ha potuto trasportare: bottigliette
di ketchup, lozione per capelli, asciugamani, telefoni, fazzolettini...
alcuni anche non ancora usati.
[Risate]
Ho assistito personalmente al migliore dei suoi exploit, il punto più
alto della sua carriera.
Un giorno entrai nel bagno e lo vidi che stava estirpando un vespasiano
dal muro.
Mentre George Burns lo stava usando.
[Risate]
Fu piuttosto singolare vedere questo tizio trasportare un vespasiano
attraverso il parcheggio, con George Burns al seguito.
Vedete, a George piace finire ogni cosa che inizia, e anche a me!
[Lungo e caloroso applauso per Brecher che ritorna al suo posto insieme
agli altri colossi.]
HANK: Una grande esibizione, Irv, grazie per avermi reso partecipe.
IRV: Norma mi disse di aver ricevuto quella notte una chiamata a
casa da parte di Milton Berle, che era al club.
HANK: Davvero? Perché?
IRV: Le disse che io avevo rovinato l’evento. Ricordo che quando
fu tutto finito e la folla se n’era andata, eravamo attorno a un tavolo e
Danny Thomas mi disse: “Ragazzo, sei stato magnifico” e mi circondò
le spalle con un braccio. E Berle mi disse: “Ingrato. Ci hai fatto fare a
tutti la figura dei bambocci. Qual è il tuo numero di telefono?”
Dissi: “Perché? Non sono a casa”, sai.
Andò dritto al telefono e lo sentii dire: “Norma? Tuo marito ha rovinato
la serata. Non siamo riusciti a stare al suo passo”.
Ho visto un sacco di nastri con apparizioni di Irv, ma sì, stavolta devo
dare ragione a Berle. Ad eccezione forse di Danny Thomas, quel tipo
era un gran narratore.
Cleo, Il Bassotto Beffardo
“Era seduto là quando arrivammo, con i piedi sul tavolo, il sigaro in
bocca e senza il parrucchino. Eravamo così in confidenza che lui non
indossava il suo parrucchino. Anche io mi tenni i miei capelli”.
Brecher, parlando di Burns.
HANK: Cosa mi dici dello spettacolo televisivo in cui foste coinvolti
tu e George Burns?
222 223
IRV: Vuoi sapere come funzionano le cose a Hollywood?
HANK: Ci puoi scommettere!
IRV: Come, per esempio, una serie televisiva possa essere creata perché
un riccone vuole far felice la giovane donna che ha appena sposato
regalandole una carriera?
HANK: Nat Birnbaum?
IRV: No! Questo tipo geniale era il giovane Harry Karl dell’Hillcrest,
che aveva ereditato un’enorme catena di negozi di scarpe economiche.
Era essenzialmente un playboy e aveva il vizio di sposare splendide
donne giovani. Debbie Reynolds fu una di queste. Era uno che spendeva
molto, era bravo negli sport e mi piaceva, anche se non mi ha mai
regalato un paio di scarpe. In effetti, ti dirò che tipo di scarpe erano.
Durante la rivolta di Watts la polizia avrebbe potuto dirti chi era stato a
saccheggiare i negozi Karl’s Shoes: gente che zoppicava di brutto.
Il mio coinvolgimento con Harry fu provocato proprio da uno dei
suoi matrimoni, questa volta con una voluttuosa bellezza di nome Marie
MacDonald. Un giorno lui mi avvicinò al club e disse: “Mi piacerebbe
fare una serie TV per Marie”.
Non ero particolarmente interessato ai suoi obiettivi, ma uno dei miei
agenti, George Gruskin, lo era. E si rivolse a me.
“È ora di tornare al lavoro”, mi disse. “C’è uno spazio di mezz’ora
ancora libero sulla NBC per la stagione autunnale. Pensa a uno show”.
Menzionai controvoglia un giallo di mezz’ora che avevo scritto anni
prima a New York per la radio. Ricordavo vagamente che parlava di una
giovane coppia e che la ragazza era la figlia del sindaco. Dissi che avrei
provato a scrivere un pilota.
Gruskin disse: “So io come faremo a venderlo. Metteremo scene di
nudo di Marie MacDonald”.
L’umorismo del mio agente.
Ma dieci giorni dopo, quando avevo finito di scrivere, Harry Karl
aveva già detto a Gruskin che la sposina sexy aveva cambiato idea. La
“futura Lucille Ball” si era tirata indietro. Era preoccupata del fatto che
se il pilota fosse diventato una serie lei avrebbe dovuto alzarsi troppo
presto la mattina, così preferiva comparire solo nei film, perché quelli
richiedono solo quattro o cinque settimane di levatacce.
Comunque, devo davvero qualcosa a Harry Karl. Gruskin pensò che
l’idea fosse perfetta per un altro suo cliente, Jackie Cooper, l’ex bambino-
prodigio che aveva fatto piangere il mondo ne Il Campione,114 un
classico della MGM con Wallace Beery. Allora era il 1931, e nel 1955
Jackie Cooper era famoso a Broadway. Così George Gruskin e io volammo
a New York e ci incontrammo con Jackie e il suo manager (un
procuratore di nome Mort Rosenthal, che era anche il manager di uno
dei miei idoli della commedia, Victor Borge).
A Cooper piacque il soggetto, così tornai a casa e feci preparare un
budget. Ed ecco che entrò in scena George Burns.
George Burns aveva il suo stile. Uno stile che mi piaceva. Era malizioso
e aveva questa attitudine verso la vita: non la prendeva sul serio.
Quando ero un bambino vidi Burns e sua moglie Gracie Allen esibirsi al
Keith Fordham Theater nel Bronx, il quartiere in cui sono nato. Vaudeville.
Con George Burns tutto era legato allo showbusiness. Una volta,
quando ebbe una ricaduta di una seria polmonite, gli chiesi se durante
la sua permanenza in ospedale avesse mai pensato che non ce l’avrebbe
fatta. Mi soffiò il fumo in faccia e disse:
“Sapevo che non sarei morto perché ho una
scrittura per il Palladium a ottobre”.
George Burns diceva anche bugie spudorate
e ti diceva che erano bugie.
Ora, lui e Gracie avevano una serie TV di
successo e la sua società aveva partecipazioni
in altri show di mezz’ora come The Bob
Cummings Show e Mr. Ed.
Un altro dei miei agenti alla William Morris,
Sam Weisbord, mi disse: “Posso trovarti
un accordo con George Burns senza nessun
problema. A George Burns tu piaci, e se l’idea
dovesse piacergli, potrebbe finanziare il
pilota”.
Dissi: “Ho dato un’occhiata al soggetto e il
pilota costerà meno di trentamila dollari. Non
ho bisogno di finanziamenti, ho i soldi”.
Weisbord disse: “Di questo parleremo più
avanti”.
114 The Champ, regia di King Vidor (1931).
Cleo ha masticato
la copertina della
guida TV per due volte,
questa nel 1957.
224 225
Poco dopo eravamo nell’ufficio di George, io cercavo di respirare –
Burns fumava uno dei suoi sigari da venti centesimi l’uno – e c’era
anche suo fratello Willie, che gestiva soldi e contratti.
“George”, dissi. “Ho un’idea per un tipo di show completamente
nuovo”.
“Okay”, disse. “Spara”. Si appoggiò indietro e chiuse gli occhi. Mi
schiarii la gola e iniziai.
“George, questo programma si apre con un ragazzo, Jackie Cooper,
che interpreta Socrates ‘Sock’ Miller. Sock lavora per l’U.S. Bureau
of Wildlife e vive in una roulotte con una divertente zia, Augusta detta
‘Gus’. Lei è un’ottima tiratrice e c’è sempre quando c’è bisogno di lei.
Sock studia la vita degli animali in via di estinzione, alcuni dei quali
compaiono nella serie. In questo momento particolare, in dissolvenza,
sta camminando nel bosco seguito da un cane. Dovresti conoscere la
razza: un bassotto”.
“Io non conosco nessun cane”, disse Burns. “Conosco delle persone,
ma non ho niente a che fare con i cani. Se fosse d’aiuto per lo show
potrei chiedere al mio gatto di presentarmene qualcuno”.
“Comunque”, continuai. “Sock Miller raggiunge un albero molto
alto, seguito dal suo bassotto. Tira fuori il suo coltello da caccia e si
guarda intorno per assicurarsi che nessuno lo stia guardando, poi incide
un cuore sul tronco dell’albero. Incide «S ama M» nel cuore. E il cane
dice...”
Burns mi interruppe. “Il cane dice?”
“Sì, il cane dice: ‘Non so proprio cosa ci trovi in quella lì’”.
Burns ripeté: “Il cane dice?”
“Beh, non muove le labbra. Sentiamo quello che sta pensando. Fa le
battute come Groucho.
Burns si girò verso il fratello e disse: “Willie, dai il denaro a Irv”.
Così diventammo soci.
Weisbord mi spinse fuori da lì e mi spiego tutto. “Non puoi permetterti
di metterci i soldi. Prima della messa in onda vorranno che tu finanzi
quattro o cinque episodi di mezz’ora. Lascia che i rischi se li prenda
Burns, se qualcosa dovesse andare male non perderai tutti i soldi”.
“E cosa vuole in cambio del finanziamento completo?”
“Il cinquanta per cento”.
Mi fermai un attimo. La cosa bella di essere titolare di The Life of
Riley alla radio e alla TV non era tenere per me il cento per cento dei
profitti, ma il fatto di non avere bisogno di discutere con nessuno. Così
dissi a Weisbord: “George mi piace, ma davvero, non voglio avere soci.
Mi finanzierò da me, ma farò una cosa per Burns: girerò nei suoi studi,
così potrà guadagnaci con le riprese”.
Ma Weisbord fu inflessibile e io alla fine dovetti cedere.
La televisione stava esplodendo e gli sponsor bramavano andare in
onda durante il prime time. Una volta ultimato il pilota, Gruskin lo mostrò
alla Schaeffer Pens. Risero. Era fatta. Quindi fu preso al volo da
Borden’s, una società che vendeva su tutto il terriorio nazionale beni di
consumo alimentare. (La nostra società si chiamava “Norden Productions”,
dal nome della città natale di mia moglie, in Virginia, e quella di
Burns, “McCadden Productions”.)
I protagonisti di The People’s Choice erano Jackie Cooper e Patricia
Breslin, che interpretava Amanda Peoples. Erano perfetti, ma il successo
del programma era merito della loro co-star.
La scovai ai casting. Tra gli addestratori che mi portarono i loro cani
da vedere c’era Frank Inn, che arrivò da Sun Valley con cinque o sei
bassotti al guinzaglio. Gli dissi: “Grazie signor Inn, sono animali dolci
e buoni, ma mi serve un bracchetto. Questi bassotti sono troppo letargici”.
Frank non aveva bracchetti, ma insistette per avere una chance. Mentre
i cuccioli gironzolavano, uno di loro scivolò fuori dal guinzaglio,
arrivò di corsa nel mio ufficio e mi saltò in braccio. Rimasi colpito.
“Frank”, dissi, “pensi di poterlo addestrare?”
“È una lei, e io posso addestrare qualsiasi cosa”.
Guardai questo splendido cucciolo spaurito con le lunghe orecchie
penzoloni.
“Cleo”, dissi, “diventerai una star!”
Grazie alla pazienza e alle competenze di Frank Inn il cane si rivelò
uno schianto. Cleo aveva talento e le sue esibizioni da protagonista la
resero unica. A quei tempi tutti i film e i programmi TV che coinvolgevano
animali prevedevano mezzi meccanici per far loro muovere la
bocca. Erano metodi crudeli. Hai presente Mr. Ed? Erano dei fottuti
cavi elettrici a farlo muovere!
Io decisi di provare qualcosa di diverso.
Quando Cleo vedeva o sentiva qualcosa di divertente, noi facevamo
un close-up su di lei, inquadravamo i suoi occhi e si sentivano i suoi
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pensieri, pronunciati da una voce femminile
con una dizione simile a quella di Groucho
Marx. Erano in genere delle critiche argute,
battute e commenti diretti a Cooper e alla sua
partner, Mandy Peoples. Questo modello di
“pensiero ad alta voce con conseguenze comiche”
fu copiato anni dopo in Senti Chi Parla115
con protagonisti John Travolta e un bambino.
Io continuo a preferire il mio cane. Dopo aver
scritto film per Groucho e per me, la scrittura di
queste “strane parentesi” risultò del tutto naturale.
Cleo era un cane veramente pensante e la
voce di Mary Jane Croft valeva oro. Mary era comparsa parecchie volte
nel mio show radiofonico Life of Riley.
Le battute non mancavano mai di provocare una risata. Cleo fu sulla
copertina di TV Guide per due volte, e la gente iniziò ad allevare bassotti,
se ne vedevano parecchi in giro. La cagnolina riceveva lettere di
ammiratori da tutto il Paese, proposte di matrimonio firmate “Rover” o
“Prince”. Ne mostrai alcune a Frank Inn. Lui ne annusò alcune e scherzò:
“Se vuoi il mio parere, Irv, queste non sono state scritte da animali”.
Inn si era messo in proprio nel 1954, dopo aver lavorato insieme a
Rudd Weatherwax, il proprietario-addestratore di Lassie, che a dispetto
del suo bell’aspetto era piuttosto stupido e non diceva mai nulla di
divertente, a differenza di Cleo. Frank era un mago. La portava tutti i
giorni al nostro studio di Las Palmas con il suo pickup. Non si arrabbiò
con lei nemmeno una volta. Per una scena, la addestrò a camminare fino
a una ciotola con un pesce dentro e a infilarci il muso senza toccare il
pesce. Nonostante l’enorme successo di Cleo, Frank non chiese mai un
aumento del suo compenso. E questo mi piacque molto. Gli suggerii di
diventare preparatore di attori in carne e ossa.
Il nostro show andò in onda fino al 1958. Jackie Cooper poi passò a
Hennessey, interpretando un ufficiale medico navale. Io tornai a scrivere
film. E Frank Inn continuò a portare al successo i suoi attori a quattro
zampe come Benji e il maiale Arnold.
Ora, ti ho mai raccontato di quando il mio agente mi ha fottuto? Dopo
la conclusione di People’s Choice, vendemmo 104 puntate alla ABC,
115 Look Who’s Talking, regia di Amy Heckerling (1989).
che le avrebbe trasmesse in syndication. Pagarono un milione di dollari.
Così, per aver messo i 27.000 dollari che finanziarono la prima mezz’ora,
il mio socio George Burns si beccò mezzo milione. E un giorno, al
club, mi disse innocentemente perché pensava che il mio agente alla
William Morris mi avesse portato nel suo ufficio.
“Stavano cercando di riavermi come cliente”, disse, tutto compiaciuto.
Burns era stato un cliente della William Morris fin dai tempi del
vaudeville, quando ballava il tip-tap. Poi, quando sposò Gracie e iniziò
a lavorare in team con lei, la William Morris li piazzò in radio e nei film.
In seguito, un’agenzia concorrente, la MCA, glieli soffiò.
“Così quando ti portarono da me”, disse Burns, “stavano flirtando
con me. Facendomi fare un mucchio di soldi cercavano di convincermi
a tornare da loro”.
Tutto ciò era una novità per me. E non del tipo che mi piace sentire.
Ma questo è lo showbiz, “un mucchio di cavolate da gatti”, lo chiamerebbe
Cleo. Ho iniziato la serie chiamandole “fesserie”, ma poi la
Borden’s si è lamentata, così ho deciso di mettere “cavolate”.
Così ora capisco perché George Burns era estremamente fiero dello
show. Quello che per lui era una mossa vantaggiosa – andare con la
MCA – per la William Morris era un tradimento oltraggioso. Nessuno
lascia Abe Lastfogel, un’icona della professione! Era come insultare
il Papa. Il mio amico Fred Allen lo spiegò meglio: “Puoi comprimere
tutta la sincerità che c’è a Hollywood nell’ombelico di una pulce e avrai
ancora posto per otto semi di cumino e il cuore di un agente”.
Comunque, nonostante mi abbia consegnato a Burns, la William
Morris non riuscì a riprendersi George. E poco dopo li lasciai anche io.
Ma io e George Burns restammo amici fino ai suoi 101 anni.
HANK: E non dimentichiamo che People’s Choice lanciò una delle
più grandi, anche se sconosciute, storie d’amore.
IRV: Sì. Se mi guardo indietro, ho incontrato splendide attrici come
Carole Lombard, Lucille Ball, Judy Garland, Betty Hutton, Myrna Loy,
Ann-Margaret. Tutte meravigliose e soddisfatte del mio lavoro. Ma
Cleo è stata l’unica attrice che mi ha leccato la mano.
Cleo ha recitato nel suo
Libro d’oro per i bambini
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John WaYne mi ha messo
sulla lista nera
HANK: Irv, come mai un sacco di star del cinema sono così basse?
IRV: Forse i loro agenti ne hanno tagliato una parte.
Il giorno del suo novantatreesimo compleanno, Brecher brinda con
un Martini insieme a un gruppo di amici riuniti intorno a un tavolo al
Water Grill, a downtown Los Angeles. “Sono molto felice di aver vissuto
novantatre grandi anni”, dichiara, “ma mi piacerebbe restare ancora
per vedere l’America rinascere”.
Brecher è convinto che il genere umano sia alla follia.
Nella mia visita successiva mi racconta dell’ultima volta che ha visto
l’America impazzire.
HANK: Nel 1952 avevi ultimato il film Qualcuno mi Ama, giusto?
IRV: Sì, e un giorno il co-produttore del film, William Perlberg, mi
mostrò un libro. Intitolato Red Channels.
HANK: Era il libro dei nomi...
IRV: Una calunnia anticomunista. E c’era anche il mio nome. E cinquantaquattro
anni dopo il mio astio è ancora vivo come l’edera avvelenata
che mi auguravo avvolgesse tutti quei cacciatori di rossi prima
che loro stessi venissero seppelliti. Cosa che sarebbe dovuta accadere
prima. Fottuta lista nera!
HANK: Chi pubblicò Red Channels?
IRV: Quel senatore di merda della California, Jack Tenney. Pubblicò
centinaia di nomi nel suo tentativo – riuscito – di far perdere il lavoro, la
carriera o la famiglia ad americani assolutamente onesti. Alcuni arrivarono
a suicidarsi. E tutto questo fu il risultato delle udienze dell’House
Un-American Activities Committee tenute da Tenney e dagli altri figli
di puttana cacciatori di streghe in tutto il Paese. Ma il peggio fu qui
a Hollywood. Il libro citava tra gli altri Perlberg, il suo coproduttore
George Seaton e Gregory Peck. Sembrava che chiunque fosse coinvolto
nell’industria cinematografica e fosse anche solo moderatamente vicino
alle cause liberal fosse destinato a diventare una vittima di questa caccia
alle streghe.
E indovina chi era in prima fila a indicare attori, autori e registi? L’intrepido
eroe patriottico di Hollywood, colui che ha combattuto tre film
di guerra per il suo Paese: John Wayne, il super patriota che ha intascato
diverse centinaia di migliaia di dollari per ogni guerra, parla addirittura
di “costi della lotta”. Americano al centotrentotto per cento, decorato
con una medaglia: la Distinguished Double Cross. Wayne e Robert
Taylor, Gary Cooper, Ward Bond. Erano tutti parte di questo additare e
calunniare i colleghi con l’autorità data loro dal paranoico senatore Mc-
Carthy, da Richard Nixon e da Dio sa quanti altri spietati e sconsiderati
che si erano arrogati il diritto di considerarsi salvatori della patria, tutti
proni e con la bandiera nel culo.
HANK: Tu sei stato messo sulla lista nera come comunista?
IRV: Sì, ma il mio è stato uno strano caso. Sono stato fortunato a
uscirne. Successe così. Me ne stavo seduto con un uomo molto dolce,
Jo Swerling, autore del testo originale di Bulli e Pupe,116 che fu parzialmente
riscritto dal talentuoso Abe Burrows e diventò una piccola hit a
Broadway.
Jo ed io eravamo insieme nella sua casa di Beverly Hills, e stavamo
lavorando a una commedia intitolata The Pink Beach. Ricevetti una telefonata
dal mio agente, Abe Lastfogel. Voleva dirmi che Bill Goetz,
con cui avevo lavorato sul film di Riley, stava comprando i diritti cinematografici
per Bulli e Pupe. Cioè, li stava comprando la Columbia,
e Goetz voleva che fossi io a scriverlo e dirigerlo. Mi sembrò strano,
mentre ero al telefono lanciai un’occhiata al mio amico Swerling. Dissi
al mio agente che mi sembrava una bella idea, ma che avrei dovuto prima
chiarire una cosa. Riappesi e lo dissi a Swerling. Solo un vero amico
come Jo poteva reagire all’essere messo da parte – esonerato riguardo
alla sua stessa creatura – con una sincera felicità nei miei confronti.
“Sei davvero sicuro che non ti dia fastidio?”, gli chiesi. Dava fastidio
a me. Swerling, che una volta aveva lavorato anche con i Fratelli Marx,
era quel tipo di persona dall’animo nobile che capiva una delle regole
degli Studios: mai lasciare che un autore porti le sue parole sullo schermo.
“Insisto che accetti”, disse Jo. “Se sarai tu a scrivere la sceneggiatura,
almeno sarò sicuro che terrai molte delle mie battute”.
Ero sollevato. Così Lastfogel mi portò a incontrare il capo della Columbia,
Harry Cohn. Era un filmaker avveduto, con la personalità di un
116 Guys and Dolls, regia di Joseph L. Mankiewicz (1955).
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piranha, e aveva fatto titoli come Da Qui all’Eternità117 e film di Frank
Capra come Mr. Smith Va a Washington118 o È Arrivata la Felicità.119
Quando arrivammo Bill Goetz era lì, piuttosto eccitato all’idea di fare
Bulli e Pupe.
“Non ci siamo già incontrati da qualche parte?”, chiese Cohn dopo
che Lastfogel mi ebbe presentato.
Risposi: “Fu diversi anni fa, quando lei mi chiese di scrivere un’altra
Jolson Story. Risposi che ero lusingato ma che non pensavo di poter
fare nulla che superasse il film originale”.
“Ahah”, disse Cohn. “Ma da qualche altra parte...” Si rivolse al mio
agente. “Vai al piano di sotto e cerca Ben Kahane. Chiedigli cos’è che
abbiamo sentito riguardo – com’è il suo nome... – Brecher?”
Lastfogel, Goetz ed io eravamo perplessi, ma andammo giù da Kahane.
Era il responsabile per le questioni economiche e lo conoscevo per
averlo incontrato nell’ambiente, eravamo stati ciascuno a casa dell’altro.
“Harry diceva qualcosa su Brecher”, gli disse il mio agente. “Di cosa
si tratta?”
Kahane trasalì. Un cassetto venne aperto e richiuso e comparve un
dossier, da cui fu estratto un foglio di carta, che ci fu passato. C’era
scritto il mio nome, e sotto “Lista di affiliazioni: membro del sindacato
degli autori, membro dell’Hollywood Democratic Committee, finanziatore
del Russian Relief”. E più in basso, in rosso, in caratteri cubitali:
“Lealtà dubbia”.
Andai su tutte le furie. “Da dove viene questa roba?”
Kahane nominò John Wayne e Roy Brewer, che io sapevo essere a
capo di uno dei sindacati di Hollywood.
“Questi luridi bastardi! Gettare merda su persone che sono americani
migliori di loro e delle loro fottute bande di calunniatori. Non posso
credere che qualcuno pensi che sono un comunista!”
Lastfogel mi trascinò fuori dall’ufficio e cercò di calmarmi.
“Vai a casa, fatti un paio di drink, io faccio qualche telefonata”.
Mi richiamò alcune ore dopo.
117 From Here to Eternity, regia di Fred Zinnemann (1953).
118 Mr. Smith Goes to Washington, 1939.
119 Mr. Deeds Goes to Town, 1936.
“Ascolta, ragazzo”, mi disse Abe. “Ho parlato con uno di quegli
stronzi, dice che probabilmente puoi chiarire tutto scrivendo una lettera.
A Wayne. Devi spiegargli perché eri in quei gruppi che loro pensano
essere pieni di rossi. Chiarisci che sei un americano leale al cento per
cento”.
“Figurati, neanche per sogno”, dissi.
“Calma, calma”.
“Non lo farò”.
“Non tagliarti la gola da solo”, disse Abe. “Se non chiarisci tutto puoi
finire come un sacco di altre persone”.
Era difficile per me scrivere una lettera del genere. L’idea mi disgustava
ancora più dello scoprire che esisteva una lista che i dirigenti degli
Studios consultavano per decidere chi ingaggiare e chi no.
Non avevo nulla da nascondere a queste minacciose teste vuote, a
differenza di alcuni autori. In realtà, alcuni mesi prima, uno dei migliori
autori che lavoravano con me nello staff di Riley, Reuben Shipp, era
stato portato fuori di peso dagli studi da alcuni uomini dell’FBI. In seguito
seppi che era stato deportato in Canada, con l’accusa di essere comunista.
La sua carriera fu rovinata. Nei cinque o sei anni in cui Shipp
scrisse per il mio programma radiofonico non l’ho mai sentito esprimere
un’idea che avesse una vaga aura sovversiva. Se era comunista allora
doveva essere un attore migliore di quelli dello show.
Mi resi conto, comunque, che dato che quell’epidemia di idiozia continuava
a imperversare nel Paese, se avessi voluto continuare a fare film
avrei dovuto cedere e scrivere quella lettera.
“Al grande patriota eroe di guerra della Warner Bros, Marion ‘Piùcoraggioso-
di-Errol-Flynn’ Morrison”, iniziai.
“Taglia”, disse Lastfogel. “Non vorrai mica che si infiammi subito”.
“No, ma mi piacerebbe dargli fuoco”.
Repressi il mio disgusto e riscrissi la lettera, spiegando che la mia
partecipazione a questi gruppi sospetti era da semplice elettore democratico
registrato.
“Desidero anche portare alla sua attenzione”, scrissi, “che ero un finanziatore
di Bundles for Russia, un programma di solidarietà sostenuto
da una persona che probabilmente conosce: Eleanor Roosevelt. Può
chiedere a suo marito, lavora a Washington”.
La lettera fu spedita e due giorni dopo ricevetti una chiamata da Abe
Lastfogel. Uno dei leccapiedi di Wayne lo aveva informato che la mia
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“Lealtà dubbia” era stata cancellata.
Ero fuori dalla lista.
Ma loro non erano fuori
dalla mia.
Settimane dopo, al club, incontrai
Sol Lesser, un produttore.
Il suo nome era scritto
in fondo al documento sulla
mia “Lealtà dubbia” alla
Columbia. “Informazioni
richieste da Sol Lesser”, c’era
scritto. Lesser era il proprietario
dei film di Tarzan.
L’unico contatto lavorativo
che avevo avuto con lui era
stato quando mi aveva chiesto
di scrivere una sceneggiatura
per un film in 3D. Era
uno stile molto in voga, ma
l’unico significato che aveva
era che potevi vedere meglio
gli attori, in pratica le tette di
Lana Turner assumevano tutta una nuova dimensione. Dissi a Lesser
che ci avrei pensato. Presumo che dato che aveva contemplato la possibilità
di ingaggiarmi aveva prima fatto delle ricerche in merito al mio
“americanismo”. Quello che davvero mi bruciava era che né Kahane
né Lesser avessero avuto la decenza di informarmi di questa lista. Gli
amici servono a quello.
“Ascolta, coglione”, lo fermai fuori dal bagno degli uomini dell’Hillcrest.
Sembrò shockato. “Come mi hai chiamato?”
“Scusa”, dissi. “Signor Coglione. Mi hai messo sulla lista nera di
Wayne!”
“Non significa nulla”, rispose Lesser. “Volevo solo essere sicuro di
poterti ingaggiare tranquillamente”.
“E allora perché non mi hai detto che avrei potuto passare dei guai?”
“Avrei dovuto farlo, ma temevo che tu te la prendessi con me”.
“Perché avrei dovuto prendermela? Una cosa così avrebbe potuto
solo affossarmi la carriera. Niente di più. Se vorrai rivolgermi ancora la
parola è meglio che ti procuri una guardia del corpo”.
Se parlo con qualcuno più basso di me posso avere un aspetto molto
minaccioso. Fece un sorrisetto imbarazzato e schizzò nel bagno.
Nel frattempo, la caccia alle streghe continuava, ma tutte le serpi come
Tenney furono alla fine spazzate via dai loro stessi imbrogli. Fu una
gioia leggere che tempo dopo il capo del HUAC, Jay Parnell Thomas,
finì in galera per evasione fiscale. Uno che amava così tanto l’America!
Aveva frodato l’America che aveva così valorosamente protetto.
HANK: L’era della “Red Scare” si chiuse finalmente verso la fine
degli anni Cinquanta.
IRV: Finalmente. Ma non prima che l’HUAC spedisse “i dieci di Hollywood”
in prigione.
HANK: Questo però accade prima, nel 1948.
IRV: Sì. E alcuni di loro comparvero nei film più patriottici di quei
tempi, come C’è Sempre un Domani,120 Pride of the Navy121 e altri che
celebravano la grandezza dell’America. Questi furono enormi successi
al botteghino che portarono profitti stellari agli Studios. Se questo era il
modo in cui i comunisti sotto mentite spoglie pianificavano di distruggere
il capitalismo, gli amministratori delegati delle multinazionali dovrebbero
assumerne di più.
HANK: E come finì con la versione cinematografica di Bulli e Pupe?
IRV: Dopo tutto ciò, la Columbia non acquisì i diritti per produrlo. Fu
rilanciato poi da Samuel Goldwyn e Bulli e Pupe fu scritto e diretto da
Joe Mankiewicz nel 1955.
HANK: L’anno in cui nacqui io.
IRV: Mazel tov! Facciamoci un sandwich!
120 Pride of the Marines, regia di D. Ross Lederman (1936).
121 Regia di Charles Lamont (1939).
Jack Lemmon in visita al set di Rapina a...
Nave Armata (Sail a Crooked Ship, regia di
Brecher, 1961). Aveva sentito dire che ci stavamo
divertendo un sacco.
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Tanoshimi, È Bello Amare (1960)
Vediamo un cowboy giapponese sul suo cavallo, che galoppa lungo
il sentiero polveroso. Sta inseguendo un brutto ceffo e quando arriva
in città, il cattivo scende velocemente da cavallo e si precipita nel
saloon. Il nostro eroe salta giù dal cavallo e si dirige alla porta. Ma
appena entrato... torna fuori e si toglie gli stivali.
HANK: Prima di tutto, ma cosa significa?
IRV: Cosa?
HANK: “Cry for Happy”.122 Sembra qualcosa di molto profondo.
IRV: Viene da un modo giapponese di descrivere un sentimento, l’essere
felicissimo, piangere dalla gioia.
HANK: Sopraffatto dalle emozioni.
IRV: Una cosa del genere, sì.
HANK: E il film viene da...
IRV: Adattai io un omonimo romanzo tascabile scritto da George
Campbell. Era un capitano della marina in pensione che scriveva dei
tempi in cui era in Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, con
alcuni compagni e una geisha. I protagonisti furono Glenn Ford e Donald
O’Connor, il produttore fu Bill Goetz e George Marshall il regista.
Quest’ultimo aveva fatto un sacco di commedie, anche per Stanlio e
Ollio e W.C. Fields, e film come Che Vita con un Cowboy123 e La Storia
di Pearl White. Aveva iniziato nel muto, e Goetz ed io eravamo amici,
come sai.
HANK: Era il genero di Louis B. Mayer.
IRV: Gestiva lo studio alla Universal quando io dirigevo The Life of
Riley.
HANK: Gestiva lo studio?
IRV: E fece un sacco di flop.
HANK: E ora è alla Columbia.
IRV: I capi degli Studios girano un sacco. Aveva la sua società di produzione.
Comunque, Goetz mi chiamò e mi disse che aveva comprato i
diritti sul tascabile.
122 Tanoshimi, è bello amare è il titolo italiano di questo film diretto da George
Marshall (1960).
123 Never a Dull Moment (1950).
HANK: Donald O’Connor ballava? Tu avevi già lavorato con Fred
Astaire e Gene Kelly e...
IRV: No, ma in una scena Donald O’Connor sta abbordando Myoshi
Umeki, la geisha che aveva spezzato il cuore a Red Button in Sayonara.
124 Mentre O’Connor si fa sempre più sensuale, la sua affascinante
preda scivola fuori dal suo abbraccio e si infila dietro un paravento,
nella sua camera da letto. O’Connnor è affranto, si rivolge alla telecamera
e dice: “Abbiamo vinto la guerra, ma abbiamo perso la pace”. Il
pubblico capì la battuta, naturalmente.
HANK: Cosa vuoi dire?
IRV: Che era un coglione! E l’ufficio di Sherlock se l’è presa con me.
