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 2014  gennaio 08 Mercoledì calendario

FINITA LA LOVE STORY CON RENZI


Fra Piazza Signoria a Firenze e via Solferino a Milano la strada si allunga sempre più. Nel rapporto, da sempre oscillante, fra Matteo Renzi, sindaco fiorentino e ora segretario Pd, e i vertici del Corsera, siamo di nuovo nella fase antipatizzante. Lunedì, in un commento nelle pagine interne, l’editorialista politico del momento, vale a dire Antonio Polito, ha rampognato duramente il segretario del Pd per la sua condotta sulla vicenda del viceministro Stefano Fassina, e per come sembra volersi accingere a governare il partito.

Sotto accusa la riunione fiorentina della segreteria nazionale, tenutasi a Firenze anziché al Nazareno, sede nazionale del partito a Roma. Polito ha parlato del rischio di una gestione proprietaria e di trasformare il Pd in Forzaeataly, cioè una Forza Italia, quintessenza del partito personalistico e di plastico, con una spolverata di Oscar Farinetti, l’industriale della ristorazione molto vicino allo stesso Renzi. Su Twitter, Polito era stato più duro: «Vi sembrerò formalista», aveva scritto, «ma se Renzi fosse stato nella sede del Pd a Roma, invece che a casa sua a Firenze avrebbe frenato la lingua».

D’altra parte Polito che, è stato in parlamento sui banchi della Margherita, dopo una giovanile infatuazione per l’estrema sinistra, cui era seguita la stagione del giornalismo politico (cronista e corrispondente da Londra di Rep, fece poi un Riformista assai bello), Polito dicevamo ha il vizio di trattare con un certo paternalismo il sindaco di Firenze, da quando s’è affacciato alla ribalta nazionale. Durante la campagna delle primarie contro Pier Luigi Bersani, per esempio, arrivò a raccomandargli, via Twitter, di assumere uno speech-writer, vale a dire uno che gli scrivesse i discorsi. Chissà come sarà stato contento il sindaco che faceva di una comunicazione, innovativa e non prigioniera dei soliti luoghi comuni politici, la propria arma.

Non è un caso che, quando i due si sono incontrati, come ai primi di dicembre a Porta a Porta, ci sia stata qualche frizione. Renzi aveva tradito la propria antipatia quando aveva detto «voglio tagliare le pensioni a lei, che è stato parlamentare» e l’altro, ricordandogli di non godere del vitalizio per la brevità della sua legislatura, aveva invitato il Rottamatore a studiare di più: «Forse», gli aveva detto, «ci sono regole che non ha ancora studiato». Ma non è un affare personale fra il commentatore di punta e il politico del momento. Sul Corriere di ieri è stato l’editoriale di Beppe Severgnini a far capire che, ai piani alti del palazzo venduto al Fondo Blackstone, intendono continuare a trattare il quasi 40enne segretario democrat, espressione di primarie cui hanno partecipato tre milioni di Italiani, come ragazzino brillante, anche capace, ma a cui si può anche spiegare come va il mondo o come dovrebbe andare.

Intervenendo sul tema della disoccupazione giovanile e le sue drammatiche cifre, tanto da giustificare un titolo accorato come «Non tradite questi ragazzi», Severgnini s’era concesso un lungo inciso linguistico, censurando l’uso dell’inglese nella presentazione del pacchetto lavoro promesso da Renzi, insistentemente definito dal segretario Jobs Act: «Ancora in inglese, perché?», aveva scritto, «e soprattutto quali sono i contenuti?». A parte la gratuità del riferimento rispetto al tono complessivo dell’articolo, a parte i termini british inanellati nel testo per spiegare la crisi, da part-time a stage a nudging (non era meglio: incoraggiamento?), a parte che Severgnini ha una rubrica intitolata Italians e che ha scritto un libro L’inglese, nuove lezioni semiserie (Rizzoli), a parte tutto, dicevamo, la digressione era chiaramente uno shampoo al ciuffo di Renzie, che nei giorni scorsi, anche via Twitter, s’era richiamato spesso al provvedimento.

E se lo fa anche «Beppe», che di «Matteo» è amico, tanto che si disse che quest’ultimo lo volesse candidare col Pd, tanto che Severgnini presentò nel 2012 il suo libro, Stilnovo (Rizzoli), alla Fondazione Corsera, se lo fa anche lui, dicevamo, è il segno inequivocabile di un certo fastidio, per così dire, di squadra. Invece, nell’aprile di due anni fa, al tempo di quella presentazione, dominava la blandizie verso il giamburrasca di Palazzo Vecchio: «Matteo, se vuoi fare il politico non ti puoi sottrarre», lo rimproverò Servergnini quando il sindaco, nella chiacchierata, si rifiutò di cavalcare una grande battaglia del quotidiano di allora: quella contro Roberto Formigoni. «No, mi spiace», aveva risposto all’insistenza del giornalista, «di Formigoni giudico l’esperienza amministrativa non le cose che riguardano il suo confessionale». Non che Renzi sia sempre stato tenero col Corriere, intendiamoci. Nell’ottobre scorso, forse dinnanzi a un atteggiamento un po’ troppo governativo del quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli, il sindaco se n’era uscito con un «via le banche dai giornali», che fece pendant con analoga dichiarazione di Diego Della Valle, che sta dentro Rcs ma fuori da quel patto di sindacato in cui i banchieri abbondano. E non era la prima volta che Renzi toccava il tema, talvolta agganciandolo a quello delle fondazioni bancarie.

A complicare le cose ci si è messo, dalla primavera scorsa, il principale editore concorrente: Carlo De Benedetti che, con una clamorosa revisione del suo giudizio su Renzi, ha preso ad apprezzarlo dichiaratamente e così anche i suoi giornali, particolarmente Repubblica, dove fa eccezione, a giorni alterni peraltro, il fondatore, Eugenio Scalfari. Inevitabilmente però lo sposalizio fra Rep e Renzi spinge fiosologicamente il Corsera a essere più severo, quando invece, col dorso fiorentino, quello diretto dall’ex-vicedirettore Paolo Ermini, poteva vantarne di esserne stato il talent scout.