Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 24 Lunedì calendario

L’AUTOSTIMA NON BASTA PIÙ


«Anche a Dio piace sentir suonare le campane», ammiccò un secolo e mezzo fa il poeta e diplomatico Alphonse Marie Louis de Lamartine. Sono galeotti, però, i troppi elogi: prima o poi arriva sempre il momento in cui ti vengono ribaltati contro. E se Mario Monti ancora è ferito dalle ironie feroci sul tormentone della sua sobrietà (c’è chi si avventurò a scrivere che alla domanda sul nome del suo cane aveva risposto «no comment»), Matteo Renzi può scommettere che gli verranno rinfacciate scampanate varie, su tutte quella di essere «un magnifico incrocio tra Pico della Mirandola e Niccolò Machiavelli». Bum!
Il neo-capo del governo dovrebbe perciò render grazie agli sketch di Maurizio Crozza o a Max Paiella che a «Il ruggito del coniglio» si è inventato una canzonetta che ride della sua «fissa» del calendario: «Sì, sì, che bel calendario / nessuno ha mai avuto un programma più vario / ogni mese, ogni mese, quante sorprese!».
Il rischio più grosso che corre l’ex sindaco fiorentino, infatti, è quello di ripetere lo stesso errore di tanti suoi predecessori. Quello di pensare, partendo da un buon gruzzolo di consensi personali (sia pure non convalidati da un passaggio elettorale) e da una dose esuberante di autostima (che in politica fino a un certo punto può essere perfino una virtù: nessuno ti segue se non credi tu per primo in te stesso), di poter supplire anche a eventuali debolezze di questo o quel giocatore della squadra. Nella convinzione di saper tappare ora questo, ora quel buco. Non è stato così, in passato. Neppure quando erano in sella uomini che, allora, parevano dotati di non minore carisma. Da Fanfani a Craxi, da D’Alema a Berlusconi.
Ricordate il Cavaliere? Via via che perdeva per strada un ministro e ne prendeva il posto ad interim, spiegava d’esser l’uomo ideale agli Esteri («resterò finché non troverò una persona capace di sostituirmi») e l’ideale all’Economia e l’ideale allo Sviluppo economico… E nella foga del «ghe pensi mi» spiegò che Pietro Lunardi gli aveva chiesto una mano al ministero delle Infrastrutture al quale avrebbe dedicato «un giorno alla settimana»… Risultati? Mah… Meglio un’orchestra dove il direttore fa il direttore, il pianista il pianista e l’oboista l’oboista. La speranza, quindi, è che a dispetto del modo in cui è nato il nuovo esecutivo e delle diffidenze per questa o quella figura che appaiono davvero fragili a fronte dell’impegno titanico, Renzi li abbia davvero indovinati tutti, i suoi principali compagni di viaggio.
Al premier che si presenta oggi al Senato viene chiesto infatti molto più che ai predecessori. Viene chiesto, come lui stesso ha promesso mille volte prima, di «cambiare l’Italia». Un impegno che farebbe tremare le vene e i polsi pure a un governo di statisti e fuoriclasse. Immaginiamo l’obiezione: l’assalto al cielo potrebbe riuscire proprio a un manipolo di giovani più freschi. Può darsi. Non per altro, su molti punti, fa il tifo anche chi renziano non è. Purché il presidente del Consiglio si liberi della «fissa» del record (il primo in questo, in quello, in quell’altro…) e della tentazione di piacere a tutti. Non ci serve un recordman. Ci servono un governo (non un uomo: un governo) e una maggioranza che facciano finalmente, in tempi ragionevoli ma stretti, le cose che vanno fatte. Lasciandoci alle spalle la stagione degli annunci.