HANK: Intendi...
IRV: Il censore. Se avesse potuto intervenire, quella battuta non sarebbe
stata nel film.
Gli dissi: “Che diavolo combini? Da quando pace è una brutta parola?
È qui nel copione: p-a-c-e. Hai la mente deviata!” Che cosa avrebbero
potuto fare? Era la miglior battuta del film.
HANK: Il comico cerca di fa ridere!
IRV: Era stato girato per la larghezza del cinemascope, così quando
lo compressero in VHS i lati risultarono tagliati e a volte si vedono le
persone a metà.
Ma io ero lì. In Giappone! Per un bellissimo mese a Tokyo e Kyoto.
HANK: Per fare ricerche sulle geishe.
IRV: Fu l’unico film per cui mi piacque fare ricerche. Fu molto meglio
che dormire nella stessa stanza con i Fratelli Marx.
Come consulente avevamo un affascinante giapponese laureato a
Princeton, la stessa persona che aveva lavorato con Goetz per Sayonara.
Così ci riservò un trattamento speciale. I bianchi sono raramente ammessi
nelle migliori case di geishe, che accolgono una clientela molto
selezionata, al contrario di altri tipi di case che fanno entrare cani e
porci arrapati.
HANK: E com’è stato?
IRV: Ci andammo per un paio di sere.
HANK: Ok, ma intendo, com’è stato essere accudito da una geisha
di prima classe?
IRV: Di prima classe.
HANK: Dài!
124 Regia di Joshua Logan (1957).
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IRV: Erano molto dolci e per certi versi naif. Facevano molte domande
sull’America, molto semplici.
HANK: Ragazze carine.
IRV: E molto ansiose di essere utili. E lo furono, molte volte.
HANK: Ahah.
IRV: Bagni, massaggi, eccetera. Molti eccetera.
HANK: E poi cosa accadde?
IRV: Gli eccetera erano la parte migliore. Quindi? Mi ricordo che
appena prima di rientrare comprai un gadget davvero nuovo: una radio
a transistor.
HANK: Una di quelle piccole?
IRV: Allora erano una cosa spettacolare.
HANK: È tutto? C’è qualcos’altro che vorresti dire ai lettori? No?
IRV: Sayonara!
L’eterna commedia di Ernie Kovac s
“Nel caso di qualsiasi similitudine tra i personaggi di questo film e persone
viventi... queste ultime farebbero meglio a morire”.
Sullo schermo alla fine di Rapina a... Nave Armata
Brecher ride perché ha appena ricevuto per posta due assegni. Uno –
di 4,10 dollari – arriva dalla TV tedesca, per Ziegfeld Follies del 1943,
l’altro è di quattro centesimi e arriva dal sindacato dei registi americani.
È il pagamento per la sua partecipazione come voce fuori campo
nell’introduzione di Rapina a... Nave Armata, che Brecher diresse negli
studi della Columbia nel 1961. Protagonisti del film erano Robert
Wagner ed Ernie Kovacs. Quest’ultimo lo conoscevo come un pioniere
geniale della TV degli anni Cinquanta, un uomo strambo con un cervello
pazzesco, che influenzò in seguito Carson e Letterman e chiunque
abbia cercato di usare in modo creativo questo media. Sono ansioso di
chiedere a Irv di questo film...
HANK: Hai diretto il brillante Ernie Kovacs, giusto?
IRV: Sì, e lui fu prevedibilmente brillante in Rapina a... Nave Armata.
Purtroppo fu il suo ultimo film.
HANK: Come mai?
IRV: Una settimana prima dell’uscita del film, stava tornando a casa
in macchina da un party di capodanno a casa di Billy Wilder quando
andò a sbattere contro un palo del telefono. A Century City, dove c’è
l’hotel Hilton.
HANK: Sì, sì, ho letto che stava guidando sul Santa Monica Boulevard,
e che si è sporto per accendersi un sigaro o...
IRV: Nessuno sa che cosa accadde. Non c’era nessuno con lui, a eccezione
della quantità di alcol che aveva in circolo.
HANK: Oh mio dio, lo adoravo alla TV. Percy Dovetonsils... tutti
quegli scandalosi personaggi.
IRV: Ernie Kovacs era uno dei comici più freschi e originali dei primi
anni della televisione. Splendido e demenziale.
HANK: E questo quando accadde?
IRV: A capodanno del 1962. La settimana successiva il film uscì,
ma la maggior parte del potenziale pubblico lo evitò. Nessuno voleva
andare a vedere una commedia in cui il protagonista è morto. Comprensibile.
Le persone non volevano vederlo sullo schermo e pensare che in
realtà non c’era più.
HANK: Aspetta: tu eri amico di Billy Wilder, eri anche tu a quel
party?
IRV: No
HANK: E dov’eri?
IRV: Stranamente, ero a Chicago. E non perché sia uno che odia l’allegria
forzata dei party di capodanno e sia abituato ad andare a dormire
un paio d’ore prima del countdown in Times Square. Quella sera, però,
ero da solo, allo Schubert Theater di Chicago. Un produttore della Columbia,
Fred Kohlmar, mi aveva chiesto di scrivere una sceneggiatura
per il cinema tratta da una commedia di Broadway chiamata Bye Bye
Birdie. Non l’avevo vista, e gli spettacoli erano agli sgoccioli, l’ultimo
era appunto a capodanno. Quindi Kohlmar mi mandò lì a vederlo, ma ti
racconterò di questo più tardi, tu chiedevi di Rapina a... Nave Armata.
HANK: Sì, OK, mi piacerebbe sapere qualcosa dei tuoi rapporti con
Kovacs.
IRV: Prima di tutto, ti racconterò del copione. Ruth Brooks Flippen,
la moglie dell’attore Jay C. Flippen...
HANK: Jay C. Flippen di McHale’s Navy e altri show televisivi.
IRV: Quello non importa. Per favore, non interrompermi e ti racconterò
di Ernie Kovacs. Ruth Brooks Flippen scrisse e riscrisse insieme a
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me il copione, eravamo nel mio ufficio alla Columbia, nelle pause per la
preparazione dei set. Ripensandoci ora sono ancora distrutto. Ma allora,
era emozionante e stimolante, ovviamente, quando sei giovane hai la
voglia e l’energia per fare qualsiasi cosa. Ruth fece un ottimo lavoro.
Il film non aveva parti deboli, tutti i tempi erano rispettati, non c’erano
parti lente, ed è quello che tutti sperano. Ernie Kovacs interpretava
Bugsy Fogelmeyer, uno svampito rapinatore di banche di Boston che
organizzava sempre le sue fughe via mare.
HANK: Su una qualche barca scassata.
IRV: Era un piccolo film. Lo facevamo giorno per giorno, cercando di
essere più divertenti possibile. Robert Wagner, in particolare, fu grande.
C’era anche Frankie Avalon, il cantante. Frank Gorshin...
HANK: Frank Gorshin! Ora fa un one-man show su George Burns.
IRV: Quello non importa. C’era molta alchimia comica tra Harvey
Lembeck, Sid Tomack e Jesse White. Lo so, tu vuoi parlare di Jesse
White ora...
HANK: Attore esilarante. Lasciamo stare le pubblicità dei manutentori
della Maytag.
IRV: Una volta ho scritto un pezzo di vaudeville per Sid Tomack, si
chiamava “Reese Tomack e Reese”. Erano tutti comici e i due Reese si
facevano beffe di Tomack.
HANK: Ti ricordi il pezzo?
IRV: È passato così dannatamente tanto tempo! Nel vaudeville i pezzi
erano per la maggior parte di quattro o di nove minuti. Non c’era molto
da scrivere, quindi non me li ricordo.
HANK: OK, torniamo a Kovacs.
IRV: Sai che alcune persone, soprattutto i bambini, hanno una sorta
di coperta di Linus. Ernie Kovacs ne aveva una. Ce l’aveva ogni volta
che non era di fronte a una telecamera. Era una grande scatola di sigari
cubani di contrabbando. Ma ciò non lo turbava, Ernie era chiaramente
un abituale fuori legge.
Alla fine gli ero molto affezionato. Ma non era facile. Kovacs, mi disse
uno dei miei informatori, non fu contento quando seppe che io sarei
stato il regista. Non mi conosceva, e non aveva ragioni per credere che
uno sconosciuto lo avrebbe diretto meglio di uno dei suoi amici come
Richard Quine. Quine lo aveva diretto in Off Limits,125 con Jack Lemmon
e Mickey Rooney. Intendo, Kovacs era un personaggio televisivo
125 Operation Mad Ball (1957).
che faceva un sacco di film ed era molto famoso. La Columbia avrebbe
voluto David Miller come regista, ma lui voleva 125.000 dollari perché
aveva ottenuto un paio di successi. E loro non potevano permetterselo.
Dato che io invece volevo proprio dirigere quel film, ne accettai 25.000.
I soldi non mi servivano, in realtà, George Burns e io avevamo appena
venduto People’s Choice per un milione di dollari.
Comunque, la resistenza che sentivo da parte di Kovacs si manifestò
il primo giorno delle riprese. Non fu scortese, ma il suo comportamento
non mi faceva sentire a mio agio, non mi faceva sentire accettato come
volevo.
Bob Wagner, il protagonista, era all’opposto. Era un ragazzo piacevole
e positivo, e io pensavo che ne avesse tutte le ragioni: era sposato
con Natalie Wood.
Comunque, dato che Kovacs teneva molto le distanze, cercai di avvicinarlo
mentre provavamo una scena nella sala timone della nave Liberty,
su un set alla Columbia. Nel film, Bugsy Fogelmeyer ha una fidanzata
un po’ sgualdrinella interpretata da Carolyn Jones [la Morticia della
Famiglia Addams]. Sono insieme su questa nave che è stata rapinata e
Bugsy è il capo di questa banda di rapinatori. Carolyn Jones arriva nella
sala timone dove Kovacs sta dando ordini ai marinai. La splendida Carolyn
Jones indossa un abito frusciante ed è molto seducente. Bugsy la
abbraccia. E noi vediamo che il suo abito è tagliato sul retro, e rivela un
sacco di pelle nuda dalla schiena verso il suo... come chiamarlo? Il suo
coccige. Bugsy muove le mani sulla sua schiena. E mi viene in mente
una battuta per lui che non c’è sul copione: “Baby, non ti sei messa il
vestito al contrario?”
Quando gli dissi la battuta, Ernie fece un gran sorriso.
“Perfetto. Avrei voluto averla detta io”.
“Lo farai”, risposi. “Quando vedrai il film”.
Dal momento in cui gli diedi quella battuta le cose cambiarono. Da
allora in poi lavorare con lui fu un vero piacere. Cominciammo a giocare
a gin rummy nel mio camerino durante le pause. E tanto era bravo
come attore, tanto era terribile come giocatore. È stata una delle poche
persone che ho potuto battere con facilità. Era pessimo. Io insistevo per
tenere bassa la posta perché per quanto avaro io possa essere, giocare
con lui era praticamente un furto.
“Tieni i conti, ne parliamo appena siamo pari”, diceva tutto allegro.
Ma questo non successe mai. Ma conoscendo Ernie e la sua visione
240 241
della vita e sulle persone, meritava che si stracciassero i conti. E anche
di più. Era una persona divertente da conoscere.
A Natale mi spedì una scatola con del whiskey pregiato e un libro:
Come Giocare a Gin Rummy.
Rapina a... Nave Armata ha una conclusione divertente. Te la racconto.
Non ti aspetti che delle tette risolvano i problemi. Cosa intendo
con questo? Bob Wagner è prigioniero a bordo mentre la nave cerca di
scappare al largo. È chiuso a chiave in una cabina con la sua fidanzata,
interpretata da Dolores Hart. Un ufficiale della Guardia Costiera domanda
attraverso una cornetta che Bugsy identifichi la sua nave. Cosa
che Kovacs ignora, naturalmente. Così Wagner cerca di allertare la
Guardia Costiera. Disperato, cerca di spegnere la luce di segnalazione
tirando dei cuscinetti a sfera d’acciaio dall’oblò, ma questo non funziona,
allora lui chiede aiuto alla fidanzata. Lei si toglie il reggiseno e lo
tende attraverso l’oblò in modo che Wagner lo usi come fionda. Lancia
diversi cuscinetti a sfera mancando il bersaglio e finalmente colpisce la
luce della Guardia Costiera. La Guardia Costiera arriva a bordo e pone
termine alla carriera criminale di Bugsy.
Kovacs era un grande talento. La sua fu una grande perdita. Era un
grande, piacevole e particolare comico.
HANK: Che cosa carina.
[Guardando una foto appesa nello studio di Brecher di lui con Robert
Wagner. Sul retro della cornice, Wagner ha scritto: “Uno dei momenti
più importanti della mia carriera è stata la lavorazione di Rapina a...
Nave Armata con te, Irv. E, ancora più importante, la nostra amicizia.
Ti vorrò sempre bene”.]
IRV: Sì, è davvero una persona deliziosa. E ciò è molto insolito, nella
mia esperienza. Avevo appena riguardato il film quando Bob me lo ha
portato in videocassetta. Era perfetto in quel ruolo da protagonista e mi
ha riportato indietro a quegli anni. Mi piace rivedere film in cui sono
stato coinvolto. Lavorare con Wagner è stata una delle mie migliori
esperienze come regista. E ci siamo sempre tenuti in contatto dai tempi
in cui fu salvato dalle tette di Dolores Hart. E la splendida Dolores?
Poco dopo l’uscita del film decise di farsi suora. Spero che in convento
abbiano la TV via cavo, così le altre suore potranno vederla togliersi il
reggiseno.
SOPRA: In Rapina a... Nave Armata Robert
Wagner interpretò il suo primo ruolo
comico. Fu grandioso, e mi fece fare bella
figura come regista. In questa foto il regista
sta spiegando al protagonista che non diventerà
mai il governatore della California
a causa della sua tendenza a non palpare le
attrici sul set. (Foto di Bill Crespinel).
A DESTRA: Il Los Angeles Times del 13
gennaio 1962 riporta la notizia della morte
di Ernie Kovacs in un incidente stradale.
L’attore aveva 43 anni.
242 243
Ciao ciao Brecher?
Maureen Stapleton: Non cercare di consolarmi. Ti perdono. Che
importa se sei un ingrato? Fintanto che sei felice.
Dick Van Dyke: Non voglio essere felice! Voglio essere sposato!
Ciao Ciao Birdie126
Una sera tardi, mi imbattei nella parte finale di Ciao Ciao Birdie su
un vecchio televisore in bianco e nero da nove pollici. Mi sentii felicemente
trasportato indietro nel tempo, al 1963, e mi ritrovai a ripensare
alle mie sorelle che negli anni Sessanta erano preadolescenti musicomani
rimbambite dietro a questo tizio, Conrad Birdie, che con il suo
vestito dorato ancheggiava come Elvis “the pelvis” e ci provava con
Ann-Margret. Lei interpretava la quindicenne “Kim MacAfe” di Sweet
Apple, Ohio. E come impazzivano le mie sorelle per quella scena del
telefono, quella in cui Jill e Nancy cantano il loro pezzo “Princess”:
“What’s the story, morning glory?/ What’s the world, hummingbird?” e
“He’s in love with Kim/ Kim’s in love with him!/ Goin’ steady, goin’s
steady/ Goin’ steady” come i bambini sullo schermo.
Nei primi anni Sessanta, il vecchio sistema basato sugli Studios che
Brecher conosceva benissimo era in pratica finito. Come molta della
cultura, gli Studios sembravano roba vecchia confrontati con quello che
iniziava ad accadere nella controcultura. Questo fu l’ultimo musical di
Brecher, una satira su rock-and-roll, marce di protesta, follia dei media
e la vita migliorata dalla chimica, tutto questo moltiplicato all’ennesima
potenza da Dick Van Dyke. E... ho nominato Ann-Margret? Riesco
ancora a vederla sul palco a Las Vegas...
HANK: Irv, in Ciao Ciao Birdie, sui titoli di coda passa un video di
Ann-Margret che balla. È qualcosa come vent’anni avanti.
IRV: È stato un colpo di fortuna fare quel film. Ann-Margret ha il
dono di rendere migliore tutto quello che fa. La raccomandai a Fred
Kohlmar, il produttore.
HANK: Hai scoperto tu Ann-Margret.
126 Bye Bye Birdie, regia di George Sidney (1963).
IRV: Siamo stati molto fortunati a sceglierla. L’avevo vista a Las Vegas
quando ci andai con mia moglie nel 1962 per l’esibizione di George
Burns. Credo fosse al Sands o al Sahara.
HANK: Aspetta. Era più o meno lo stesso periodo del 1962 in cui hai
assistito allo show a Chicago, la notte in cui Ernie Kovacs morì?
IRV: No, no, adesso ti spiego. Quando tornai dal viaggio a Chicago
dopo aver visto Bye Bye Birdie, accettai di fare il film. Fred Kohlmar
mi assicurò si sarebbe accordato perché io fossi il regista. Kohlmar era
rimasto colpito da Rapina a... Nave Armata.
HANK: Ma nel Birdie che avevi visto tu non c’era Ann-Margret.
IRV: No, erano state scritte molte sceneggiature, una da Mike Stewart,
l’autore originale, ma Kohlmar mi disse che nessuna era abbastanza
buona per le riprese. Alla Columbia avevano investito un sacco
di soldi ed erano ansiosi di fare un film che avesse un buon profitto.
HANK: Ho letto che per la commedia si alternarono cinque autori
prima di Mike Stewart.
IRV: Beh, quando vidi la commedia mi resi conto che era facile capire
perché fosse un successo così grande. Coreografia e canzoni eccellenti,
alcune divertenti performance comiche con protagonista una
faccia nuova, Dick Van Dyke, e la talentuosa Chita Rivera. Ma l’ultima
parte era piatta e prevedibile. Mancava di qualunque risata. Capii che
servivano cambiamenti radicali. Così, durante il volo di rientro, caddi
in una sorta di autoipnosi che mi aiutò a tirar fuori quei cambiamenti.
HANK: Come quella dei tempi della MGM, una trance per rievocare
scene per i Fratelli Marx?
IRV: No, era diversa. Comunque, quando tornai e dissi che l’avrei
fatto, Fred Kohlmar mi offrì centomila dollari e la promessa verbale
che avrei diretto io. Quando ero a due terzi della sceneggiatura, lui venne
da me con un’aria molto preoccupata e imbarazzata. Mi disse che
non poteva ingaggiarmi come regista perché ai piani alti insistevano
per avere George Sidney. Sidney era un regista collaudato, che era stato
pagato bene per un altro film che poi era stato abbandonato. Quindi volevano
far girare Birdie a Sidney perché era già stato pagato! Ero fuori
di me – non con Sidney, lui era un amico – e per un momento pensai di
abbandonare tutto. Pensai anche di fargli causa e di diffidarli dall’usare
la parte di sceneggiatura che avevo già completato, piena di belle idee.
HANK: Ma non lo facesti.
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IRV: Avrei potuto bloccare tutto, ma loro avevano la mia idea su
come far concludere il film. Così, alla fine, anche in considerazione del
fatto che Kohlmar ed io eravamo amici da parecchio, lasciai perdere e
finii la sceneggiatura.
HANK: E ora arriva Ann-Margret? La sexy gattina della mia gioventù,
che parla al telefono con le gambe per aria?
IRV: Ahah, caro. Salì sul palco di Las Vegas prima dell’esibizione
di George Burns. Questa ragazzina, una vera bellezza e una cantante
dannatamente brava. E noi cercavamo proprio una persona per il ruolo
chiave dell’ingenua che ha un fidanzato ma perde la testa per Birdie, il
personaggio alla Elvis. Dissi a Fred che avevo visto una ragazza che era
perfetta e che se fosse stata un pochino capace di recitare sarebbe stata
l’ideale. Si organizzò per farla arrivare agli Studios. Quando arrivò era
nervosa, eccitata e adorabile e Kohlmar le disse qualcosa riguardo alla
sceneggiatura e le propose di leggere una scena o due con me come
partner.
HANK: Come quella volta che avevi letto con Judy Garland per Incontriamoci
a St. Louis.
IRV: Beh, Judy non voleva la parte, Ann-Margret invece sì. Non ci fu
nulla da dire. Si capiva praticamente subito che questa ragazza era brava.
E il film ne è stata la prova. Dalla sera alla mattina diventò una star.
In seguito avrebbe interpretato grandi ruoli drammatici in film come
Conoscenza Carnale127 con Jack Nicholson.
HANK: E fu splendida in Tommy.128
IRV: E in Cincinnati Kid,129 sexy.
HANK: Fino ai giorni nostri, Due Irresistibili Brontoloni130 e Due
Improbabili Seduttori.131
IRV: Come chiedere di più?
HANK: Cosa pensasti della regia di George Sidney?
IRV: George Sidney non apprezzava la sceneggiatura, ma si prese
una cotta per Ann-Margret.
HANK: Lei aveva ventun anni quando interpretò Kim.
127 Carnal Knowledge, regia di Mike Nichols (1971).
128 Regia di Ken Russell (1975).
129 The Cincinnati Kid, regia di Norman Jewison (1965).
130 Grumpy Old Men, regia di Donald Petrie (1993).
131 Grumpier Old Men, regia di Howard Deutch (1995).
IRV: A prestar fede al pettegolezzo, fu questo a mandare in pezzi il
matrimonio di George.
HANK: Ho letto nell’autobiografia di Paul Lynde che lui stesso e
Maureen Stapleton – che interpretava la madre di Dick Van Dyke e che
ce la metteva tutta per farlo sentire colpevole – furono gli unici del set a
non cercare di portarsela a letto. Ann-Margret, intendo.
IRV: Nemmeno io.
HANK: Bene, eccoci.
IRV: Questo è secondo i suoi di ricordi.
HANK: Ah! E come hai fatto ad avere Ed Sullivan nel film nella
parte di se stesso?
IRV: Ed non era nello spettacolo, ma lo conoscevo dai tempi di New
York. Negli anni Trenta, la sua rubrica quotidiana pubblicava alcune
delle mie battute. Ogni volta che veniva sulla West Coast, Groucho lo
intratteneva. Comunque, era qui con il suo show televisivo e io aggiunsi
una parte nel film.
HANK: Non posso credere che a George Sidney non piacesse la sceneggiatura.
IRV: Venni a sapere che non era pazzo di quella sceneggiatura. Ma
era pazzo di Ann-Margret. Quindi se li prese entrambi.
HANK: Ah!
IRV: Il grande successo di Ciao Ciao Birdie rivitalizzò la carriera un
po’ calante di George. Con me non ci furono problemi perché lui a me
piaceva. Il film ricevette alcune recensioni molto buone. Non solo elogi
per Ann-Margret ma anche per Paul Lynde, uno dei miei attori brillanti
preferiti. Arrivava dritto dritto dalla produzione di Broadway e quello
era il suo primo film. Tirò fuori il cento per cento da ogni battuta che
scrissi per lui. Mi piace la parte in cui Dick Van Dyke, tormentato dalle
pene d’amore, si dirige verso un bar e lo invita a unirsi a lui, ma Lynde
risponde: “Mi piacerebbe venire con te, ma sono un uomo felicemente
sposato, non sono autorizzato a divertirmi”.
Lynde fu bravissimo. Morì troppo giovane. Era un attore gay così
divertente che anche gli omofobi lo avrebbero adorato.
HANK: Irv, ho letto che il compositore Charles Strouse definì Bye
Bye Birdie il primo musical rock-and-roll. Tu ci hai messo una battuta
in cui Janet Leigh dice: “Il mondo sta cambiando”. Intendevi indicare
una sorta di cambiamento culturale?
246 247
IRV: Beh, Conrad Birdie si è arruolato nell’esercito, le donne stanno
marciando su Washington e il sindaco di Sweet Apple non riesce a tenere
ferma sua moglie quando sente questa musica.
HANK: Quindi, musica, giovani, politica. Pensi che tutto ciò abbia
a che fare con la zeitgeist dei tardi anni Cinquanta o dei primi anni
Sessanta?
IRV: Aggiunsi il balletto russo.
HANK: Non era nella versione di Broadway?
IRV: No, ma le canzoni di Charles Strouse e Lee Adams c’erano.
Pezzi come “Put on a Happy Face” erano sublimi. Ti ho detto che Carl
Reiner disse che quando vide per la prima volta uno sconosciuto Dick
Van Dyke in questo suo primo ruolo, quello di Albert in Ciao Ciao
Birdie, decise di ingaggiarlo per la televisione?
HANK: Per il Dick Van Dyke Show?
IRV: Ahah.
HANK: Wow. E cosa mi dici della ragazza di Albert? La scena in cui
lei indossa quella gonna corta...
IRV: Janet Leigh. Pensai che fosse una ragazza carina, ma non fu un
buon casting. Inizialmente aveva un corpo eccezionale, ma per quando
doveva interpretare Rosie l’aveva perso.
HANK: Accidenti, andiamo Irv, “Put on a Happy Face” e [canto]
“Me and little Rosie...”
IRV: [Canta] “We will be so cozy...” Yeah!
HANK: Yeah!
IRV: No. Lei era passata, fisicamente. Ma, vedi, quei bastardi alla
Columbia non volevano usare Chita Rivera. Lei era favolosa, la volevo,
ma non ero io a decidere. Non volevano una donna latina, avrebbe potuto
non piacere ai razzisti.
HANK: Beh, il suo nome era Rose Alvarez. Dopo tutto quello che
abbiamo detto sui cambiamenti culturali.
IRV: Ahah.
HANK: Ma Dick Van Dyke. Albert Peterson, è l’eroe che risolve la
situazione.
IRV: Ahah.
HANK: Ed è qui che dici di aver salvato il film?
IRV: Beh, questo è probabilmente il mio miglior esempio di adattamento
per il cinema, perché ho preso un copione che non era girabile e
l’ho risolto. Dissi loro che avremmo dovuto metterci un finale col botto.
Avevamo bisogno di chiudere con un finale umoristico.
HANK: Hai cambiato il finale.
IRV: Prima ho cambiato il personaggio di Dick Van Dyke da un insegnante
di inglese a un professore di chimica. Ora poteva inventare la
pillola della velocità. In una scena la prova su una tartaruga che appartiene
al figlio di Paul Lynde.
HANK: Randolph MacAfee.
IRV: La sua tartaruga. Van Dyke le fa mangiare una pillola e lei corre
tutto attorno alla casa. Ciò rende possibile per Albert e la sua fidanzata
dare la stessa pillola al direttore del balletto russo. E, sapendo dove
volevo andare a parare, mi divertii a scrivere il copione.
HANK: La cosa finì sulla TV nazionale.
IRV: La sequenza dell’Ed Sullivan Show. Nella sua scaletta, quella
sera, c’era la Moscow Ballet Company che proponeva una scena da Il
Lago dei Cigni. Con solo qualche minuto nel Sullivan Show, Albert
doveva fare in modo che ci fosse abbastanza tempo per il grande bacio
di addio tra Conrad Birdie e Kim MacAfee, la quindicenne di Sweet
Apple. Così Rosie mette dei sonniferi in un bicchiere di latte e lo dà
al direttore del balletto. Quando sale sul podio vediamo uno dei suoi
occhi fare dei movimenti folli. Improvvisamente inizia ad accelerare
l’esecuzione con la sua bacchetta, e quindi tutta la sua sinfonia accelera
e anche i ballerini. Il pubblico diventa isterico e si scatena una rissa.
HANK: Ancora la commedia anarchica!
IRV: Kim bacia Conrad Birdie e Bobby Rydell gli dà un pugno sul
naso: il pandemonio. Alla fine diamo un taglio alle storie d’amore e
a tutti i finali deboli. Sai, fu George Sidney a parlare di me ai Turner
Archives Project.
HANK: Sul serio?
IRV: Fu una cosa carina da parte sua.
HANK: E pensa che stavo odiando questo tizio per averti soffiato la
regia di Birdie, quando in effetti se non fosse stato per Sidney non ti
avrei mai incontrato in quella stanza d’albergo a Century City.
IRV: E non solo quello. Suo padre era il tizio che al Capitol Theatre
di New York lanciò le battute che avevo scritto per Milton Berle.
HANK: Continua a saltare fuori nella tua vita. E poi tu hai lavorato
con suo figlio. Insomma, un cerchio che si chiude.
IRV: Nel 1962 suo figlio aveva quarantanove anni e io quarantotto.
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HANK: Dici che questo ravvivò la sua carriera. E la tua?
IRV: La mia vita si trasformò in una sorta di battaglia quotidiana.
HANK: A causa del film?
IRV: Alcuni anni dopo avrei dovuto scrivere e dirigere il film tratto
dallo spettacolo di Neil Simon Star-Spangled Girl. Il produttore Howard
Koch, però, disse al capo della Paramount, Robert Evans, che pensava
che io fossi troppo vecchio. Questa cosa mi disgustò profondamente.
HANK: Non so se lo sai Irv, ma su Variety c’è la notizia di un possibile
remake di Ciao Ciao Birdie.
IRV: Per la televisione.
HANK: No, per il grande schermo.
IRV: Variety non cita il fatto che è già stato un film di successo?
HANK: No, nessun accenno. Solo che qualche regista appena uscito
dalla USC sta facendo una versione hip-hop del musical originale, rivolta
al pubblico giovane.
IRV: Ricordati di dire a quelli di Variety che l’autore originale è disponibile!
HANK: Hey, Irv.
IRV: Cosa, ragazzo?
HANK: [Canto]
“Grey skies are gonna
clear up...”
IRV: [Canta] “Put
on a happy face”.
HANK: [Canta]
“Brush off the clouds
and cheer up...”
IRV: Ahah, fai una
faccia felice.
HANK: Ahaha!
IRV: Quel film ha
davvero fatto il botto!
PARTE V
IRV BRECHER NEL
VENTUNESIMO SECOLO
Pubblicità, 1963
Nancy Bennett (la nipote di Irv), Norma, Irv e Hank
all’esterno del WGA Auditorium.
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Jan Murray prende una batosta
HANK: Ti ricordi la prima volta che ti sei esibito in un monologo?
IRV: È stato a un party all’Hillcrest nel 1943. Per un avvocato della MGM,
Isadore Prinzmettle. Ricordo Yip Harburg cantare una parodia della
canzone di un nuovo musical, Oklahoma: “Everything’s Up To Date in
Vulva City”.
La prima volta che vidi Irv Brecher fare un discorso dal vivo fu in
occasione della festa per l’ottantacinquesimo compleanno del suo compare
Jan Murray, che si tenne all’Improv, su Melrose Avenue a Hollywood.
Una dozzina di cabarettisti si contesero la possibilità di salutare
il grande Murray Janovsky, che era passato dai migliori alberghi
delle Catskills ai migliori alberghi sulla strip di Las Vegas. Jan era un
fantastico performer da nightclub e fu anche il primo comico a condurre
un gioco a premi in TV (ne fece più o meno sei, da Dollar a Second a
Treasure Hunt). Lo incontrai al funerale di Morey Amsterdam, e poi a
quello di Buddy Hackett, ed ero solito vederlo nei panni del presentatore
della L.A. Chabad Telethon, che fece per diciotto anni. Secondo Irv,
Jan e Toni Murray organizzavano la miglior cena per la Pasqua ebraica
della città. “Era una bomba! Sid Caesar si alzava in piedi e faceva le
Quattro Domande, ciascuna in un diverso stile”. Organizzai un Q&A
con Murray per una nuova divertente rivista chiamata Heeb, e non era
molto contento di questo nome.132 Nemmeno Irv.
La festa di Murray si rivelò una serata grandiosa per Brecher.
“C’era così tanta gente”, ricorda la sua deliziosa moglie, Norma. “I
muri si stavano incurvando!”
Lei si sedette nel salone di Improv, stretta al tavolo con gente del
Friar’s Club e amici hollywoodiani di Jan come Sid Caesar, Shecky
Greene, Louis Nye, Red Buttons. Comici più giovani come Jimmy Brogan
e Max Alexander salirono sul palco, e quindi, naturalmente, i più
anziani continuarono, e ancora, e ancora. Io ci andai perché Irv mi invitò.
Finalmente, a circa due ore dall’inizio dello show, Budd Friedman,
fondatore dell’Improv, lo presentò: “Il prossimo comedian che salirà
sul palco ha appena subito un’operazione agli occhi. Ha scritto innumerevoli
film negli ultimi cinquant’anni. Signore e signori, Irv Beckman!”
132 Heeb è una variazione nel gergo giovanile dell’insulto razzista hebe,
abbreviazione di ebreo. [n.d.r.]
Buttons aiutò Brecher a raggiungere il palco. Ottantasettenne, cieco
dall’occhio destro e convalescente dall’operazione che aveva cercato di
preservare la vista dell’occhio sinistro, Irv raggiunse il microfono. Si
mise il bastone sotto braccio e consultò alcuni foglietti di appunti prima
di lanciarli sul palco. Le duecento persone del pubblico non sapevano
se ridere – si stavano impietosendo? – ma l’uomo era pronto a iniziare.
