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 2014  gennaio 08 Mercoledì calendario

BRUNO BARBIERI DETEMI JOHNNY DEEP


A pranzo, al ristorante del Grand Hotel Et de Milan, ordina lui.
«Allora, ci porti questa pasta con arselle e pomodorini alla toscana, ma invece delle trenette vorrei degli spaghetti, le trenette sono piatte e non mi fanno impazzire. Poi due polpi accompagnati da un’insalata di radicchio, che rappresenta la vera prova per lo chef. Ce la può anche condire ma senza aceto balsamico, mi raccomando».
Il cameriere, provato, si allontana. Bruno Barbieri, rivolto a me: «Non sono un rompiballe, vero?».
Non sono le richieste a intimorire, piuttosto i modi imperativi e il tono esigente; qualcosa che gli spettatori di MasterChef Italia 3 conoscono molto bene.
Bruno Barbieri, romagnolo e chef italiano con più stelle Michelin (sette, conquistate lavorando in 4 ristoranti diversi) alla pari con Gualtiero Marchesi, dei tre giudici del talent di cucina più famoso al mondo, è solo in apparenza il più mite. Joe Bastianich che lancia i piatti, Carlo Cracco che fulmina con uno sguardo i concorrenti, sono sicuramente più aggressivi; ma è lui, dietro la faccia da buono e le maniere cortesi, quello più implacabile nel giudicare gli errori degli aspiranti chef: cultore della pasta, vivisezionatore dei ripieni, maniacale nell’arte di «impiattare», ha il copyright del termine «mappazzone» (dicesi a Bologna di piatto troppo pieno, pesante).
Il 2014 inizia per lui alla grande: dopo MasterChef, entrato da poco nel vivo della gara, tornerà subito in video come giudice della versione italiana di Junior MasterChef (su Sky Uno a marzo) assieme a Lidia Bastianich, mamma di Joe, e ad Alessandro Borghese; dovranno giudicare concorrenti dagli 8 ai 12 anni. Il 3 gennaio, intanto, è uscito il suo dodicesimo libro –Via Emilia, via da casa – dove, oltre a nuove ricette, racconta la sua infanzia a Piccolo Paradiso, frazione di Sasso Marconi, e i viaggi che hanno segnato i passaggi fondamentali della sua carriera. Della vita privata, poco o nulla. Perché Barbieri, oltre a essere il giudice più garbato, è anche l’unico a non avere messo su famiglia e a essere, a tal proposito, molto misterioso. Almeno finora.
Perché ha detto che l’insalata di radicchio è la vera prova per uno chef?
«Perché pochissimi ristoranti hanno il radicchio, e io sul radicchio non transigo. Ma anche le arselle saranno un banco di prova: togliere tutta la sabbia da dentro è difficilissimo».
La vena di sadismo che vediamo a MasterChef quindi esiste in voi anche fuori dalla Tv?
«Siamo tutti e tre dei numeri uno, è normale che i nostri standard siano alti. Joe gioca la parte del duro, anche se quest’anno si è un po’ ammorbidito, Carlo quella del sex symbol, il sogno delle donne italiane sotto le lenzuola. A me spetta il ruolo più tecnico: il rigore gastronomico, l’attenzione per il dettaglio. Per esempio, sono stato io ad accorgermi di un piccolo ma fondamentale difetto nella cucina di MasterChef».
Quale?
«Nelle prime due edizioni i concorrenti facevano tutti piatti insipidi. Ho capito che questo accadeva perché nelle postazioni avevano messo dei salini; è bastato spostare il sale nelle ciotole e da un giorno all’altro è cambiato tutto».
A mettere tre galli nello stesso pollaio non si rischia la rissa?
«Le discussioni ci sono. Con Carlo abbiamo litigato nella prima edizione, sembrava che il programma dovesse saltare. Quest’anno invece mi sono offeso con Joe, che mi ha detto: “Non capisci un cazzo” davanti a un concorrente e ad altre persone. Tu una critica puoi anche farmela, ma in privato. La mattina dopo ci siamo chiariti. Le due bestie comunque sono loro, io di solito sto in mezzo a calmare gli animi».
Su che cosa litigano Cracco e Bastianich?
