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 2014  febbraio 23 Domenica calendario

E SE L’EURO FOSSE UN GOLPE?


Giuseppe Guarino ha scritto numerosi saggi critici sugli accordi europei e, in particolare, sull’euro. Questo, fresco di stampa, non è, come egli stesso afferma, un testo giuridico, né tantomeno economico, ma si prefigge di individuare i «fattori che generano il movimento complessivo delle due entità, l’Unione europea e l’eurozona o di singole parti delle stesse, e degli effetti prodotti da tale movimento». Egli avverte che «perverrà a risultati inattesi, sorprendenti, anche sconvolgenti» e aggiunge che essi «lo sono stati anche per me».
Il lavoro può essere analizzato da molti punti di vista, quello suggerito dall’autore è che, se «la disciplina che si va a introdurre e la situazione sostanziale in atto (la costituzione materiale)» sono disomogenee, la scelta delle norme deve essere tale da evitare l’acuirsi di tale imperfezione, altrimenti l’evoluzione sarà negativa sul piano politico, economico e sociale. Poiché gli accordi europei si sono calati in un habitat disomogeneo, essi si sono rivolti contro gli ideali che li avevano ispirati. L’euro, calato in un’area monetaria non ottimale – ossia caratterizzato da divari strutturali di produttività, come quelli del Nord-Sud dell’Italia – ha prodotto un allontanamento dall’oggetto-obiettivo indicato nell’articolo 2 del Testo Unico Europeo, ossia il miglioramento del benessere civile e materiale delle popolazioni europee. Come se non bastasse questo errore di architettura istituzionale, è stato compiuto anche un illecito giuridico: gli accordi di natura fiscale (deficit e debito pubblico sul Pil) previsti dal Trattato sono stati resi ancora più rigidi e disomogenei con un regolamento, il 1466/97, sul quale si appuntano gli strali di Guarino perché una norma di rango inferiore non può modificare quelle di rango superiore. Si è così aperta la strada a «un fenomeno depressivo, perdurante e crescente, come i dati statistici hanno poi implacabilmente confermato». Come se non bastasse questo severo giudizio, l’autore afferma con sarcasmo «Non ci vuole una zingara per indovinare la ventura!»
Ripercorrendo le sue esperienze di settant’anni di professione, Guarino enuncia un principio cardine del suo metodo di analisi: «un organismo giuridico, una volta creato, può svilupparsi anche al di là degli scopi dei fondatori». Nasce una «creatura biogiuridica», che vive cioè di forza propria, dei cui comportamenti egli si dà carico come reporter. Creiamo, egli afferma, un’istituzione incoerente con la realtà da regolare ed essa si mette a vivere in direzione indesiderata. Il regolamento 1466/97 – egli afferma – «ha colpito e continuerà a colpire "nel cuore" la democrazia" e ha sostituito "due "doveri" al posto di due "poteri". Fu un vero "colpo di Stato", un "golpe", fatto "non con la forza, ma con fraudolenta astuzia"».
Dopo aver riconosciuto i vantaggi raggiunti dalla Cee afferma che «è necessario metter da canto il bagaglio pur così ricco e storicamente importante, frutto delle idee e delle discipline anteriori. È necessario sgombrare la mente ed esaminare senza paraocchi quanto è accaduto e sta accadendo in Europa dal 1999 in poi», tenendo ben presente che «l’Europa è componente importante del sistema economico mondiale» e non può trascurare gli effetti che in esso causa. Specifica che l’euro non è la moneta dell’Unione Europea, ma dei paesi che l’hanno scelto e presentavano le caratteristiche stabilite nei celebri «parametri di Maastricht»; come pure precisa che l’Ue non è l’unione politica richiesta dal l’esistenza stessa dell’euro, ma solo un mercato unico (o quasi). Non sono quindi bastati né gli effetti benefici dell’abbattimento delle barriere doganali, che furono stimati nell’ordine dal 2 al 6% del Pil, né la riduzione dei costi di transazione tra paesi aderenti alla moneta comune, stimati nell’ordine dello 0,7% annuo, ma è emersa la mancata soddisfazione dell’oggetto degli accordi europei, lo sviluppo economico e democratico.
Su questo argomento l’analisi di Guarino si fa incalzante e non riassumibile in poche parole. I toni sono aspri e nascono dalla passione civile di questo grande Maestro. Dedica un intero capitolo alla soppressione della democrazia avvenuta con il varo del regolamento 1466/97, avendo eliminato «l’unico spazio di attività politica soggetto all’influenza dei cittadini dei singoli Stati membri», quella di decidere la propria politica per la crescita subordinandola a regole illecitamente introdotte. Se questa è la diagnosi – e l’A. attende solo che sia oggetto di critiche, invece di un silenzio colpevole – egli si domanda che fare e come farlo. Sul che fare osta «l’inesistenza di un vertice politico» europeo, sostituito da un organismo «robotizzato» incaricato di far rispettare le regole, anche illegittime. Egli spera che i responsabili di questi illeciti e mancato rispetto degli accordi abbiano essi per primi interesse a promuovere quella che chiama una restaurazione innovativa, ma in ogni caso chiede a ciascuno degli attuali vertici della Ue di indicare su quale norma di rango superiore «ritiene di poter basare la sua condotta». E continua «se la indicazione non risulta esatta va richiesto con fermezza il riconoscimento dell’errore, riservandosi di farne valere le responsabilità». Occorre, conclude Guarino, «diffondere il convincimento della necessità del ritorno alla legalità». Sul come farlo, egli suggerisce che un piccolo gruppo di Stati membri dell’Ue convinti di questa situazione si debbano riunire e pretendere che venga riconosciuto il diritto di perseguire la crescita dell’occupazione come obiettivo prioritario dell’Unione.