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 2014  gennaio 19 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’ACCORDO RENZI - BERLUSCONI


REPUBBLICA.IT DE MARCHIS - LOPAPA
Entro metà febbraio la presentazione dei due disegni di legge di riforma costituzionale, con tanto di cancellazione del Senato trasformato in camera delle autonomie e la modifica del titolo V della Costituzione che cambia volto alle regioni. Entro aprile l’approvazione definitiva della legge elettorale. "Così diamo un anno di vita al governo e a maggio state certi che non si vota per le Politiche" garantisce il sindaco di Firenze al vicepremier.

DAGOSPIA
1. ‘’IL COLLOQUIO VA AVANTI DA DUE ORE. A QUESTO PUNTO NON SI TRATTA DI UNA SVELTINA!”
2. L’INCIUCIATA DEL ROTT’AMATTORE E DEL BANANA RE-LOADED SCATENA L’IRONIA DI TWITTER
3. TOLTA LA FOTO DEL CHE, SOSTITUITA CON QUELLA DI MIKE BONGIORNO”, “APICELLA NON C’È?”, “SILVIO PORTA LE AMICHE”, “PERQUISITELO PRIMA CHE ENTRI”, “IL PD HA FINALMENTE SUPERATO L’OSSESSIONE DELL’ANTIBERLUSCONISMO ED È PASSATO DIRETTAMENTE AL BERLUSCONISMO”, “A MARZO PARTIRANNO I LAVORI PER LA NASCITA DI FIRENZE2”, “TIRATO L’UOVO, MA LA FRITTATA È FATTA”, “IL 27.11.2013 IL SENATO VOTA LA DECADENZA DEL CAVALIERE. IL 18.1.2014 IL CAVALIERE VOTA LA DECADENZA DEL SENATO”
4. PIERACCIONI: ‘’SILVIO DENTRO LA SEDE DEL PD, SCONTA I LAVORI SOCIALMENTE UTILI?”
5. LA BERSANIANA CHIARA GELONI: “QUANTE STORIE, STA SOLO RESTITUENDO LA VISITA…”

REPUBBLICA.IT
ROMA - Prima sceglie Twitter per lanciare un messaggio a chi, in queste ore, sta provando a frenare. Dopo vira su Facebook per ribadire che l’accordo raggiunto con Silvio Berlusconi, è "trasparente e alla luce del sole". Ma soprattutto arriva "dopo 20 anni di chiacchiere". A lui, invece, è bastato un mese per avere a portata di mano il primo degli obiettivi. Il giorno dopo il faccia a faccia col Cav, Matteo Renzi non cede di un passo: "Sono stato eletto alle primarie per cambiare le regole del gioco, per rilanciare sul lavoro, per dare un orizzonte al Pd e all’Italia. Per il leader dem, dunque, va letta come una svolta la bozza di intesa maturata ieri nell’incontro con Silvio Berlusconi: "Via i senatori, un miliardo di tagli alla politica, a dieta le Regioni, legge elettorale anti larghe intese".

Ma il fronte più difficile, per lui, è probabilmente quello interno al Pd. Stefano Fassina - ospite di Maria Latella su SkyTg24 - va giù durissimo: "Da dirigente del Pd mi sono vergognato. Questo colloquio non andava fatto, è un errore politico. Andava coinvolta Forza Italia con i capigruppo nelle riforme. E ancora: "Il Senato ha votato dopo una sentenza passata in giudicato per l’interdizione politica. Difficile spiegare perchè lo abbiamo votato poi lo ribattezziamo per la terza volta a padre costituente". Quindi chiede una consultazione online degli iscritti sulla legge elettorale. Critico anche Gianni Cuperlo - attuale leader della minoranza di sinistra - che a Repubblica dice: "Sbagliato rilegittimare Berlusconi" e poi chiede un Letta bis: "Il premier valuti con il capo dello Stato, nel rispetto assoluto delle sue prerogative, la possibilità di dar vita nel 2014 ad un nuovo governo" che "riesca a ricostruire il rapporto di fiducia e autorevolezza con il Paese".