«L’ultima volta Carlo ha detto che Joe non è uno chef, come a chiedersi che ci sta a fare in giuria, e lui non l’ha digerita. Infatti nella conferenza stampa continuava a ripetere che avrebbe iniziato a cucinare anche lui. Nessuno di noi però fa Tv per mettersi in luce come singolo, e con il passare degli anni la complicità aumenta. L’idea di quest’anno, di creare un’isola bar dove facciamo una sorta di confessionale, ci ha permesso di crescere come personaggi».
Di nuovo, tra i concorrenti di quest’anno, c’è l’involontaria vena comica di alcuni, e una certa multietnicità. Penso a Rachida, la casalinga marocchina, o alla single Laura, che le fa gli occhi dolci. Ricambia la simpatia?
«Io non mi innamoro dei concorrenti: mi innamoro dei loro piatti. Mi piace però il fatto che molti provengano da Paesi diversi ma oggi siano integrati in Italia: questo rende il nostro lavoro di scoperta ancora più interessante. Non si faccia ingannare dalle prime puntate: le persone nel corso del programma si trasformeranno. Li scoprirete capaci di colpi bassi».
Arriva la pasta con le arselle.
«Le scoccia se mangiamo con le mani?», mi chiede. Intanto immerge le dita nel sugo per aprire i molluschi. Arriva il cameriere che chiede: «Preferisce il radicchio di Chioggia o quello tardivo?».
Barbieri lo fissa negli occhi e io tremo per il malcapitato. «Scelga lo chef, il meglio che ha nel frigorifero».
Diceva che Cracco è un sex symbol, ma anche Bastianich sembra apprezzare le donne. Chi dei due è più tombeur des femmes?
«Joe. Cracco piace molto, è considerato uno degli uomini più sexy, al pari di un divo di Hollywood, ma non se la gode molto, dice sempre che ha da lavorare, sembra lavori solo lui. In trasferta, per dire, non è mai uscito la sera con me e Joe».
Beh, c’è da capirlo, è un padre di famiglia: aspetta il quarto figlio dalla compagna Rosa.
«Incontrarla è stata la sua fortuna. Rosa è una donna forte, e poi è romagnola come me. Lo ha aiutato a tirare fuori un po’ più di umanità, quella che con me ogni tanto mostra, ma che non sempre viene fuori. Diciamo che lo ha reso meno robot».
Lei invece non si è fatto una famiglia sua. È successo o è stata una scelta?
«Con questo mestiere avere una famiglia non è facile: con una moglie la sera ogni tanto ci devi stare, e un figlio la domenica devi portarlo a messa o a giocare a pallone. A chi ci ha provato, infatti, non sempre è andata bene. Però un bambino un po’ mi manca. Sono ancora in tempo a farlo, oppure potrei adottare. Intanto mi consolo con i nipoti».
Al momento è single?
«Sì, tengo troppo alla mia libertà. Non ce la farei a dover rendere conto a qualcuno di quello che faccio; sono indipendente da quando avevo 12 anni».
Nel suo libro scrive che è stato cresciuto da sua nonna materna in campagna, e non dai suoi genitori. Perché?
«Mio padre è andato in Spagna quando ero molto piccolo ed è tornato che avevo 17 anni. Non ero abituato alla sua presenza. Poco dopo, mi sono imbarcato come chef su una nave da crociera ai Caraibi. Mia madre lavorava a Bologna, prima in una sartoria, poi in un’azienda di maglieria per bambini. Io e mia sorella Brunella, maggiore di tre anni, vivevamo con mia nonna materna a Piccolo Paradiso; è stata lei a insegnarmi a cucinare. Era molto rigorosa: a tavola ogni giorno ci interrogava sul cibo che avevamo nel piatto, chiedeva il periodo dei pomodori, dei piselli, dei fiori. E quando eravamo disubbidienti, non ci picchiava con le mani, ma prendeva dietro casa delle foglie giganti di ortiche e ci inseguiva colpendoci sulle gambe. A sei anni ci trasferimmo a Bologna, dove cucinavo per Brunella: iniziai con le colazioni, ma a dieci anni preparavo già tutti i pasti completi».
Come mai lei e sua sorella avete lo stesso nome?
