Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 23 Domenica calendario

L’UNIVERSO DI MATTEO DOVE TUTTO SI MESCOLA E SI ROTTAMA POCO


Ha scritto Matteo Renzi: «L’uomo può ciò che vuole, scriveva Leon Battista Alberti, in una frase citata anche da Steve Jobs mentre si accingeva a rivoluzionare il mondo presentando l’iPhone». Nel suo universo c’è un po’ di tutto, dal Dolce stil novo (titolo del suo libro) ai guru del Verbo digitale. Il suo segreto è mescolare, contaminare, non solo alto-basso, basso-alto, ma anche destra-sinistra, sinistra-destra. In realtà, a guardare bene il suo Pantheon, il rottamatore rottama pochissimo. Gli vanno bene la scompostezza di Briatore e il suo opposto, Alessandro Baricco, cui lo avvicina, tra l’altro, il look camicia bianca e maniche rimboccate stile stiamo-lavorando-per-voi. Gli vanno bene Eataly e la Coca-cola: local e global. Usa la Smart, ed è smart lui stesso (copyright Marco Belpoliti). Gli piace Virzì, ma non disprezza Pieraccioni, e non rinuncia alla battuta come Panariello, anche se Benigni-Pinocchio non è male…
Renzi è il «ma anche» di Veltroni aggiornato agli anni 00. Da una parte Lucio Battisti e Fabrizio, dall’altra la «grande chiesa» di Jovanotti, che «parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa» (è il linguista Giuseppe Antonelli a porre l’accento su questa ecumenicità tutt’altro che rottamatrice). Veltroni e Renzi, si diceva. Da una parte Topo Gigio, dall’altra i Simpson; da una parte la nostalgia per le figurine Panini e Carosello dei cresciuti con la Rai, dall’altra la generazione venuta su con la tv commerciale e con «Drive in». Tratto comune Mike Bongiorno: la cui longevità, da «Lascia o raddoppia» e «Rischiatutto» alla «Ruota della fortuna», mette d’accordo tutti. Le altre icone a cui non si può dire di no? Kennedy e Mandela, ovvio (in fondo siamo pur sempre di sinistra…). Alzi la mano chi non è d’accordo. Un po’ come Bartali per le vecchie zie e Balotelli per gli «sdraiati».
Cultura dell’inclusione: contro la selezione intellettualoide ed einaudiana che fu il tratto distintivo e cupo dell’ortodossia Pci, da Togliatti a D’Alema (e Cuperlo). Un po’ di Calamandrei qua e un po’ di Fonzie là. Abbasso i «fighetti» alla Civati ma va bene Pif; abbasso i «professoroni» e gli «esperti», ma Padoan ci vuole. Abbasso i politici, ma vanno bene anche Alfano e Franceschini. Postmoderno declinato smart, ma anche moderno; medievale ma anche rinascimentale, se è vero che appena può Renzi cita Dante, Leonardo, Botticelli, Michelangelo, tanto per ricordare, en passant , ai provinciali e ai poveri di spirito che è stata (ed è sempre) la sua città la culla della cultura italiana. Fierezza che, come ha notato il filologo Claudio Giunta, a volte getta il cuore oltre l’ostacolo rischiando lo sfondone storico-culturale. Tipo: «Il Rinascimento si sviluppa a Firenze anche perché i trovatelli degli Innocenti ricevono la stessa educazione dei figli delle famiglie ricche».
Poco importa. Poco importa che Dante diventi «un ganzo», e che nel Pantheon renziano conviva tranquillamente con il suo opposto, Saint-Exupéry. Il poeta morale più pesante, angoscioso e engagé , e lo scrittore più light e disimpegnato. Tutto fa Renzi.