Duro anche l’affondo di Beppe Grillo: "Renzie (come il leader M5s chiama il segretario Pd, ndr) ha profonda sintonia con un pregiudicato. L’Italia è in preda alle allucinazioni e ai dejà vu. Ieri sono riapparsi D’Alema che stringeva la mano allo statista Berlusconi della Bicamerale e Veltroni fotografato accanto all’amico Berlusconi ".

ll Nuovo centrodestra di Alfano lancia segnali positivi ma intanto continua a fare la voce grossa. Sperando di migliorare, dal proprio punto di vista, le condizioni dell’intesa. Fabrizio Cicchitto intervenire per chiedere una correzione di rotta: "Bisogna mediare, l’intesa a due finirà per provocare una crisi di governo. Si è verificato un vistoso paradosso: chi ha sempre criminalizzato Silvio lo riscopre per gettare tutto al vento. Con Berlusconi il rapporto resta ottimo,ma non capisco perche’ ha voluto alzare un polverone". Oggi comunque - al massimo domani - potrebbe esserci un faccia a faccia tra Renzi ed Angelino Alfano. Il segretario Ncd, intanto, lascia capire che l’intesa si può fare: "Tentato omicidio, anzi infanticidio, fallito. Il loro tentativo è fallito, è morta la bozza del sistema spagnolo, e siamo felici di questo", dice commentando l’esito del vertice di ieri.

Segnali di entusiasmo arrivano invece dal fronte forzista, con Daniele Capezzone che dice: "Con l’incontro di ieri, significativo nella forma e nella sostanza, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi aprono un nuovo scenario: quello di una democrazia decidente e competitiva". Subito dopo arrivano le parole di Silvio Berlusconi, durante la telefonata per l’inaugurazione di un club di Forza Italia in Piemonte: "Il 36% consente di vincere e avendo il 15% come premio di governabilità, arrivare al 51%. Poi si aggregheranno anche altre forze", dice illustrando la bozza di intesa. Lasciando così capire che per Forza Italia la soglia deve scattare al 35 per cento e non al 40, come dicono altri. E poi: "Così il Paese è ingovernabile. Il Paese può essere governato solo col bipolarismo, come accade all’estero. Dobbiamo convincere gli italiani a non disperdere il proprio voto e a renderci capaci di governare. Bisogna cambiare il sistema introducendo una nuova legge elettorale e dare l’opportunità a cittadini di eleggere direttamente il Capo dello Stato". Elezione diretta del presidente che però non è - al momento - tra le riforme in discussione.

SCALFARI ALL’HUFFINGTON POST
"Berlusconi è risorto e di fatto è entrato nella maggioranza. Oggi il vero scontro è tra Letta e Renzi". Eugenio Scalfari, ospite da Lucia Annunziata a ’In ? h’, parla dell’incontro tra il segretario e il leader di Forza Italia, critica l’intesa fra i due e addebita a Renzi l’onere di aver ritirato nel dibattito politico il Cavaliere. E aggiunge: "Non credo a un Letta Bis, al massimo ci sarà un rimpastino"
Il fondatore di Repubblica tira le orecchie al sindaco: "Non si può essere in piena sintonia con un pregiudicato".
15:02 – Oggi
Scalfari: "Il vero scontro sarà tra Renzi e Letta"
"Renzi vuole sostituire Letta. E per farlo ha tirato in mezzo Berlusconi. Di fatto riabilitandolo. Berlusconi non dava più carte da alcuni mesi. Anzi le aveva perse dal mazzo. Adesso rientra in gioco. Renzi è andato anche oltre, dicendo di provare ’profonda sintonia’ con il Cavaliere. Non si può essere in sintonia con un pregiudicato. Le parole sono come pietre"
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14:56 – Oggi
"Non credo al Letta Bis, al massino un rimpastino limitatissimo"
"Un eventuale Letta Bis è una eventualità remota perché non si possono cambiare molti ministri. In quel caso Letta non avrebbe vita facile: con Grillo e Renzi sarebbe difficile riottenere la fiducia. Non credo al Letta Bis, al massino un rimpastino limitatissimo"
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14:54 – Oggi
"Non si può navigare tranquilli. Berlusconi è imprevedibile"
"Non si può navigare tranquilli. Berlusconi è imprevedibile"
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14:51 – Oggi
"Questo accordo prevede una stabilità fino al 2015"
"Questo accordo prevede una stabilità fino al 2015. È vero, Berlusconi ha ancora il 20% dei suffragi ma Renzi dovrà affrontare il problema di trattare con una persona che è ai servizi sociali"
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14:48 – Oggi
"Sono cambiati in peggio i tempi. La gente vota Grillo per scassare il Paese e Renzi per rompere il Partito democratico"
"Sono cambiati in peggio i tempi. Oggi è difficile per l’elettorato identificarsi. Molta gente ha votato Renzi per distruggere il Partito Democratico. Molta gente invece ha pensato "Voto Grillo così scasso il Paese". Ma così è impossibile andare avanti. Perché è una follia pensare che si possa ripartire da zero".
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14:42 – Oggi
"Berlusconi è risorto"
"La guerra è finita? La sinistra è molto disorientata. Quello che succede è sconcertante e storico. Berlusconi era uscito dalla scena: lo ha fatto una prima volta con Monti (anche se il suo partito restava e cedeva il passo a un governo di necessità) e lo ha fatto dopo la decadenza. Ma dopo l’incontro con Renzi è cambiato l’architrave della politica italiana: "Berlusconi è risorto e da sabato di fatto è entrato nella maggioranza".