«Boh, la mia famiglia è un po’ strana. In casa nostra le donne sono sempre state molto forti, gli uomini meno presenti e fissati con le regole. Il rapporto con mio padre è stato a lungo un problema; da piccolo ho sofferto la sua assenza, ma è difficile costruire un rapporto con un genitore da adulto. Intorno ai 20 anni sono andato anche in analisi: ero un po’ in crisi, per aver fatto l’alberghiero. Diventare cuoco era stata una mia scelta – mia madre mi ha sempre lasciato libero – ma temevo che mio padre non la condividesse. Con il tempo, da grande, ho cercato di riavvicinarmi a lui e penso di esserci riuscito: a 87 anni, dopo un tumore (Barbieri è testimonial della nuova campagna dell’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, ndr), continua a essere avaro di complimenti, ma lo vedo che mi guarda con occhi diversi».
E il rapporto con sua madre?
«L’ho sempre adorata, avrei vissuto attaccato alla sua sottana e lei, nei miei confronti, è molto protettiva. Grazie ai vestiti che mi confezionava per Carnevale, vincevo sempre il primo premio. Un anno mi fece un abito da maragià con il turbante in seta, le penne di pavone e i pantaloni di lamé, che era uno spettacolo».
Da qui la sua passione per la moda e i vestiti. Dicono che sia anche fissato con la cura del corpo.
«Lo sono sempre stato. Amando viaggiare ho scoperto prodotti e oli essenziali esotici con cui coccolarsi. Mangio di tutto ma senza esagerare. Ieri sera ero a una festa di Joe, ma sapevo che dovevo posare per Vanity Fair e volevo essere in forma, quindi alle nove e mezzo sono andato a dormire».
Che rapporto ha con il sesso?
«Un po’ lo stesso che ho con la cucina. Preferisco i sapori forti, e mi piace sperimentare».
Donne o uomini?
«Donne. Rapporti omosessuali non ne ho mai avuti, ma è capitato che fossimo in tre o quattro e ci fossero anche uomini. Comunque, con Cracco non scapperei mai. Magari con Bastianich (ride, ndr)».
Parliamo del suo corpo: il punto forte?
«Le gambe. In palestra gli altri me le guardano invidiosi: sono di marmo. La mia altra passione è sempre stata il pallone, ero un campioncino in erba: arrivai a giocare nel Bologna. Penso che ce l’avrei fatta a emergere anche come calciatore perché ero maniacale, come in cucina: curavo le scarpe con il grasso di foca, cambiavo i tacchetti a seconda della temperatura».
E il punto debole?
«Avrei chiesto 10 centimetri in più, rispetto al mio metro e 71. Anche perché mio padre è altissimo, più di 1 metro e 85».
MasterChef le ha cambiato la vita?
«Mi ha reso più popolare, ma continuo a fare la mia vita di prima: vado a fare la spesa, al cimitero con mia madre. Poi salgo sull’aereo e vedo che tutti mi guardano e iniziano a bisbigliare: “C’è quello di MasterChef”. Veramente io avrei anche un nome».
Due anni fa ha aperto un ristorante a Londra, ma a maggio scorso l’ha lasciato. Perché?
«Pensavo che Londra fosse una città dove si potevano fare grandi cose, invece mi sono reso conto che noi italiani non l’abbiamo ancora colonizzata dal punto di vista gastronomico. Io ci ho provato: il ristorante era bellissimo, ci avevo investito un botto, avevo portato anche il culatello di Spigaroli e i fagioli del Purgatorio, ma non sono stati capiti. Comunque non potevo vivere in un posto dove non c’è il sole; ho bisogno di colori. Dopo due anni i miei piatti erano tutti bianchi e neri; allora ho venduto le mie quote».
Ne aprirebbe un altro?
«Mi piacerebbe: nella mia città, Bologna».
Nel suo libro c’è scritto che ha un sogno nel cassetto: Johnny Depp.
«Mi ha folgorato in Edward mani di forbice: è un grande attore e anche un trasformista, proprio come me, portiamo persino gli stessi occhiali. Il mio sogno è fare un film con lui sul mondo della cucina, credo apprezzerebbe. Ma mi accontenterei di fargli da mangiare».
L’intervista è finita. Il polpo e l’insalata sono rimasti per metà nei piatti. Il personale del ristorante sembra un po’ avvilito, ma lui saluta tutti cordialmente. Quando ci allontaniamo però non resisto: «Soddisfatto? A me può dirlo». «Esame superato».