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 2014  febbraio 23 Domenica calendario

ALTRI 10 MILIARDI E 30 MILA TAGLI TUTTI I COSTI DELLA “BAD BANK” DI RBS


Volete la bad bank? Eccone una che funziona. Royal Bank of Scotland, il più grande laboratorio di “pulizia crediti” della storia. Che in 7 anni, sotto l’arcigna sorveglianza dello Stato britannico, sarà plasmata da astronave turbofinanziaria a istituto commerciale regionale. Costo (finora): 55 miliardi di euro di soldi pubblici, per coprire perdite di bilancio simili, e il quasi dimezzamento dei 181mila lavoratori. I costi cresceranno fino a rilancio avvenuto, che il governo chiede nel 2015 con parziale riprivatizzazione (oggi l’81% è dello Stato) come già per Lloyds. Un viatico faticoso, ma che sta liberando il gruppo dalle zeppe degli attivi in malora. Le grandi e medie banche italiane guardano con attenzione all’esperienza, a pochi giorni (17 marzo) dall’arrivo degli ispettori Bce per scrutinarne i bilanci prima della vigilanza unica, e i 155 miliardi di sofferenze del sistema.
Giovedì Rbs presenterà i conti 2013, con aggiornamenti della cura che da anni taglia peso e rischi di un bilancio con pochi uguali al mondo (nel 2008 l’attivo era 1,6 triliardi di sterline, quasi l’ammontare del Pil italiano), lievitato per fusioni, prodotti tossici e altri rischi che con la crisi avevano minato il funzionamento del gruppo. I banchieri scozzesi sembrano soddisfatti dell’esercizio chiuso, a dispetto di una perdita stimata dal mercato sugli 8 miliardi di sterline (9,8 miliardi di euro): ma è l’effetto di svalutazioni e spese legali ereditate dal passato. Il presente è più lieve - e positivo per le attività italiane di Rbs, guidate da Andrea Soro - anzi si ritiene che i dati in uscita daranno il senso di una svolta, per tornare verso il mercato e la redditività. Così chiede l’azionista di Downing Street: alle elezioni 2015 David Cameron intende far pesare l’avvenuto rilancio di Rbs, dopo quello di Lloyds. E allo scopo tre mesi fa ha estromesso l’ad Stephen Hester e chiesto al neo zelandese Ross Mc Ewan di accelerare il riassetto, e «concentrare Rbs sul credito domestico e minimizzare l’investment banking» (così il ministro del Tesoro Osborne). Le direttrici saranno ulteriori dismissioni di rami aziendali e la separazione anche fisica del cattivo credito.
Le dismissioni potrebbero riguardare la controllata retail americana Citizens (e i suoi 18.300 dipendenti) e la concorrente britannica Williams & Glyn (4.500 persone). E forti tagli sono attesi tra gli 11mila banchieri d’investimento. Quanto ai crediti difficili, nel 2008 finirono nella divisione “Non core”, che li ha ridotti di tre quarti e da gennaio li ha effettivamente consegnati alla bad bank battezzata Rbs Capital Resolution (Rcr). La divisione Non core è andata giù duro: in cinque anni 258 miliardi di sterline di attivi si sono ridotti a 40, dopo mancati rinnovi per 107 miliardi, cessioni per 91, svalutazioni per 22. Il conto economico ne ha risentito: dai 24,3 miliardi di sterline di perdita 2008 c’è stata una fila di rossi miliardari fino ai 6 miliardi 2012, e con gli 8 attesi giovedì il saldo perdite sarebbe di 55 miliardi di sterline. Rcr avrà poi cura di liquidare il 70% di quei 40 miliardi in due anni, e il resto nel medio termine, così da allineare il tasso di sofferenze (Npl) sugli impieghi di Rbs dal 10% al 3,5% medio delle rivali britanniche.
Intanto i banchieri italiani preparano senza festa l’accoglienza agli ispettori Bce. È chiaro che, malgrado l’invito di Bankitalia a ripulire i bilanci, mancano fondi pubblici per emulare i rivali londinesi (o spagnoli, o irlandesi). Materia scottante per il governo di Matteo Renzi. Che risulta segua con attenzione il corto circuito creditizio e i rimedi possibili.