CHE COS’È IL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
"NON è accettabile che in tempi di difficoltà economica la politica continui con i suoi carichi di costi, e le Regioni si trasformino in macro Stati che pensano di poter governare tutto. La riforma del titolo V ha accentuato il potere delle Regioni, ma non ha migliorato l’efficienza del pubblico. Dobbiamo quindi creare un modello diverso di Paese, ripartendo dai fondamentali". Sull’urgenza di revisionare il titolo V della Costituzione italiana Matteo Renzi, sindaco di Firenze e oggi segretario del Partito democratico, insiste già da diverso tempo. Tanto che oggi, al termine dell’incontro con Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, ha annunciato l’intesa sulla "riforma del titolo V con modalità tecniche che saranno presentate nei prossimi giorni e che vanno in un’ottica sia per un segnale costituzionale ma anche per il recupero e risparmi con l’eliminazione dei rimborsi ai gruppi regionali e le indennità". Quei rimborsi, cioè, su cui tanto la Corte dei Conti quanto la magistratura hanno aperto inchieste in 16 Regioni su 20 con l’obiettivo di verificare in che modo quei soldi sono stati utilizzati.
Ma che cos’è il titolo V? Il titolo V, parte seconda, della nostra Costituzione, riguarda le Regioni, le Province e i Comuni, stabilisce le funzioni di ciascun ente ed è già stato oggetto di un ampio processo di riforma avvenuto con l’approvazione della legge costituzionale numero 3 del 2001. Tale modifica ha inciso in modo netto sui rapporti tra gli enti costitutivi della Repubblica e tra lo Stato, le Regioni e l’Unione europea. Inoltre, ha modificato profondamente la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni ed ha portato alcuni importanti cambiamenti sotto il profilo fiscale. La modifica effettuata intendeva affermare il concetto di ’federalismo’ nella nostra Costituzione modificando la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni e riconoscendo ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni (articolo 119) autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Nel 2012, però, il governo Monti approva - a 11 anni di distanza dalla prima revisione - un disegno di legge costituzionale di riforma del titolo V. Un intervento - secondo quanto spiegava Palazzo Chigi - necessario viste le criticità emerse nel corso degli anni e sull’onda emotiva degli scandali (corruzione e malcostume) che ogni giorno hanno arricchito la cronaca. Nel mirino, la regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le Regioni. L’intervento riformatore si incentra sul principio dell’unità giuridica ed economica della Repubblica come valore fondamentale dell’ordinamento, prevedendo che la sua garanzia, assieme a quella dei diritti costituzionali, costituisce compito primario della legge dello Stato, anche a prescindere dal riparto delle materie fra legge statale e legge regionale. E’ la cosiddetta ’clausola di supremazia’ presente in gran parte degli ordinamento federali.
Si tende, inoltre, ad impostare il rapporto fra leggi statali e leggi regionali secondo una logica di complementarietà e di non conflittualità. Per questo sono previste alcune innovazioni particolarmente incisive: si inseriscono nel campo della legislazione esclusiva dello Stato alcune materie che erano precedentemente considerazione della legislazione concorrente: il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la disciplina dell’istruzione, il commercio con l’estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia. Qualcuno lo ha definito il "fallimento delle autonomie locali". Oggi la questione è di nuovo al centro del dibattito politico. E oggetto di una ulteriore riforma che tiene dentro il superamento del bicameralismo paritario. Tradotto: a una sola Camera il compito di fornire o revocare la fiducia al governo.