[brano di un discorso di Irv]
Mi ero scritto alcuni appunti ma non riesco a leggerli.
[Risata]
Sono molto felice di essere qui con Jan, Toni e la loro splendida famiglia
allargata.
Tutti grandi performer che ho conosciuto e con cui ho lavorato. Jan
è forse il più delicato, il più gentile e cortese di tutti. E le risate che ho
sentito stasera... Penso che siano i migliori due giorni di risate della mia
vita.
[Sembra confuso]
Sì, ho appena subito un’operazione agli occhi. Mi sono reso conto di
averne bisogno quando l’altro giorno mi sono svegliato e ci vedevo così
male che non riuscivo a trovare il mio apparecchio acustico.
[Evvai!]
Comunque, mi è sembrata un’ottima idea fare questa festa vicino al
Cedars-Sinai Hospital.
Jan, congratulazioni per il tuo compleanno.
Io avevo ottantacinque anni tre operazioni fa.
E penso sia uno splendido omaggio che tutti i comici che vivono qui
abbiano voluto partecipare. Sapete, i comici vengono alle grandi celebrazioni
per farsi vedere, ma venire a un piccolo spettacolo di seconda
serata come questo... significa che Jan Murray gli offrirà la cena.
Jan, ricordo il tuo ottantesimo compleanno, invitasti molti di noi allo
Sheraton di Palm Springs. E Toni ci diceva che pensi di riportarcela per
farla riprendere dopo la dimenticabile esperienza di stasera...
Lascia che ti avverta. Palm Springs è cambiata da quando ci sei stato
l’ultima volta. E non in meglio. Era una città sonnolenta e pigra, ma ora
è diventata molto commerciale. Una grande città, tranne che per una
cosa: attrae ancora persone in cerca dell’eterna giovinezza.
Per esempio, mia moglie ed io un pomeriggio stavamo passeggiando
su Palm Drive e fummo avvicinati da una donna sui sessant’anni.
252 253
Dal modo in cui era vestita era evidentemente una prostituta. E usava
un bastone.
Disse: “Ciao ragazzone”.
Risposi: “Mi scusi, possiamo passare?”
Lei disse: “Che fretta hai? Ti andrebbe una festicciola?”
Dissi: “Sei molto sfacciata, non vedi che sono con mia moglie?”
E lei: “Possiamo fare una cosa a tre, sono solo cinquanta dollari”.
Dissi: “Niente da fare, mia moglie non mi darà mai tutti quei soldi”.
E ce ne andammo.
Il giorno dopo ero da solo. E lei non si fece vedere.
Avevo bisogno di rilassarmi, così entrai in un caffè e presi una bibita
fresca.
Ero seduto al bancone, quando da chissà dove saltò fuori un giovane
uomo dall’aspetto equivoco, e venne verso di me. Disse: “Signore, non
la conosco e lei non mi conosce, ma lei ha l’aspetto di un intelligente
uomo d’affari e io ho una proposta da non perdere”.
Era seccante.
Dissi: “Non sono interessato, voglio solo finire il mio drink”.
Ma lui era testardo.
“Da come è vestito intuisco che lei è una persona facoltosa e sono
sicuro che lei sia abbastanza intelligente per riconoscere un’occasione”.
Mi stava facendo impazzire. “Quale occasione?”
Disse: “Una cripta cimiteriale. Al Palm Springs Memorial Garden”.
“Una cripta?”, stavo praticamente urlando. “Ma è pazzo? Non vivo
nemmeno a Palm Springs, vengo qui solo due settimane all’anno!”
“Perfetto”, disse. “Questa è in multiproprietà! Passa un paio di settimane
in inverno nella cripta di Palm Springs. Se ha parenti a New York
da andare a trovare, la mandiamo là via nave. O in qualsiasi altro posto
scelga. Il prossimo anno abbiamo in programma una crociera...”
Dissi: “Senti, figlio di puttana, devi essere fuori di testa”.
Disse: “È un affare, solo tremila dollari”.
Dissi: “So di essere vecchio, ma essere vecchio non implica necessariamente
essere scemo. Stai insultando la mia intelligenza”.
L’ho avuta per duemila.
[fine brano]
Dalle risate e dagli applausi che salutarono l’esibizione era evidente
che Irv li aveva annichiliti. Una coppia di miei amici, comici di professione,
andarono da lui per dirgli quanto fosse loro piaciuta.
“Irv”, disse uno. “Mi è piaciuta la tua storia sulla cripta. Pensavo che
stessi per dire che era una «multiproprietà tombale», invece che una
«multiproprietà»”.
“No”, disse lui.
“Puoi usarla se ti va”, disse. “Multiproprietà tombale”.
“Mai fare una battuta su una battuta”, ribattè Irv. “La multiproprietà
è un concetto che le persone colgono al volo. Se inizi a farli riflettere,
la battuta si perde”.
Più tardi, Irv ci stava dicendo come Jan fosse uno dei migliori “comici
aneddotici” di sempre e “un degno avversario per il suo grande amico,
un altro brillante affabulatore, Danny Thomas. Per vostra informazione,
questi due erano i migliori alla lunga. I pezzi grossi. Erano nella storia”.
Nel frattempo, Norma esclamò: “Tutti questi giovani continuano
a corrergli dietro”, ci disse con orgoglio affettuoso. “Come l’ultimo,
come si chiama quel giovane comico?”
“Vinnie”, disse Irv.
“Vinnie”, annuì. “Era ai piedi di Irv. Ed era divertente, un comico
divertente”.
“Riceveva urla di approvazione”, disse Irv.
“Ma penso che il più interessante”, continuò lei, “fosse Saul Turteltaub”.
Turteltaub, un produttore per il cinema e la TV, sottolineò: “È un gigante
del nostro settore, come mai non lo conosco?”
“È molto carino”, disse Irv.
Brecher disse che non gli piaceva molto il luogo in cui si erano ritrovati.
“È opprimente, scuro e squallido”.
Norma disse che Irv è un brontolone di natura, ma che in realtà è un
bonaccione.
“Bene”, e diede di gomito al marito. “Il proprietario ha detto che se
dovessi volere un ingaggio sei sempre il benvenuto”.
“È quello che mi serve”, disse Brecher.
254 255
Ma in un lampo, dopo aver visto Friedman, il proprietario dell’Improv,
a un tavolo di distanza, gli urlò: “Ragazzo! Potrei anche accettare,
ma se mi presenterai un’altra volta, almeno usa il MIO nome”.
Friedman sembrò perplesso.
“E fanculo Beckman!”
La settimana dopo, la rubrica di Army Archerd su Variety diceva:
“I giganti della comicità erano tutti riuniti per il compleanno di Jan
Murray per dare tutto e dire tutto. Buddy, Shecky, Sid, Red Button si
sono sbellicati dalle risate. Gli ospiti di Toni Murray includevano il comico
Tom Poston, la moglie Suzanne Pleshette, Carl Reiner, Cyd Charisse,
Tony Martin, Monty Hall e Nanette Fabray. Il veterano degli autori,
Irving Brecher, ha osservato che è stato saggio organizzare l’evento
all’Hollywood Improv, vicino al Cedars-Sinai. Brecher ha osservato
che lui aveva ottantacinque anni “tre operazioni fa”.
BRECHER LIVE AT CEDARS
Nel corso degli anni passati al seguito di Brecher durante le sue
performance, registrando o trascrivendo spasmodicamente le battute
del mio amico dalla mente vulcanica, l’ho osservato in diversi
ambiti: a casa sua e al suo club, naturalmente, ma anche al Directors
Guild, al Writers Guild, all’Hollywood Arclight Cinema, al
Los Angeles County Museum of Art, al Jules Stine Eye Institute
della UCLA, al Westside Pavilion, al cimitero di Hillside, al Langer’s
Deli, allo Shanghai Grill. Dopo dozzine di registrazioni, posso
dire che fosse la prima volta che assistevo a una sua performance
in un ospedale.
Immagino di potermi ritenere fortunato, dato che la prima volta
che ho messo piede al Cedars-Sinai Hospital è stato per assistere a
uno spettacolo comico. Nell’ottobre 2006, Brecher fu invitato da
Fred Kahn – che era stato il suo medico e ormai era in pensione
– a presenziare con un discorso alla cena mensile della “Doctors
Emeritus Society”. Sarebbero stati presenti medici in pensione che
avevano lavorato nel corso di tutta la loro carriera al Cedars, il celebre
centro medico di Beverly Hills, appena fuori George Burns
Boulevard. Quando citai la famosa battuta di S.J. Perelman: “Non
so nulla di medicina, ma so cosa mi piace”, Irv ribattè: “Con tutta
che odio gli ospedali, farò il mio dovere”.
“Quando iniziamo?”
“Quando tutti smetteranno di alzarsi a prendere altra roba”, disse
il dottor Kahn.
Eravamo seduti a un tavolo insieme a otto membri della Society,
più Norma e Fred, nella Harvey Morse Room, una sala conferenze al
Cedars. C’erano altri dieci tavoli come il nostro, e la metà dei posti
erano occupati da anziani medici che si servivano di bastoncini di
pesce e biscotti d’avena dal buffet freddo. Fred ci disse che i presenti
erano abituati ad ascoltare conferenze su temi come dolore e
urologia, o al massimo, qualche biologo marino veniva a raccontare
storie su Darwin. Mi chiedevo come avrebbero reagito a un tizio che
racconta storie su Harpo Marx che gioca a golf senza pantaloni.
“Qualcuno verrà a portare e riprendere i piatti mentre parlo?”, chiese
Irv. “Perché se c’è gente che gira in continuazione così me ne
vado”.
“Rimani, Irv”, rispose Fred. “Nessuno farà niente, e poi, è un buffet”.
La coordinatrice degli Emeritus, Sylvia Stern, andò da Irv per dirgli
che non aveva mai visto così tanta gente e menzionò la presenza
in sala di “famosi urologi”. Mentre lei presentava Irv, entrai nella
stanza. La Harvey Morse è grande come la palestra di una scuola,
e riporta una scritta lungo tutta la lunghezza dei muri con “gli ebrei
importanti nella storia della medicina”. Comincia da un gigantesco
Mosè in atteggiamento composto e continua passando per premi Nobel
e inventori di medicine miracolose. Mi appuntai i nomi di donne
di successo di cui avrei voluto sentir parlare ai tempi della scuola:
Rosalyn Yalow, Rita Levi-Montalcini, Gertrude Elion, Gerty Coro.
Quindi mi rivolsi a Irv.
“Quale pensi che sia il tuo contributo di ebreo alla medicina?”
“I soldi che spendo al supermercato”.
Era sufficiente come riscaldamento per Irv the Nerve. Ogni volta
che assistevo a un suo discorso, anche se era ansioso, faceva ridere il
pubblico restando impassibile, senza mai ridere alle sue battute. Ma
ora che aveva perso così tanto la vista appariva ancora più sulle spine.
256 257
“Irv, Irv!”
Guardò nella direzione da cui veniva il suono. “Chi è? Sei Jan?”
Jan Murray era arrivato insieme a un suo amico, il dottor Jack Matloff.
“Come stai, Jan?”, chiese Irv.
“Sto bene, me ne sono andato tre giorni fa”.
Jan mi racconta che è pazzesco per lui vedere il suo amico esibirsi, lui
ha visto Irv “in azione per trenta, quarant’anni”.
Jan ormai non fa più i suoi garbati pezzi da nightclub. Una grave asma
lo ha allontanato dalle luci della ribalta, dice. “Per circa dieci minuti sto
bene, poi però comincio ad ansimare. Non puoi chiedere al pubblico
di pagare per vedere un vecchio ebreo che boccheggia, non è carino”.
Quando gli dico che penso che Irv sia nervoso, Jan dice che per ridere
“farà a Irv quello che Milton Berle faceva a me: sedersi davanti,
in prima fila. Quando mi esibivo a New York, venivo fuori e vedevo
Berle seduto lì e avrei voluto morire dalla tensione. Ero un ragazzino!
E lì c’era un tizio proprio di fronte a me che sapevo che conosceva ogni
battuta. Che sapeva tutto! E invece di preoccuparmi del pubblico finivo
a preoccuparmi di quel tizio”.
Mentre Fred Kahn, sul podio, presentava Brecher, Jan mi fece un
cenno con la mano, sussurrando forte: “Di cosa si preoccupa Irv? Li
ucciderà tutti di sicuro”.
“Il suo amico Groucho Marx lo ha definito ‘l’ultimo guitto di Hollywood’,
e come avete potuto vedere sulla brochure che vi abbiamo
inviato a casa, si è esibito per il Friar’s Club, all’Hillcrest e in occasione
di importanti raccolte di fondi... è con grande piacere che chiedo a Irv
Brecher di raggiungermi sul palco”.
Norma ed io lo aiutammo a districare la sua giacca sportiva dalla sedia,
e Irv si avviò usando il suo deambulatore a quattro ruote – Norma lo
chiamava “la Rolls” – per percorrere la decina di metri che lo separava
dal leggio. Ci mise un tempo che mi sembrò infinito, e l’applauso era
scemato, ma Irv prese posto fieramente, come un cavallo al cancelletto
di partenza del Santa Anita. Appoggiandosi al leggio per riposare, tirò
fuori alcuni fogli di appunti e si schiarì la voce due volte.
[brano di un discorso di Irv]
È la prima volta che vado dal dottore e sono io a farlo aspettare.
[Nessuna reazione. Strano. In tutte le esibizioni a cui avevo assistito
c’era sempre stata una risata iniziale.]
Non è la prima volta che vengo in questo ospedale. Oggi sono felice
di poter usare un deambulatore, la scorsa volta ero su una carrozzina.
[Silenzio. Forse i medici in pensione non lo sentono? Comunque, anche
se tutto ciò è sorprendente, Irv sembra non farci caso.]
Ho la più grande stima per i medici. In particolare sono grato al dottor
Kahn, che si è preso cura di me per oltre cinquant’anni. Se non fosse
stato per le sue capacità non sarei qui oggi.
Sapete, io non guido.
È lui che mi ha portato qui.
[Una o due risatine, di cui una da parte di Norma. Io rido tra me e me
perché Irv sta cercando disperatamente di sbirciare i suoi appunti, il che
sballa tutti i suoi tempi.]
Ma il mondo è cambiato. I dottori tengono davvero ai loro pazienti.
Ricordo i tempi in cui tu chiamavi un dottore e lui arrivava nel giro di
pochi minuti. La nuova generazione di medici è troppo occupata, devono
aspettare che il meccanico faccia partire la loro Mercedes in modo
da arrivare al campo da golf in tempo per la partita.
[Una singola risata fragorosa prorompe. Viene da Jan Murray. Improvvisamente,
provo una sensazione che mi spezza il cuore: è l’ultima
esibizione di Brecher.]
So che siete lì. Sento il respiro. Ma forse è il mio...
[Il suo viso si avvicina al microfono e il suono si distorce.]
Questa è la sala Harvey Moore o l’obitorio Harvey Moore!!
[Tutti quelli dell’Emeritus Society lo fissano. Sembrano ascoltare diligentemente,
almeno quelli che sono ancora svegli.]
Volevo ringraziarvi per la calda accoglienza che avevate pensato di
riservarmi.
Ma mi sembra proprio che abbiate cambiato idea.
[Godendosi il suo momento di rabbia, Irv ormai è lanciato.]
Ma io ho un grande apprezzamento, soprattutto per voi che siete raccolti
qui.
So che siete tutti in pensione e per questo vi ringrazio.
Andando in pensione, avete certamente risparmiato centinaia di vite.
[Grandi risate da Jan, Norma, Fred e alcune persone comuni lì presenti.]
Fred? Fred, vorrei ringraziarti per avermi invitato.
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È la prima volta che assisto a una veglia funebre ebraica.
Comunque, se qualcuno volesse sentire un po’ della roba che ho fatto,
può chiamarmi.
Vi leggerò qualcosa al telefono.
[Alcune risate e applausi. In dieci minuti è tutto finito.]
[fine brano]
“È andata molto bene”, disse il dottor Kahn dopo aver riaccompagnato
Irv dalla pedana. “Si sono molto divertiti”.
“Non è affatto vero”, rispose Irv. “Erano mezzi addormentati. E mezzi
senili”.
Fred disse a Irv che i membri della Emeritus Society avrebbero dimenticato
tutto ciò che era accaduto prima del prossimo meeting.
“Ahaa”, commentò Irv. “La cosa migliore del parlare a un pubblico
del genere dopo aver lavorato sul discorso per una settimana è che puoi
riutilizzare il materiale la volta successiva”.
Jan Murray arrivò con un gran sorriso.
“Jan”, disse Irv. “Quello non era un pubblico, era una giuria!”
“No, no”, disse Jan. “Non volevo dirtelo, non volevo renderti nervoso”.
“Dirmi cosa?”
“Se tu avessi avuto quattro dottori in un pubblico normale, si sarebbero
messi a urlare. Ma un’intera sala di medici? Niente da fare, un’intera
sala di avvocati, o di contabili, niente da fare”.
Irv inclinò la testa e disse: “Penso che tu abbia ragione, Jan”.
“Lo so che ho ragione. Quando sono tutti dello stesso tipo non capiscono
niente”.
“Hai assolutamente ragione”.
“Ho sessantacinque anni di esperienza in cose del genere, ragazzo”.
“Ahah”.
“Quando lavoravo in teatri giganteschi, li ammazzavo tutte le sere, li
massacravo. Ma alle convention a Palm Springs, ogni volta che c’era
un gruppo omogeneo, era un fiasco. Non raccoglievo una fottuta risata.
Credo che volessero essere pagati per il tempo che perdevano. Lo stesso
degli schmuck di oggi. Irv, non mi preoccuperei di questo, solo, non
esibirti più per questo genere di pubblico”.
“Se me lo dici ora”.
Andando via, chiesi a Jan se si era mai esibito al Cedars-Sinai.
Disse: “Sai in quante sale mi sono esibito in sessantacinque anni?
Pensi che potrei ricordarmi se mi sono esibito qui? Mi ricordo il pronto
soccorso di qui, quello sì”.
“Non sarei mai dovuto venire al Cedars”, disse Irv, ancora infuriato
quando ci fermammo al Junior per mangiare qualcosa. “Non ridono a
meno che siano rimborsati da Medicare”.
Geniale.
Dissi: “Accidenti, e io che pensavo che fosse un buon segno il fatto
di aver trovato parcheggio subito fuori dall’ospedale, in George Burns
Boulevard!”
“Beh, è ok”, Brecher mi incenerì come sempre. “Gente come George
Burns lo sapevano bene, dobbiamo fottutamente morire ed è meglio
almeno tirarne fuori qualcosa di divertente”.
Jac k Benny poliziotto a cavallo
HANK: Irv, sembravi piuttosto nervoso prima del discorso al Cedars.
IRV: Nervosissimo, come sempre. Ma dopo aver fatto un discorso mi
sento euforico. E sollevato. Dopo è una splendida sensazione, e anche
quando senti le risate... ma appena prima, sono terribilmente nervoso.
Non credo che cambierò mai. Jack Benny mi confessò che lui tremava
ogni volta che saliva sul palco. E ci salì migliaia di volte.
HANK: Adoro Jack Benny. I miei genitori lo adoravano e penso che
i miei nonni lo abbiano adorato prima di loro.
IRV: Il più dolce e modesto degli uomini, e una grandissima star.
HANK: Lo nominavamo nei nostri giochi di bambini. Dicevamo:
“Vuoi un penny? Vai a baciare Jack Benny!”
IRV: Davvero?
HANK: Dove vi siete incontrati?
IRV: Non ci siamo baciati.
HANK: Non ho capito quale sia la battuta ora...
IRV: Incontrai Jack per la prima volta a New York, a Broadway,
quando ancora non avevo sfondato. Fu Milton Berle a presentarci. Era
fuori dal ristorante Lindy e io vivevo alla giornata, cercando di scrivere
per il vaudeville. Per ogni spettacolo erano dieci dollari, e ce n’erano
parecchi allora.
260 261
Ero intimidito quando lo incontrai perché quello di scrivere per il Jell-
O Hour di Jack Benny era uno dei miei sogni. Mi lasciai sfuggire quanto
adorassi il suo show radiofonico. Fu molto gentile. Berle gli disse che io
avevo scritto delle cose per lui e Jack annuì e se ne andò per la sua strada.
HANK: E quindi tu entrasti da Lindy con Milton e Henny Youngman
arrivò con della carne in scatola nascosta in tasca.
IRV: No, ma io cercavo – quando potevo – di farmi vedere con Berle
perché questo poteva fare colpo sugli autori di vaudeville che giravano
al Lindy. Il solo fatto di essere lì garantiva loro – o almeno loro lo speravano
– la possibilità di far parte dell’ambiente.
HANK: Era il 1935?
IRV: 1934, 1935.
HANK: 1936?
IRV: 1934. Fu dopo quattro anni che incontrai di nuovo Jack Benny
a Los Angeles. Ero appena stato ingaggiato per la MGM da Mervyn
LeRoy, dopo aver lavorato per un po’ a Il Mago di Oz, credo di avertene
parlato. La MGM aveva uno show radiofonico.
HANK: MGM Good News. Al Metro. 1938.
IRV: Il produttore L.K. Sidney voleva che io scrivessi un contributo
settimanale e mi venne un colpo quando disse che Jack Benny avrebbe
partecipato alla puntata successiva. Scrissi un pezzo di dieci minuti in
cui Jack avrebbe dovuto parlare di musica con Meredith Willson, il direttore
d’orchestra dello show e un’ottima spalla. Ottenni un sacco di risate,
soprattutto quando Benny si vantava delle sue qualità di violinista
ridicolizzando la mancanza di talento di virtuosi come Yehudi Menuhin
o Jascha Heifetz...
HANK: Irv, secondo te, come mai così tanti dei migliori violinisti
erano ebrei?
IRV: Chi lo sa. In Europa, gli ebrei potevano essere vittime di pogrom
e ridotti alla fame ma credevano nell’importanza dell’educazione dei
figli. E alcuni di loro sognavano di diventare musicisti.
Comunque, quando lo show finì, Benny venne da me, mi mise una
mano sulla spalla e con la sua modestia sincera mi ringraziò, e io ne fui
elettrizzato perché per me lui era di gran lunga la punta di diamante del
settore.
Qualche giorno dopo ricevetti un pacchetto dalla Dunhill. C’erano
un biglietto e un accendino Huckster. Roba massiccia, in oro. Inciso
sulla parte superiore c’era “Per Irv da Jack”. Ne fui così entusiasta che
iniziai a fumare. Penso che scelse questo tipo di regalo perché a quei
tempi sembrava che tutti fumassero sigarette. Ma prima che io potessi
prendermi un cancro ai polmoni, Groucho mi convinse a passare ai
sigari. La sua teoria era: le sigarette uccidono, fuma sigari. Nessuno è
mai morto a causa dell’alitosi, la cosa peggiore che ti può capitare è di
perdere tutti gli amici.
HANK: Perché l’accendino si chiamava Huckster?
IRV: Era semplicemente il nome di un tizio che su Madison Avenue
vendeva accendini costosi. Penso che allora costassero sui 160 dollari.
HANK: Puoi dirmi qualcos’altro su Jack Benny?
IRV: Forse il miglior indicatore del suo carattere e del suo comportamento
quando era la star numero uno della radio è l’opinione che ne
aveva il suo staff di autori: lo adoravano.
HANK: I famosi “bimbi nel corridoio”, come erano definiti.
IRV: Non erano affatto bimbi, erano uomini, e lui riconosceva il loro
valore ed era molto generoso in quanto a soldi.
HANK: Ma tu non arrivasti a essere un autore di un suo show radiofonico?
IRV: Stavo già facendo film. In effetti, lo piazzai in Qualcuno Mi
Ama, che diressi nel 1952. Jack Benny era dentro e sopra tutto. Fece
piccole parti ovunque perché non stava a guardare i soldi, lo faceva
semplicemente per fare un favore agli amici. In Qualcuno Mi Ama, suonò
un po’ il violino, disse un paio di battute e fu adorabile.
HANK: È interessante il fatto che quel film parli dei giorni del vaudeville.
Blossom Seeley...
IRV: Non mi importa quello.
Una sera, qualche tempo dopo, mi chiamò:
“Irv, che programmi hai per i prossimi dieci giorni?”
“Nessuno, direi, Jack”.
“Per me è lo stesso. Faresti un viaggetto? Tua moglie ti lascerebbe
partire?”
“Penso di sì, io le piaccio, ma tu di più”.
Disse che voleva fare un viaggio in macchina su alla Sierra. Quindi,
il giorno dopo passò a prendermi sulla sua lunga Cadillac convertibile
marrone. Ricordo che aveva abbassato la capotte e io infilai la mia
valigia e le mazze da golf sul retro e lui disse: “Attento ai sigari”, con
finta preoccupazione. Aveva una grossa scatola di sigari Avana di contrabbando.
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HANK: Come Ernie Kovacs, sempre con gli Avana, come una coperta
di Linus.
IRV: I grandi attori erano tutti stregati dai sigari buoni, quelli grossi.
Groucho, Jack, Berle, Kovacs, Burns e Danny Thomas. Probabilmente
amavano fumarli, ma soprattutto ne avevano bisogno per avere qualcosa
da tenere in mano, un appoggio immaginario durante le loro performance.
HANK: Dimmi qualcosa sull’andare in giro con Benny Kubelsky!
IRV: Jack amava guidare. E non era un tipo troppo loquace. A convincermi
ulteriormente del fatto che lui fosse l’attore meno concentrato
su se stesso che conoscevo fu il fatto che parlava raramente di sé, il
passato, il futuro. Parlammo di baseball e di golf, di come fosse difficile
trovare un ristorante che facesse un caffè davvero buono, o quanto lui
ammirasse altre persone.
Quando arrivammo al lago Tahoe, ricevemmo una buona accoglienza
perché lui si era esibito lì. Ci assegnarono un bungalow al Cal-Neva
Lodge. Betty Hutton si esibiva lì. Avevo appena finito di dirigerla in
Qualcuno Mi Ama e andammo a vedere il suo show, cosa che le diede la
possibilità di dire al pubblico che Jack Benny era con loro quel giorno.
Jack preferiva restare tra il pubblico senza farsi notare, non cercava
mai attenzione a tutti i costi. A differenza di altri attori, lui aveva sempre
il massimo rispetto per il talento degli altri. Era una sorta di naif,
aveva una dolce semplicità. Se dicevo qualcosa che lui trovava divertente
rideva come un bambino, e secondo George Burns, che lo buttava
sempre giù, era un sempliciotto.
Dal lago Tahoe andammo a Reno, dove giocammo un po’. Jack non
era come Chico Marx. Non gli importava molto del gioco d’azzardo.
Jack era un appassionato di golf, anche se non era un giocatore particolarmente
abile. Io me la cavicchiavo, ma il golf non mi piaceva affatto.
Se ero in buona compagnia allora facevo finta di divertirmi. Giocammo
ancora un po’ e fu tempo di rientrare. Jack doveva cominciare la nuova
stagione del suo show radiofonico e io ero ansioso di tornare da mia
moglie e dai miei bambini e di non giocare più a golf.
Passammo da un piccolo paese di montagna con un lago famoso per
la pesca, il lago June. Finalmente avevamo la possibilità di divertirci
un po’. Entrammo in un caffè per pranzare e improvvisamente, mentre
eravamo seduti, sentii pronunciare il mio nome. Mi girai e vidi Al
Shinberg, un aiuto regista che avevo conosciuto alla MGM. Mi disse
che Mervyn LeRoy stava girando un film a tre chilometri da lì, vicino
al lago Mammoth. Era il remake di un musical chiamato Rose Marie.
Era quello di cui Jack aveva bisogno.
“Facciamo un salto da Mervyn”, disse. Lui e LeRoy erano amici.
Al disse che stavano per girare una scena importante: “Abbiamo centinaia
di comparse truccate da indiani e Jeanette MacDonald e Nelson
Eddy sono in grossi guai”.
Al, su suggerimento di Jack, ci fece vestire da poliziotti a cavallo
canadesi con uniformi che ci stavano a malapena. Ci trovò due cavalli
stanchi e vecchissimi e ci guidò in mezzo alla vegetazione fino a una
radura da cui potevamo vedere lo spettacolo di migliaia di finti indiani
che brandivano arco e frecce con le insegne di guerra dipinte sul viso.
Avanzammo con i nostri ronzini e ci nascondemmo dietro un albero
al limitare della radura. A una distanza di circa cento metri potevamo
vedere una figura che doveva essere quella di LeRoy, era troppo lontana
per riconoscerla con certezza, e dunque anche lui non avrebbe potuto
riconoscerci.
Stava urlando in un megafono, dando gli ultimi dettagli.
“Nessuno si muova di un centimetro fino a che non lo dico io! Quando
dico «azione» fate esattamente come vi ho detto nelle prove. Mr.
Eddy e Miss MacDonald arriveranno a cavallo verso la macchina da
presa e voi inizierete ad avanzare verso di loro. Ora fermi... aspettate...”
Nessuno si mosse.
Eccetto Benny ed io. Spronammo i nostri cavalli in avanti. Alcuni
indiani si allontanarono – non erano poi così coraggiosi – e i cavalli
continuarono ad arrancare attraverso la radura.
“TAGLIA!”, urlò LeRoy. “Cosa diavolo sono questi cavalli? Fateli
uscire! Fateli uscire!”
Tutti si fermarono, ma noi continuammo ad avanzare.
Benny gli urlò: “Moiven! Moiven!”
Improvvisamente, Mervyn ci riconobbe. La sua rabbia si trasformò in
ilarità mentre Benny scendeva dal cavallo. Io quasi caddi dal mio, non
sono mai stato bravo a mantenere la giusta espressione nel corso di un
rosey. Raggiungemmo l’ometto e fu un felice incontro. Ma dovevamo
farla breve, perché la MGM stava spendendo cinquemila dollari per
quell’interludio di tre minuti.
Ce ne andammo a piedi.
HANK: Ora devi spiegare ai lettori cos’è un rosey.
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IRV: Un rosey è una burla, uno scherzo, una beffa.
HANK: Ottimo rosey.
IRV: Ahah, lo è stato. Ti faccio un esempio di quanto fosse bambinesco
Jack Benny quando gli piaceva qualcosa, caratteristica che ho
trovato insolita rispetto a tutti gli uomini che conosco. Tornando a casa,
percorremmo una sgangherata stradina a una corsia perché lui aveva
visto un cartello che diceva OTTIMO CIBO.
“Assaggiamone un po’”, aveva detto.
Dietro un distributore di benzina con una sola pompa c’era un vecchio
bar consunto dal tempo e dal puzzo di fritto. Dentro c’era un uomo
con un cappellino della Texaco che girava hamburger su una piastra
mentre il grasso sfrigolava.
“Prendo un hamburger”, disse Jack allo chef.
“Sissignore. Hamburger?”, disse rivolto a me.
“No, grazie”, dissi. “Ho appena mangiato del pollo per pranzo”.
L’odore nauseante – credo fosse olio motore Valvoline – mi spinse a
uscire e a sedermi in macchina. Pochi minuti dopo, il comico numero
uno in America uscì addentando un panino e dicendo tutto convinto:
“Questo è il miglior hamburger che io abbia mai mangiato!”
“Jack”, dissi. “Perché non organizzi la tua festa di capodanno qui?”
Jack era una persona che amava ridere, quasi si strozzò.
Non mi ricordo esattamente dove sia questo posto, quindi purtroppo
non posso raccomandarvelo.
L’unica volta che ho sentito Jack Benny lamentarsi di qualcosa era
riguardo al caffè dell’Hillcrest. Non riusciva a capire come potessero
spendere migliaia di dollari per una nuova cucina ma non riuscissero a
fare un caffè decente. Ricevetti una cartolina da Toronto, una volta che
lui era andato ad esibirsi lassù. “Caro Irv, finalmente una buona tazza
di caffè! Baci, Jack”.
Quando morì, nel 1974, la perdita per me fu immensa. Poi sentii sua
figlia Joan, disse che aveva dato un’occhiata alle carte sulla scrivania di
suo padre e aveva trovato un foglio con delle note, su cui c’era anche il
mio nome. Sembrava che ci fosse scritta una sorta di battuta finale e mi
chiese se io conoscessi il resto della storia.
Le raccontai del giorno in cui Jack ed io eravamo andati all’Hillcrest.
Uscendo, mentre aspettavamo le nostre auto, Jack notò qualcosa, due
strane strisce bianche in cielo.
“Sono scie di aerei?”, chiese.
“Credo di sì”, risposi.
“Non è incredibile”, disse Jack. “Quegli aerei devono volare a diecimila
metri dal suolo. Mio Dio, è davvero in alto!”
