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 2014  gennaio 08 Mercoledì calendario

ATLANTE DELLE DONNE REMOTE (ISOLA DI MALTA)


Una si chiamava Domenica Zorba detta Cuzza, la stronza). Un’altra Marica Mexita detta la Pugnalata. Un’altra ancora Teresa Buscaina detta Spezzialotta (l’erborista). Poi c’erano Cattarinuzza la Turca, Margarita la bionda, Ursula la Sciavone (la schiava). E Anna Maria la Fregatina, dal nome di un’imbarcazione di frequente corso. Con loro: suor Dorotea Valenti, che ebbe dispensa papale per crescere con sé la figlioletta Anna, a patto che lei pure si facesse suora; suor Eufemia Pace, i cui beni alla morte inventariati comprendevano «una cantina con quattro fiaschi» e «una moschettiera di filindente vecchia»; e Giuditta, destinataria di una lettera d’amore anonima che così si concludeva: «È inutile di firmare, già mi conoscete, vogliami bene, addio».
Vivevano, tutte insieme, sotto un tetto di cui l’inquisitore Giovanni Filippo Gallarati Scotti scrisse al cardinal Colonna, per conoscenza: «In quel monastero quasi non vi sono che illegittime, spurie e meretrici convertite».
ALL’ANGOLO TRA MERCHANTS e North Street nella città di Valletta, sull’isola di Malta, oggi c’è una scuola materna, al fianco di una chiesa sconsacrata. Un editto francese abolì l’ordine delle Repentite. Per trovare la tomba dell’ultima di loro, suor Leucadia Ortese, morta il 27 ottobre del 1846, bisogna scendere nella cripta del vicino monastero di Santa Caterina, dove si trovano parallelepipedi di cemento numerati, adornati da una pianta minuscola, rischiarati da un cero. Il pavimento è di pietra a lastroni, il soffitto ad archi. Qui giacciono le spoglie delle suore che presero il nome da Maddalena, la peccatrice pentita che uno scrittore molto venduto vuole sposa di un Cristo scampato alla croce e continuatrice della sua missione. La Chiesa non prende in considerazione la sua teoria.
INAUGURANDO UN CONVENTO per carmelitane di clausura, padre Pelagio cavallerescamente disse nel suo sermone: «Sono le femmine di loro naturale inclinazione incostanti, leggiere di cervello, vaghe di se stesse, inconsiderate e per tanto non ha maraviglia che in tutti i tempi e in ogni luogo abbondano discole e prostitute, intorno a cui i pastori dell’anime indefessamente travagliano, ma con tutta la diligenza che vi praticano, non hanno potuto finora dare il necessario riparo».
Ci provarono, queste monache «repentite»: di esser donne, ragazze madri, vedove, streghe, senzatetto, senzapadre, senzafuturo. Varcarono questa soglia che più non esiste e si mischiarono alle «cuzze» e alle «sciavone». Le aiutarono e le sfruttarono. Furono aiutate e sfruttate. Fecero soldi, non seppero tenerli. Furono profittatrici, ci si approfittò di loro.
Vennero a far visita vescovi e gran maestri, preti e cavalieri. Con loro si congiunsero, non sempre in preghiera. Come consigliere spirituale delle monache fu designato da Roma il siciliano vicario Azzopardi. Tempo un anno e fu accusato di rapporti non convenzionali con una giovane suora: ogni sera si ritirava nella sua celletta verso le undici e ne risbucava l’indomani verso l’una del pomeriggio. Organizzava inoltre saltuari incontri per suo fratello con l’una o l’altra delle consorelle o convertite presenti a Santa Maddalena. Nonostante l’intensa attività, trovava il tempo di fermarsi lungo la strada e visitare un’altra pia donna a Santa Caterina. Quando lo scandalo divenne di pubblico dominio, la «Caterina» spedì al «Signor vicario» una bambola di zucchero con questo biglietto: «Non potendo nella notte divertirsi con la monaca repentita, questa pupa le sarà di sollievo».
UNA LEGGE IMPOSE che le prostitute convertite lasciassero un quinto degli averi al monastero. Ben poco ne fu ricavato: molte morirono di peste, i loro beni ne furono contaminati. I possedimenti di Teresa la Spezzialotta furono messi all’asta perché «sospetti di male» e venduti per 15 scudi. Pagati i debiti a tal Francesco Vella, al monastero rimase uno scudo.
Quando morivano, le monache lasciavano un tavolo, tonache usate e poco più. Chi ne ritrovò le salme le descrive così: «Le suore si deponevano nel sepolcro a terra nuda, senza bara, colla testa in dentro e i piedi verso i muri, in alcune delle sepolture sono deposte due, in altre tre cadaveri». Vite di vizi e clausure, di grandezze e miserie, di riparazioni tanto più grandi degli errori da indurre in altri errori terminavano così, come ogni vita: nella polvere. E nell’eterno dubbio: sante o puttane?
Non lo risolve la ricerca, neppure quella accurata della studiosa maltese Christine Muscat. La storiografia fallisce, si perde. È come Amelia Earhart in volo sull’oceano: varca la linea del cambio di data viaggiando verso ieri e scompare. Perché il passato è nulla. È polvere.

SONO FINITO A Malta per aver letto un libro stupendo perfino come oggetto:

PAUSA PUBBLICITARIA Atlante delle isole remote, Judith Schalansky, Bompiani

RACCONTA, PER SINEDDOCHI e lampi, cinquanta isole dove l’autrice non è mai andata e mai andrà. Ha viaggiato soltanto sulla carta, che per me equivale a vivere nella storia, ossia: tra la polvere.
Ho amato quel libro perché ho riconosciuto in quelle isole remote noi tutti. Ci identificano due numeri (longitudine e latitudine, nascita e morte), qualche bagliore nell’oscurità, la gentilezza di chi ci racconta a sconosciuti. Chi siamo stati veramente resterà un dubbio di relativa importanza. Purché ci abbracci il mare e ci seppelliate, per favore, due alla volta.