LA NUOVA LEGGE ELETTORALE SECONDO REPUBBLICA
Ecco, in sintesi, i punti chiave della nuova legge elettorale. E’ il modello uscito dall’incontro Renzi-Berlusconi. Dovrà essere sottoposto domani alle 16 alla direzione Pd e ai tentativi di modifica da parte, soprattutto, dei piccoli partiti. E’ chiamato ispanico modificato perché riprende alcuni aspetti del modello spagnolo. Come vedremo, con diverse eccezioni.

- Il modello è proporzionale a turno unico con liste bloccate molto corte: un minimo di 4 e un massimo di 6 candidati. Prevede collegi un po’ più ampi rispetto a quello spagnolo, ma con liste ristrette e la ripartizione nazionale dei seggi (due punti introdotti su richiesta dei centristi). Una volta calcolati, i seggi si dovrebbero attribuire scegliendo i migliori risultati di ogni lista nelle varie circoscrizioni. Quanto ai resti, in Spagna quelli sotto il 3 per cento vanno perduti. Nella futura legge italiana non dovrebbe essere così. Si dovrebbero recuperare a livello nazionale, attenuando così l’effetto maggioritario.

- Le soglie di sbarramento sono due: il 5 per cento per chi si presenta in coalizione e l’8 per cento per le liste singole (punto su cui ha insistito Forza Italia per vincolare la Lega a un accordo). I centristi vogliono provare a far scendere la soglia al 4 per cento.

- Per ora è previsto un premio di maggioranza del 15 per cento che - come voluto dalla Consulta - sarà assegnato solo a chi raggiungerà una soglia minima: almeno il 35 per cento dei voti (ma potrebbe essere il 40 per cento).

