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 2014  gennaio 20 Lunedì calendario

TOGLIETEMI TUTTO MA NON I FORNELLI

TOGLIETEMI TUTTO MA NON I FORNELLI–

[Bruno Barbieri]

Masterchef soprattutto. Il fenomeno partito da Cielo, arrivato da Oltreoceano, e approdato su Sky Uno il giovedì in prima serata ha fatto incetta di ascolti. A raccontarlo è Bruno Barbieri, lo chef che parla dialetto bolognese. Solo professionalità al sapore di tortellini (che, assicura, ama davvero) e dal gusto internazionale. Un passaggio di «Masterchef» a Raiuno? Il «no» (per ora) delle scuderie di Sky, è secco. Venderlo sarebbe un dilemma.
Bruno Barbieri, quale piatto, tra quelli presentati a "Masterchef" l’ha stupita più degli altri? Il programma ha raggiunto 1 milione e 30 mila, con picchi di share del 4% e 32 mila tweet.
«Dirlo così su due piedi è anche un po’ un problema. Ne abbiamo provati, girati e visti talmente tanti che, dopo tre edizioni, ho uno zibaldone in testa. A ogni puntata ce ne è sempre uno nuovo. C’è sempre da stupirsi. È difficile ricordarsi i propri piatti. Nelle due edizioni precedenti ce ne era uno straordinario, erano i tortelli di Luisa. Ma sarebbe un torto nominarli».
Dopo Masterchef, per i concorrenti, quale futuro si apre?
«Devo dire che, "Masterchef", è un programma che dà la possibilità a tante persone. Anche a qualcuno non più giovane, di potersi inserire in questo mondo. Poi i concorrenti fanno una scelta. E c’è chi continua con questo mestiere. C’è chi dalla prima edizione lavora a Los Angeles, un altro lavora a Roma. C’è chi scrive libri. Spyros, che ha vinto la prima edizione, è stato su Sky e a Bollywood».
Una curiosità. Sente ancora Tiziana Stefanelli?
«Non ci sentiamo. Però ci si incontra di solito per i vari tour. So che sta facendo molto bene. Molti l’hanno criticata. È una concorrente molto seria».
Un suo parere su Rachida.
«Be’, Rachida è molto divertente. Quest’anno vogliamo raccontare uno spaccato italiano. Abbiamo anche la parte comica. E quella teatrale. Devo dire che stavolta abbiamo fatto un lavoro eccezionale. Abbiamo messo in un programma i concorrenti stranieri che si sono integrati nel nostro Paese».
Insomma, lei per chi tifa?
«Non tifo per nessuno. I giudici non tifano per nessuno: cerchiamo l’eccellenza. Ci siamo accorti che, i concorrenti, sembrano belli ma cresceranno con il programma sempre di più, sempre di più. E poi è normale. Questi sono cuochi amatoriali se non fanno questo di mestiere. I concorrenti di sempre sono tutti uguali».
Secondo lei, quale il plusvalore di Joe Bastianich?
«È anche un grande imprenditore. Ha imparato molto da giovane. È un grande imprenditore americano. Ha fatto 7-8 edizioni di Masterchef America. Ho capito tante cose da lui».
E di Carlo Cracco?
«Carlo è uno chef di grande autorità. Ho copiato un po’ quella parte di belloccio. Nel senso che è uno che arriva sul set con grande autorevolezza. Dicono che sia anche molto bello. Che capisca i movimenti degli altri. Io ho un ruolo molto tecnico, non che loro non abbiamo quel ruolo legato al cibo, allo stylist, legato al mixaggio. Qualche volta è più facile, qualche volta lo è meno».
Oltre Masterchef e la cucina, c’è spazio per la vita privata?
«Devo dire che oggi noi la vita privata non l’abbiamo più. Non vogliamo dire che si diventa personaggi: "Masterchef" è entrato nelle case di tutti gli italiani, siamo consapevoli del messaggio che arriva. L’importante è raccontare una storia italiana. Poi, la gente, vuole sapere e non vuole sapere il gossip. Ci sono degli autori straordinari, che sanno cosa sia il cibo e la cucina. E sanno cosa è il cinema. "Masterfchef" è un programma vero. Che racconta la persona di strada, per questo piace alla gente. E 100 mila euro in gettoni d’oro non fanno schifo a nessuno. Questo è "Masterchef"».
Consiglierebbe a un giovane di oggi la carriera come chef?
«Be’, devo dire che ho fatto lo chef in modo diverso rispetto agli chef tradizionali. Lo chef tradizionale, da bambino, racconta una storia di viaggi. Io sono riuscito a legare la cucina di altri paesi con quella italiana. E ho fatto questo lavoro con più storia, con più grinta. Se non l’avessi fatto così non sarei riuscito ad avere un ristorante a Bologna. E, la mia storia, è una storia sopra gli aerei. Ho voglia di scoprire».
Preferisce la semplicità o i piatti arzicocolati?
«Devo dire la semplicità. Intanto c’è una frase storica: "Il tuo piatto deve essere il tuo "io"". Il cuoco dentro il piatto racconta se stesso e la sua storia. E qualche volta le sue amarezze. Le sue disperazioni. È difficile fare cacio e pepe, una sogliola fritta. Bisogna togliere dal piatto e non mettere. E quindi questo è il mio stile. Raccontarsi attraverso un piatto. Quando si compra un cd di Michael Jackson si può riascoltare dopo anni. Il piatto di Bruno Barbieri di oggi, ti rimane nel cervello».
E il "Materchef magazine"?
«Ho voluto raccontare anche lì, aldilà del piatto preferito, nel senso poetico del termine, che la perfezione per ognuno di noi è nel modo di vedere una cosa. Quindi, la nostra perfezione, è in quello che andiamo a fare. Ho voluto spaziare con piatti semplici che potessero essere replicati, che potessero essere un punto significativo della nostra carriera».
Simona Caporilli