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 2014  gennaio 19 Domenica calendario

I GIOVANI RICCHI AMERICANI MALATI DI AFFLUENZA


Dopo aver rubato una cassa di lattine di birra ed essersi ubriacato, Ethan Couch, rampollo di una ricca famiglia del Texas, si è messo al volante di un potente pick up, ne ha perso il controllo e ha fatto una strage: quattro morti e nove feriti, falciati dal suo camioncino alla periferia di Fort Worth. Al processo il pubblico ministero ha chiesto una condanna a vent’anni di reclusione (riformatorio e poi carcere, una volta divenuto maggiorenne), ma la difesa ha mandato avanti uno psicologo, Gary Miller, che è riuscito a convincere il giudice che tutto quello di cui Ethan ha bisogno è un buon periodo di rieducazione: niente prigione ma dieci anni di libertà vigilata e uno di cure intensive.
Casi simili si sono visti anche in Italia. E anche da noi il guidatore stragista — magari drogato e senza patente, oltre che ubriaco — può restare in carcere ben poco. Ma in America, dove i reati vengono puniti con una severità molto maggiore anche senza premeditazione, il caso ha provocato enorme scalpore, specie per gli argomenti usati dallo psicologo della difesa. Secondo il quale Ethan ha agito sotto l’effetto di una particolare patologia, denominata affluenza che colpisce chi, divenuto improvvisamente ricco, non sa come gestire questo suo nuovo stato e le enormi tentazioni che ne derivano.
I più vulnerabili a questa patologia — definita con una parola che fonde i termini affluence (opulenza) e influenza per la quale la lingua inglese adotta il termine italiano — sono ovviamente i giovani: inesperti, con pochi freni inibitori. E i figli dei ricchi, con un più facile accesso a droghe e alcol e alla guida di auto velocissime, sono esposti a tentazioni e rischi che chi viene da famiglie con minori disponibilità economiche non conosce.
Il giudice Jean Hudson Boyd ha accettato in gran parte la linea della difesa e, pur respingendo la tesi della non responsabilità di Ethan per incapacità di intendere, gli ha evitato la prigione condannandolo a un periodo di sorveglianza a piede libero e a un anno di terapia. Una sentenza che ha provocato dibattiti furiosi caratterizzati anche da un capovolgimento delle posizioni tradizionali: stavolta, anziché i conservatori fautori della «punizione esemplare», gli indignati sono i progressisti, che in genere alla repressione preferiscono la rieducazione. Ma qui si ha la sensazione di essere davanti a una sentenza classista: affluenza è una patologia presunta, una malattia non riconosciuta dalla scienza medica, che colpisce solo i ricchi e che solo per loro funziona da attenuante. I figli dei poveri che uccidono ubriachi continuano a finire in galera senza poter accampare giustificazioni. Una differenza di trattamento che diventa addirittura scandalosa se si va a vedere il tipo di terapia accettato dal giudice: Ethan Couch è stato condannato a vivere per un anno in una struttura di riabilitazione in California che offre tra l’altro terapia equina (lunghe cavalcate), scuola di cucina e lezioni di arti marziali. Un anno di cure in un centro che somiglia più a un resort che a un riformatorio, per le quali il padre di Ethan, un industriale siderurgico, alla fine salderà un conto di 450 mila dollari, circa 350 mila euro.