“Sì”, dissi. “Nemmeno gli uccelli volano così in alto, e quello è il loro
lavoro”.
Jack se ne andò, davvero abbattuto.
Questo è ciò che Joan aveva trovato tra i fogli sul tavolo di suo padre.
Solo quella battuta.
LUNA DI MIELE CON AMICI
[Brecher, aiutando la moglie Norma a fare la zuppa d’orzo]
“Servono più spezie”.
“Più timo?”
“Un paio d’anni direi”.133
Alla vigilia del capodanno ebraico, quello del 5767,134 Irv mi telefona
e lascia una barzelletta sulla mia segreteria telefonica. “Una ragazza sta
lasciando il suo college alla moda sulla East Coast per far visita a casa.
La sua coinquilina le chiede come mai debba rientrare e lei risponde
che è assolutamente necessario, perché «è una festa importante e suoneremo
lo shofar». E la coinquilina risponde: «Voi ebrei siete così carini
quando c’è da aiutare a fare le pulizie»”.135
E a proposito di barzellette ebraiche, poco tempo fa ho trovato un
nastro in una scatola nella camera da letto di Irv. L’etichetta diceva:
NORMA-IRV-MATRIMONIO 20 LUGLIO ‘83.
133 Nell’originale, gioco di parole basato sull’assonanza di thyme, “timo” e time,
“tempo”. [n.d.t.]
134 L’anno 5767 del calendario ebraico è iniziato il 23 settembre 2006. [n.d.t.]
135 La battuta si regge su un malinteso: la ragazza ebrea dice we blow the shofar,
cioè, “suoneremo lo shofar”, una sorta di corno, mentre la coinquilina capisce we
buff the sofa, cioè “puliremo il divano”. [n.d.t.]
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Irv disse di metterla su. Dopo averla sentita, gli chiesi il permesso di
trascriverla subito. Nel mio ruolo di archivista mi sentii di informarlo
che quello era materiale storico, e che quel documento apparteneva al
Museo della Comicità. (Comunque, in mancanza di questa istituzione –
che si spera sia costituita presto o tardi – l’audio è disponibile online.) Il
nastro del matrimonio consiste nelle esibizioni di Danny Thomas, Milton
Berle, George Burns e Red Button che sbraitano nel microfono – e
in Brecher che fa confusione tra questi pezzi grossi – per intrattenere i
circa cinquanta ospiti punzecchiando Irv, raccontando aneddoti yiddish
e due o tre delle migliori barzellette più sporche di sempre. (Trascrizioni
disponibili a discrezione di Irv.)
HANK: Più ti conosco più sono invidioso delle tue straordinarie amicizie.
IRV: Vuoi sapere qualcosa sugli amici? Ecco cosa fanno gli amici
per te. Quando iniziai a vedere Norma, nel 1980, George Burns era
già un uomo piuttosto anziano, sugli ottantacinque. Cenavamo spesso
insieme. Norma gli piaceva molto e iniziò a insistere con lei perché mi
sposasse, cosa che effettivamente io desideravo. Dopo molte battute di
incoraggiamento rivolte a Norma nel corso di varie cene, lei era ancora
piuttosto freddina sull’argomento, così George divenne più insistente.
“Norma, sposa questo ragazzo”, diceva. “Ha un grande futuro come
marito”.
“Beh, non sono sicura”, disse lei. “Irv mi piace molto, insieme stiamo
bene, è davvero molto divertente. Ma non sono sicura”.
Burns si rivolse a me e mi disse, con lei ancora lì: “Ascolta, ragazzo,
tu insisti finché lei accetta, prepara tutti i documenti e io sarò il tuo testimone.
Sarò in tiro per te. Cioè, tranne il mio uccellino, chiaramente”.
In realtà, il mio testimone fu il mio migliore amico, Edward Marx. A
quel tempo, Eddie si occupava di questioni finanziarie nella realizzazione
di grandi progetti come il Los Angeles Forum per i Lakers oppure
hotel a Palm Springs e Las Vegas e, sfortunatamente per me, era anche
il miglior giocatore di gin rummy a due mani in cui sia mai incappato.
HANK: Bene, ora che abbiamo parlato del matrimonio, cosa mi racconti
della luna di miele?
IRV: Andammo a New York e ci fermammo al Lotos Club di cui io
ero socio. Si trovava in un vecchio palazzo proprio oltre la Fifth Avenue,
sulla Sessantaseiesima. Mark Twain fu tra i suoi fondatori, ora i
suoi membri sono principalmente avvocati, insegnanti e politici. Nixon
ne faceva parte. Comunque, la parte migliore della luna di miele di cui
mi sento di parlare in pubblico fu il tempo che passammo con una meravigliosa
coppia a cui io e la mia precedente moglie Eve ci eravamo
affezionati quando l’avevamo conosciuta alla MGM: Frances Goodrich
e Albert Hackett. Erano tra i migliori sceneggiatori – Sette Spose per
Sette Fratelli,136 La Vita È Meravigliosa, L’Uomo Ombra – ma raggiunsero
la notorietà con il dramma Il Diario di Anna Frank.137
Quando li chiamai per avvisarli che ero in città con Norma, Frances ci
invitò a pranzo in un posto piuttosto soffocante nell’East Side, il Colony
Club. (Non sembrava esattamente il posto per una grande sceneggiatrice:
Frances era una prima donna, alta, indossava guanti bianchi e discendeva
dalla famiglia degli pneumatici Goodrich.) Ero molto nervoso
perché France ed Eve erano molto vicine e speravo che Norma sarebbe
piaciuta a Frances.
Dopo le presentazioni al tavolo, mentre Norma parlava con Albert,
Frances la osservava. Quindi si rivolse verso di me e annuì, si avvicinò e
sussurrò: “Caro, Eve avrebbe approvato. E ora mangia la tua minestra”.
Dopo quel pranzo, gli Hacketts ci invitarono a cena – “solo noi quattro”
– a casa loro. Una settimana dopo, quando Norma ed io arrivammo
al loro appartamento su Central Park West, il portiere, vestito come
un ammiraglio, ci indirizzò verso l’ascensore. La cena solo-noi-quattro
risultò essere una sorta di festa a sorpresa per noi con circa trenta persone.
Norma era KO.
HANK: Dalla sorpresa.
IRV: Io ero sorpreso, e lusingato. Lei era basita. Grandi personaggi
ovunque guardassimo. Come Harold Ross, l’inflessibile proprietarioeditore
del New Yorker o Harold Rome, l’autore di pezzi come “I Can
Get it for you Wholesale”, “Fanny” e “Franklin Delano Jones”.
HANK: “Franklin Delano Jones”?
IRV: Harold Rome scrisse canzoni importanti per gli show di George
Kaufman e Moss Hart negli anni Trenta e Quaranta. C’era anche Mark
Connelly, che lavorava con Kaufman alle canzoni. C’era Paul Osborn,
autore di Sayonara. E Julius Epstein, tra gli autori di Casablanca.138 Al
Hirschfeld, il grande caricaturista che fece disegni meravigliosi per la
136 Seven Brides for Seven Brothers, regia di Stanley Donen (1954).
137 The Diary of Anne Frank, regia di George Stevens (1959)
138 Regia di Michael Curtiz (1942).
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sezione artistica domenicale del New York Times, oltre alle locandine
dei film dei Fratelli Marx e di Incontriamoci a St. Louis. Norma mi disse
che lui le diede un pizzicotto sul sedere. E non mentiva.
Hackett e Goodrich. Se ne sono andati entrambi.
Quel party è rimasto impresso nella mia memoria non solo per tutti
i personaggi interessanti che parteciparono, ma anche perché Frances
Goodrich aveva la miglior collezione di dipinti di Edward Hopper esistente.
Ovunque tu posassi gli occhi c’era un sorprendente esempio della
sua arte. Giallo, atmosfere create. Party come quello sono totalmente
diversi dalle feste che troppo spesso ho dovuto sopportare negli ultimi
venti o trent’anni. Quello – come alcuni altri a New York o Hollywood
– erano ravvivati da conversazioni serie e facete soprattutto sulla politica,
gli altri erano serate sprecate in cui i padroni di casa e gli ospiti parlavano
di soldi. I loro soldi, i tuoi soldi. Mentre dagli Hackett-Goodrich
le feste si svolgevano tra le opere di Hopper, le ultime che sono stato costretto
a frequentare si svolgevano tra altri ritratti. Di presidenti morti.
E non vedo l’ora di vedere l’immagine di George Bush sulla nuova
moneta da mezzo centesimo che il Tesoro ha deciso di coniare per celebrare
il suo servizio per il popolo. Mi chiedo se servirà a dare una mano
a Wall Street...
Irv par la di Norma
“Mia sorella ha un problema con il marito. Il problema è che è un uomo”
– Marjorie Main, Incontriamoci a Saint Louis
Circa ventisei anni dopo quella festa dagli Hackett, Brecher sta tornando
da un’altra festa. È la festa per gli ottant’anni di Norma, organizzata
dai suoi tre ragazzi. Circa cinquanta amici la festeggiano all’Hillcrest.
HANK: Come ha preso il fatto di essere diventata ottantenne?
IRV: Penso che l’abbia presa incredibilmente bene. Vedo un sacco
di donne che piangono e si disperano per gli anni che passano. Norma
non ha fatto una piega. Secondo me lei non ha davvero ottant’anni. La
sua testa e il suo aspetto sono degni di una cinquantenne. In pratica
mi fa sembrare più vecchio di lei di quarantaquattro anni. Mi sento un
insidiatore di culle. Anche se nel nostro caso di stratta di letti elettrici.
HANK: Vorresti dire qualcosa sulla festa?
IRV: Erano tutte donne tranne me e suo figlio Michael. Michael è un
giovanotto brillante, il tipo di avvocato che personalmente ammiro. La
maggior parte degli avvocati che conosco si accontentano di svolgere la
parte più semplice del proprio lavoro. Si occupano di procedimenti di
routine, fondi fiduciari, compravendite.
Michael si occupa principalmente di cause che coinvolgono persone
fregate dalle compagnie di assicurazione o da altre grandi società. Lo
adoro. Se hai intenzione di avere un figliastro, prendine uno che assomigli
a Jimmy Stewart in Mr. Smith va a Washington.
HANK: Chi ha parlato alla festa?
IRV: Hanno parlato Michael e le figlie di Norma, Ellen e Jane.
HANK: Uhm, non hai fatto alcun intervento?
IRV: Ci ho provato.
HANK: A fare un po’ di stand-up.
IRV: O qualcosa del genere. Ho ricordato quello che provai nel momento
in cui la vidi durante un appuntamento al buio combinato da una
nostra amica comune, Mildred Bressler. Ho detto: “So che è un luogo
comune parlare di amore a prima vista, ma in realtà non si trattava di
amore. Era lussuria”. Ho detto che scoprii che se la sai maneggiare
bene, la lussuria si trasforma in amore. Che è quello che sicuramente
successe nel mio caso. Ho detto che ci siamo divertiti molto e abbiamo
avuto anche momenti tristi, come la malattia o la morte che ti ricorda
costantemente che il tempo passa. Ho detto di aver apprezzato particolarmente
i nostri viaggi insieme. I viaggi in Israele e in Europa. Le
crociere attraverso il canale di Panama. Due volte. E una crociera particolarmente
divertente in Alaska nel 1995 a vedere gli iceberg, che ora
sento dire che sono molto più piccoli, nonostante l’inflazione. Aveva ragione
Al Gore. Aveva previsto molto tempo prima quello che stava per
arrivare. Spesso mi chiedo che cosa sarebbe successo se avessero messo
Gore alla Casa Bianca invece di mettere Bush nella Casa degli Orrori.
HANK: Questo era nel tuo stand-up?
IRV: Potrebbe. E poi ho detto: “Amo Norma e poiché lei ama viaggiare,
la porto ancora a fare vacanze divertenti. Domani partiamo per
due settimane alla Costco.”139
HANK: Parlami di quel vostro primo appuntamento al buio. Era il
1980, vero?
139 Nome di una catena di supermercati statunitense. [n.d.t.]
270 271
IRV: Era una piccola festa alla quale non volevo partecipare.
HANK: Perché no?
IRV: Erano trascorse appena sette settimane dalla morte di Eve, l’8
agosto. Non volevo andare da nessuna parte. Però ci andai e incontrai
Norma. Ricordo che parlammo di pesca. A lei piaceva pescare i salmoni.
A me piaceva pescare le trote arcobaleno nel fiume Rogue, nell’Oregon.
Più tardi, la sentii dire a un amico che non credeva che questo
tizio con il quale stava parlando a cena fosse un pescatore. Mio padre
adorava pescare, era solito catturare persici nell’oceano Atlantico con
suo padre. Mio padre scriveva poesie, praticava la calligrafia, suonava
il pianoforte. L’unica cosa che non era in grado di fare era mantenersi.
Fortunatamente lo facevo io e, appena fui in grado, lo portai in California.
Pescava a Santa Monica e a volte su una barca al largo di San Diego.
Era un grande pescatore. Ma di quel party Norma era l’attrazione
principale, ricordo quanto mozzasse il fiato questa bellezza dai capelli
neri da Davenport, nello Iowa. E aveva quello che io trovo raramente
nella maggior parte delle donne, un genuino senso dell’umorismo. Molte
donne a un appuntamento si fanno un sacco di risate. Per ogni minima
sciocchezza. Credo sia una questione nervosa. Ma non Norma; lei
rideva soltanto se dicevo qualcosa che lo meritasse. E con il progredire
della serata, ero veramente intenzionato a conoscerla meglio.
HANK: Non avete parlato di cinema?
IRV: Oh, certo che sì. Era una grande esperta di cinema e attaccammo
a parlare di alcuni dei nostri film preferiti. E nessuno di noi due riusciva
a ricordare il titolo di un classico francese che entrambi amavamo.
Tutto ciò che riuscimmo a ricordare era il protagonista, Jean Gabin. A
fine serata feci la mia riluttante uscita di scena, determinato a vederla
ancora, e presto. Ero un novellino nel dare appuntamenti. Non l’ho mai
fatto. Sono stato sposato per quarantadue anni. Ero troppo timido per
chiamare, avevo bisogno di una buona ragione che mi infondesse coraggio.
Non riuscivo a togliermela dalla testa, ricordavo i suoi occhi sexy,
l’accento del Mid West e un corpo non indifferente. La notte seguente:
Bingo! Mentre ero a letto, alle dieci in punto, mi venne la folgorazione.
Chiamai l’organizzatrice della festa e le chiesi il numero di telefono
di Norma, che Mildred mi diede allegramente. Avevo le farfalle nello
stomaco mentre componevo il numero. Dopo un paio di squilli, udii
quella voce.
“Pronto”, disse.
“La Grande Illusione!”140
“Ce l’hai fatta!” disse Norma, ridendo. “Ho cercato di ricordare il
titolo di quel film ma tu mi hai battuto.”
“Ho vinto! Ora mi tocca scegliere il ristorante dove portarti a cena”.
“Non stasera. Sono a letto”.
“Meglio che non mi racconti i particolari”, dissi, “voglio poter dormire”.
La chiamai il giorno seguente. E da quel giorno, eccoci qui. Non fosse
stato per Jean Gabin, potrei essere ancora uno scapolo. Sebbene ne dubiti.
Norma mi avrebbe costretto comunque a sposarla. Conosco il tipo.
140 La Grande Illusione, regia di Jean Renoir (1937).
Qui con Norma, la mia seconda moglie e, possibilmente, l’ultima.
272 273
Norma par la di Irv
Alla prima occasione, chiesi a Norma se si ricordava che cosa di dissero
quando si incontrarono da Mildred.
NORMA: La prima volta che c’incontrammo? Pensai, ma guarda
questo sessantenne che si comporta come Harold Teen!141
HANK: Scusa?
NORMA: Oh, era una striscia a fumetti per adolescenti e un personaggio
cinematografico del passato. Non sapeva come corteggiare una
donna. Non sapeva condurre, non sapeva comportarsi, non aveva idea
di quello che faceva.
HANK: Harold Teen.
NORMA: No, Irv! Non faceva altro che seguirti fino allo sfinimento.
Ma prima, sì, Mildred Bressler ci presentò. Ero molto amica di Mildred.
Conoscevo suo marito Jerry. Produceva i film di Gidget142 e pellicole
come James Bond 007 - Casino Royale.143 Anche Irv voleva molto bene
a Jerry e fu proprio al funerale di Jerry che incontrai per la prima volta
l’uomo che sarebbe diventato mio marito. C’era gente che bisbigliava
in giro: “C’è Irv Brecher…” Pronunciò un elogio funebre che mi colpì.
Catturò l’essenza di Jerry con tanto affetto e sense of humour.
Dopo la morte di Jerry – era il 1977 – io e Mildred passammo diverso
tempo insieme. Lei andava spesso a vedere i film all’Academy. A
quel tempo alle vedove era concesso un pass. Una volta mi chiamò per
invitarmi; disse che sarebbe venuta con alcuni suoi amici, i Brecher. Ricordo
che era il 1979. In film era The Rose.144 Conobbi la moglie di Irv,
Eve, e mi piacque molto. Si interessava a me ed era molto amichevole.
A differenza di Irv. Non si ricorda di avermi incontrata quella sera…
HANK: No?
141 Personaggio di una nota comic strip per ragazzi inaugurata da Carl Ed nel 1919.
[n.d.t.]
142 Personaggio nato alla fine degli anni Cinquanta dalla fantasia dello scrittore
Frederick Kohner. Protagonista di diversi film e telefilm, in una versione televisiva
è stata interpretata da una giovanissima Sally Field. [n.d.t.]
143 Casino Royale, regia di John Huston, Val Guest, Ken Hughes, Joseph McGrath
e Robert Parrish (1967).
144 Regia di Mark Rydell.
NORMA: No, ma un anno più tardi ci incontrammo di nuovo. A
quella cena a casa di Mildred. E avemmo una conversazione sulle pesca.
Parlò lungamente dell’Oregon e io mi vantai di quanto amassi andare
a pescare con il mio ex marito nel Wisconsin del nord. Per tutto il
tempo pensai: “Quest’uomo non è mai stato su una barca”. E lui pensava:
“Questa donna non ha mai preso un pesce”. Ma entrambi ci dimostrammo
dei veri pescatori. E la prima volta che lui mi portò sul Rogue
River vicino a Grants Pass, pescai molto più pesce di lui. Il Rogue è un
fiume molto selvaggio; scorre nel mezzo di un canyon, ci sono conigli
selvatici e castori e si può sentire lo sbattere delle ali di un falco. Faceva
caldo e i pesci non abboccavano. Provammo ogni tipo di esca. Niente.
Alla fine, presi il rossetto, dipinsi di rosso l’esca e lanciai. Al primo
lancio catturai un’enorme, bellissima Iridea. Una trota.
HANK: Puoi parlarmi del vostro matrimonio, con tutti quei comedian?
NORMA: Sai, ho visto mogli di comedian alzare gli occhi al cielo
per via dei loro mariti. Sedute lì, capisci, a contorcersi sulla sedia
mentre ascoltano i soliti aneddoti. Per quanto mi riguarda, non importa
quante volte ho ascoltato le storie di Irv, sono la sua fan numero uno.
Rido sempre.
HANK: Tu hai un gran senso dell’umorismo. E apprezzi il suo.
NORMA: Sì, lo apprezzo molto, soprattutto il suo talento per i tempi
comici. Quella tecnica che ha Jack Benny che si ferma e ti guarda. Le
pause. La cadenza. Soffre quando sente qualcuno che storpia una buona
barzelletta. Lo capii subito quando ci incontrammo la prima volta, perché
mio padre era un uomo molto divertente.
HANK: Come si chiamava?
NORMA: Velvel Schneider. Zev. Che significa lupo. E poi divenne
Snyder. Aveva novant’anni quando conobbe Irv. Andammo a cena a
casa di mia sorella e io dissi: “Papà, voglio presentarti Irving Brecher”.
Disse: “Irving Brecher? Per me è OK”.
Irv era pazzo di lui. Lo amava. Al matrimonio, ricordo che mio padre
mi guardò e mi disse: “Questi sono i comedian più vecchi del mondo
che raccontano le barzellette più vecchie del mondo!” Ma dopo avreste
dovuto vederlo come ne parlava alla Shalom House.
HANK: La zona residenziale sulla Fairfax Avenue?
NORMA: Già! Si vantava tantissimo, aveva avuto l’occasione della
sua vita. Crescere con questo padre adorabile, così divertente e così
274 275
bravo, sono sicura che ha influito sull’attrazione che ho provato per Irv.
E Irv rispettava davvero lo humour di papà. E questo la dice lunga!
HANK: L’umorismo di Irv ha un lato oscuro, non credi?
NORMA: Irv ha stile, ma non in modo cattivo o tagliente. Ti dico che
cosa mi ha attirato di lui oltre al suo humour: la sua disinvoltura. Non
conosco nessuno che si conosca così bene. E non cerca mai di essere
qualcos’altro se non se stesso. È una cosa che mi piace da matti. Vuoi
sapere perché ho sposato Irv? Era divertente. Ed era così perseverante.
Fu una cosa diretta fin da subito: mi faceva la corte e faceva sul serio.
---
HANK: Ti conosco da sette anni e posso dire che fai ancora sul serio.
Puoi rivelarmi il tuo segreto? Hai avuto due matrimoni meravigliosi...
IRV: Già. Un sacco di azione interessante.
HANK: Ti riferisci al sesso?
IRV: No. Al matrimonio! Guarda, la spiegazione che giustifica il mio
successo personale nei matrimoni è, probabilmente, che sono un romantico.
Ma qualunque cosa sia, non sposarti con qualcuno se non senti
che non puoi passare il resto della tua vita senza essere sposato con lei.
Questo è il motivo per cui mi sono sposato due volte. Vale per la prima
e vale per la seconda.
HANK: Che mi dici dell’alchimia?
IRV: Non chiedertelo, non sei sposato!
HANK: “Everything’s not up to date in Vulva City”, immagino.
IRV: Ascoltami, una vagina non è la cosa migliore del mondo. Una
taglia calza tutti quanti. La cosa più importante è piacersi abbastanza
senza urtare gli altri. Autostima. Sicurezza di non farsi del male, perché
il prezzo da pagare è alto.
HANK: In un altro modo non avresti potuto goderti la vita?
IRV: In che senso?
HANK: Se non ti fossi sposato.
IRV: Così la pensavo a quel tempo. E ovviamente c’erano già stati
miliardi di matrimoni felici.
HANK: Essere divertenti aiuta?
IRV: Entrambe le mie mogli, negli oltre sessant’anni in cui sono stato
sposato, hanno sempre detto in giro che il motivo per cui sono convolate
a nozze con me è – beh – perché sono il più grande figo del mondo,
secondo solo a Little Richard. E a Tiny Tim.145
HANK: Veramente?
IRV: Le mogli sono troppo modeste per ammettere la verità. Troppo
puritane, troppo pudiche. Così dicono a tutti che il motivo è perché le
faccio ridere. È bellissimo quando, dopo una litigata rovente in cui lei
scoppia anche a piangere, le dici qualcosa che la fa sciogliere. E le lacrime
scompaiono ed entrambi scoppiate a ridere. Durante il mio primo
matrimonio, io e mia moglie stavamo litigando e secondo lei io avevo
torto marcio. Si infuriò a tal punto che disse: “Ti lascio”, e io risposi
“Per me va bene. Ma se te ne vai, io vengo con te”. Funzionò.
HANK: Che cosa hai capito da quell’episodio?
IRV: Ogni cosa influenza la tua vita. E i bisogni di qualcun altro hanno
delle ripercussioni su di te.
HANK: Perché avevate litigato?
IRV: Ho dimenticato il motivo.
HANK: Però ti ricordi la battuta finale.
IRV: La ragione per cui ricordo la storia è perché lei la raccontò tantissime
volte per divertire altre persone! Ho sentito Norma dire: “Il problema
di essere sposati con lui è che ogni volta che litighiamo e io mi
arrabbio tantissimo, lui dice qualcosa che mi demolisce e mi fa dimenticare
perché ero così furiosa”. Non è una cosa di cui prendersi il merito.
È un dono che hai oppure non hai, e devi essere molto grato se ce l’hai.
Joanna e John
“Mia figlia Joanna voleva organizzare una grande festa per il mio ottantanovesimo
compleanno. Ma le dissi di attendere un anno. Le persone
che ricevono una grande festa a ottantanove anni non pensano di
poter arrivare ai novanta”.
- Brecher sul suo compleanno nel 2003
Joanna Giallelis è una deliziosa e vivace donna sulla sessantina che
veste abiti e gioielli quasi tutti disegnati da lei stessa e vive in un’enorme
casa a Benedict Canyon con i suoi cani Bulgaria e Bear, qualche
gatto e qualche papero. Abbiamo passato insieme alcuni momenti di-
145 Cantante folk statunitense dalla bruttezza conclamata. [n.d.t.]
276 277
vertenti – lei è una persona spontaneamente amichevole, aperta e ironica
– raccontando storie di quando era una mocciosa e sedeva in grembo
all’agente di Irv (“Mi adoravano, Abe Lastfogel e tutti quei vecchi
strambi”), di quando correva su e giù per gli studi della NBC sul Sunset,
dove ogni domenica suo padre mandava in onda lo show radiofonico
The Life of Riley. Adottata dalla nascita da Eve e Irv, Joanna è cresciuta
andando a scuola insieme ai figli di Doheny e Weissmuller, Astaire, Stewart,
Bergen, Ladd e Fonda. Mi disse: “Se la tua famiglia non aveva a
che fare con Hollywood, potevi andare alla scuola cattolica”. E quando
i Brecher si trasferirono a Bel Air, l’atto di proprietà della casa di suo
padre recitava: “Niente ebrei o etiopi”.
HANK: Irv, è vera la storia di quando trovasti casa a Stone Canyon
Road?
IRV: Il terreno era a Stone Canyon. Un ettaro. Il Bel Air Country
Club era dall’altra parte della strada. Tutti quelli che potevano costruire
una casa nel quartiere avevano diritto a un’adesione gratuita al club,
tranne gli ebrei. Io ed Eve comprammo comunque il lotto di terreno per
diecimila dollari nel 1941.
HANK: Joanna dice che andare a scuola a Bel Air era fantastico.
L’astronauta Sally Ride era andata lì. E Candice Bergen. Ma c’erano
solamente tre ebrei. Uno era il figlio dell’inventore della permanente
Tony,146 un altro aveva come padre l’inventore del primo tritarifiuti. E
poi c’eravate voi.
IRV: Ahah.
HANK: Disse che avrebbe voluto frequentate la scuola d’arte ma tu
non volevi lasciarla andare a Bennington.
IRV: Perché?
HANK: Lei disse che tu più o meno dicevi cose del tipo “La figlia di
Groucho è andata a Bennington ed è venuta su lesbica!”
IRV: Non credo di aver mosso obiezioni del genere, ma potrei sbagliarmi.
Joanna ti ha parlato del suo business? Era la cosa più hot di Los
Angeles; aveva delle boutique su Rodeo Drive e sul Sunset e in quindici
altre città.
HANK: Come si chiamavano?
146 Celebre marchio che pubblicizzava un sistema per la permanente casalinga, il
primo lanciato sul mercato. [n.d.t.]
IRV: Louise Adzer. È un nome danese. In una delle località, dall’altra
parte della strada c’era uno store come il suo chiamato Joan Vass. Era
come una partita a tennis.
HANK: Hai detto che Joanna e Norma sono diventate grandi amiche.
IRV: Sì, hanno idee comuni su tantissime cose, ad esempio su quello
che non va in me.
HANK: Ad esempio essere un brontolone.
IRV: Okay, probabilmente non guardo il mondo attraverso una lente
rosa. Infatti mi piace davvero il mondo. È pieno di imbecilli! E non mi
deciderò mai a cambiare. Se ho detto qualcosa di malizioso, mi dispiace.
A meno che non abbia fatto ridere.
HANK: Mi ha detto che quando è arrivata è venuto in visita un famoso
produttore di Hollywood.
IRV: Hunt Stromberg. È venuto a casa nostra la sera che abbiamo
portato Joanna a casa. È successo mentre stavo scrivendo L’Ombra
dell’Uomo Ombra, che dirigeva lui stesso. Ci regalò un tavolo antico
che è ancora di sopra nello studio.
HANK: Mi ha riferito che a Hillcrest, una volta Georgie Jessel le ha
detto che tu e Jack Benny eravate come “un tic su un cane della Louisiana”.
IRV: Ah.
HANK: Joanna lo ricorda come un periodo meraviglioso. Un club
di ragazzi. Adorava stare insieme a te, Danny Thomas e George Burns.
IRV: Già.
HANK: Una volta, appena finite le scuole, l’hai beccata a fumare
marijuana e le hai detto che conoscevi musicisti jazz che la fumavano e
che eri molto preoccupato.
IRV: Sapevo che cosa significava fare quella vita!
HANK: È esattamente quello che ha detto anche lei. E l’hai costretta
a chiamare una pediatra in modo che lei le dicesse che cosa avrebbe
provocato alla sua salute.
IRV: Non lo ricordo.
HANK: Mi ha raccontato un sacco di cose su tuo figlio John.
IRV: Mio figlio… mio figlio John. Gli volevo bene, ma questo purtroppo
non servì ad aiutarlo, perché era schizofrenico, cosa che non
sapevamo quando lo adottammo. Era adorabile, educato e totalmente
irresponsabile e già all’età di tredici anni iniziò a bere e più tardi diven278
279
tò un alcolista. Tutto ciò mi fece invecchiare prima del tempo. E fermò
la mia carriera.
HANK: Questo successe subito dopo il tuo ultimo film, Ciao, Ciao
Birdie del 1963?
IRV: Mi sono ritirato intorno al 1965. Avevo poco più di cinquant’anni.
Avevo fatto un sacco di soldi. Avrei voluto lavorare ancora. Ma ero
assillato dai problemi di questo giovane uomo. Quando scrivi commedie
per una vita, non è semplice – sviluppi una sorta di armatura – così
a un certo punto riesci a essere al massimo della creatività nonostante
tutte le brutture della vita che ti circondano.
E per quarantadue anni lui tiranneggiò sua madre – fin quando lei
morì – e me e sua sorella. Ma che senso ha dirti tutto ciò?
HANK: Far conoscere tutto di te, Irv.
IRV: Altre persone hanno gli stessi identici problemi. Mi fa sembrare
incattivito.
HANK: La tua tristezza viene dallo stesso posto da cui proviene il
tuo humour.
IRV: La sola via di fuga era provare a essere divertente. Capisci che
cosa intendo? Una cosa del genere può ucciderti a meno che tu non
abbia un qualche tipo di rifugio. Qualcosa che funzioni da auto-terapia.
Nel mio caso era far ridere le persone. Mia moglie, o un amico o un
pubblico in sala durante un evento.
HANK: Fare qualcosa di creativo era il tuo modo di uscirne.
IRV: Forse era la via di fuga più facile.
HANK: Non sono d’accordo. Mark Twain definiva l’atto creativo la
sola difesa contro la rovina del mondo.
IRV: Mi sedevo e cercavo di lavorare e poi arrivava puntuale la telefonata.
Tirannia telefonica. Fummo spettatori di scene orribili. Una volta
prese una macchina da scrivere elettrica e la scaraventò nella stanza.
Un’altra volta minacciò di sparare a qualcuno dalla casa che aveva a
Malibu. Nel 1993 la incendiò. John scappò con sua moglie e il suo cane
prese fuoco. Un grande Labrador con la pelliccia in fiamme. Quando
ripenso a tutto quello che successe il mondo non mi sembra più tanto
divertente.
HANK: Joanna disse che si trasferì da lei dopo quell’episodio.
IRV: Lei era estremamente generosa con suo fratello. Nessuno avrebbe
potuto essere di maggior supporto di quanto lo fu mia figlia. Alla fine
lui cominciò ad approfittarsene e divenne un problema.
HANK: Mi ha detto che alla fine riuscì a farlo andare alla clinica
Betty Ford e che poi visse a Palm Springs.
IRV: Dove morì alcolista. A cinquantacinque anni.
HANK: Mi ha detto che tu gli hai trovato tantissimi lavori, nelle compagnie
di produzione…
IRV: In cinquantacinque anni non ha mai guadagnato un dollaro.
HANK: Una volta lo hai fatto assumere all’agenzia William Morris
e lui nell’ascensore è saltato addosso alla segretaria di Abe Lastfogel,
che è corsa a dirlo ad Abe…
IRV: Veniva sempre licenziato. Le abbiamo provate tutte. Ma sai
come succede, cerchi di stare in disparte, ma poi senti un fortissimo
obbligo nei confronti di questo figlio bisognoso che è solo un ventenne.
