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 2014  gennaio 08 Mercoledì calendario

LA GRIGLIATA DEL FARAONE


C’E SOLO DA SPERARE CHE L’INFORMAZIONE NON CADA IN MANI SBAGLIATE, ALTRI MENTI IN UN PROSSIMO FUTURO I NAS SI TROVERANNO a ricercare sui banchi dei supermercati partite di prosciutto cotto trattato con mastice di Chio o arrotolati di pollo cosparsi di sostanze grasse di origine imprecisata, tanto per fare un paio di esempi. Dato per scontato che la fantasia dei sofisticatori alimentari è illimitata, al pari della loro mancanza di scrupoli, per quale motivo vi chiederete qualcuno dovrebbe prendersi la briga di trattare la carne in modi così strani? Ma per venderla ben oltre la data di scadenza, è ovvio!
La ricetta, segretissima, come tutto quello che ci viene dall’antico Egitto, è stata riscoperta recentemente da Richard P. Evershed e Katherine A. Clark dell’Università di Bristol nel corso di una ricerca svolta in collaborazione con Salima Ikram dell’Università americana del Cairo. La dottoressa Ikram, nell’ambiente dei mummiologi, è nota, tra l’altro, per aver passato anni a mummificare conigli, comprati (già morti) al mercato. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Pnas, la prestigiosa rivista dell’Accademia americana delle scienze. Evershed, professore di biogeochimica, e le sue colleghe hanno condotto analisi sofisticate su quattro porzioni di carne deposte come offerte di cibo nelle tombe di alcuni personaggi di alto rango dell’antico Egitto. Hanno scoperto che, contrariamente a quanto ritenuto fino ad ora, la carne non veniva semplicemente essiccata ma, almeno in alcuni casi, le bende in cui era avvolta erano trattate con grassi di origine animale.
Nel caso di alcune costole di manzo deposte nella tomba di Yuya e Tjuyu(cortigiani della XVIII Dinastia, Nuovo Regno) le bende erano state trattate con grasso, cera d’api e resina di lentisco dell’isola di Chio (Pistacia lentiscus var. Chia). Lo scoprire che alcuni alimenti dell’oltretomba venivano trattati al pari dei corpi dei defunti delle famiglie più abbienti, all’interno dei quali venivano versate a profusione le più preziose resine vegetali, ha indotto alcuni a ritenere che questi trattamenti servissero a prolungarne la conservazione in modo da farli durare quanto le mummie cui erano destinati e cioè per migliaia di anni. Perlomeno questa è l’interpretazione data da Popular Archaeology. L’Ansa, a sua volta, suggerisce spiritosamente di applicare le formule egizie agli hamburger. In realtà e lo hanno dimostrato con dovizia di dati due antropologi canadesi, Andrew D. Wade e AndrewJ. Nelson (ne ho riferito su l’Unità del 22 settembre 2013), il trattamento delle mummie con resine rare e costose non aveva tanto lo scopo di prolungarne la conservazione nel tempo, effetto che comunque sarebbe stato difficile da verificare, quanto di beatificarle, garantendo così un miglior soggiorno nell’aldilà del defunto.
È verosimile che lo stesso significato simbolico e rituale avesse il trattamento degli alimenti. Trovo rassicurante questa considerazione e spero che i potenziali autori di frodi alimentari leggano attentamente perché, se le manipolazioni a base di resina, cera e grassi non assicurano una conservazione prolungata della carne, le ricette dell’antico Egitto perderanno di interesse ai loro occhi, non verranno applicate e in un prossimo futuro potremo sederci in trattoria, ordinare una grigliata mista ed attendere rilassati che sia cotta, senza temere di vederci servita nel piatto una grigliata alla Tutankhamon.