Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 20 Lunedì calendario

GIAPPONE-CINA, LA STAFFETTA MONETARIA


Nel panorama monetario internazionale la scena è ormai stabilmente occupata dalla Cina, che figura come coprotagonista degli eventi economici dall’inizio del secolo e accresce il suo peso nella contabilità del potere economico mondiale a ritmi veramente impressionanti. Con la quota di commercio internazionale ora fornita e assorbita dalla Cina, diviene insistente la domanda sulla collocazione relativa della moneta cinese, lo yuan. Ci si chiede quanti anni occorreranno prima che tale moneta divenga il terzo protagonista del sistema monetario e finanziario internazionale, sostituendo il Giappone. Quando si ha il compito di governare un sistema economico in rapida ascesa, lo si può fare in due modi: imitando gli Stati Uniti o imitando la Germania o anche, fino a un certo limite temporale piuttosto recente, il Giappone. Per imitare gli Stati Uniti, che governano la politica monetaria guardando solo alle necessità della loro situazione economica interna, bisogna che un paese abbia innanzitutto una sovranità politica piena. Giappone e Germania mostrano una debolezza costituzionale, essendo entrambi rinati come stati per volontà americana e in funzione anti sovietica o anti cinese al tempo della guerra fredda. Il Giappone ha seguito da una posizione debole il modello americano. Non è stato in grado e nemmeno ha voluto, costituire un’area economica e monetaria gradualmente unificata nella regione asiatica. Come accadeva in Europa. Nemmeno è riuscito a imitare gli Stati Uniti fino in fondo: non è
riuscito a ignorare, nelle decisioni di politica economica, il cambio dello yen. La sua politica monetaria ha avuto determinanti esterne e non solo interne, come è invece il caso degli Stati Uniti. Gli interventi sul mercato dei cambi delle finanze giapponesi per fissare il valore dello yen a un livello favorevole alle esportazioni giapponesi hanno tolto al governo giapponese una libertà di scelta assoluta. Simile a quella di cui godono governo e banca centrale negli Usa. La diversa situazione alla fine della guerra ha permesso invece alla Germania di porsi al centro di un’area monetaria sempre più strettamente unificata. E’ stato un processo durato vari decenni e in parte determinato da eventi imprevedibili come il crollo dell’Urss e la riunificazione. Ma i decenni essenziali nel corso dei quali la Germania ha riacquistato sovranità tramite l’Europa e ha esercitato la propria influenza prima sugli affari economici e poi anche su quelli monetari per ottenere risultati internazionali senza impegnare la propria responsabilità diretta, hanno avuto conseguenze positive per quel paese, specie dopo la riunificazione. Senza la Ue e l’euro, una Germania costretta ad operare come nazione e non all’interno di organismi plurinazionali, sarebbe andata incontro a una crisi di legittimazione come quella di cui ha sofferto il Giappone. Ma anche il modello tedesco di gestione della politica economica internazionale è entrato in crisi, quando la riunificazione ha rapidamente cambiato il peso relativo dell’economia tedesca tra i partner europei e l’uso sapiente delle risorse mobilitate per la ricostruzione della Germania orientale le ha dato una spinta tanto essenziale quanto poco compresa. L’equilibrio all’interno della Ue e della Ume è venuto meno per la diminuzione del peso relativo degli altri partner. L’emergere di un gigantesco surplus dei conti correnti tedesco nei confronti del mondo fuori della Ue, ha dettato all’euro tassi di cambio superiori a quelli sopportabili dai partner europei. La moneta unica ha fatto esplodere i deficit dei paesi Ue nei confronti della Germania e i crediti tedeschi verso di loro. Da qui è venuta la crisi europea nel 2010. Quale modello sceglierà la Cina per guidare la politica internazionale, visto che è fornita di sovranità nazionale? Non è tenuta a rispettare trattati ineguali, come Germania e Giappone. Ha acquistato una dimensione sufficiente a farne la seconda potenza economica. Per anni, tuttavia, ha dovuto controllare il livello del cambio dello yuan per evitare di far perdere competitività alle esportazioni. La necessità di sottovalutare lo yuan ha costretto le autorità cinesi a accettare in pagamento dei deficit quantità enormi di titoli di stato americani. Dal 2010 i cinesi hanno cambiato politica: hanno accettato, pur di ridurre l’accumulazione di titoli americani, di vedere una rivalutazione dello yuan. Hanno, allo stesso tempo, imitato altri paesi in surplus dedicandosi ad una gestione attiva delle riserve, che comprende flussi di investimenti verso Paesi in deficit. Hanno formato una sorta di area monetaria asiatica, concludendo con altri paesi importanti accordi di swap, che consistono nel mettere a disposizione delle autorità monetarie di quei paesi, grandi somme in yuan da poter utilizzare per finanziare i propri deficit con la Cina. Così la moneta cinese ha cominciato ad acquistare una dimensione internazionale di grande rilievo. A essere usata come moneta di transazione, nella quale si denominano gli scambi internazionali, e di riferimento, seguita nelle fluttuazioni con il dollaro e l’euro, dalle monete degli altri paesi asiatici e persino da quelle di paesi fuori dell’area. La prova del nuovo ruolo dello yuan è certo data dagli swap conclusi dai cinesi con la Gran Bretagna e la Bce. L’uso internazionale dello yuan è in crescita continua, una tendenza che potrà essere repressa solo da una improbabile forte stasi della crescita cinese. Quale non vediamo ormai da molti anni. L’ora della verità è dunque forse non lontana. Essa scoccherà quando lo yuan supererà definitivamente i confini regionali dell’Asia, per divenire moneta di transazione e riferimento per paesi di altri continenti. Difficile sarà per le autorità monetarie accumulare riserve in yuan dato lo strutturale surplus dei conti cinesi. Potrebbe accadere solo se, come accadde al dollaro nel primo quindicennio postbellico, la Cina decidesse di cercare un’egemonia nei confronti di un paese come la Russia e lo inondasse di prestiti a condizioni di a favore, come accadde all’Europa con il Piano Marshall. Una prospettiva inedita, che sarebbe opportuno non considerare irrealistica. Dopotutto, negli ultimi trent’anni abbiamo assistito al realizzarsi di eventi improbabili, come la riunificazione tedesca e la conversione della Cina a un particolare tipo di capitalismo.