Poi diventa un trentenne. Poi ha quarant’anni e poi cinquanta. È una
strada a senso unico.
Spero sia abbastanza per il libro. Non vorrei che diventasse un libro
di psicoterapia. Deve finire nella sezione “Help Sell” delle librerie. Non
nella “Self Help”.
HANK: Hai una storia su di lui che vorresti raccontare?
IRV: Più di una! Nella casa di Stone Canyon coltivavo di tutto. La
terra era fertile. E la proprietà includeva piante, alcune più che secolari,
che avevano nutrito la terra con le proprie foglie. Così in quel suolo,
coltivavo zucche, fragole, grano e meloni. Ho raccolto zucchine di 3
kg di peso, più grandi di un’anguria. Oggi non farebbe impressione a
nessuno. Comunque sia il suolo era miracoloso. Ti ho già detto quanti
cetrioli e spicchi d’aglio sottaceto ho prodotto.
HANK: Sì! E di come regalavi i barattoli agli amici come Billy Wilder.
IRV: Oh, ne andava matto. E anche Gene Kelly e Fred Astaire. Tutti
ne erano ghiotti. Li ho coltivati dalla fine degli anni Quaranta fino al
1976, l’anno in cui ho venduto la casa. Avevo un ettaro di terreno.
HANK: Ci siamo passati quando siamo andati da Joanna.
IRV: Dove abitava ai tempi. Adesso abita a Benedict. Comunque,
in fondo alla nostra proprietà di Stone Canyon c’era un grande pezzo
di terra pianeggiante. Si inerpicava sulla collina e poi in cima c’erano
la casa e la piscina. Quella parte in basso sarebbe potuto diventare un
campo da tennis, ma io non volevo, preferivo destinare quella terra
alla vegetazione. I fiori potevano stare bene sul lato orientale, ma le
piante stavano meglio là in fondo. Di notte, però, i cervi venivano
280 281
su dal canyon per mangiare il grano e i fagiolini. L’unico modo per
tenerli lontano era appendere strisce di tessuto imbevuti in urina di
leone. Ce la procuravamo allo zoo, ma era costosissima. Considerai
l’opportunità di comprarmi un leone.
O di utilizzare la mia stessa urina.
Organizzavamo spesso delle feste a casa nostra, molte delle quali avevano
come ospiti le tantissime persone che lavoravano alle mie serie
televisive. Il prato intorno alla piscina e la casa brulicavano di persone,
dai sessanta ai cento invitati. E una sera a una grigliata c’era pure Phil
Silvers. La sua prima volta nella casa. Erano gli anni Cinquanta. Phil
Silvers era un pezzo grosso. Una gran sagoma.
Io ero fuori sul prato a grigliare le bistecche. Mio figlio John, aveva
sei anni, ci venne incontro e iniziò a fare capriole sul prato mentre continuava
a dire: “Guardami papà! Guardami!”
Da piccolo John, prima che la sua malattia si palesò, era un bambino
delizioso che cantava canzoncine e con cui era una gioia giocare.
Phil Silvers era la star di Sgt. Bilko in TV ed era contento solo quando
era in onda, così attaccò bottone con il ragazzino: “Come ti chiami,
bambolo?”
“John”. L’avevo chiamato John Leroy, in omaggio a Mervyn LeRoy.
Silvers disse: “Sei il figlio di quest’uomo?”
“Sì”.
Ancora capriole.
“Bene, come puoi startene lì a saltellare mentre il tuo povero padre
è qui in piedi alle prese col fuoco per cercare di sfamarti? Ti sembra
giusto?”
Il piccolo John si alzò, guardò verso la faccia di Silver e disse: “Ci
conosciamo, stupido?
Silvers crollò.
L’altra storia sul mio ragazzo che amo raccontare è questa. Quando
aveva sette anni, stavamo viaggiando in macchina verso Palm Springs, e
uscendo dalla città passammo davanti all’Hollywood Forever Cemetery.
John indicò le tombe e disse: “È quello il posto dove mettono le persone?”
“Sì. Si chiama cimitero”, dissi. “È dove le persone vanno a riposare,
dove chiudono i propri occhi”.
“Vuoi dire che muoiono?”
“Sì, John”.
“Cosa succede dopo che sei morto?”
“Dopo un po’ diventi polvere”.
Il bimbo ci pensò su e disse: “Anch’io diventerò polvere?”
“Sì, mi dispiace”.
Ci rifletté e commentò: “C’è un bambino ciccione in classe che mi
tormenta sempre. Spero di finirgli negli occhi”.
È questo che ho raccontato al suo elogio funebre.
La Festa del Papà
“Scommetto che tuo padre ha passato il tuo primo anno di vita lanciando
pietre alla cicogna!”
- Groucho a Chico in Tre Pazzi a Zonzo
“La Festa del Papà è una stupidaggine”, gracchiò Brecher. “La Festa
della Mamma pure. Solo l’amore per mia figlia poteva coinvolgermi in
queste hazzerei”.147
“Andiamo”, disse Norma ghignando.
In effetti sua figlia Joanna ci aveva invitato a una cena per la Festa del
Papà in un ristorante familiare dove, tra una folla di commensali della
domenica, mentre trasalivamo di fronte alle urla provenienti dai tavoli
intorno a noi, Irv si accomodò e attaccò a lamentarsi.
“Tutti dovrebbero sapere, se in possesso di un cervello”, continuò,
“che queste feste sono state create da quei furbastri che posseggono
attività o fabbriche che iniziarono a estrarre miliardi di dollari tempo
fa in base alla falsa premessa che i bambini sono obbligati a celebrare
genitori che in alcuni casi disprezzano. E viceversa”.
Norma gli accarezzò la mano.
“Tesoro”, disse gentilmente, “ti sentirai meglio dopo aver cantato”.
“Bene, se insisti”.
Guardò nella mia direzione: “Mia moglie e mia figlia già sanno della
canzone, ma ora te ne parlerò”.
Così appresi che al momento gli piaceva la Festa del Papà, ma unicamente
perché gli offriva l’opportunità di cantare una canzone.
147 Espressione yiddish per frivolezza, scemenza. [n.d.t.]
282 283
IRV: Avevo un grande amico che si chiamava Harry Ruby. Tantissimo
tempo fa aveva scritto testi per un paio di film dei Fratelli Marx.
Canzoni come “Hooray for Captain Spaulding”. Harry era un ragazzo
fantastico. Era alto con una grossa testa e il naso aquilino. Groucho disse
che assomigliava a un Abramo Lincoln disonesto. Credo che avesse
ragione.
Amavo Harry. Harry era strambo. Non aveva mai guidato una macchina
in vita sua e una delle sue abitudini era una passeggiata quotidiana
da casa sua fino al Nate’n Al’s Deli a Beverly Hills per il pranzo. Circa
mezzo miglio. Ma Harry non camminava sul marciapiede. Camminava
sul canale di scolo, parallelo al cordolo, per andare in cerca di monetine.
Spesso raccoglieva fino a trentacinque cent. Una volta trovò mezzo
dollaro. Gli chiesi quanto avesse tirato su in tutti gli anni di ricerche.
Disse: “Parecchio. È tutto profitto e non ci sono detrazioni”.
Adoravo la sua semplicità.
“Credo molto nel risparmio”, disse, “e ti do un consiglio. Se metti
cinquanta o cento dollari in un barattolo ogni settimana, ti stupirai di
quanto il gruzzolo crescerà in fretta”.
Ma il sogno di gioventù di Harry Ruby era stato quello di diventare
un giocatore della Major League di baseball. Una volta, nel 1930, ebbe
pure un provino con i Washington Senators. Trottò fino a centrocampo
e uno degli allenatori batté verso di lui con la mazza da allenamento.
Harry si mosse prontamente in avanti, protese il guanto e la palla lo
colpì sulla testa, atterrandolo. Si rialzò e abbandonò il baseball.
Divenne un paroliere di successo al servizio di Burt Kalmar in molti
musical di Broadway. E proprio Harry scrisse due canzoni che adoro.
Una si intitola “Fight on for Tennembaum!”, l’altra me la insegnò un
giorno a pranzo alla MGM. Questa canzone dice così tanto e così in
fretta, quindi se stasera vuoi cenare gratis, prima ti toccherà ascoltarla:
[Un Brecher non esattamente melodioso attacca a cantare; immaginate
il Capitano Spaulding dopo che è caduto da un albero.]
“Today, Father, is Father’s Day
So we chipped in and bought you a tie
We know it’s not much, but it’s just that you’re such
A heck of a wonderful guy!
You told us not to bother,
You said, ‘Don’t make a fuss’.
But according to our mother, you’re our father,
And that’s good enough for us!”
[Partono applausi tutto intorno, e anche dai tavoli vicini]
Pastrami e ironia
Virginia O’Brien: Ma non capisci che ti amo e che vorrei che tu diventassi
il padre dei miei figli?
Red Skelton: Non sapevo che avessi dei figli!
- Mademoiselle Du Barry
Nel 2006 ho visto un film che si intitolava L’Amore non va in Vacanza.
148 Film divertente, titolo pessimo. Cameron Diaz si scambia d’appartamento
con Kate Winslet. Winslet passa dall’Inghilterra a Beverly
Hills dove diventa amica di un eccentrico sceneggiatore novantenne,
interpretato da Eli Wallach, che racconta aneddoti su Louis B. Mayer
e sulla MGM, dove aveva un sacco di amici comedian, e poi la Writers
Guild gli vuole rendere omaggio con una serata di gala. Mi incavolai e
dissi a Brecher che Hollywood sembrava avergli rubato la sua quotidianità
e almeno cinque capitoli del libro. Ma lui mi disse di rilassarmi. “È
così che funziona”, disse, citando gli archivi del Turner Classic Movie
e numerosi tributi ad attori della generazione più anziana come Kirk
Douglas, aggiungendo che gli sarebbe piaciuto se io fossi stato Kate
Winslet.
Subito dopo andammo al Label’s Table a dividerci un pastrami sandwich
con insalata di cavolo e doppia senape. E qui che gli dissi che
volevo testare il suo quoziente di velocità di battuta.
IRV: Cosa?
HANK: Voglio leggerti una serie di domande e vedere come rispondi.
Le ho prese da un libercolo che si intitola Duplex Planet scritto da
uno speaker della radio, David Greenberger. Mi ha dato il permesso di
fartele.
148 The Holiday, regia di Nancy Meyers.
284 285
IRV: Così ora venderai anche il suo libro?
HANK: No, no. Ma con lui hanno funzionato bene.
IRV: OK, ragazzo.
[Il registratore è in funzione]
HANK: Qual è il peggior lavoro che hai mai dovuto fare?
IRV: Rispondere a queste domande.
HANK: Bene! Capito come funziona?
IRV: Ma così non va. Perché non mi chiedi qual è il lavoro più ingrato
che ho mai dovuto fare e io potrei parlarti del produttore della
MGM che mi pagò cinquecento dollari per scrivere un discorso per il
bar mitzvah per il suo stupido figlio. Cosa che feci.
HANK: Cosa c’è di così ingrato in tutto ciò?
IRV: Che non mi è stato attribuito.
HANK: Andiamo avanti. Qual è l’invenzione più importante del secolo
scorso?
IRV: Il tasto mute sul telecomando.
HANK: Qual è la cosa migliore che ti sia mai capitata?
IRV: La mia cattiva memoria. Continuo a dimenticarmi di morire.
HANK: Quando hai pensato alla morte l’ultima volta?
IRV: Proprio adesso. Ogni giorno. Tutto il giorno. La battuta di Woody
Allen è la migliore: “Non ho paura di morire, solo non voglio essere
presente quando accadrà”.
HANK: Se avessi un robot, cosa gli faresti fare al posto tuo?
IRV: Lo farei andare dal mio proctologo.
HANK: Ti piace la musica?
IRV: Sì, ma anche se non mi piacesse è una cosa molto importante.
Se non ci fosse la musica migliaia di musicisti farebbero la fame.
HANK: Finisci questa frase. Se avessi settantacinque anni di meno...
IRV: Mi trasferirei in Israele. E prenderei un intero nuovo set di abiti.
Non sarei intervistato da te in questo momento. Venderei questo deambulatore
e darei via il mio bastone.
HANK: Che tipo di deambulatore è?
IRV: Uno a quattro ruote. Con un sedile che si può abbassare. Lo puoi
ripiegare. Intendo utilizzarlo finché non mi ripiego pure io.
HANK: Quando hai guidato l’ultima volta?
IRV: Nel 2000.
HANK: Che macchina era?
IRV: Una Chrysler 5th Avenue. Macchina favolosa. Aveva dodici
anni.
HANK: Qual è stata la tua prima macchina?
IRV: Io e Allan Lipscott, al tempo in cui scrivevamo per The Mickey
Mouse Magazine, comprammo una Essex 1927. Per quarantacinque
dollari, quindi abbi pietà. Non era una macchina usata, ma una macchina
abusata. Ma in qualche modo riusciva ad andare. Specie quando la
spingevamo.
Quando facevo bei soldi scrivendo lo show radiofonico di Berle, comprai
una bellissima Buick Roadmaster del 1937. Una lunga, elegante
macchina convertibile a sei posti. Costava 1700 dollari.
HANK: Non riesco a immaginarlo: un ventenne autore di New York
che scrive per uno show del sabato sera della CBS con Milton Berle.
Wow!
IRV: E quando Mervin LeRoy mi scritturò spedii la macchina in California.
Poi guidai cinque Cadillac una dopo l’altra. Ma quella che non
avrei dovuto comprare era per ragioni mediche. Mentre stavo scrivendo
Tanoshimi, È Bello Amare per la Columbia Pictures, improvvisamente
fui colpito da un’esplosione di acne sulla faccia. Dopo aver assunto
degli steroidi – che poi è la ragione per la quale non sono mai stato
inserito nella Hall of Fame – il dottore mi ordinò di stare esposto alla
luce del sole. Disse che avrei dovuto guidare con la capote abbassata.
Gli risposi che avrei fatto meglio a procurarmi un’ascia perché guidavo
una Sedan. Non rise.
HANK: Penso che i dottori ridano solo tra di loro, quando sono in
gruppo.
IRV: Non importa. Scambiai la mia Sedan per una nuova Cadillac
convertibile. Una Sedan De Ville. Color lavanda. Quasi viola. Con interni
in pelle, per di più. La guidai per due giorni con la capote abbassata
per cercare di curare la mia acne, ma ebbi grossi problemi con l’auto.
Notai che ogni volta che passavo lungo certe strade con lavori in corso,
i tizi con i caschetti mi fischiavano dietro e mi lanciavano baci. Fu in
quel momento che realizzai che io e il color lavanda non siamo fatti
l’uno per l’altro.
HANK: Irv, perché credi che le persone si bacino?
IRV: Perché è più igienico che stringersi le mani.
HANK: Che cosa…
286 287
IRV: Aspetta. Ci sono un sacco di ragioni per cui le persone si baciano.
E hanno quasi tutte a che fare col sesso…
HANK: Sì?
IRV: Non riesco a pensare ad altre ragioni.
HANK: Hai mai dormito con Carole Lombard?
IRV: No. Ma ho dormito attraverso Mary Astor.
HANK: Eh?
IRV: Chiedi ai tuoi genitori. Interpretava il ruolo della madre in Incontriamoci
a Saint Louis. Era celebre all’epoca, ebbe anche una storia
con George Kaufman. Oh, c’è qualcosa che ricordo sulla Lombard che
potrebbe andar bene per il libro. Mia moglie Eve le chiese che cosa
avrebbe fatto per Natale, o qualcosa del genere, e la Lombard rispose:
“Starò e letto tutto il giorno con Clark ad accudire il gioiello”. Era un
nomignolo. Si riferiva all’uccello.
HANK: Il “gioiello”
IRV: Eve arrossì.
HANK: E Clark era Clark Gable.
IRV: Ma certamente!
HANK: Qual è il tuo cibo preferito?
IRV: Mettiamola così: io ho fatto un testamento nel quale specifico
che cosa voglio e cosa non voglio nel caso in cui dovessi essere colpito
da una malattia terribile. Nel testamento ho istruito il dottore sul fatto
di non lasciare che io diventi un vegetale. A meno che non si tratti di un
carciofo. È il mio favorito.
HANK: Davvero?
IRV: Carciofo.
HANK: Perché il carciofo?
IRV: Perché ha un cuore.
HANK: Lo mangi quel cetriolo?
IRV: No, è tutto tuo.
HANK: E ora repliche lampo.
IRV: Che cosa?
HANK: Repliche lampo. Credo che Jan Murray le inventò in uno dei
tanti giochi a premi che ha presentato. Significa risposte super veloci.
La tua specialità.
IRV: Non secondo me. Secondo Groucho e Perelman.
HANK: Giusto. Chi preferisci: Keaton o Chaplin?
IRV: W.C. Fields.
HANK: I Tre Marmittoni o Gianni e Pinotto?
IRV: Gli Fratelli Smothers.
HANK: Richard Pryor ha detto che la commedia viene da un buco nel
petto dove dovrebbe esserci il cuore… dopo che è stato strappato via.
IRV: Mi sembra un po’ eccessivo.
HANK: Tu non avevi un buco da riempire?
IRV: Avevo un buco nel portafogli.
HANK: La tua comicità viene da un posto molto simile a quello di
Groucho, una specie di nervo elettrico pieno di collera che ridicolizza
le convenzioni della società…
IRV: Molto interessante.
HANK: Hai presente quando J. Cheever Loophole e S. Quentin Quale
escono dalla scena nei loro film per rivolgersi direttamente al pubblico?
È come se dicessero: Ascoltate! È così che si abbattono i prepotenti!
IRV: Credo che il tavolo di fianco al nostro sia il tuo pubblico.
HANK: Scusa. Hai un favorito tra i tuoi film?
IRV: Direi che Incontriamoci a Saint Louis è uno di questi, e credo
che, con le dovute restrizioni per la regia, I Cowboys del Deserto
possa essere un altro. Adoro Ciao, Ciao Birdie. E per altri versi anche
The Life of Riley, perché l’ho curato sotto tutti gli aspetti: la scrittura,
la regia, la produzione. Era una mia creatura. Quel lungometraggio si
basava sullo show radiofonico, e a sua volta offrì lo spunto per la serie
televisiva. Tutto nello stesso anno.
HANK: Quello fu un anno impegnativo.
IRV: Non quando sei giovane. Avevo 35 anni. Pochissimi uomini ancora
vivi oggi ricordano quel celebre anno. Io lo ricordo perché ancora
non mi pagano i diritti per quel film.
HANK: 1949. Sai dirmi che cose capitò in quell’anno al sistema dei
vecchi Studios?
IRV: Una volta che gli agenti iniziarono a diventare i padroni delle
star, tutto andò in pezzi. Gli attori cominciarono a dire agli Studios che
cosa fare. E persone che sapevano davvero poco di sceneggiatura presero
in carico la regia dei film e nessuno di quelli intorno a loro osava
aprire bocca. Io preferivo il vecchio sistema.
HANK: Perché?
IRV: Magari avevi un sacco di mal di pancia, ma anche così era meglio
che vedere qualche star strapagata sputtanarti lo script.
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HANK: Puoi descrivere il tuo metodo di scrittura? Che tipo di disciplina
ti imponevi?
IRV: Tutto parte con il mettere a fuoco i pensieri. Mi riesce difficile
parlarne. Non so come si fa. Non so dirti perché io riesco a dire cose
divertenti più di quanto un cantante riesca a dirti perché canta meravigliosamente
bene e invece tu no!
HANK: Che tipo di macchina da scrivere usavi? Ti ricordi della prima
che hai avuto?
IRV: La mia prima macchina da scrivere è stata una Remington con
carrello ribaltabile. Non come le macchine tradizionali. Dopo quella,
quando iniziai a scrivere per i comedian, comprai una Smith-Corona, una
piccola macchina portatile che ho usato per anni e che adoravo. Facevo
quasi tutto il lavoro preliminare a mano su un foglio giallo. O lo battevo
direttamente io oppure c’era nello studio una squadra di segretarie che
lo batteva per me. L’ultima che ho posseduto era un modello elettronico,
chiamata Citizen. Una macchina da scrivere giapponese. Piccola, leggera
e molto efficiente. Ma non è la macchina che scrive, sono le dita.
HANK: E tu hai delle dita lunghissime.
IRV: Già.
HANK: Quanto sono lunghe?
IRV: Ah!
HANK: E che misura hai di scarpe?
IRV: Ho sempre avuto il 45 e mezzo. Ora porto il 46.
HANK: Sembrano scarpe da clown. Lunghissime. E che mi dici di
quei calzini?
IRV: Non riesco a vederli.
HANK: Hanno delle fragoline disegnate sopra.
IRV: Sono un regalo.
HANK: Cosa ne pensi del perdono?
IRV: Devi essere tollerante con te stesso per tutte le battute pessime
che hai fatto. Ma non devi mai perdonare gli altri, specialmente se la loro
roba fa schifo.
HANK: Hai avuto parecchie questioni con persone che non hanno
rispettato gli accordi. Li perdoni?
IRV: Sì, ma con riluttanza.
HANK: Questo mi porta alle tue idiosincrasie.
IRV: Oh Gesù, le persone che ti vedono e per via di quello che rappresenti
provano a raccontarti barzellette. Stai camminando in una stanza
e un tizio divertente come un insetticida irritante salta su dalla sedia e
ti dice: “Senti questa”, e tu te ne stai lì ad ascoltarlo oppure lo insulti o
lo ignori. Un altro tipo di persone che non vedo l’ora di incontrare sono
come la donna che l’altro giorno se ne è uscita con la frase: “Ciao, sapete
chi sono io?” Io le ho risposto: “Se neanche tu sai chi sei, come diavolo
faccio a saperlo io?” E me ne sono andato. Ora sono sulla sua lista nera,
ma chi se ne frega. Ciò che trovo quasi divertente è quando qualcuno ti
dice: “Ti voglio dire qualcosa di interessante”. Beh, vorrei essere io a
deciderlo! Una volta un tipo mi disse: “Lascia che ti racconti in poche
parole una lunga storia…” E io gli risposi: “Troppo tardi”.
L’elenco delle cose che mi provocano malessere è lunghissimo e credo
che in cima alle cause del collasso della comunicazione tra le persone
ci sia il dilagante numero di fanatici di computer che trascorrono il loro
tempo cazzeggiando su Internet, scrivendo sui propri blog o su quelli di
qualcun altro. Specialmente i più giovani, molti di loro sono poco più
che poppanti, che giocano con il computer che mamma e papà ha regalato
loro per tenerli occupati e levarseli dai piedi.
Il linguaggio che questi accoliti informatici utilizzano è per me un mistero,
ovviamente. Non capisco nulla di dischi fissi, siti Web, bit e tutta
quella roba lì. La migliore che ho sentito è stato l’altro giorno al grande
magazzino Circuit City. Mia moglie aveva bisogno di una cartuccia d’inchiostro
per la sua stampante e ci trovavamo in quel reparto. E allora mi
ritrovo lì in piedi, fermo, senza poter far nulla, ma cerco comunque di
comportarmi bene. Ascolto persone che vanno e vengono e a un certo
punto vedo questi due, credo fossero venditori. Uno dice all’altro: “Hey
Joe! Non mi aspettavo di vederti oggi. Non hai chiamato ieri dicendo
che eri malato?”
“No, non ero malato”.
“Dicevano che eri all’ospedale”.
“Sì, ero all’ospedale. Mia moglie ha downlodato un bambino. Quattro
chili”.
HANK: Perché ti piace il Label’s deli?
IRV: Per un motivo: è facile entrarci. E poi, cosa più importante, il
loro sandwich di manzo è certamente migliore di quello del Nate’n Al’s.
Non è buono come quello del Langer ma si trova molto più vicino, è qui
nel quartiere Pico-Robertson. Non ho mai molta fame, ma spero sempre
che mi venga appetito e so che questo accade quando sento odore di cibo
290 291
ebraico. [Click! il registratore si spegne nel momento in cui il telefono
di Irv suona]
HANK: Irv! Le nostre macchine sono scattate nello stesso istante.
È un buon matrimonio. Entrambe se ne vanno nello stesso momento.
Dentro casa
Quando nel 1979 gli chiesero la sua opinione sui maxischermi cinematografici,
entrati in voga qualche anno prima, Brecher rispose: “Ma non era
meglio mantenere gli schermi delle stesse dimensioni e ridurre semplicemente
le dimensioni del pubblico?”
– Dal libro Popcorn Paradise di John Robert Columbo
Nella primavera del 2006, Norma parte con le figlie per New York e
io trascorro quattro giorni interi insieme al suo irascibile marito. Dico
irascibile perché Brecher a 92 anni se la cava abbastanza bene da non
aver bisogno di un accompagnatore, ma a causa della perdita progressiva
della vista tende ad abbaiare ordini quando non riesce a trovare qualcosa
di cui ha bisogno: il telefono, il telecomando o il cibo. Dormendo
a casa di Irv, si diventa soggetti ai ritmi e allo stile di vita di questo
creativo nonagenario/kvetchetariano:149 due cucchiai di olio di semi di
lino di primo mattino, seguiti da succo di mirtilli e pancake alla maniera
ebraica con salmone che Norma ci ha lasciato nel congelatore. E litri di
caffè nero e forte.
Incautamente dico di volerci mettere un po’ di panna nel mio Yuban.
150
“Cosa?”
“Sai, aggiunge un tocco di sapore”
“Sei pazzo. L’unico modo di bere il caffè è nero!”
“Sì?”
“Così lo ammazzi! Tu non sai niente di caffè. Ti devo insegnare io!”
Come niente mi ritrovo a imparare un sacco di cose. Passiamo mattinate
intere oziando nel suo studio tra i piaceri uditivi dei suoi audiolibri. Glieli
149 Parola che gioca sul termine di derivazione yiddish kvetch, detto di persona
che si lamenta in continuazione. [n.d.t.]
150 Marca di caffè. [n.d.t.]
aveva inviati gratuitamente Braille, un’istituzione della quale Brecher si
era perdutamente innamorato (Braille fornisce gratuitamente anche un
lettore speciale per riprodurre il formato dei propri nastri). Il suo preferito
è il New York Times Book Review. Penso che non sia possibile, ma
è tutto lì su una sola cassetta: letto e registrato, un’intera sezione, spesso
di trenta pagine, dal giornale della domenica. Tutto tranne le pubblicità.
(Ma chi è che li fa? Voglio fare quel lavoro!) Irv affermache non avrebbe
mai letto i libri, ma che le recensioni da sole spesso equivalgono ad
ascoltare delle buone storie. Nei pomeriggi mi delizia con i CD con i
racconti di Philip Roth. Passa da “Everyman” a “Exit Ghost”. L’autore
preferito di Irv è il creatore di Zuckerman.
“Non sono così egocentrico”, puntualizza Brecher, “da dire che lui è
il mio alter ego, ma lo amo perché odia molte cose che pure io detesto
e per le critiche che imbastisce così brillantemente”.
Irv le chiama “Le Lamentazioni di Roth”.
Alle sessioni di ascolto pomeridiane, interrotte da varie telefonate da
parte di sua figlia, del suo broker, di sua moglie, di un venditore, di
nuovo di sua figlia e dalle lamentele circa la mancanza d’appetito e la
frustrazione per non riuscire a vedere “un beato cazzo!”, segue un sonnellino
preparatorio alla cena e al Jim Lehrer NewsHour. Provo a fargli
ascoltare il Daily Show ma risponde “troppo rumoroso”. Dopodiché
è ora di andare a nanna, a meno che non ci sia una partita di baseball.
Prima di cena mi insegna come preparare il suo aperitivo a base di
Martini (due parti di gin o di vodka con ghiaccio con una generosa
spruzzata di vermouth e una fetta di arancia) e prima che iniziamo a
parlare ho già acceso il registratore.
HANK: È interessante.
IRV: Che cosa?
HANK: Entrambi questi racconti di Roth che abbiamo ascoltato sembrano
essere elegie funebri.
IRV: E quindi?
HANK: Tu hai avuto spesso a che fare con la morte nei tuoi scritti
comici. Il simpatico becchino. E alcune battute per Groucho…
IRV: Giusto.
HANK: Questo è un buon drink Irv. Quando hai iniziato a bere Martini?
IRV: Bill Powell mi ha iniziato al Martini mentre scrivevo L’Ombra
dell’Uomo Ombra.
292 293
HANK: Che poi sarebbe William Powell, l’attore che interpretava
Nick Charles. Film del 1941. Che tipo era?
IRV: Era una persona affascinante e un uomo educato e signorile. Era
un piacere parlare con lui. Mi allungò un Martini e io lo bevvi, e dopo
un po’ l’effetto si fece sentire. Ricordo che mi arrivò come una mazzata
in testa e lui fu abbastanza pietoso da non allungarmene altri.
HANK: Fantastico. Hai bevuto il tuo primo Martini insieme a un
uomo che li beveva in continuazione sui set dei film dell’Uomo Ombra.
Cos’altro ricordi di quando hai scritto una di queste crime story?
IRV: Quello che ricordo è Myrna Loy.
HANK: Ovvero Nora Charles ne L’Uomo Ombra.
IRV: La parte più bella fu conoscere questa splendida donna. Myrna
Loy aveva tutto. Era magnifica. Era piena di vitalità. Non si atteggiava
mai a grande diva. Era assolutamente adorabile, bella dentro e fuori. Ti
veniva voglia di abbracciarla. Viveva a Bel Air di fronte a me e Bill Powell
abitava subito dietro l’angolo sul Sunset Boulevard. E fu delizioso
il modo in cui mi fece riscrivere alcune scene in cui lei riteneva che il
marito Nick Charles avesse le battute migliori. Mi diceva: “Posso sedurti
per convincerti a scrivere qualche altra battuta?” E poi si metteva
a sbattere le sopracciglia e a fare le fusa. Era molto divertente e io ero
pazzo di lei. Cosa che non mi portò nulla di buono.
HANK: Che cosa intendi dire?
IRV: Ecco quel che successe: Powell era un vero cospiratore. La sera
a casa sua mi faceva bere finché non ero abbastanza sbronzo, dopodiché
tirava fuori abilmente il fatto che, per il successivo giorno di riprese,
non aveva abbastanza battute. Capisci cosa intendo, in confronto a quelle
di Myrna. E mi chiedeva se potevo fare qualcosa per rimediare. E la
mattina seguente mi ritrovavo a cancellare le nuove battute che avevo
appena scritto, insieme al producer Hunt Stromberg. Se la scena funzionava,
Stromberg le approvava e Woody Van Dyke poteva dirigerle.
Dissi a Stromberg quello che Powell pensava. E infine sopraggiungeva
Myrna che non voleva fare la figura della pivellina in quel gioco di
scambi!
Quel film provocò un sacco di risate. Era una di quelle pellicole che
oggi non si producono più. Puro intrattenimento. Non c’era traccia di
parolacce, di scene di nudo o di comportamenti scioccanti. Non c’è bisogno
di essere puritani – e io non lo sono – per capire quanto il mondo
del cinema sia cambiato.
Tutto partiva da una piccola idea, un omicidio alle corse. I protagonisti
erano una coppia brillante e divertente che, attraverso la deduzione,
avrebbe scovato il killer dopo un crescendo eccitante. Scrivere per la
Loy e per Powell, e per il buffo sergente di polizia interpretato da Sam
Levene, è stato uno dei lavori più piacevoli che io abbia mai fatto. Subito
dopo ci fu Pearl Harbor.
[Accidentalmente rovescio il mio drink sui pantaloni di Irv. Mi chiedo
che effetto faccia questo sull’audiolibro. Lui si mette a sbraitare, chiedendosi
che cosa diavolo stia succedendo, ma poi si ricompone rapidamente
uscendosene con questa frase: “Avevo chiesto un Martini dry!”]
HANK: Hey Irv.
IRV: Dimmi caro.
HANK: Te lo devo dire, l’altro giorno ho visto una targa con sopra
riportato “NICNORA”.
IRV: Davvero?
HANK: Che cosa hai combinato durante la guerra?
IRV: Per prima cosa tifai per la vittoria degli Stati Uniti. Quindi feci
quello che potevo. Scrissi dei monologhi per le stelle della MGM. Tra
queste c’era Eddie Robinson, che viaggiava ovunque ci fosse azione,
incurante del pericolo. Adorava far ridere le truppe.
HANK: Edward G. Robinson.
IRV: Veniva dal teatro yiddish.
HANK: Tipo tosto. Credo che Bugs Bunny fosse ispirato in qualche
modo a lui.
IRV: Questo è quello che tu pensi. Fu una delizia scrivere materiale
per Eddie. Una volta, di ritorno dalle isole Aleutine del Pacifico, mi
disse: “Li ho davvero uccisi. Non come ho fatto in Piccolo Cesare con i
proiettili a salve. Questa volta li ho stesi con le tue battute!”