LA NUOVA LEGGE ELETTORALE SECONDO IL CORRIERE
OMA - E alla fine fu l’Italicum. L’accordo tra Berlusconi e Renzi è stato raggiunto su quello che si può definire un «quarto modello» rispetto ai tre proposti dal leader del Pd, frutto del lavoro preparatorio intercorso nei giorni scorsi tra il professor Roberto D’Alimonte, esperto di sistemi elettorali vicino a Renzi, e Denis Verdini, coordinatore di Forza Italia. Naturalmente, nei prossimi giorni, gli esponenti dei due partiti maggiori continueranno a lavorarci con l’eventuale contributo degli alfaniani e dei centristi - se la trattativa andrà in porto -, ma la sostanza non dovrebbe cambiare. Ecco di che cosa si tratta.
Proporzionale con sbarramento
Per la Camera dei deputati (che sarà l’unica Camera elettiva e quella che darà la fiducia al governo) la distribuzione dei seggi avverrà a livello nazionale, in base ad un sistema proporzionale. Quindi, la ripartizione dei voti tra i vari partiti sarà attribuito in un collegio unico nazionale. Questo sistema servirà a garantire anche le formazioni più piccole. Ma per evitare che il risultato elettorale sia in balia delle formazioni poco rappresentative, è stato pensato uno sbarramento del 5 per cento (o del 4) per i partiti che facciano parte di una coalizione e uno più alto, dell’8 per cento, per i partiti non coalizzati.
Il premio di maggioranza
La governabilità e la stabilità sono assicurate da un premio di maggioranza per la coalizione che raggiunga almeno il 35 per cento dei voti su base nazionale. Il premio ipotizzato consisterebbe in un 20% di seggi in più, che permetterebbe di raggiungere complessivamente il 55 per cento dei seggi, alla coalizione vincente.
La proporzione tra questi due numeri - coalizione al 35 per cento e un premio del 20% dei seggi - è uno dei punti più delicati dell’intero accordo. Ci sono dei dubbi al riguardo: se cioè non sia troppo alto il premio previsto o troppo bassa la percentuale richiesta per ottenerlo.
Se nessuna coalizione dovesse raggiungere il 35 per cento dei consensi a livello nazionale, i voti invece verrebbero ripartiti proporzionalmente in base ai risultati raggiunti da ciascun partito e da ciascuna coalizione (fatti salvi i due diversi livelli di sbarramento di cui si è detto).
Le liste bloccate «corte»
Come verranno scelti i candidati? Questo è stato uno dei talloni d’Achille del Porcellum e uno dei motivi principali della sua recente bocciatura da parte della Corte costituzionale. Ebbene la Corte ha stabilito il principio che i candidati devono essere facilmente individuati dagli elettori, che i cittadini devono sapere per chi votano. Non ha però censurato il sistema delle liste bloccate in sé: ha solo evidenziato il problema costituito da liste troppo lunghe (con troppi nomi) che impediscono all’elettore di sapere chi alla fine verrà eletto e riducendo, di fatto, al minimo il suo potere decisionale. Ebbene, nell’Italicum, il numero dei seggi, pur attribuito su scala nazionale, consentirà di eleggere i candidati presentati dai vari partiti in circoscrizioni su base provinciale ( o nel caso delle province più grandi e più densamente popolate) su base subprovinciale. E su liste «corte» e «bloccate». Non ci saranno quindi preferenze da esprimere, ma il rapporto con l’elettore verrà assicurato dai pochi nomi per partito che appariranno sulla scheda.
La base provinciale segna una differenza sostanziale rispetto al modello spagnolo originariamente proposto, dove le circoscrizioni elettorali sarebbero state molto più piccole e senza la distribuzione dei voti a livello nazionale. La base «provinciale» o «subprovinciale» avrà anche un’altra conseguenza. Non ci sarà infatti la necessità di riscrivere completamente le circoscrizioni elettorali, compito che da solo avrebbe richiesto moltissimo tempo, prima di poter andare nuovamente a votare.
Titolo V e abolizione del Senato
Oltre che sulla legge elettorale l’accordo tra il segretario del Pd e il leader di Forza Italia è stato raggiunto su due riforme costituzionali: la riforma del Titolo V della Costituzione e la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto. Il Senato non sarà più elettivo, ma composto da sindaci, presidenti di Regione, comunque da persone già elette come rappresentanti delle autonomie locali. Il titolo V riguarda il funzionamento di Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni, cioè gli enti territoriali che compongono la Repubblica italiana. Con queste riforme si vuole ottenere un taglio sostanziale dei costi della politica con l’abbattimento delle indennità.