Ce n’era abbastanza per sollevare un’ondata di indignazione popolare che, nelle settimane scorse, è stata alimentata dal popolare anchorman della Cnn, Anderson Cooper, e da The View , uno dei più seguiti talk show della rete Abc. Ma quando la polvere delle polemiche si è depositata, è iniziato un dibattito più serio tra psicologi, sociologi e perfino storici. Con uno studioso di Oxford, James McAuley, che in un editoriale pubblicato sul «New York Times» ha tirato fuori addirittura la progressiva autosegregazione dei ricchi del Texas in comunità chiuse — isole di shopping center e country club in mezzo al nulla — per giustificare la perdita del senso della realtà dei figli dei ricchi. Mentre su «Forbes» Gregory McNeal, un giurista, spiega che l’affluenza non è una malattia nel senso clinico del termine, ma piuttosto un disturbo della sfera emotiva, un’alterazione prodotta da un eccesso di materialismo e consumismo unito a carenze nell’educazione familiare: genitori che non hanno mai seguito i figli, ragazzi che non hanno mai imparato che le loro azioni hanno conseguenze perché non sono mai stati sanzionati per i loro comportamenti negativi.
Sul banco degli imputati soprattutto quei genitori della upper middle class che non solo trascurano i figli e non li educano ai principi della disciplina ma spesso — nota Suniya Luthar, docente di psicologia alla Arizona State University — reagiscono con irritazione e proteste quando altri, in genere i professori a scuola, provano a subentrare in questa funzione educatrice. Ma per molti giorni nella discussione che ha tenuto banco in America, più che degli errori dei genitori, si è discusso della giusta punizione da infliggere ai figli viziati, con il web intasato da messaggi del tipo «una sana povertà in carcere è la terapia migliore per guarire dall’affluenza ». Poi è iniziata una riflessione più pacata. «Quello delle sperequazioni di trattamento da parte del sistema giudiziario è un problema annoso», ha scritto sull’«Huffington Post» Maia Szalavitz, una neuroscienziata prestata al giornalismo. «Il fatto che i comportamenti di alcuni ragazzi siano stati alterati dai privilegi non giustifica, ovviamente, la concessione di altri privilegi, né l’idea che la ricchezza produce di per sé comportamenti antisociali». Ma esaminando quello di Ethan Couch e altri casi simili è difficile sottrarsi alla sensazione che se i genitori non avessero trascurato i loro ragazzi e avessero punito i loro primi comportamenti sbagliati anziché chiudere un occhio per senso di colpa, quei crimini non sarebbero mai stati commessi. Non per questo i figli dei ricchi vanno oggi perdonati: la Szalavitz non chiede assoluzioni, ma un’analisi più approfondita di meccanismi decisionali e dinamiche sociali che alimentano le tempeste dell’affluenza così come uno studio dei motivi per i quali in molte società, come quella americana, c’è la tendenza a punire i poveri con più durezza.

Ma sulla stessa Cnn il criminologo Danny Cevallos scende in campo per sostenere la necessità di tenere conto del fattore affluenza nonostante l’indignazione di Anderson Cooper e di tanti altri per il caso Couch: non è una vera patologia riconosciuta dalla società degli psicologi, d’accordo, ma è una condizione che influenza i comportamenti umani e quindi andrebbe riconosciuta come attenuante. Un ragazzo non adeguatamente educato e con molti soldi in tasca è molto più esposto al rischio di procurarsi facilmente droghe e alcol o di guidare in modo sconsiderato una vettura troppo potente. Un rischio del quale non tener conto perché lo corrono solo i ricchi?
Cevallos dissente: «Molti sostengono che solo la classe lavoratrice e i poveri possono accampare, per giustificare i loro atti illegali, situazioni di svantaggio mentale o ambientale: a mio avviso è inaccettabile. La verità è che alle nostre società non piacciono i ragazzi viziati, soprattutto quando sprecano opportunità che gli altri non hanno o abusano del benessere familiare. È comprensibile, ma anche questi ragazzi, come gli altri, sono incapaci di comportamenti pienamente responsabili, anche la loro corteccia cerebrale frontale è ancora priva delle aree e delle interconnessioni che danno spessore ed equilibrio ai giudizi, alle motivazioni, ai processi decisionali».
E, allora, via libera agli studi sull’affluenza il cui simbolo più estremo oggi sembra essere il Leonardo DiCaprio di The Wolf of Wall Street travolto dai suoi eccessi lungo la catena droga-sesso-truffe-spese folli. Affluenza che, del resto, è oggetto di analisi sociologica già da molti anni: scandagliata nei saggi dell’economista Thomas Naylor e del documentarista John de Graaf e in quello degli australiani Clive Hamilton e Richard Dennis. Risale addirittura alla metà degli anni Novanta del secolo scorso il viaggio dello psicologo inglese Oliver James attraverso le città più ricche del pianeta — da New York a Shanghai a Singapore — per studiare il virus dell’affluenza e i modi per rafforzare il sistema immunitario emotivo dell’uomo. Una sindrome da prendere con le molle e che fa storcere il naso ai progressisti. Ma a riconoscere l’affluenza (definita una febbre del lusso che mina il sistema immunitario delle famiglie) è stata, in un articolo scritto dieci anni fa per la rivista giuridica della Washington University, addirittura Elizabeth Warren: l’accademica divenuta senatore democratico del Massachusetts che i radicali della sinistra liberal vorrebbero candidata alla Casa Bianca al posto di Hillary Clinton.