HANK: Per chi altri hai scritto?
IRV: Spencer Tracy.
HANK: Altro grande attore.
IRV: Sì. Di solito faceva le parti da eroe. Ma era il massimo nei ruoli
da codardo. Le Forze Armate gli strapparono la promessa che sarebbe
andato oltremare a fare uno spettacolo su una nave da guerra. Lo aiutai
294 295
a imparare un pezzo di quindici minuti. Tra uno scotch e l’altro biascicava
quanto odiasse volare. Non sembrava detestare lo scotch, ma
avvertii la sua totale mancanza di entusiasmo nel fare quello spettacolo.
Di conseguenza non fui sorpreso quando, la mattina della prevista partenza
per l’Alaska, lo spettacolo venne cancellato per via di una forte
influenza di Tracy. Era il tipo di indisposizione che lui aveva ogni volta
che veniva chiamato per questo genere di spettacoli, finché le Forze
Armate non decisero che potevano vincere la guerra anche senza Tracy.
Scrissi anche dei programmi radio pensati per tenere alto il morale
della Nazione. Erano programmi pieni di stelle con Groucho, Carole
Lombard, Tallulah Bankhead e altri grossi nomi. Lucille Ball. Judy. Io
avevo un’adorazione particolare per Carole Lombard. Ebbi modo di conoscerla
la prima volta che venni qui nel 1937 e Mervin LeRoy mi chiese
di contribuire con alcuni dialoghi a una pellicola che stava girando,
Fools for Scandal,151 e che vedeva nel cast anche la Lombard. Non era
solo sexy, era divertente, radiosa e una piacevolissima compagnia. Si
face avanti come volontaria per sostenere i soldati con alcuni spettacoli.
Ma morì e il suo grande talento e la sua splendida persona ci vennero
negati per sempre. Si trovava a bordo di un aeroplano insieme a sua
madre, di ritorno da uno show davanti alle truppe, quando il velivolo
precipitò in Nevada nel 1942. Carole Lombard... la amavo.
HANK: Non hai prestato servizio militare?
IRV: Sono stato riformato. Ero stato classificato “rivedibile” e mi dissero
di ripresentarmi nella primavera del 1944. Poi sul finire del 1943
spuntò fuori una nuova legge che esentava dal servizio tutti gli uomini
sopra i trent’anni con figli a carico. Avevo passato da poco i trenta e
avevo una figlia di tre anni. Questo mi evitò di diventare un eroe di
guerra: l’uomo che uccise Hitler con un buffo monologo.
Per un certo periodo quindi fui molto vicino a partire e avevo un sacco
di pensieri. Buffo, no? Di cosa ci si preoccupa quando si parte per una
situazione così estrema? Non ero tanto preoccupato dai proiettili, ero
minuto e un bersaglio poco allettante. Ero più preoccupato dal fatto di
dover dormire in enormi camerate con chissà quanti altri uomini, perché
avevo il sonno incredibilmente leggero.
Ebbi un altro incarico durante la guerra. Dovevo camminare per il
mio quartiere con un fucile e un cappello con le insegne rosse, bianche
e blu. In teoria dovevamo avvistare gli aerei nemici.
151 Regia di Mervyn LeRoy (1938)..
HANK: Davvero? Qui a Los Angeles?
IRV: C’erano molti falsi allarmi. A volte una stella cadente traeva in
inganno qualcuno facendogli pensare che fosse un aeroplano. Accadde
sul serio. Il mio titolo era di “Guardiano dei raid aerei” per il distretto
di Bel Air. Tutti nel vicinato utilizzavano tende nere durante la notte. E
ben presto la paura passò. Bel Air era l’elite dell’elite. E riguardando
indietro, la cosa era abbastanza comica.
HANK: In che modo?
IRV: Trascorsi lì il periodo della guerra insieme a Jeanette MacDonald.
Grande stella del cinema. Con Nelson Eddy. Prendeva molto seriamente
la situazione e sapeva come maneggiare un fucile calibro 22.
Una volta eravamo nella casa che condivideva con Gene Raymond a
parlare di un’eventuale invasione da parte del Giappone. Facevamo pratica
simulando i soccorsi, all’improvviso io mi buttai sul pavimento
del suo salotto. Iniziai a tremare e a gemere di dolore. Jeanette reagì
prontamente: “Mio Dio!”, disse. “Che cosa ti è successo?” E io: “Sono
stato investito da un risciò!”
La cosa la rasserenò e da quel momento in avanti per noi fu più divertente
difendere Bel Air da quelle stesse persone che cinquanta anni
più tardi avrebbero posseduto la maggior parte del nostro quartiere e
avrebbero affollato il nostro country club.
HANK: Qual è la tua posizione riguardo l’attuale guerra in Iraq?
IRV: Sono arrabbiato. Enormemente arrabbiato.
HANK: Norma ti legge gli editoriali di Frank Rich e Maureen Dowd
del New York Times. Questo ti aiuta a mantenere il tuo equilibrio?
IRV: Lei è molto divertente. La adoro. È anche sexy, sei d’accordo
con me? Norma ha detto che se mai vorrò tradirla, farà un’eccezione e
mi permetterà di dormire con Maureen Dowd.
---
Nell’aprile di quell’anno conobbi la Dowd al Festival of Books del
Los Angeles Times e le mandai per posta elettronica un racconto che
avevo scritto su Brecher in The Forward, prendendomi la libertà di aggiungere
che Irv era un suo grande fan e quello che aveva detto di lei
sua moglie. L’email di ritorno della Dowd conteneva solo una parola:
“Fantastico!” Lo dissi a Irv.
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“Credo che ne rimarrà delusa”, mi disse. “Ma non posso dormire con
lei. Soffro d’insonnia”.
Successivamente Irv ricevette per posta il suo libro Bushworld con
la seguente dedica: “Irv, tu sei troppo furbo e sensibile per rimanere
intrappolato nell’oscuro e appiccicoso mondo di Bush. Maureen (Cobra!)”
“Cobra” è il nome in codice che George Bush ha affibbiato alla Dowd.
Irv mi ha detto di risponderle che il Cobra deve “continuare a muoversi
e colpire” aggiungendo commenti caustici sul “nostro tragicomandante
in capo”.
“Sono orgoglioso di fare parte anch’io del mondo della Dowd”, mi
disse.
Leggende viventi
Nell’inverno del 2007 la Writers Guild Foundation ha omaggiato Irv
in occasione del primo festival intitolato “Leggende viventi: i grandi
classici del cinema e i loro autori”. Un’intera giornata di convention
presso il teatro WGA, un evento che ha visto in cartellone le interviste
con Fay Kanin (10 in Amore,152 1958), Millard Kaufman (Giorno
Maledetto,153 1955) e Brecher (Incontriamoci a Saint Louis, 1944).
Army Archerd dedicò all’evento un’anteprima sulla sua pagina di Variety
e io feci da autista a Irv, Norma e alla nipote di Irv Nancy Bennett
fino al teatro di Beverly Hills.
Nella Green Room del WGA ci imbattiamo in Fay Kanin, che saluta
Irv calorosamente.
“Dobbiamo smetterla di incontrarci in questo modo”, ride Brecher
nel raggiungerla. “Come stai, Fay?”
“Come stai tu?”
“Schlepping”,154 le dice.
“Anch’io schlepping”, ribatte lei.
“Io faccio il numero di apertura”, dice Brecher. “Alle undici del mattino.
La gente starà ancora dormendo”.
152 Teacher’s Pet, regia di George Seaton (1958).
153 Bad Day at Black Rock, regia di John Sturges (1955).
154 Arranco. [n.d.t.]
“Io sono alle tre del pomeriggio”.
“Lo so, avrai un maggior numero di spettatori”.
“Ne dubito”, sospira lei. “Beh, qualunque sia la scaletta, è una cosa
lodevole”.
“È un’iniziativa molto bella da parte della Guild”.
“Già”, concorda Kanin. “E poi ci definiscono leggende viventi!”
“È bello essere chiamati leggende viventi”, continua Brecher, “molto
meglio del titolo originale che avevano pensato”.
“E sarebbe?”
“Reliquie resuscitate”.
Quando sopraggiungono le risate di noi astanti, Kanin si sporge verso
Irv.
“Sono offesa”, afferma, “non sarò una reliquia prima di altri cinque
anni”.
Fay Kanin e Millard Kaufman hanno entrambi novant’anni. Brecher
li supera di poco. Mentre io e Norma guidiamo il suo deambulatore
verso l’auditorium, mi chiedo se questo possa essere l’ultimo momento
di gloria di Irv. Ultimamente soffre di parecchi problemi, ad esempio la
settimana precedente è stato colpito da spasmi cardiaci durante la “Harpo
Night” all’Hillcrest. Non ha potuto stare a lungo in mezzo a quegli
uomini radunati nella Grill Room vestiti in boxer in omaggio ai tempi
in cui Harpo imperversava nel club.
Mi sento un po’ nervoso, ho appena letto che Al Langer del Langer’s
Deli è morto a novantaquattro anni e che un altro tizio che si chiamava
Milton Brucker è anche lui deceduto alla stessa età. E adesso sto portando
velocemente a casa Irv a causa delle palpitazioni e lui giace sul
sedile posteriore dell’auto gemendo: “Cazzo, sto morendo”, cosa che il
giorno successivo nega categoricamente di avere mai detto, dopo che
le pillole alla nitroglicerina hanno finalmente fatto effetto (un recupero
miracoloso) e al telefono dice di sentirsi bene. “Non ho mai detto niente
del genere; ho detto «finiamo questo fottuto libro!»”
Ma ultimamente dice troppe volte di “non avere più gas” e cose spaventose
tipo “mi sto dirigendo verso la meta finale”, cosa che mi rattrista
mentre osservo che solo la metà dei posti del teatro WGA sono
occupati. Lo indirizziamo lentamente verso l’ingresso della stanza dove
Robert L. Freedman ci attende in piedi. Freedman è il nostro intervistatore,
a ogni ospite ne è stato riservato uno diverso. Freedman ha vinto
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un Emmy per una mini serie su Judy Garland che ha scritto e diretto
con Judy Davis come protagonista. Togliamo di torno il deambulatore
e Freedman aiuta Irv a salire i due gradini che portano al palco e poi
fino a una sedia. è molto carino e lascia che a condurre l’intervista sia
Irv, quest’uomo ossuto in un impeccabile completo grigio, che tiene
incrociate quelle che devono essere le più sottili caviglie di Beverly
Hills, mettendo in mostra un paio di eccentrici calzini a pois blu e neri.
Brecher si avvicina il microfono alle labbra e dice quanto sia felice di
venire omaggiato in questo modo insieme a due grandi autori come la
Kanin e Kaufman.
“Vista la nostra età”, dice a Freedman e rivolgendo lo sguardo verso
di noi, “non sono sicuro se questo sia un tributo o piuttosto un omaggio
postumo”.
Basta una risata per farlo ingranare. Seguono settanta minuti di domande
e risposte durante i quali sfoggia la sua impareggiabile memoria
e non soltanto snocciola aneddoti delle leggende del cinema della
vecchia Hollywood, ma spesso ricorda anche i loro numeri di telefono.
La battuta sulle “reliquie resuscitate” che ha improvvisato nella
Green Room riceve una grande risata. Quando descrive Lucille
Bremer in Yolanda e il Re della Samba come una delle peggiori attrici
che abbia mai visto ma confidando che “Arthur Freed pensava che fosse
una delle migliori pupe che avesse mai avuto”, Norma si sporge dal suo
posto in prima fila e sussurra: “Adesso si sta scaldando”.
Ringiovanito dalle risate amichevoli e spesso fragorose del pubblico
che certamente può udire ma che probabilmente intravede appena come
un muro di ombre, Irv è così eccitato che non si accorge che alla fine la
sua sedia si è quasi completamente girata e ora guarda la scritta gigante
sullo sfondo del palco che dice WRITERS GUILD OF AMERICA
FOUNDATION.
Freedman, educatamente, lo riporta nel verso giusto mentre Brecher,
che intanto continua a parlare, improvvisamente dice: “Dov’è il pubblico?
Pensavo fosse scappato”.
Scoppia una risata enorme.
Procede come meglio non si potrebbe, e lui va avanti finché non è
stanco e dopo che l’intervista finisce io e Norma lo guidiamo verso
l’ingresso. A metà strada è esausto e deve tirare fuori il sedile di plastica
dal deambulatore e sedersi. E lì rimane a riposarsi, su un tappeto a metà
strada dalla lobby. Mentre io e Norma mettiamo i piedi contro le ruote
per evitare che scivoli, la sala si riempie di persone a caccia di autografi
e fotografie. è come se io e Norma non fossimo neanche lì, tutto quello
che vogliono è raggiungere il loro beniamino hollywoodiano.
Homer Simpson e la dialettica
socialista in Life of Riley
Riley: Peg, per cinque dollari posso prendere il prodotto per i muscoli del
Dr. Flexo. [Legge] “I tuoi muscoli fanno pena? Stai diventando grasso e
flaccido? In trenta giorni ti garantisco che farò di te un dio greco!”
Peg: Tu, Riley? In trenta giorni?
Riley: Peg, non desideri che tuo marito abbia una buona forma?
Peg: Non per cinque dollari. Con trenta centesimi posso andare a vedere
Cary Grant questo pomeriggio.
- William Bendix e Paula Winslow in “Riley Getting Old”, The Life of Riley
Radio Show. 6 aprile 1951
HANK: Ascoltando alla radio le vecchie puntate di Riley ho notato
una cosa: hai condensato in mezzo minuto ben quattro battute sulla
morte.
IRV: Quindi?
HANK: Quindi la mia domanda è: è per questo motivo che hai creato
il simpatico personaggio del becchino Digger O’Dell?
IRV: Perché?
HANK: Per contrapporre il suo continuo ricordare la morte con la
cosiddetta vita di Riley?
IRV: No! Ti ho già detto come è successo. Era un personaggio molto
popolare.
HANK: “Sono io, Digby O’Dell, il simpatico becchino!” Il suo accento
mi ricorda quel tizio della 7-Up. Ti ricordi? Quel tipo caraibico
negli spot televisivi?
IRV: Se lo dici tu.
HANK: Sì. Un personaggio incredibilmente popolare, perché è stato
questo becchino a trasformare Riley in una miniera d’oro quando lo hai
venduto al sindacato per centinaia di migliaia di dollari. Immagino che
tu abbia un affetto segreto per i mortuari da allora, dico bene?
IRV: Non lo chiamerei affetto. Loro fanno quello che devono fare.
Ma nessuno vuole davvero che venga fatto a loro.
300 301
HANK: Che razza di sviluppo disgustoso!
IRV: Sai, qualcuno ancora lo dice quando le cose si mettono male.
HANK: L’ho letto da bambino su I Fantastici Quattro.
IRV: Chi sono? Boss degli Studios?
HANK: È un fumetto. Un personaggio che si chiama La Cosa è solito
dire: “Che razza di sviluppo disgustoso!”
IRV: Carino. Non sapevo della sua esistenza.
HANK: Immagino che Stan Lee e Jack Kirby, i creatori, debbano
aver sentito Riley.
IRV: Sono scioccato.
HANK: La Cosa è un burbero supereroe della classe lavoratrice.
IRV: Riley apparteneva alla classe lavoratrice.
HANK: Irv, sapevi che c’era un seminario alla UCLA chiamato “La
Vita di Riley come dialettica socialista”?
IRV: No.
HANK: Forse perché Riley trascorse dieci anni alla Stevenson
Aircraft?
IRV: Lo show cominciò durante la guerra, di conseguenza lui lavorava
sugli aerei militari.
HANK: Un rivettatore della classe operaia. Il seminario sembra alludere
che tu stessi veramente parlando di lotta di classe in quella serie.
IRV: Dici?
HANK: La figlia di Riley, Babs, è una dottoressa in sociologia.
IRV: Babs era al secondo anno alla UCLA.
HANK: E Riley parla sempre di, cito: “combinare un buon matrimonio
con uno di quei socialisti di Pasadena”.
IRV: Diceva “socialiti” di Pasadena!
HANK: Socialiti?
IRV: Sì.
HANK: Guadagna cinquanta pezzi a settimana. Non può permettersi
l’elettricità e paga sempre l’affitto in ritardo per la sua piccola casa. E
proviene da un sobborgo di operai, El Segundo.
IRV: No, El Segundo è il posto dove lavora. Lui vive a Blue View
Terrace, un nome inventato. Non l’avevo specificato. Riley è il classico
povero diavolo divertente. A dire la verità, quando mi misi a scrivere
lo spettacolo non avevo in mente qualcuno di nome Riley. Pensavo a
famiglie come la mia.
HANK: Riley parlava di una famiglia ebrea?
IRV: No, ma avevo capito che i problemi delle famiglie ebree che io
conoscevo erano essenzialmente uguali a quelli degli altri perché legati
a salari insufficienti.
HANK: Questo mi fa pensare alla serie Tutti Amano Raymond di Phil
Rosenthal, che creò una famiglia italo-americana attingendo a piene
mani dal proprio background ebraico.
IRV: Già. E quindi?
HANK: Voglio dire chi l’avrebbe detto? C’è un tizio, Riley, che vive
a Los Angeles ma è ancora abbonato al Brooklyn Daily Eagle.
IRV: Perché Riley è fatto così. È un personaggio bizzarro. E per di
più fa parte di un intero gruppo di sfigati come lui, il BPLA, che sta per
Brooklyn Patriots of Los Angeles. Giocano a bowling insieme e tifano
tutti per i Brooklyn Dodgers.
HANK: Irv, in una rubrica d’affari del New York Times domenicale
chiamata “Class in America” hanno steso una summa degli eventi per
l’anno 1955. Diceva: “Honeymooners fa il suo debutto televisivo. In
una sit com dedicata alla working class…”
IRV: Beh, noi avevamo debuttato in televisione cinque anni prima di
Honeymooners.
HANK: Da dove viene il titolo Life of Riley?
IRV: Da un vecchio proverbio irlandese che amavo perché è esattamente
l’opposto di quello che il nostro eroe rappresentava.
HANK: Ma non avevi detto che nello show non era presente alcuna
sottotraccia che parlasse di lotta di classe?
IRV: Riley soffre di tutti i guai causati dalla sua condizione di povertà
e prova nonostante tutto a essere una persona orgogliosa.
HANK: Immagino che avere uno show radiofonico di fascia alta invece
rese te estremamente orgoglioso e non esattamente un poveraccio.
IRV: Da un punto di vista finanziario “Riley” fu il più importante di
tutti i miei progetti.
HANK: Cosa successe dopo la vendita della versione TV per seicentomila
dollari?
IRV: Dopo che quella licenza scadde nel 1967, la spesi nuovamente
sul circuito radiofonico indipendente. Per esempio, a New York WOR
mandò in onda per dieci anni i ventisei episodi della stagione di Gleason.
Poi duecento episodi con Bendix, che la NBC per contratto rimise
nelle mie mani, vennero concessi a network più piccoli. Il più grande tra
questi era Robert Patterson del Christian Broadcasting Network.
302 303
HANK: Un vero spreco per uno show ebraico…
IRV: Era puro intrattenimento! La parola chiesa non veniva mai neanche
pronunciata. Non andava mai in chiesa, Riley era fatto così.
HANK: Certe cose non si sa mai come vanno…
IRV: Il Christian Broadcasting Network mi scucì un bel gruzzolo per
cinque anni. Quasi mi convertii.
HANK: E adesso “Riley” vive ancora grazie alla magia delle audiocassette.
IRV: Da quando lo spettacolo radiofonico chiuse il suo ciclo nel 1952,
questi nastri sono stati venduti a migliaia ogni anno. Non sospettavo che
esistessero così tanti collezionisti e amanti della radio d’annata.
HANK: Quindi il segreto è possedere i diritti dello spettacolo.
IRV: Sono stato il primo a detenere i diritti di uno show. Ma a dire il
vero non è così, ci dev’essere stato prima qualcun altro.
HANK: E i lavoratori sotto di te venivano trattati bene? Venivano
pagati per vivere bene?
IRV: No, sono morti. Queste non sono domande da fare!
HANK: Scusa. In un necrologio per Hume Cronyn si dice che la sua
sit com The Marriage, che risale al 1954, è stata “la prima serie televisiva
a essere trasmessa a colori”. Sembra che ogni show agli albori della
televisione abbia un claim da esibire.
IRV: Riley è stata la prima sit com girata con la tecnica della telecamera
singola. È tutto quello che so. La troupe ha fatto un lavoro erculeo.
Aiutava il fatto che con Gleason si girava una volta soltanto.
HANK: Qualche anno fa The Honeymooners è stato riproposto sul
grande schermo con un cast africano-americano. Hai mai pensato di
fare la stessa cosa con Riley?
IRV: Sì! Ci fu qualche contatto per fare una versione black per la
televisione. Ma è stata abbandonata perché dissero che uno spettacolo
con uno stupidotto come protagonista avrebbe generato risentimento
nel pubblico dei neri. E avevano ragione.
HANK: Trovo che Riley assomigli in qualche modo a Homer Simpson.
È giallo.
IRV: Non credo proprio.
HANK: Riley diceva sempre frasi come “facile come bere un bicchiere
di birra” invece di “acqua” Cose di questo genere.
IRV: E quindi?
HANK: Anche Homer parla così.
IRV: E anche Tony Soprano.
HANK: Mi è sembrato di sentire la tua voce una volta durante lo
show.
IRV: Davvero?
HANK: Ho ascoltato uno spettacolo di Riley durante lo show della
KKGO When Radio Was presentato da Stan Freberg. C’era un personaggio
che consegnava pacchi dei grandi magazzini Petlak. Sembrava
avere la tua voce, è possibile?
IRV: Probabilmente ero proprio io. Feci un mucchio di spezzoni durante
tutte le serie.
HANK: Divertente!
IRV: Per lo più li facevo con la voce di Groucho. Personaggi estemporanei
che spuntavano nella serie per una ragione o per l’altra.
HANK: Stan Freberg disse che si trattava di un estratto di The Life
of Riley del 1948.
IRV: Sì, ora mi ricordo. Era uno show divertente. Tutti gli portavano
un cappotto. Stan Freberg era un tipo divertente.
HANK: E lo è ancora. Non è ancora stato “spalato via”, giusto per
citare Mr. O’Dell.
IRV: A volte le persone citano ancora Digger O’Dell: “Farò meglio a
spalarmi via”. Strappa ancora qualche risata.
HANK: Sono andato a sentire lo scrittore Peter Mehlman allo Skirball,
ha detto che far ridere è la più bassa forma di commedia.
IRV: Ah!
HANK: Permettimi di fare un’altra citazione. Gerald Nachman nel
suo libro Raised on Radio dice che Riley era un’idea assolutamente
originale per il 1944: uno show per famiglie di colletti blu.
IRV: E io lo avevo creato per Groucho, ma ero molto riluttante. Non
era adatto a lui.
HANK: Lo so.
IRV: Lo sai? E allora finiscila di fare citazioni.
HANK: Sono qui solo per Groucho e, naturalmente, per le storie sui
tuoi amici di Generation Exit.
IRV: E che cos’è?
HANK: La generazione di vecchi e divertenti uomini ebrei che stanno
per lasciarci.
IRV: Perché? Che cos’è che ti interessa?
304 305
HANK: La saggezza. In quello che c’era in quel mondo che sta scomparendo.
E in quello che diventeremo dopo. Sai, sul fatto di guardare
avanti per la mia generazione, non solo indietro.
IRV: Beh, non c’è niente di male.
HANK: Lasciare la saggezza della tua generazione?
IRV: No! La morte. Perché sta diventando sempre più popolare; sempre
più gente le corre incontro. Sembra una moda. Sto parlando della
guerra. Questa dev’essere una catarsi. Siamo nel bel mezzo di una guerra
e io sto cercando di parlare di risate.
HANK: Irv, per un tizio di quasi novantacinque anni hai un atteggiamento
inusuale riguardo all’essere “spalati via”. All’inevitabile.
IRV: Bene, il problema principale, come ti ho detto, è che morire
interferisce con ogni cosa. E poi guarda attraverso cosa devi passare per
arrivare dove finalmente troverai la pace (sempre che tu ci creda), ovvero
all’inevitabile. Ogni giorno devi farti visitare da svariati dottori. Per
arrivare là devi usare un deambulatore e poi finisce che ti ritrovi su una
sedia a rotelle. Il cameriere ti porta una braciola di agnello da azzannare
ma non hai i denti per mangiarla. Tu mi hai visto mangiare. Metti
questo nel libro: come fa un uomo cieco a mangiare uno sgombro in
scatola. C’è un’altra cosa: danno uno show in televisione che non puoi
più vedere perché hai perso la vista. È dura sintonizzarsi sulla HBO,
capire che ci sono due persone completamente nude ma tutto quello che
puoi fare è sentire i gemiti. Quando capisci questo, anche se sei portato
a credere che sia inevitabile, capisci che morire non vale tutti i guai che
devi sopportare.
Gruppo di support o risate
Intervistatore della Warner: Signor Brecher, se dovesse descrivere i
Fratelli Marx con una parola, quale userebbe?
IRV: Ebrei.
Una volta tanto tempo fa, in una Hollywood che non esiste più, Brecher
e Marx si stavano dirigendo a ovest sul Sunset Boulevard a bordo
della Cadillac decapottabile color lilla di Irv, con dietro Berle, per nulla
contento di essere seduto sul sedile posteriore, che sgomita in mezzo a
Benny e Burns. Fumano sigari e si raccontano a turno aneddoti e battute
mentre sfrecciano lungo il viale alberato fino a Bel Air, dove Brech
effettua una brusca sterzata a destra sulla Stone Canyon Road e subito
dopo un’altra curva per imboccare il vialetto di casa sua. Mentre i suoi
amici cercano di mantenere accesi i sigari, lui balza fuori dall’auto e
corre a prendere un vaso di cetrioli appena colti dal suo orto. Perché
Gene Kelly e Billy Wilder ne vanno matti...
Ma ora Irv assomiglia ad Harpo, i capelli gli scivolano via ai lati
della testa. I bianchi capelli si spargono sul cuscino, perché Irv è steso
a letto. Ha raggiunto il punto che lui chiama “Decrescita”. è magro
come Ichabod155 e inizia a tossire ogni settimana in modo diverso,
emettendo cose che lui stesso è troppo cieco per vedere. Il suo unico
esercizio consiste in una sgambata nell’atrio, mentre spinge il deambulatore
su e giù. Se si sente bene, magari si alza per andare fino al club
per farsi tagliare i capelli, oppure fino a Costco con Norma e l’aiuto di
Eddie e Oscar. Ma io so che la sua testa è ancora presente quando mi
rivela di avere anche problemi di bilancio.
“Sia fisico che finanziario”, dice. Il suo medico lo ha informato che
una delle sue gambe è un paio di centimetri più corta dell’altra. Per
tutta la vita è stato sbilanciato sulla parte sinistra. L’anca lo tormenta e
i denti lo avviliscono e non ha alcuna voglia di parlare perché ultimamente
non riesce più a dormire. Norma ci prepara un po’ di sgombro
in scatola e noi lo mangiamo nella sua camera da letto. Sotto il letto
c’è una confezione di cioccolato fondente di Trader Joe e lui me ne fa
rompere qualche quadratino come dessert. Gli confido una cosa che ho
notato: in ogni situazione della vita di tutti i giorni lui sembra cercare
il lato umoristico. Immagino, gli dico, che quando si raggiunge una
veneranda età come la sua e ci si trova fuori dal giro...
IRV: Stai cercando un modo di divertirti.
HANK: Già.
IRV: Ti fai la tua fotografia. Ne rubi un frammento.
HANK: Sì, “tra un frizzo e un lazzo” come avrebbero potuto dire
Nick e Nora.
IRV: Cosa?
155 Protagonista del racconto di Washington Irving La Leggenda di Sleepy Hollow
che prende il nome da un personaggio biblico. [n.d.t.]
306 307
HANK: È quello che ha detto il giornalista del LA Times che ha
recensito il cofanetto de L’Uomo Ombra in DVD. Che Nick Charles e
sua moglie Nora risolvevano sempre il caso “tra un frizzo e un lazzo”.
IRV: Niente male.
HANK: Posso chiederti una cosa sul Martini?
IRV: Perché?
HANK: Beh, hai detto che il tuo primo bicchiere fu insieme a Nick
Charles.
IRV: Per Bill [Powell] era il bicchiere numero ottomila.
HANK: Ti ha detto che effetto aveva su di lui un buon Martini?
IRV: Metteva a posto qualunque cosa. Ti ho anche mostrato l’effetto
che aveva su di me.
HANK: E qual era?
IRV: Mi metteva appetito. Una cosa di cui avrei bisogno, secondo il
mio dottore.
HANK: A parte il bere, che andava per la maggiore nella vecchia
Hollywood, a quel tempo si usavano le droghe?
IRV: Non andavamo alle feste di Groucho per fumare gli spinelli!
C’erano Nat Perrin e tutti gli altri, potevamo stare lì a bere qualche
brandy, si fumavano un sacco di sigari... e a volte Herman Mankiewicz
alzava il gomito, ma nessuno cadeva in piscina con gli abiti addosso.
HANK: Nessuno?
IRV: Eravamo occupati a sfidarci l’un l’altro con il nostro umorismo!
Mi piacerebbe tanto avere un videotape di quelle serate da mostrarti.
HANK: Dunque niente droghe.
IRV: Conoscevo qualche tizio che faceva uso di droga, come Hunt
Stromberg.
HANK: Il produttore di L’Ombra dell’Uomo Ombra.
IRV: Aveva avuto un incidente d’auto che lo lasciò con un’anca malridotta.
A volte si scusava e si allontanava e noi sapevamo cosa andava
a fare. A cercare sollievo dal dolore prendendo una dose di morfina.
Deducemmo che fosse quello il motivo per il quale andava nell’ufficio
di fianco. Ma non era fuori controllo.
HANK: E gli altri scrittori che conoscevi?
IRV: In genere la maggior parte degli sceneggiatori alla MGM sapevano
di aver bisogno di una testa lucida. Ma i beoni che conoscevo
erano dei veri ubriaconi.
HANK: A quei tempi quanto guadagnava uno sceneggiatore?
IRV: Quando lasciai la Metro prendevo 2500 bigliettoni a settimana.
HANK: Cavoli, è quello che prendevano dei miei amici autori per
scrivere sit com negli Anni Novanta. Sei caduto in depressione quando
hai lasciato la MGM nel 1947?
IRV: Fu un sollievo! Partii per un viaggio di pesca con Groucho!
Avevo uno show radiofonico tutto mio, avevo trentatré anni e le tasche
piene di soldi. Mio figlio già mostrava alcuni segni... all’età di tre anni.
Venne cacciato dall’asilo.
HANK: No.
IRV: Lanciò qualcosa alla maestra. E quindi la risposta è sì, di tanto
in tanto cado in depressione, sicuro. Ad esempio, non so se mi sveglierò
e se sarò qui. Non è una bella sensazione.
HANK: Cosa fai in questi casi? Io vado al cinema.
IRV: Io ho un metodo migliore del cinema, del teatro e dei concerti.
Mi chiudo in bagno, mi metto in piedi davanti allo specchio e mi insulto
ripetutamente. Mi dico quanto sono stupido e che cazzo ti preoccupi di
questo e quello se non puoi farci un bel nulla? Tiro fuori tutta la rabbia o
qualunque cosa sia che mi butta giù. Mi ha sempre aiutato. Tirare fuori
le cose non può fare male.
HANK: Chi te lo ha insegnato?
IRV: Nessuno. Un bel giorno l’ho fatto e basta.
HANK: Ci vuole fegato per tirare fuori tutte quelle cose. Una volta
mi hai detto: “Se riesci a superare tutti i tuoi dubbi sull’essere utile o
meno ti sentirai molto più realizzato”.
IRV: Ho detto così? Ultimamente sono depresso perché ho perso
tantissimo peso. Se apro la camicia puoi contarmi le costole. Mi sono
rivisto su una cassetta che mi ha dato Jan Murray e sembravo un fottuto
cadavere. Finché non ho iniziato a parlare.
HANK: Continua a parlare allora.
IRV: Va bene. Che cosa ti posso raccontare?
HANK: Ti piacevano i film da bambino?
IRV: Che razza di domanda è questa? A quale bambino non piacciono?
Da bambino mi piacevano i film muti, specialmente le commedie
con Charlie Chaplin e Buster Keaton. Ogni sabato se avevi quindici
centesimi potevi vedere qualcosa. Pensa: dieci anni dopo il primo film
parlato, stavo scrivendo per il cinema.
HANK: Stupefacente.
308 309
IRV: Non è stupefacente. Ovviamente successe la stessa cosa anche
ad altre persone. C’erano centinaia di film nel 1937.
HANK: Che cosa mi dici del primo film parlato?
