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 2013  dicembre 15 Domenica calendario

I RILIEVI DI BRUXELLES, GLI IMPEGNI DA

RISPETTARE –

Si possono condividere o no dubbi e scetticismi europei sulla capacità, mostrata finora dall’Italia, di fare consolidamento fiscale e riforme strutturali all’altezza di direttive e ambizioni europee. Si può anche criticare l’opportunità di tranciare in medias res giudizi, di sicuro legittimi ma precipitosi, sulla volontà italiana di rispettare gli impegni presi.
Se però, dati alla mano, si mette a confronto quello che nell’ultimo quinquiennio di euro-crisi hanno fatto Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e quello che invece ancora non ha fatto l’Italia e neanche la Francia, quei dubbi appaiono meno gratuiti e molto più comprensibili.
Prendiamo la spesa pubblica, uno dei parametri su cui Bruxelles ci tallona da vicino per varie ragioni: perché finora su questo fronte non abbiamo fatto granché. Perché in qualche modo rappresenta la madre di tutte le battaglie: contro lo Stato ipertrofico e parassitario, contro sprechi e inefficienza di istituzioni e pubbliche amministrazioni, sanità, scuola e welfare, una giustizia scandalosamente latitante, disservizi a macchia d’olio. Insomma, contro un’immensa zavorra che dovunque paralizza i riflessi dell’economia invece di porsi al suo servizio per favorire crescita e competitività di sistema.
Perché infine, dovunque sia arrivata la "troika" europea, ha diretto la sua furia risanatrice e rigorista sulla variabile della spesa pubblica. Con qualche risultato positivo se è vero che si comincia a vedere, nei paesi che hanno subito la cura, il ritorno degli investimenti e di un export più competitivo.
Nell’ultimo quinquiennio di passione la Grecia ha ridotto la spesa pubblica (al netto degli interessi) di un terzo, 29 miliardi, portandola in totale a poco più di 72. L’Irlanda l’ha tagliata di 5,5 facendola scendere a 57,7. Il Portogallo di 2,9 per arrivare a 69,5. La Spagna di 9,1 per toccare i 395 miliardi in tutto. L’Italia invece non solo non ha provato a contenerla ma l’ha addirittura aumentata: di 12,5 miliardi portandola poco sopra i 664 miliardi. Per la verità la Francia ha fatto anche di meglio correndo in controtendenza, con un incremento da 103,2 miliardi per un totale di 1.046: +11% contro il 2 italiano.

Adriana Cerretelli

Parallelamente e inevitabilmente, viste le costrizioni Ue sul deficit, il carico fiscale non poteva che lievitare. E infatti in Italia è cresciuto di 45 miliardi, il triplo rispetto alla Spagna ma meno di un terzo rispetto alla Francia (+157).
Negli ultimi 5 anni da Atene a Lisbona, da Dublino a Madrid sanità, istruzione, protezioni sociali si sono più o meno drasticamente assottigliate contestualmente al crollo degli investimenti pubblici, dimezzati in Grecia e Irlanda, quasi in Portogallo e precipitati a meno di un terzo in Spagna.
Tolto quest’ultimo capitolo di spesa smagrito di oltre il 25%, e tolta la riforma delle pensioni (con la sua coda di costi non previsti dovuti al grande pasticcio degli esodati), l’Italia si è divincolata finora dalla stretta europea impartita alle economie in crisi, ritoccando alcune voci ma puntando più alla stabilizzazione che alla riduzione del settore. La Francia ha continuato a stare su un altro pianeta, aumentando metodicamente tutte le voci di spesa, investimenti compresi. E comprese anche le retribuzioni degli impiegati pubblici. Che invece sono calate dovunque insieme agli organici: dal picco del 30% per salari e occupati in Grecia, al 20% in Spagna e Portogallo, al 10% in Irlanda. L’Italia si è fermata intorno allo 0,4% per i salari e allo 0,7 per i dipendenti. Meno male che il paese è sfuggito alla mannaia, si potrebbe concludere con sollievo. Se non fosse che l’Italia, al contrario della Francia, possiede il settore pubblico più inefficiente della zona euro ora che la Grecia sta risalendo la china. «Meritocrazia è la nostra parola d’ordine per una pubblica amministrazione in passato vittima del clientelismo, di eccessi burocratico-legislativi in una giungla di oltre 4000 norme che strangolano lo spirito imprenditoriale e soprattutto i giovani» dice Kyriakos Mitsotakis, il ministro greco per la Riforma della pubblica amministrazione. Sembra di sentire l’elenco dei problemi italiani. Con la differenza che ad Atene si sono messi d’impegno per superarli. A Roma ancora no.
Negli ultimi 20 anni la Svezia, economia sana e dinamica del Nord, non solo ha ridotto il pubblico impiego da 600mila a 200mila unità decentrando, privatizzando e deregolamentando ma ha contestualmente imposto la regola del taglio dei costi dell’1,5% annuo.
Grazie allo scudo tedesco che la protegge dai mercati, la Francia può permettersi lussi che all’Italia sono vietati, tenuto conto anche del suo enorme debito. Per questo, invece di lamentarsi delle critiche di Bruxelles, sarebbe ora che dimostrasse nei fatti che l’Europa si sbaglia a dubitare della volontà riformatrice del Governo. Sarebbe l’unico modo efficace per far muovere non un incerto venticello ma una ripresa economica solida e duratura. E anche il solo modo per non diventare presto l’unico anello debole dell’euro.