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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

LA MORTE DI GRACE NON GUIDAVA STEPHANIE


Parigi, febbraio
Bertrand Tessier non ha nemmeno bisogno di chiudere gli occhi per rivedere ogni minuto di quel lunedì mattina. Ogni minuto tra le 9.40 e le 9.54 del 14 settembre 1982. Ogni chilometro, ogni curva della D37 tra il cancello verde della villa a Roc Angel e il precipizio sopra villa Jean-Pierre, dove si schiantò la Rover marrone con Grace e Stéphanie di Monaco. E chi guidava era Grace. «Sì, ne sono sicuro», dice. E ha in mano le prove, le mostra: il verbale dell’incidente e la foto, l’unica, dell’auto accartocciata sul fianco destro.
No, non fu la diciassettenne Stéphanie al volante a provocare lo schianto. Piuttosto un malessere, un ictus rivelato poi dagli scanner, che fece perdere il controllo a Grace su quella maledetta curva e volare giù, nel vuoto, per quaranta metri. Il giornalista e scrittore francese parla della principessa come di un’amica, una persona cara. Le ha dedicato una biografia appena uscita in Francia, Grace, la princesse déracinée (Edizioni l’Archipel). Una biografia che è soprattutto un’inchiesta, l’ultima. Per mettere fine a voci che si rincorrono da 32 anni e hanno segnato la vita dell’ultimogenita di Grace.
Per scoprire la verità, Tessier è arrivato fino in Florida, in una base americana dove ancora lavora l’ex capitano Roger Bencze. Nell’82, questi era il comandante della gendarmeria di Mentone. Fu lui a condurre l’inchiesta sull’incidente, lui a interrogare i testimoni, a esaminare l’auto. Ed è lui oggi a raccontare, per la prima e ultima volta, la fine di Grace Kelly. «All’inizio non voleva parlare», racconta Tessier, «non si fida dei giornalisti. Figlio di un reduce americano dello sbarco in Normandia e di una francese, oggi è rappresentante della Francia in una task force internazionale anti narcotraffico di base a Key West, in Florida».
Di quel settembre, ha conservato un fascicolo beige. «Pochi lo sanno, ma ci fu una vera inchiesta», dice. «Tutti pensano che il Principato mise ogni cosa a tacere, ma non è vero: l’incidente è avvenuto su territorio francese e il capitano Roger Bencze fece un lavoro meticoloso, con rilievi e testimoni. Era ed è un ottimo agente. Ma era anche un gendarme e i gendarmi non erano abituati a fare conferenze stampa. Dunque i risultati furono trasmessi ai suoi superiori, non ai giornalisti».
Bencze vide, verificò e scrisse tutto. La Rover accartocciata, giaceva sul lato destro. «Per questo», racconta Tessier, «la principessa Stéphanie uscì dalla porta sinistra, lato guidatore: era impossibile altrimenti venir fuori dall’auto. Grace era stata scaraventata dietro. Giaceva riversa, “esangue”. Fu Bencze, e non il Principato, a ordinare di portar via subito l’auto: «Non volevo che diventasse un oggetto di curiosità, e poi era una prova importante». E non ci fu nemmeno nessun sabotaggio, né nessun problema ai freni, come invece proprio il Principato volle far credere.
L’auto fu esaminata prima da un esperto, Joel Anton, e poi da due ingegneri della Rover. Risultato: nessun guasto. Infine i testimoni chiave. Due. Il primo, il gendarme Frédéric Mouniama, all’epoca 24 anni, attraversò la strada a un passaggio pedonale all’altezza del villaggio della Turbie, alle 9 e 45. Ricorda tutto, perché la Rover si fermò per lasciarlo attraversare.
A verbale: «Ho subito riconosciuto la principessa Grace e la principessa Stéphanie. Stéphanie era seduta lato passeggero, Grace al volante». Mancano nove minuti allo schianto. Ma poco dopo la Turbie, la Rover è raggiunta da un camionista, Yves Phily, secondo testimone. Sarà l’unico a vedere l’incidente. Ancora a verbale: «Ho visto prima l’auto sbandare, sfiorando le rocce a sinistra. Ho rallentato, ho suonato il clacson, avevo l’impressione che chi guidava avesse avuto un colpo di sonno o un malore. A venti metri c’è una curva a gomito, ho visto l’auto accelerare, non ha mai frenato... e poi l’ho vista volare giù, letteralmente».
Quando le voci su Stéphanie al volante cominciano a circolare, Bencze torna sul posto. Ripercorre con il camionista la strada tra la Turbie, dove Grace era stata vista al volante, e il luogo in cui lui aveva raggiunto l’auto. Le due donne potevano aver cambiato posto prima: «Impossibile», dice l’ex capitano. «Abbiamo ripercorso quel tratto della D37, non ci sono posti per accostare».
A Monaco, lo scanner del cervello di Grace rivelerà due lesioni: una, quella mortale, post-traumatica, causata dall’impatto. E un’altra, più piccola, più profonda, probabilmente responsabile di una breve perdita di coscienza. «Su un rettilineo», dice Tessier, «forse non sarebbe successo niente, magari l’auto sarebbe finita fuori strada. Grace guidava sempre piano. I figli dicevano che con lei era meglio andare a piedi. Il fatto che sia stata raggiunta da un camionista, lo conferma. Ma davanti a lei c’era quella curva, la stessa su cui aveva girato la scena memorabile di Caccia al ladro. Il destino».
Al destino, Bertrand Tessier crede come al verbale del capitano Bencze. Il suo libro oggi viene divorato per la verità sulla morte di Grace, ma quello che lui ha scoperto è altro. Era «una donna incredibilmente libera, una ragazza dell’est americano di buona famiglia, origini irlandesi, cattolica. Una vera wasp che seppe emanciparsi da tutto, dalla famiglia, dalla sua educazione, dalle buone maniere e anche da Hollywood».
Un «vulcano sotto il ghiaccio» che fece perdere la testa a Hitchcock, che riuscì sempre a sedurre chi amava, da William Holden a Clark Gable a Oleg Cassini. Convinta che l’avrebbe sempre spuntata. Ma una volta si sbagliò. «Riguardando i filmati della famosa conferenza stampa in cui Grace e Ranieri annunciarono il fidanzamento, ho capito una cosa: mentre diceva sì, Grace non sapeva che stava dicendo no al cinema, alla sua libertà, a Grace Kelly».