IRV: Mi ricordo l’emozione quando mio padre, nel 1926, mi portò a
vederlo! Il primo film parlato debuttò al Rivoli Theater di Broadway e
aveva come protagonista Sidney Chaplin, il fratello di Charlie. Si intitolava
The Better ‘Ole.156 Era ambientato in guerra. ‘Ole era le trincea.
E poi le parole uscirono dallo schermo per la prima volta. Fu una cosa
sensazionale! Ci fu solo una battuta di dialogo. Sidney Chaplin pronunciò
le fatidiche parole: “The better ‘ole”. Dopo quella volta, il sonoro
esplose con Il Cantante di Jazz. Amavo anche Io Sono un Evaso. Non
potevo sapere che il regista di quel film mi avrebbe assunto alla Warner
Brothers e poche settimane dopo mi avrebbe portato con lui alla MGM.
HANK: Mervin LeRoy. Vedere un film negli anni Venti era molto
differente rispetto a oggi?
IRV: Quando arrivò il sonoro diventò tutto più eccitante. Ma c’era
anche un altro problema. Il rumore.
HANK: Insieme al suono intendi?
IRV: No. Dal retro di alcuni sedili nei cinema. Avevano una struttura
in vetro e metallo con all’interno delle barrette di cioccolato. Se inserivi
una monetina questo coso emetteva il dolcetto. Era difficile ascoltare
il film, perché la maggior parte dei ragazzini sbatteva forte sulle
macchinette, e i più intraprendenti iniziarono a venire al cinema con i
cacciaviti.
HANK: Anche tu l’hai fatto?
IRV: No, non avevo il cacciavite.
HANK: Sedili con barrette di cioccolato. Non ne fanno più di cinema
così.
IRV: Le bande di giovani teppisti smantellavano gli aggeggi per prendere
i nichelini. Non gliene fregava nulla del cioccolato!
HANK: Ah!
IRV: Quegli aggeggi non durarono abbastanza a lungo per far prendere
il diabete ai ragazzini.
HANK: Dimmi dei ragazzini del tuo quartiere.
IRV: Nel Bronx? Vicino al Grand Concourse? Mi tiravano le pietre.
Mattoni scagliati dal treno sopraelevato della Jerome Avenue. Correvo
fino a scuola e poi correvo fino a casa perché noi eravamo una delle due
156 Regia di Charles Reisner (1926).
famiglie di ebrei. C’erano un paio di ragazzini irlandesi che si divertivano
a tirarmi le pietre e a canzonarmi: “Sheeny... Mocky... Yid... Kike”.
HANK: Mocky? Non l’avevo mai sentito. Che significa?
IRV: Non lo so. Kike viene dall’Yiddish. Un kikela, un cerchio.
Quando gli immigrati arrivavano a Ellis Island non sapevano fare lo
spelling del proprio nome in inglese, facevano un cerchio. E così gli
agenti doganali presero a chiamarli kikes. Se dicevano “Scrivi il tuo
nome”, l’immigrato scuoteva la testa e uno di loro semplicemente si
limitava a mettere un cerchio nello spazio riservato al nome.
HANK: Non l’ho mai saputo.
IRV: Non me lo sono inventato!
HANK: Ammiro il fatto che hai attraversato un secolo così buio aggrappandoti
al tuo umorismo.
IRV: È quello che ci ha mantenuti vivi.
[Pausa]
Qualcos’altro ragazzo?
HANK: L’autrice Sandra Cisneros scrisse: “Le persone sono come
librerie viaggianti... una sorta di istituto smithsoniano con le gambe, e
quando muoiono tutto questo se ne va con loro a meno che qualcuno
non lo documenti”.
IRV: Morire può essere un problema non indifferente.
HANK: Sì, possiamo finire con una nota più leggera?
IRV: Ma certo.
HANK: C’è una barzelletta recente che ti piace?
IRV: Il nipote di Norma mi ha appena chiamato e mi ha chiesto se
sapevo come si circoncide una balena.
HANK: Come?
IRV: Le si fanno ingoiare quattro piercing.
[Pausa]
Ma l’altro giorno ne ho raccontata una a Norma che l’ha stesa. Henny
Youngman – me l’ha riferita Red Buttons – faceva parte di quello
che veniva chiamato “tab show”, uno spettacolo di varietà itinerante di
città in città. E andava a letto da settimane con una delle belle ragazze
del coro. Un giorno, prima dello spettacolo, ebbero una lite terribile, la
peggiore di tutte. E subito dopo lei uscì sul palco con le altre ragazze e
si mise a ballare. Henny era dietro le quinte che la aspettava, paonazzo
di rabbia, e quando il numero del coro finì e lei rientrò, lui le disse: “È
finita. Riconsegnami la tua passera”.
310 311
E così finì una tenera storia d’amore. C’è qualcosa di divertente nel
descrivere Henny che dice quella frase.
Chi la dura la ride
La scorsa notte ho sognato Irv che faceva standup. A Rochester, New
York. Metteva in scena sei differenti gag, personaggi, monologhi, soliloqui
shakespeariani. Ero arrivato tardi e avevo perso le prime due gag
ma gli mentivo quando lui mi accusava di essermele perse; pensavo
che lui era cieco, come poteva sapere che non mi trovavo lì? E così gli
facevo ripetere le scene e lui quasi ci rimaneva secco e io ero dispiaciuto
per averlo spinto troppo oltre. Ma bisognava andare avanti! Lui
moriva sul palco una manciata di volte, ma nella maggior parte dei casi
era eroico, comico, drammatico, tragico, ma soprattutto entusiasta di
trovarsi lì. Io registravo tutto, il mio registratore non funzionava ma ne
prendevo uno in prestito da un vecchio amico del college che si trovava
lì e il suono risultava un pochino metallico ma funzionava. Ci trovavamo
in un quartiere di africani americani e circa trenta persone si erano
voltate a guardarlo: erano hipster, quei bizzarri tipi anni Cinquanta che
avresti potuto vedere in un vecchio show di Oscar Levant. Irv finiva la
sua performance e il suo volto brillava come quello di Fred Astaire, con
i capelli lisciati all’indietro, aveva un aspetto favoloso! Per un paio di
volte pensai che stesse per morire sul palco, non durante il suo pezzo
ma sul serio, come è successo a Dick Shawn.
Irv mi ha raccontato la storia di Shawn, che aveva fatto stand up per
anni prima di apparire in Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo157 (il
mio film preferito quando ero bambino, nel 1963, con un cast che comprendeva
buona parte dei migliori comedian dell’epoca: Milton Berle,
Sid Caesar, Buddy Hackett, Jonathan Winters, addirittura Buster Keaton
e i Tre Marmittoni!) e tornò a fare stand up dopo aver interpretato
Hitler in Per Favore, Non Toccate le Vecchiette.158 Shawn portava sul
palco un sacco di monologhi sboccati, disse Irv, ad esempio: “Sapete
perché Dio ha inventato l’orgasmo? Così i [inserire il nome del gruppo
etnico] sanno quando smettere di scopare”. Ma quando Dick cadde
157 It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World, regia di Stanley Kramer.
158 The Producers, regia di Mel Brooks (1968).
morto sul palcoscenico nel 1987, le persone pensarono si trattasse di
uno scherzo, che facesse parte del suo numero.
Nel sogno, chiamavo il 911 per avere un’ambulanza a disposizione
durante lo show, e dicevo loro di non accendere le sirene, volevo soltanto
che fossero lì quando Irv avrebbe finito. Ero preoccupato, come
quella volta che l’avevo trascinato troppo in fretta lungo il corridoio
al tributo “Living Legend” alla WGA e pensavo che avrebbe avuto un
collasso.
Quando mi svegliai, non vedevo l’ora di raccontarlo a Irv. Lui mi disse
che faceva strani sogni ultimamente ma che non riusciva a ricordarli
una volta sveglio.
HANK: Che cosa ti manca maggiormente da quando non ci vedi?
IRV: Mi manca la vista.
C’è una pausa gelida prima che Irv riprenda.
Mi mancano soprattutto i volti di mia moglie e dei miei amici.
HANK: Mi manca andare al cinema con te. Mi rende triste.
IRV: Ovviamente mi mancano i film. Ma nella mia testa continuo a
proiettare alcuni dei miei preferiti, molte scene di così tante splendide
pellicole. Prendi I Migliori Anni della Nostra Vita,159 la scena in cui
Frederic March ritorna a casa dalla guerra e Myrna Loy lo vede. Che
momento. Poi altre scene tratte da Il Padrino.160 Ricordo così tanti film.
Forse a centinaia.
E adesso caro ragazzo, sta sopraggiungendo quel momento...
HANK: Sembri uno di quegli attori di vaudeville che lasciano il palco.
Aspetta, non andare.
IRV: Sto per tornare all’ovile. Sento il ticchettio dell’orologio, ragazzo.
HANK: Norma mi ha detto che è preoccupata perché sei troppo magro.
IRV: A un certo punto la natura ci dice: questa è la situazione, addio...
e poi ce ne andiamo viiiiia!
HANK: Ah ah ah. Jackie Gleason!
IRV: Già.
159 The Best Years of Our Lives, regia di William Wyler (1946).
160 The Godfather, regia di Francis Ford Coppola (1972).
312 313
HANK: È notevole il fatto che quasi settant’anni dopo che ti sei lasciato
alle spalle tutta questa formidabile produzione, non solo ricordi
le parole ma hai ancora l’abilità per far piegare in due dal ridere le
persone. Non trovi?
Silenzio
HANK: Irv?
IRV: È una domanda fottutamente lunga.
HANK: Il fatto è che conosco poche persone in là con gli anni. Per
questo mi sorprendi.
IRV: La verità è che io sono sorpreso di essere ancora qui. Ma non
credo che questo dipenda dal fatto che ho smesso di fumare o dalle vitamine
che prendo, o perché cammino per centinaia di metri con il mio
deambulatore. Se sono ancora in piedi è solo per dispetto. Un sacco di
persone sarebbero felici di sapere che un democratico è morto. Per questo
sono vivo, per fare un dispetto a Fox News. Qualcuno dovrebbe fare
una serie televisiva su come un mostro dei media australiano assetato di
soldi alimenti la propaganda politica a beneficio dei tonti che ascoltano
le sue radio e le sue reti televisive. Il titolo della serie potrebbe essere
“Murdoch, He Says”.161
HANK: Bel titolo. Diresti che tutto il tuo lavoro per radio, televisione
e cinema ha riguardato essenzialmente la commedia?
IRV: Pensavo di sì. Ci furono volte in cui il pubblico non fu d’accordo.
HANK: Bert Lahr, che so che tu conoscevi e amavi e per il quale
scrissi in Oz, diceva che la commedia è sempre vicina alla tristezza. E
Groucho diceva che c’era una linea sottile, che se non avesse conosciuto
la tristezza non avrebbe passato tanto tempo a cercare di far ridere
la gente.
IRV: Beh, credo che sia vero che essere ebrei, con la nostra storia
di persecuzione, c’entri parecchio: la sola via di fuga dalla miseria era
aprirsi e fare qualcosa di divertente, o dire qualcosa di divertente, per
spostare la lancetta dalla pena a una momentanea ilarità.
HANK: È una cosa innata?
IRV: È una cosa istintiva. Ed è stata tramandata. Anche oggi che il
mondo ci riconosce un grande contributo nelle arti, nella scienza, nella
musica e nella medicina – pensa a Einstein o Jonas Salk – i comedian
161 Riferimento alla commedia del 1945 Murder, He Says, regia di George
Marshall. [n.d.t.]
ebrei istintivamente cercano di suscitare risate rappresentando la storia
infelice della nostra gente.
HANK: Veniamo ai nostri giorni. Che cosa pensi dell’humour contemporaneo,
che cosa riesci a vederci?
IRV: Dello sperma nei capelli di una ragazza?
HANK: Ti riferisci al film Tutti Pazzi per Mary.162
IRV: Non ci vedo nessun umorismo cinematografico. Vorrei che
ci fossero altri film con dialoghi pungenti come, ad esempio, quelli
di Eva Contro Eva o Lettera a Tre Mogli,163 entrambi firmati da Joe
Mankiewicz.
HANK: Ho letto una tua intervista all’interno di un libro dedicato
alla sceneggiatura comica, The Laugh Crafters, nella quale racconti
all’autore Jordan Young di quella volta che andasti a una festa con Carroll
O’Connor.
IRV: Era una festa a casa di Groucho. O’Connor era stato molto gentile
con me quando gli avevo fatto i complimenti per la sua nuova serie,
Arcibaldo,164 che fu un grande successo.
HANK: Erano gli anni Settanta.
IRV: Mi disse che con Arcibaldo non stavano facendo altro che The
Life of Riley, solo, con la libertà che io non avevo avuto allora. In radio
o in televisione, ma anche nello scrivere film, fino alla meta degli anni
Cinquanta, eravamo come menomati dall’impossibilità di scrivere certe
parole o di mostrare certe situazioni. Credo che fosse la cosa più difficile
della commedia. Oggi si va nella direzione opposta. L’uso di parole
volgari, in particolare da parte degli stand up comedian su Comedy
Central e HBO, non mi infastidisce perché è privo di senso, ma perché
è noioso! OK, c’è più libertà, ma raramente la comicità è memorabile,
se confrontata con quello che ci trasmettevano Jack Benny, Fred Allen,
Berle, Bill Cosby e quella che probabilmente è la più grande di tutte le
commedie, Your Show of Shows di Sid Caesar.
HANK: Davvero volevi diventare uno stand up comedian come i tuoi
amici?
IRV: Ne ho fatta un po’. Tu mi hai visto. E venivo anche pagato. Non
mi sono mai esibito in un saloon o al Comedy Store. Sì. Pensavo che
162 There’s Something About Mary, regia di Bobby e Peter Farrelly (1998).
163 A Letter to Three Wives (1949).
164 Il titolo originale della serie, trasmessa negli USA tra il 1971 e il 1983, è All in
the Family. [n.d.t.]
314 315
se avessi iniziato molto presto avrei avuto il mio personale show alla
radio. Ma non ci rimugino sopra più di tanto. Siamo quello che siamo.
Ma possiamo cambiare noi stessi in qualche modo... sai, a volte penso
che sia un grande errore essere in vita. Questo è quello che succede
quando ti danno la vita. È davvero una cosa temporanea. In altre parole,
c’è una buona possibilità che non si viva per sempre. Non chiedermi chi
me lo ha detto. Non me lo ricordo. Probabilmente è morto.
HANK: Quando ti vedo fare stand up, è come se improvvisamente gli
anni ti scivolassero via dalla faccia.
IRV: Assomiglio a Fred Astaire.
HANK: È vero!
IRV: Questo è quello che dici tu. Finché non l’ho detto io.
HANK: Lo vedi? Hai i tempi comici, l’atteggiamento, gli argomenti.
Tutti gli elementi di un grande stand up comedian.
IRV: Dici? Mi piace far ridere la gente. Ogni volta che si cerca di
far ridere la platea, penso di essere bravo a sapere che cosa porterà al
risultato desiderato. Questo non fa di me un genio, non più di un uovo
tenuto davanti alla luce.
HANK: Cosa?
IRV: Le chiamano uova candele. In passato c’erano un mucchio di
tecniche legate ai polli. Si prendeva un uovo, lo si teneva davanti a una
candela e si sapeva se si poteva mangiare o meno. Guardandoci attraverso.
Credo di aver avuto quel tipo di abilità legata alle cosiddette battute.
HANK: Ma sai chi viene prima, il comico o la barzellette? Da dove
vengono le barzellette?
IRV: Difficile dirlo, credo che un sacco di buone barzellette provengano
dai parrucchieri. Può sembrare strano ma me l’hanno detto tante
volte che ho finito per crederci. E alcune delle storie più divertenti vengono
riviste e aggiornate. Molte di queste hanno origine negli shtletls165
della Russia e dell’Europa dell’Est. Conosco centinaia di storie,
ma onestamente non so chi ne abbia ideata anche solo una di queste,
se escludiamo parte della produzione umoristica di Sholem Aleichem.
Lui era, che io sappia, l’umorista più creativo e incredibile di tutti. Una
delle mie risate preferite viene da un pezzo che lui scrisse su un giovane
studente del Talmud, che alzò la sua mano e chiese al rabbino idiota di
Chelm: “Rabbino, perché il mare è così salato?” E il rabbino rispose:
“Perché è pieno di aringhe”.
165 Villaggi ebraici. [n.d.t.]
Norma mi raccontò che suo padre, Wolf Schneider, era solito leggere
le storie di Sholem Aleichem a gruppi di bambini e adulti. Diceva che la
divertivano tutte le barzellette che suo padre raccontava a casa, ma sua
madre non rideva. Non aveva senso dell’umorismo e pensava che ridessero
di lei. Quando rammentai a Irv questo episodio, lui rise. Entrambi
ridemmo al pensiero della madre di Norma. O forse io stavo ridendo
per come lui rammentava tutto ciò, di come lui ricordasse Norma che
gli raccontava questa storia. Da un certo punto di vista stavano entrambi
ridendo per Sholem Aleichem. Irv aveva sicuramente ragione riguardo
a quel tizio.
La vita di Brecher
”Perché diavolo ti sei fatto eliminare? Ti avevo detto di fare
un fuoricampo. Ricordatelo, io sono il manager”.
- Groucho Marx rivolto a Joseph Mankiewicz durante una partita di
baseball alla MGM.
HANK: Irv, hai mai pensato di farti clonare?
IRV: Dici? Vedi, Bush è contro la clonazione, non so perché. Moltissime
persone vivono delle vite tremende, questo mi fa pensare a quello
che io sono in procinto di lasciare e non mi sento pronto.
HANK: Cosa non vorresti abbandonare?
IRV: Norma mi prepara tutte le sere cinquanta grammi di ottima vodka
Martini. Sarebbe un Martini normale in un ristorante decente dove
non cercano di fregarti. Non sono un gran bevitore, ho iniziato per motivi
medici, per via del cuore. Se bevi la giusta quantità, ti apre le arterie,
se bevi troppo per il cuore si mette molto male.
HANK: Ad ogni modo non puoi andartene, hai una serata che ti
aspetta all’Aero organizzata dall’American Cinematheque, durante la
quale proietteranno Tre Pazzi a Zonzo.
IRV: Farò quello che potrò, come ho fatto un paio di anni fa a quella
serata dedicata agli sceneggiatori all’Arclight Cinema con Incontriamoci
a Saint Louis. Solo stavolta spero di non prendere un raffreddore
che poi si trasforma in polmonite atipica.
HANK: Speriamo di no. In culo alla balena, Brech.
IRV: Grazie, caro.
316 317
[citazione di spettacolo]
Presentatore: Ladies and gentlemen... “And I guess that takes in most
of you”, come disse Groucho nel film dei Fratelli Marx preferito dal
nostro ospite d’onore, Una Notte all’Opera... Benvenuti nel Max Palevsky
Auditorium, sede dell’Aero Theatre, voluto dalla Donald Douglas
Company per ospitare 24 ore su 24 gli instancabili lavoratori dell’industria
aeronautica durante la seconda Guerra Mondiale... e recentemente
ricostruito a Santa Monica tra Wilshire e Montana Avenue per affrontare
il nuovo millennio!
Stasera, l’antivigilia di Natale, bianco e luminoso come il film del
1939 che è stato appena proiettato sul grande schermo, ecco a voi un
uomo che porta il 47 di piede e che pesa meno di sessanta chili, un
uomo che questo pomeriggio a malapena è riuscito ad alzarsi dal letto
ma che anche quando se ne sta sdraiato continua ad abbaiare risposte e
battute fulminanti a chiunque entri nella stanza...
Salutiamo questo irascibile, praticamente scheletrico gentiluomo in
divertita attesa del suo discorso, signori... l’autore di questo film, il signor
Irving Brecher!
[Partono applausi mentre lo sceneggiatore, con i capelli bianchi
tirati all’indietro e con indosso una giacca sportiva nera e
marrone, una camicia azzurrina, dei pantaloni color ruggine
e dei calzini che mostrano le gambe, si dirige, con l’aiuto del
suo amico Oscar, dal deambulatore fino a un palco leggermente
sopraelevato, e si sistema su una delle due sedie blu. Subito, si
libera dall’intrico di un lungo cavo microfonico che si è attorcigliato...]
IRV [muovendosi alla cieca fa sbattere l’estremità pelosa del microfono
contro la sua faccia]: Questo coso è vivo?
Platea dell’Aero tutta insieme [composta da qualche centenario, giovani
appassionati e novizi]: Sì!
IRV: Sono nei guai.
[risate]
IRV: Riuscite a sentirmi?
Platea dell’Aero: Sì!
IRV: Allora voi siete nei guai.
[risate]
Presentatore: Tre Pazzi a Zonzo dei Fratelli Marx ha quasi settant’anni...
IRV: Me ne scuso. Avevo solo ventiquattro anni quando ho scritto
questo film. Non sapevo quello che stavo facendo.
[risate]
IRV: Ma prima che continui a dire bugie su di me, devo dire che sono
stato contento nel vedere la reazione al film. Mi sono sentito lusingato
quando sono arrivato a teatro e mia moglie, che vede al posto mio, mi
ha detto che il cartellone recitava: “I fratelli Marx... Irving Brecher...
dal vivo”.
Pensate che shock sarebbe
per il mio dottore.
[Grande risata, applauso]
---
C’è stato un momento durante
quella risata nell’Aero
– un momento che non si è
ripetuto e che ho compreso
solo qualche giorno dopo
quando siamo incappati in una maratona dedicata ai Fratelli Marx che
il network Turner Classic Movies ha trasmesso a Capodanno – un momento
come quelli che già avevo provato osservando Irv che parlava
della morte; lo faceva in un modo tale che tutti quelli che ascoltavano
venivano toccati da un sentimento che riaffermava con forza la volontà
di vivere. Quando questo accadeva, questo tagliente personaggio si trasformava
in una sorta di gioioso e fragile amico.
Ricordo quella volta che mi fece vedere Rapina a... Nave Armata.
Seduto sul tappeto color magenta nello studio, mi trovavo tranquillo ai
suoi piedi mentre il geniale e brillante Ernie Kovacs imperversava sullo
schermo.
Alzai lo sguardo e vidi Brecher seduto sulla sua grande poltrona rosso
Barcellona con gli occhi chiusi, il mento appoggiato al petto e le braccia
che si muovevano a semicerchio. E le sue gambe magre continuavano
ad accavallarsi e scavallarsi, come se qualcuno gli stesse facendo il solletico.
318 319
Lo sciopero degli autori del 2007
Quando Sholem Aleichem era in procinto di morire, espresse un desiderio.
Il suo desiderio era che gli ebrei, quando si sentivano tristi,
pensassero a lui e ridessero.
- Ben Hecht nel suo libro 1001 Afternoons in New York
Alla fine del 2007, il corpo di Irv si è quasi completamente dimenticato
di lui. Il grande maestro della risata, il nostro vecchio King Cajole,
è una vecchia anima smunta, spaventata all’idea di pesarsi. E nessun
altro, dopotutto, vuole sapere quanto basso sia diventato quel numero
sul display della bilancia. Ha bisogno di un altro intervento all’occhio,
ma prima deve andare dal medico per capire se è abbastanza in forma da
sottoporsi alla procedura e se ci possano essere complicazioni.
Il cervello di Brecher, tuttavia, rimane un prodotto di rara bellezza.
Come uno di quei cervelli che si vedono nei film horror, conservato con
cura sottovetro. Vivace, sorprendente. Ora, immaginate quel cervello
attaccato a un bastoncino di carne secca di un metro e ottantacinque.
Gli chiedo un resoconto aggiornato dei malanni.
“Fanculo, non c’è mai fine a tutto questo”, risponde. “Hanno intenzione
di trapiantare un pezzo di pelle da un cuore umano e mettermelo
nell’occhio. È una grossa stronzata, ecco che cos’è. Mi era già capitato
all’altro occhio prima di prendermi il glaucoma”.
“Tutto qui, quindi?”
“No. Il mio pacemaker potrebbe essere ritirato dal mercato”.
Bello sentire una battuta.
E sapete che cosa sta succedendo a Brech? All’improvviso, tutti lo
cercano, dopo tantissimo tempo è di nuovo richiestissimo. Un tizio che
sta facendo un documentario sulla golden age della televisione vuole
venire a filmarlo. Un altro regista lo ha chiamato per parlargli di un
progetto sulla storia della comicità. Ancora un altro autore sta scrivendo
materiale sulla vecchia Hollywood. E in più ha appena ricevuto un anticipo
sulle royalty da un sito Web che commercia in vecchi spettacoli
televisivi per i nastri di “Riley”: sono stati trasferiti da cassetta su CD,
pronti per diventare digitali un giorno, se gli Dei della radio li riterranno
degni.
Nel tardo 2007, una donna chiama dalla Writers Guild per invitare Irv
al loro quartier generale sulla Fairfax Avenue per una sessione di registrazione.
Lo vogliono aggiungere al loro archivio degli sceneggiatori
WGA.
“Questo è l’ultimo hurrah”, dice Brecher mentre arriva con il fidato
deambulatore in una piccola stanza vicino all’atrio chiamata Billy
Wilder Reading Room.
Si siede sotto alcune forti luci. Ma non può vedere l’intervistatrice.
E non può sentirla a meno che lei non urli le domande, cosa che lei fa
con un accento inglese molto rapido che rende ancora più difficile per
lui capire. Le racconta di Judy Garland e qualche storia sulla MGM e
di Groucho e di Gleason. Mentre parla le sue mani stringono le cosce;
sembra quasi che le sua mani possano avvolgere tutta la parte inferiore
del suo corpo. In seguito confessa che si sentiva troppo stanco per fermarsi
per un sandwich celebrativo sulla strada del ritorno. Neanche per
mezzo sandwich. O per una scodella di zuppa.
Ma in breve il suo umore si ravviva notevolmente. Infatti sembra sinceramente
euforico ogni volta che passo a trovarlo.
“Merito di Nell”, mi dice. “Devi assicurarti che ci sia nel libro!”
Conosco Nell Scovell dai tempi del magazine SPY di New York dove
entrambi lavorammo sul finire degli anni Ottanta. è una scrittrice molto
divertente e ci perdemmo di vista quando lei lasciò New York per
andare sulla costa Ovest per scrivere serie televisive, in particolare per
sviluppare la nota sit com Sabrina, Vita da Strega.166 Ci siamo ritrovati
nel 2006 a Santa Monica dopo la brillante esibizione di Irv, una via di
mezzo tra un colloquio e un numero di vaudeville, la sera che proiettarono
Tre Pazzi A Zonzo all’Aero Cinematheque. I figli di Nell frequentavano
una scuola dove io ero stato impiegato come assistente e lì mi
sono imbattuto nuovamente in lei. Mi disse che aveva portato i suoi
ragazzi a vedere Irv all’Aero ed era rimasta a bocca aperta. Lei era una
conclamata fan del lavoro di Irv e un’assidua divoratrice dei classiconi
hollywoodiani, così mi organizzai per portare Irv a casa sua un sabato
pomeriggio. Lei aveva un miliardo di domande per lui e lui aveva una
risposta per ognuna di esse. Lui deliziò i suoi figli, Rudy e Dexter, con
aneddoti sui Fratelli Marx e poi, al momento di andare sussurrò “Dalla
166 Il titolo originale della serie è Sabrina the Teenage Witch. [n.d.t.]
320 321
voce sembra carina”, mentre lo guidavo lungo il selciato che portava
alla macchina. “A chi somiglia?”
Fu così che è nata un’infatuazione e un’amicizia alla quale lui ha
tenuto tantissimo. Disse di sentirsi come un mentore di una giovane
autrice-regista con la metà dei suoi anni, e dava a Nell consigli sui film
(stava iniziando a fare regia), mentre lei lo divertiva con aneddoti di
moderno schiavismo nella commedia televisiva di oggi. Considerarono
l’idea che lei passasse a fare il produttore. Con un dolce filo di imbarazzo,
lui mi ringraziò per aver portato “un’altra donna” nella sua vita.
Norma disse che se Irv fosse stato cinquant’anni più giovane si sarebbe
preoccupata! Lui ribatté che era passato tanto tempo dall’ultima volta
che aveva “coltivato relazioni con Julie Epstein e le altre sceneggiatrici
che adesso lavorano in esterni” .
Intendeva dire al cimitero.
La figlia di Irv, Joanna, muore sul finire dell’estate del 2007. “Troppo
doloroso”, dice Irv, “avere un figlio che se ne va prima di te”. Adesso
sia Joanna che John non ci sono più. Mi stupisco ancora di come, il
giorno dopo il festeggiamento in suo onore alla serata “Living Legends”
al teatro WGA, Brecher sia a Pacific Palisades a raccontare storie
al servizio funebre di Joanna. Irv e Norma arrivano presto a casa di
Miriam, un’amica di Joanna, e parlano con tantissimi dei suoi amici.
Vengono uno alla volta: alcuni di loro sono stati impiegati quarant’anni
prima nella sua boutique di Beverly Hills. Si affollano intorno a lui nel
soggiorno mentre da una poltrona Irv inanella un lungo monologo di ricordi.
La sua onestà, la sua abilità di comunicare gratitudine fa piangere
gli amici di Joanna e al tempo stesso li rasserena.
Lui non vuole ammetterlo, ma Norma dice che quel pomeriggio Irv
fu un eroe.
In seguito, per mesi, sembra che solo Nell sia in grado di farlo sorridere.
“Mi tratta come un buffo nonnino”, dice. “Avere qualcuno che
ti dedica attenzioni è un dono del quale non possono godere tutte le
persone anziane”.
è stato il destino di Brecher essere sempre il più giovane nella sua
cerchia di amici, sia nel Bronx che a Manhattan, sia a Hollywood.
“E dal momento che ero il più giovane”, spiega “mentre gli anni passavano,
tutti quelli a cui tenevo tiravano le cuoia. Così adesso sono io
il vecchio con una coppia di giovani amici”. (Non pensate neppure per
un momento che lui gioisse nell’essere il più anziano. Disse a questo
proposito: “Nel mio quartiere l’unica cosa più vecchia di me è un sicomoro”.)
Quando la Writers Guild dà inizio a uno sciopero contro otto pellicole
degli Studios e dei network televisivi, il 5 novembre, tutte le produzioni
da costa a costa si bloccano e i membri del sindacato occupano le strade
e i marciapiedi. In aggiunta, per la prima volta, sono in grado di utilizzare
la Rete per diffondere le loro rivendicazioni. Durante le lunghe negoziazioni,
allo scopo di mantenere i fedeli alla causa informati e motivati,
i siti degli autori vecchi e nuovi si riempiono di forum, invettive dal vivo
e manifestazioni di propaganda audiovideo.
Irv è seccato. Ha partecipato alle lotte sindacali per decenni e ora ricorda
i vecchi scioperi.
“Mi piacerebbe unirmi a loro”, dice, “ma il mio deambulatore li rallenterebbe
soltanto”.
A Nell viene un’idea, un modo in cui lui potrebbe dare il suo supporto.
Irv risponde con gioia alla proposta di Nell: fare un appello personale
via Internet. “Affronterò gli sleali produttori”, dice, “ e incoraggerò gli
autori senza lavoro a tenere duro!”
Nell arriva con una videocamera e un altro attivista del sindacato e nel
giro di pochi giorni prepara un video per YouTube. Tutt’a un tratto ti
vedi spuntare dal computer questa pittoresca vecchia statua che guarda
fuori dallo schermo, una creatura antidiluviana tutta braccia e gambe che
spara a zero davanti a una libreria in un soggiorno di Westwood.
In una settimana i due minuti di Irv raccolgono migliaia e migliaia di clic.
“Questo significa”, mi dice eccitato, “che qualcuno ti guarda. Cliccano su di te!”
Questa fu la prima volta in cui Irv entrò in contatto con quella che lui
chiamava “Computerland”. Ammise di essere sbalordito che una ripresa
fatta nel suo appartamento un pomeriggio potesse fare il giro del mondo
in quel modo. Il video di Brecher divenne una hit. Saltò di sito in
sito, man mano che gli scioperanti lo inoltravano per diffondere la sua
saggezza. I fan andarono anche oltre, inoltrandolo alle televisioni e ai
commentatori cinematografici, tanto che alcuni giornalisti, solleticati, ne
scrissero provocando una miriade di commenti.
Per vedere il video di Irv, visitate il sito Youtube.com e digitate “Irv
Brecher”. Clic!
322 323
Qui di seguito, ecco il testo di quella furiosa dichiarazione di guerra
ai produttori:
[citazione]
È sempre la stessa storia
Lo sciopero è un periodo duro per gli autori, che certamente preferirebbero
scrivere piuttosto che fare picchetti.
Tutto ciò accadeva la settimana scorsa...
I produttori vogliono tutti i profitti per loro.
Allora, non è che stiamo chiedendo tutta la mucca da mungere.