PEZZO DELLA MELI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA - Squilla il cellulare di Matteo Renzi. Una, due, tre volte. Risquilla. Dall’altra parte c’è Enrico Letta che vuole sapere come è andata. Il segretario del Pd non risponde. Deve parlare con Alfano. Per la verità ha avuto una telefonata con il leader del Nuovo centrodestra anche prima dell’incontro con Silvio Berlusconi, però c’è una seconda puntata. Il sindaco di Firenze spiega ai suoi che il vicepremier è preoccupato e quindi molto disponibile. Forse lo vedrà oggi per chiudere definitivamente. Renzi chiama anche il Quirinale, per spiegare nei dettagli i passi avanti fatti con Berlusconi. «È tutto molto delicato», dice poi ai suoi.
Talmente delicato che il leader del Pd non sente il bisogno di un colloquio con il presidente del Consiglio subito dopo l’incontro con il Cavaliere. Solo alle nove di sera il sindaco risponde a un sms del premier che non è riuscito a contattarlo e che vuole sapere come sia andata perché è all’oscuro delle trattative finali. Renzi dice a Letta di non intervenire e di starsene da parte: il momento è troppo delicato ed è meglio che l’inquilino di Palazzo Chigi, che non ha seguito la mediazione, non intervenga e lasci giocare i protagonisti della trattativa. Del resto, Renzi lo ha detto mille volte, anche in passato: «Il governo non si occupi della materia elettorale, perché spetta ai partiti». E in effetti così è. Il segretario sta facendo più parti in commedia, pur di arrivare al risultato finale. «Non mi importa del rimpasto, non mi interessano i diverbi nei partiti. So che mi sto giocando tutto: la faccia e anche la testa. Ma l’accordo per la nascita della Terza Repubblica è a un passo e non possiamo sprecare questa occasione».
Perciò in questa fase preferisce parlare con Alfano o con il Cavaliere, che con Letta. L’accordo è praticamente fatto e non vuole interferenze esterne. Né vuole ascoltare le proposte di rimpasto o le offerte per un patto che duri lo spazio di un anno. Ora, spiega, la priorità è Berlusconi. Non perché il Cavaliere lo abbia affascinato. Tutt’altro. Ma perché è solo tramite lui che si può «cambiare il sistema elettorale e mandare in porto l’abolizione del Senato e la modifica del Titolo quinto della Costituzione». Ma Renzi non fa nessuna concessione a Berlusconi. Il quale, accolto da Lorenzo Guerini, che è diventato il plenipotenziario del segretario in «terra romana», appena si accomoda sul divano, proprio sotto una foto di Bob Kennedy, tenta di andare al sodo: «Allora, caro Matteo,quando mandiamo a casa questo governo?». Ma il segretario del Partito democratico da quell’orecchio mostra di non volerci sentire: «Così cominciamo malissimo, mi vuoi mettere in difficoltà? Il governo non è in discussione». Della serie, mettiamo i puntini sulle i. E Renzi ha talmente tanta fretta di metterli che alla fine dell’incontro con il leader di Forza Italia pone un’ulteriore condizione. Chiede che Berlusconi nel videomessaggio dica pubblicamente - e palesemente - «sì» alle altre riforme. A quelle costituzionali, che abbisognano di un anno di tempo e che fugano i dubbi sulla possibilità di un accordo tra il sindaco e Berlusconi che punti a staccare la spina anzitempo alla legislatura.
Il leader di Forza Italia mantiene la parola data, anche perché, come confesserà poco più tardi: «Renzi è troppo simpatico. È veramente nuovo». Ma l’uomo nuovo non vuole farsi impaniare nelle logiche vecchie. Per questo, dopo l’incontro parla il minimo indispensabile. Eppure sa bene che Berlusconi questa volta non potrà rovesciare il tavolo, per il semplice fatto che finora era un «intoccabile» e lo sarà di nuovo se straccia l’accordo con Renzi. Come sa, perché lo ripete più volte ai suoi, che Alfano è «disponibile» al confronto e alla mediazione.
Certo, ci sono i bersaniani che insistono, fanno pressioni e minacciano divisioni, ma non è che gli incutano un grande timore. Sono meno della metà del 18 per cento che alle primarie ha votato in suo favore. E non hanno nemmeno una sponda a sinistra. Basta sentir parlare Nichi Vendola: «Io l’accordo lo farò con Renzi, uomo nuovo e simpatico, frutto della Terza Repubblica. Non lo faccio certo con Fassina o Cuperlo che mi propongono il Letta bis. E questa sarebbe la sinistra del Partito democratico? Siamo messi veramente bene».
E infatti Renzi non sembra temerli in vista della direzione di domani: «So che siamo a uno snodo decisivo ma so anche che o chiudiamo adesso o non chiudiamo mai più. Del resto, so anche che posso farlo solo io. L’unico legittimato da un voto popolare a trattare persino con Berlusconi».
Già, perché, come notano i renziani, gli altri interlocutori del segretario non hanno ricevuto la legittimazione popolare da un voto. Né Alfano, né Letta. «Perciò - spiega Renzi ai suoi - vado avanti e chi la dura la vince» .
19 gennaio 2014