Tutto quello che vogliamo è uno schizzetto di latte.
Ma loro non ce ne danno neanche una goccia!
Il mese prossimo compirò novantaquattro anni. Non fatemi regali per
favore. Ma è dal 1938, l’anno in cui aderii a quella che allora si chiamava
la Radio Writers Guild, che sto aspettando che gli autori abbiano
un contratto giusto.
Sto ancora aspettando.
Sono ancora arrabbiato per il fatto che abbiano tolto i nostri diritti
d’autore.
Sono molto arrabbiato per il fatto che abbiano tolto tutte le royalty per
tutto quello che risale a prima del 1960.
Non permettete loro di toglierci Internet!
È il nostro futuro.
Come avrebbe detto Chester A. Riley: “Che razza di sviluppo disgustoso!”
Ma lui l’ha detto solo perché io l’ho scritto.
Sono Irving Brecher.
E sono un autore.
[fine citazione]
Cinquantamila clic dopo, ecco alcuni dei commenti che sono apparsi
sulla pagina YouTube sotto il video:
Che portavoce eloquente è il signor Brecher. Possiamo portarlo alla
commissione per le negoziazioni di New York?
(LATSE 764 member)
Ben fatto Irving... Ben fatto! Probabilmente uno dei più grandi autori
di sempre! (Miss Harpo Marx)
“Che razza di sviluppo disgustoso!”
Così ecco chi l’ha scritta!! Per anni mi sono chiesto di chi fosse.
Grand’uomo, signor Brecher! Ho comprato L’Ombra dell’Uomo Ombra
in DVD. Lei riceve la sua parte? Le leggi sul copyright sono stronzate,
ordite da quelle spazzature senza talento che sono i dirigenti.
(Yep147)
---
Tre mesi dopo, quando lo chiamo per avvisarlo che lo sciopero è finito,
Irv dice: “Non vedo l’ora che inizi il prossimo. Ho elaborato degli
ottimi insulti per quegli avvoltoi dei proprietari delle televisioni.”.
Viva Irv!
L’uomo che è sopravvissuto
all’America
Nella primavera del 2008, i Brecher partecipano al servizio funebre di
uno dei più vecchi amici di Irv, Seaman Jacobs. ‘Sy’ è morto all’età di
novantasei anni; era un tipo molto divertente che scrisse per il cinema
e per la televisione, monologhi per Bob Hope, George Burns e Johnny
Carson. Lo incontrai a un party dai Brecher, durante il quale gli feci
domande sulla sceneggiatura di spettacoli che ho amato da bambino,
come Il Mio amico Marziano167 e Strega per Amore.168
“Ho riscritto anche L’Antico Testamento”, disse Sy.
Ricordo un brindisi che fece durante la festa di compleanno per i novant’anni
di Irv, al ristorante di Hoboken Matteo Taste: “Se non fosse
per Irving Brecher, ora starei vendendo birra a Kingston, New York”.
Irv lo fece assumere al Mickey Mouse Magazine. Era il 1935.
Al servizio funebre di Jacobs al WGA Theatre arrivano decine di personalità
hollywoodiane. In seguito, Norma mi avrebbe detto che alcuni
167 Il titolo originale di questa sit com in onda negli USA tra il 1963 e il 1966 è My
Favorite Martian. [n.d.t.]
168 Il titolo originale di questa sit com in onda negli USA tra il 1965 e il 1970 è I
Dream of Jeannie
324 325
degli speaker parlarono per venti minuti, con fiacchi tentativi di essere
divertenti. Non era in programma un intervento di suo marito, ma lui
fece alcune brevi osservazioni dal suo posto, quando gli allungarono un
microfono.
Irv racconta una barzelletta che attribuisce a Sy, parla di una cittadina
che era così semplice che c’era solo una battona. Che era vergine.
E poi dice:
“Mi sento strano, sapete. Sono venuto qui sperando di essere triste e
depresso, di piangere al servizio funebre. Invece mi è sembrato di assistere
alle audizioni per American Idol”.
Norma mi avrebbe detto che a quella battuta la platea impazzì. Così in
seguito dissi a Irv di ricordarsi di invitarmi al prossimo funerale.
“Sei un Boswell”, disse.
“Che intendi dire?”
“Che ti aggiri intorno a un vecchio barbagianni nei suoi ultimi giorni,
buttando giù quello che ritieni divertente di quello che lui dice. Spero tu
abbia ragione. Sei tu il sofer”.
“Il sofer è lo scriba ebreo che trascrive i rotoli della Torah?
Fece una pausa e disse: “Forse no”.
Sembra che sia giunta l’ora di riavvolgere il rotolo. Di mandare i titoli
di coda. Dopo sette anni passati avanti e indietro dal salotto che era il
covo di Brecher – sbarcando il lunario in giro per la città con il registratore
in mano, chiamandolo nei ritagli di tempo, sempre sperando di
sentirgli rispondere: “Pronto, chi diavolo è?” – ho ascoltato ammaliato
i racconti dei personaggi che lui chiamava “Hollywood’s greats and
ingrates”.
Irv Brecher non è mai stato a corto di materiale. Il problema del mondo
è che noi rimarremo a corto di Brecher.
è seduto nella sedia rossa del suo studio, intento ad armeggiare per
far uscire l’audiocassetta dal registratore. Entro nella stanza facendo l’imitazione
del maggiordomo Rochester di Jack Benny (“Sto arrivando,
signor Brecherrrrrrrr!), che Irv non sopporta...
HANK: Irv adesso hai novantaquattro anni e mezzo.
IRV: Quindi?
HANK: Sei l’ultimo di una specie, è la fine di un’Era.
IRV: Arriva al punto, figliolo.
HANK: Hai intenzione di fare una grande festa per il tuo novantacinquesimo?
IRV: No.
[È stato un attimo]
HANK: Va bene, puoi dire ai lettori a che cosa è dovuta la tua longevità?
IRV: Non posso parlare a nome degli altri pezzi da museo, ma nell’ultimo
centinaio di chilometri quello che mi fa fatto andare avanti è stata,
credo, la rabbia. E la mia dieta. Che si basa essenzialmente su due iniezioni
di manzo sotto sale a settimana.
HANK: E la dieta regolare a base di rabbia?
IRV: La rabbia viene dall’aver realizzato che quasi la metà di chi ha
votato nel 2004 è costituita da stupidi che hanno lasciato al suo posto
un uomo che stava distruggendo questo splendido paese. Persone a cui
piace nominare questo paese in onore di Bush e Cheney, e il nuovo
nome è “Megalomania”
Avevo sospettato che l’America avesse contratto una grave malattia
quando intitolarono a Reagan quell’aeroporto. Ma il 2 novembre del
2004 è il giorno in cui l’America è morta.
HANK: Morta?
IRV: Tu stai parlando con un tizio che è sopravvissuto all’America.
HANK: E cosa mi dici del futuro?
IRV: In effetti non mi sarebbe spiaciuto andarmene la notte in cui
Bush è stato rieletto. Ma non volevo lasciare la mia splendida moglie,
mia figlia e qualche amico.
[Non dice niente a proposito del futuro]
HANK: È un bene che tu non te ne sia andato, perché adesso ti cercano
per farti fare numeri di stand up e sei richiesto da svariati documentaristi.
IRV: Merda, è solo il loro antipasto della mia morte. Fatevi sotto.
Muovetevi. Vedi, è un po’ come pescare. Io e Norma eravamo soliti
andare a pesca sul Rogue River in Oregon, quasi ogni autunno finché
non divenne evidente: non si può usare un demabulatore su una barca
a remi. Quello che mi sta accadendo è quello che accade ai salmoni
326 327
maschi. Nel loro ultimo stadio saltano fuori dall’acqua, si rotolano sul
dorso un paio di volte e poi è tutto finito.
HANK: Che ne diresti di andare in tour per il libro, girare per televisioni
e fare promozione radiofonica...
IRV: Adesso c’è un buon motivo per morire.
[Ridiamo]
HANK: Sono sicuro che mi mancheranno queste conversazioni con te.
IRV: Sono più che conversazioni per amor di Dio!
HANK: Siamo stati amici per quasi tutta la durata dell’amministrazione
di quel figlio-di-un-Bush, è venuta l’ora di giungere a una conclusione.
IRV: Lo penso anch’io. Ma non sarebbe meglio aspettare di avere il
libro in mano?
[Rido]
HANK: Così possiamo iniziare il sequel?
[Ride]
HANK: Hai idea di quello che vorresti scritto sul tuo epitaffio? Voglio
dire, hai una battuta finale?
[Passa giusto un momento prima che prema il grilletto]
IRV: “Qui giace Irving Brecher, che vi consiglia caldamente di stare
dove siete”.
Post ScriPtum
Brecher ha continuato a revisionare e a perfezionare questo libro facendosi
leggere le bozze ad alta voce. È stato un processo più lungo di
quello che avrebbe voluto e ha portato a pubblicare il libro il 17 gennaio
2009, il giorno del suo novantacinquesimo compleanno.
Non pensava che ce l’avrebbe fatta.
E aveva ragione.
Due settimane dopo che l’elezione di Barack Obama lo aveva rassicurato
che dopotutto l’America poteva sopravvivergli, Brecher venne
ricoverato al Cedars-Sinai. Anche nel suo letto d’ospedale era più caustico
che mai.
“Chiamate le infermiere”, disse un visitatore, quando Irv incominciò
a sanguinare dalle labbra.
“Chiamate un dottore”, disse qualcun altro nella stanza.
“Chiamate Dracula”, disse Irv.
Quando lo staff arrivò per ordinare il suo pranzo, gli chiesero se aveva
allergie o cose che non gli piacessero.
“George Bush”, disse.
Questa si rivelò la sua battuta finale.
‘Irv il Nervoso’ alla fine era giunto al traguardo, e il suo trapasso
venne riportato su Time Magazine, Los Angeles Times e New York Times.
Dopo gli anni passati insieme, posso immaginare che cosa avrebbe
detto: “Io sto facendo la mia parte per fare pubblicità a questo libro. Tu
che cosa stai facendo, ragazzo?”
Andai a Detroit per promuovere il libro nel corso di una fiera del libro
organizzata da una comunità ebraica durante quello che si rivelò essere
l’ultimo weekend di Irv. Riuscii a tornare in tempo per partecipare al
funerale.
Durante il tempo trascorso con Irv, ho partecipato a diversi funerali e
ho sentito di parecchi altri. Ma questo è diverso. Mi ci è voluto un po’ di
tempo per rendermene conto. A questo funerale ero senza il mio amico.
Ho avuto un assaggio di quello che mi ha detto per anni circa gli amici
e i servizi funebri: è un accostamento miserabile. Come mi ha detto più
di una volta: “Quando vado a Hillside, lascio il motore acceso”.
Con il suo esempio, Irv mi ha insegnato una lezione su come rispondere
alla morte: continuare a far entrare le persone nelle proprie battute.
Grazie per le risate, Irv.
328 329
I NUMERI DI IRV
1914 Irving Sidney Brecher nasce il 17 gennaio nel Bronx, a New
York.
1933 A 19 anni inizia a scrivere per il giovane fenomeno del teatro
e della radio Milton Berle.
1934-36 Scrive gag per Henny Youngman e rappresentazioni teatrali.
1937 Portato sulla West Coast da Mervyn LeRoy, scrive per Berle
nel film New Faces of 1937.
1938 Contribuisce alla stesura del film Il Mago di Oz prodotto dalla
Metro Goldwyn Mayer.
1939 Scrive Tre Pazzi a Zonzo per i Fratelli Marx.
1940 Scrive I Cowboys del Deserto per i Fratelli Marx.
1941 Scrive L’Ombra dell’Uomo Ombra con William Powell e
Myrna Loy.
1942 Scrive Mademoiselle du Barry con Red Skelton, Lucille Ball e
Gene Kelly, e la canzone “Sweet Charity”.
1943 Scrive Best Foot Forward con Lucille Balle e sketch per il film
Ziegfeld Follies.
1944 Scrive Incontriamoci a Saint Louis con Judy Garland, crea per
la NBC la serie radiofonica The Life of Riley.
1945 Scrive Jolanda e il Re della Samba con Fred Astaire.
1948 Scrive Summer Holiday, ultima sceneggiatura per la MGM.
1949 Scrive e dirige il film The Life of Riley per la Universal Pictures,
e la versione TV.
1950 Vince l’Emmy Award (Miglior Commedia) per la serie TV
The Life of Riley.
1952 Vende i diritti TV di The Life of Riley alla NBC.
1955 Crea per la CBS la sit com The People’s Choice con protagonist
Jackie Cooper e il basset hound Cleo.
1960 Scrive Tanoshimi, è Bello Amare con Glenn Ford e Donald
O’Connor per la Columbia Pictures.
1961 Dirige per la Columbia Rapina a... Nave Armata con Robert
Wagner ed Ernie Kovacs.
1962 Scrive per la Columbia Ciao, Ciao Birdie con Dick Van Dyke
e Ann-Margret
2008 A tempo perso si dedica alla stand up comedy.
Si spegne il 17 novembre.
A Day at the Races (vedi Un Giorno alle
Corse)
A Night at the Opera (vedi Una Notte
all’Opera)
Abbott e Costello, 39
Abbott George, 148
Ace Goodman, 71, 76
Aleichem Sholom, 314, 315, 318
Allen Fred, 52, 62, 137, 227, 313
Allen Gracie, 71, 223
Allen Woody, 125, 284
Allyson June, 144
Animal Crackers, 36-38, 102, 113
Ann-Margret, 242-245, 329
Archerd Army, 254, 296
Arden Eve, 98-100, 108,
Armstrong Louis, 22
Astaire Fred, 129, 164, 167, 169, 215,
235, 276, 279, 310, 314, 329
Astor Mary, 286
At the Circus (vedi Tre Pazzi a Zonzo)
Baker Kenny, 90, 98, 100
Ball Lucille, 144, 151, 207, 222, 227, 294,
329
Bankhead Tallulah, 294,
Barthes Roland, 124,
Bemelmans Ludwig, 164, 165, 168-171
Bendix William, 22, 190, 192, 193, 197,
200, 202-204, 207, 208, 299, 301
Bennett Eve (vedi Brecher, Eve)
Bennett Nancy, 249, 296,
Benny Jack, 22, 26, 27, 29, 32, 38, 39,
52, 58, 90, 93, 156, 213, 219, 259-264,
273, 277, 304, 313, 325,
Berle Milton, 9, 10, 12, 22, 26, 32, 33, 38,
42, 44-50, 52-60, 62, 68, 75-81, 83-86,
93, 94, 141, 173, 190, 195, 199, 208,
217, 221, 247, 256, 259, 260, 262, 266,
285, 304, 310, 313, 329
Berle Sandra, 53
Best Foot Forward, 144, 145, 154, 329
Birnbaum Nat (vedi Burns George)
Bissell Whit, 149,
Bloomingdale Alfred, 139, 148
Bond Ward, 229
Booth Shirley, 93,
Boswell James, 324
Brecher Eve, 15, 16, 72, 73, 76, 77, 176,
203, 267, 270, 272, 276, 286
Brecher Jack, 54
“Brecher Joanna (vedi Giallelis Joanna
Brecher)”
Brecher John, 275, 277, 278, 280, 320
Brecher Leo, 42
Brecher Norma (nata Schneider), 22, 24,
33, 34 , 42, 58, 64, 75, 76, 129, 130,
144, 152, 153, 169, 198, 221, 249, 250,
253, 255-257, 265-275, 277, 281, 290,
295-298, 305, 309, 311, 314, 315, 320,
324, 325
Bremer Lucille, 164-167, 169, 171, 298
Breslin Patricia, 225
Bressler Jerry, 272
Bressler Mildred, 269, 272
Brewer Roy, 230,
Brown John, 195, 197
Burns George, 9, 10, 26, 28, 29, 32, 66,
71, 212, 213, 216-219, 221, 223-225,
227, 238, 239, 243, 244, 254, 259, 262,
266, 277, 304, 323
Burns Willie, 224
Bush George W., 30, 31, 37, 136, 155,
268, 269, 295, 296, 315, 325-327
Buttons Red, 32, 41, 42, 59, 217, 250,
251, 309
Buzzell Eddie, 15, 26, 97, 99-101, 106,
113, 114, 144, 146
Bye Bye Birdie (vedi Ciao, Ciao Birdie)
Caesar Sid, 40, 59, 250, 310, 313
Carlisle Kitty, 102, 124
Carney Art, 210
Carter Jack, 124
Chaney Lon Jr., 204
Cheney Richard, 31, 46, 325
Chico (vedi Marx, Leonard)
Ciao, Ciao Birdie, 278, 287, 329
Cohn Harry, 147, 229, 230
Cooper Jackie, 211, 222-226, 329
Cortez Ricardo, 142
Cowboys del Deserto, I, 26, 40, 80, 96,
INDICE DEI NOMI
330 331
101, 103, 106-108, 110, 113-116, 123,
124, 126, 127, 142, 146, 154, 254, 329
Cowdin J. Cheever, 121, 122
Croft Mary Jane, 226,
Cry for Happy (vedi Tanoshimi, È Bello
Amare)
Cummings Jack, 136, 142, 146
Dabney Augusta, 149
Dawn Jack, 116
DeHaven Gloria, 144
DiMaggio Joe, 70
Dowd Maureen, 295, 296
Drake Tom, 160, 161
DuBarry Was a Lady (vedi Mademoiselle
du Barry)
Duck Soup (vedi Guerra Lampo dei Fratelli
Marx, La)
Dumont Margaret, 97, 100, 105-107
Durante Jimmy, 190
Durgom “Bullets”, 209, 211
Eddy Nelson, 263, 295
Einstein Harry, 86,
Epstein Julius, 123, 267, 320
Epstein Philip, 86
Evans Robert, 248
Eyles Allen, 127
Eyman Scott, 141
Feinstein Michael, 153
Ferrin Frank, 177, 179, 180, 182, 184,
185, 188, 193, 194-196
Fields Benny, 213, 215, 216
Fields W.C., 99, 234, 286
Finkelhoffe Fred, 144, 145, 156,
Flippen Ruth Brooks, 136, 237
Ford Glenn, 234, 329
Fratelli Marx al College, I, 102
Fratelli Marx, I, 8, 13, 15, 19, 20, 31, 36,
38, 40, 84, 91, 94, 96, 97, 101, 102,
106-108, 110, 113, 114, 116, 118, 124,
128, 139, 142, 145, 146, 154, 178, 219,
229, 235, 243, 268, 282, 304, 316, 317,
319, 329
Fratelli Ritz, I, 26, 28
Freed Arthur, 133, 144-148, 153, 155-
157, 161, 165-168, 171-175, 298
Freedman David, 77
Freedman Robert L., 297, 298
Freeman Y. Frank, 82, 83
French Samuel, 149
Friedman Budd, 250, 253, 254
Gable Clark, 16, 84, 89, 90, 286
Garbo Greta
Garbo Greta, 37, 90, 91, 95, 116, 200
Gardner Ed, 93
Garfield John, 212
Garland Judy, 13, 20, 91, 154, 155, 157,
158, 161, 163, 165, 175, 227, 244, 297,
319, 329
Gayle June, 61, 62
Geier Lee, 45
Gelbart Larry, 41, 59, 101, 164, 217
Giallelis Joanna Brecher, 123, 153, 169,
275-279, 281, 320
Gianni e Pinotto (vedi Abbott e Costello)
Gibson Edmund “Cowboy Hoot”, 60, 61,
68
Gilbert e Sullivan, 178
Gleason Jackie, 39, 75, 199, 204, 205,
207-212, 301, 302
Gleason James, 200
Go West (vedi Cowboys del Deserto, I)
Goetz William (Bill), 201, 229, 230, 234,
235
Goldberg Rube, 19
Goldwyn Samuel, 75, 143, 233
Goodrich Frances, 267, 268
Gorshin Frank, 238
Grant Cary, 39, 153, 299
Groucho (vedi Marx Julius)
Gruskin George, 204, 222, 223, 225
Guedel John, 188
Guerra Lampo dei Fratelli Marx, La,
102, 113
Gummo (vedi Marx Milton)
Hackett Albert, 267, 268
Harpo (vedi Marx Adolph)
Hart Al, 220
Hart Dolores, 240
Hecht Ben, 134, 143, 318
Hilliard Harriet, 86
Hirschfeld Al, 217, 267
Hope Bob, 9, 39, 43, 66, 67, 323
Hornblow Arthur, 132-135
Horne Hal, 68, 69, 71, 72
Horse Feathers (vedi Fratelli Marx al College,
I)
Howard Willie, 76
Huston Walter, 171
Hutton Betty, 81, 214-216, 227, 262
Hyman Bernard, 108, 146
Incontriamoci a Saint Louis, 20, 145,
147, 151-155, 160, 162-165, 175, 190,
268, 286, 287, 296, 315
Inn Frank, 225, 226
“Jacobs Seaman (“”Sy””), 66, 323, 324”
Janovsky Murray (vedi Murray Jan)
Jessel George, 26, 27, 32, 219, 277
Jevne Jack, 126
Jolanda and the Thief (vedi Jolanda e il
Re della Samba)
Jolanda e il Re della Samba, 129, 329
Jolson Al, 26, 27, 32, 58, 147, 148, 219,
230
Jones Alan, 124
Jones Carolyn, 239
Kahn Fred, 254-258
Kamen Kay, 69
Kanfer Steven, 126, 127
Kanin Fay, 130, 296-298
Kanin Michael, 112
Karl Harry, 222
Katz , 146, 165, 166, 171, 174
Kaufman George, 8, 103, 139, 148, 267,
286
Kaufman Millard, 296-298
Kaufman Wolf, 43, 44, 67
Keaton Buster, 36, 37, 109, 286, 307, 310
Kelly Gene, 150, 151, 153, 235, 279, 305,
329
Koch Howard, 248
Kohlmar Fred, 237, 242-244,
Kovacs Ernie, 39, 76, 236-240, 243, 262,
317, 329
Krasna Norman, 132, 141, 214, 215
Lahr Bert, 91, 312
Lane Anthony, 164
Langer Al, 297
Lastfogel Abe, 205, 227, 229-231, 276,
279
Leigh Janet, 245, 246
Lembeck Harvey, 238,
LeRoy Mervyn (Marvin Levy), 86, 87, 89,
90-92, 94, 95, 100, 136, 140-142, 150,
260, 263, 280, 285, 294, 308
Lesser Sol, 232
Levant Oscar, 8, 62, 310
Levene Sam, 293
Levy Marvin (vedi LeRoy, Mervyn)
Lichtman Al, 104, 105
Linderman Leo, 62, 64
Lipscott Alan (Abe Lipshultz), 69, 71, 76,
77, 285
Lipshultz Abe (Alan Lipscott), 69
Lockhart June, 152
Lombard Carole, 76, 89, 90, 94, 108, 227,
286, 294
Loy Myrna, 116, 140, 227, 292, 293, 311,
329
Lynde Paul, 245, 247
MacDonald Jeanette, 263, 295
MacDonald Marie, 222
Mademoiselle du Barry, 81, 150, 283, 329
Mago di Oz, Il, 91-93, 146, 157, 159, 164,
260, 329
Maltin Leonard, 149
Mamoulian Rouben, 171-173
Mankiewicz Herman, 75, 132, 138, 306
Mankiewicz Joe, 140, 157, 229, 233, 313,
315
Mannix Eddie, 161, 174,
Martin Tony, 215, 217, 254
Marx Adolph, 118
Marx Betty, 113
Marx Bill, 118
Marx Eddie, 76
Marx Herbert, 14, 38, 105, 106, 127
Marx Julius, 14, 116, 126
Marx Leonard, 14, 38, 40, 62, 80, 94, 100-
107, 109, 111-113, 115-117, 120, 121,
127, 262, 281
Marx Milton, 106
Marx Minnie, 14, 118, 126
Marx Miriam, 116, 117
Marx Susan, 113, 118
Matloff Jack, 256
Mayer Louis B., 13, 90, 95, 97, 133-137,
139, 141, 146, 157-159, 165, 173-176,
234, 283
McCarthy Senator Joseph, 15
McClain John 139
Meeker Ralph, 215, 216
Meet Me in St. Louis (vedi Incontriamoci
a Saint Louis)
Merkin Barry, 130, 217, 218
Merrill Robert, 82, 83
Meyers Walter, 86, 87
332 333
Miller David, 239
Minnelli Liza, 152
Minnelli Vincente, 20, 22, 129, 140, 145,
151, 153, 156, 157, 160, 162, 164, 165,
167
Monkey Business - Quattro Folli in Alto
Mare, 102, 107, 113
Monkey Business (vedi Monkey Business
- Quattro Folli in Alto Mare)
Morgan Frank, 90, 92, 93, 164
Morgens Howard, 201, 201
Morrison Charlie, 47
Mostel Zero, 39, 150, 151
Muckenfuss (vedi Stewart Stewart)
Murray Jan, 32, 59, 64, 217, 219, 250,
251, 254, 256-258, 286, 307
Nelson Harriet, 86
New Faces of 1937, 81, 85, 329
Noci di Cocco, 37, 102, 108
Nye Louis, 41, 250
O’Brien Margaret, 152, 154, 157, 159,
163
O’Connor Carroll, 313,
O’Connor Donald, 234, 235, 329
Oboler Arch, 122, 123
Ombra dell’Uomo Ombra, L’, 140, 146,
277, 291, 306, 323
Oppenheimer George, 138, 139
Osborn Paul, 267
Ott Mel, 70
Paley William (“Bill”), 208
Parrot James, 126
Parson Louella, 132
Perelman S.J., 8, 255, 286
Perlberg William, 214, 215, 228
Perrin Nat, 86, 110, 140, 306
Poitier Sidney 130, 131, 219
Porter Cole, 81, 150
Powell William, 39, 108, 140, 291-293,
306, 329
Pritzger Charles, 79
Quine Richard, 238
Rapf Harry, 141,
Rapina a… Nave Armata, 232, 236, 237,
240, 241, 243, 317, 329
Reagan Ronald, 80, 155, 325
Reiner Carl, 102, 246, 254
Reiner Peter, 164
Revnes Maurice, 136, 137
Rivera Chita, 243, 246
Roach Hal, 192, 203
Robards Bob, 182-185
Robards Jason, 182, 183
Robinson Edward G. (Eddie), 76, 293
Rogers Charles, 126
Rome Harold, 267
Rooney Mickey, 128, 171, 238
Rosenberg Manny, 50, 177
Ross Harold, 267
Roth Philip, 291
Ruby Harry, 281, 282
Rydell Bobbie, 247
Rydell Mark, 272
Sail a Crooked Ship (vedi Rapina a…
Nave Armata)
Saltzman Barbara, 153
Schary Isadore (“Dore”), 142, 143, 176
Scheier Dick, 132
Schenck Nicholas, 176
Schinasi Bubbles, 135
Schneider Norma (vedi Brecher, Norma)
Schneider Velvel (Zev Wolf), 273, 314
Schwartz Al, 44, 45, 46, 47
Schwartz Arthur, 129
Scovell Nell, 319, 322
Seaton George, 213, 228, 296
Seeley Blossom, 213, 216, 261
Seemon Larry, 36
Selznick David, 159
Shadow of the Thin Man (vedi Ombra
dell’Uomo Ombra, L’)
Shalit Gene, 126
Shinberg Al, 262
Shipp Reuben, 231
Shore Dinah, 82
Sidney George, 242-245, 247
Sidney Louis K., 49, 92, 93, 173, 177, 260
Siegel Ben “Bugsy”, 187, 219
Silvers Phil, 280
Simon Neil, 148, 149, 248
Simon S. Sylvan, 100
Simpson Homer, 299, 302
Skelton Red, 128, 151, 202, 283, 329
Small Edward, 86
Sothern Ann, 132
Stallings Laurence, 133, 134
Stapleton Maureen, 242, 245
Stewart Jimmy, 269, 276
Stewart Mike, 243,
Stewart Stewart, 192, 208
Stone Irving, 140
Stromberg Hunt, 140, 141, 277, 292, 306
Strouse Charles, 245, 246
Sullivan Ed, 43, 245, 247
Sullivan Maureen, 124
Summer Holiday, 171, 329
Tanoshimi, È Bello Amare, 234, 285, 329
Taylor Robert, 184, 229
Tenney Jack, 228, 233
Thalberg Irving, 87, 91, 97, 105, 124, 136
Thau Ben, 161, 173, 174
The Cocoanuts (vedi Noci di Cocco)
The Life of Riley, 22, 32, 77, 122, 147,
165, 176, 190, 193, 194, 196, 199, 207,
210, 224, 276, 287, 299, 303, 313, 329
The Wizard of Oz (vedi Mago di Oz, Il)
Thomas Danny, 20, 217, 218, 221, 253,
262, 266
Tomack Sid 210, 238
Tracy Spencer, 76, 293
Trammel Niles, 205-207
Tre Marmittoni I, 18, 286, 310
Tre Pazzi a Zonzo, 15, 19, 26, 90, 94, 96-
98, 100, 105, 106, 115, 121, 124, 154,
281, 315, 316, 319, 329
Trumbo Dalton, 140
Tugend Harry, 137
Turner Lana, 90, 91, 150, 151, 232
Turpin Ben, 36
Turteltaub Saul, 253
Un Giorno alle Corse, 101,124,138
Una Notte all’Opera, 97, 101, 113, 115,
124, 316
Van Dyke Dick, 242, 243, 245, 246, 247,
329
Van Dyke Woody, 140, 292
Wagner Robert, 76, 236, 238-241, 329
Walker Jimmy, 49-50
Walker Nancy, 144
Wallach Eli, 283
Warner Harry, 87, 90, 136
Warner Jack ,80, 87, 90, 102
Warwick Paul, 202, 203, 207
Wayne John, 228-232
Weatherwax Rudd, 226
Weaver Sylvester (“Pat”), 205, 206
Weide Robert S.,101-102
Weingarten Larry, 146
Weisbord Sam, 223-225
White Jesse, 238
Wilder Billy, 32, 133, 140, 151, 162, 200,
237, 279, 305, 319
Wilder Thornton, 121
Willson Meredith, 260
Winchell Walter, 43, 67
Winslet Kate, 283
Winters Jonathan, 310
Winters Ralph, 130
Wood Natalie, 239
Wood Sam, 97, 101
Wynn Ed, 39, 141
Youngman Henny, 62-65, 68, 260, 309,
329
Zadora Pia, 134, 135
Zanuck Darryl, 27, 42, 147
Zeppo (vedi Marx, Herbert)
Ziegfeld Follies, 66, 236, 329
Traduzione: Davide Cerruto
Team di revisione: Laura Bosisio, Carlo Amatetti,
Claudio Gervasoni
Distribuzione: NdA di Editoria & Ambiente
S.r.l. - Via Pascoli 32 47853 Cerasolo Ausa di
Coriano (RN)
al momento della stampa di questo tomo, e
finché dura, Sagoma sfrutta la creatività, la
passione e l’abilità dei seguenti figuri:
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troppa): Avv.ti Paolo Grandi, Marco Brignone,
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uno speciale ringraziamento va a
Gianni Nava... per la rigenerante assenza
Giovanni e Adriana... per aver generato l’editore
Arianna... per il (quasi) affettuoso supporto
Samuele... per il prezioso consiglio “stai tra’ ”
Pietrino... per le dolci accoglienze
Bilbo e Max... per la contagiosa simpatia
E a tutti gli amici che hanno contribuito, con il
loro affetto, a garantire la serenità necessaria alle
Sagome per concentrarsi nella realizzazione di
questo libro.
ci inchiniamo infine a
Irving Brecher... per i film scritti e diretti e per
aver solcato questo mondo con il suo contagioso
umorismo.
Hank Rosenfeld... per non aver mollato mai e
avere alla fine convinto Irv a realizzare con lui
questo prezioso tomo.
ricordiamo con affetto
Lorenzo Martelli... per averci “creato”.
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Le Sagome
A Pesca con Groucho
NOTE:
Il sospetto che l’elenco di cui sopra sia volutamente lungo per incoraggiare l’acquisto del libro è del tutto
legittimo. Si coglie l’occasione per portare i lettori a conoscenza di un’antica consuetudine editoriale che vuole
che tutte le persone citate in una pubblicazione comprino o facciano comprare ad amici e parenti almeno dieci
copie di quest’ultima.
Ci scusiamo preventivamente per qualsivoglia refuso, errore o disgrazia assortita che individuerete nel testo o
negli indici. L’eventuale presenza è responsabilità nostra e non di quei santi degli autori.
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È un’iniziativa valida fino al 30 giugno 2014.
finito di stampare nel mese di dicembre 2013
presso GECA Srl – San Giuliano Milanese (MI)
per conto di Sagoma Editore
Edizione
7 6 5 4 3 2 1
Anno
2013 2014 2015 2016