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 2013  dicembre 15 Domenica calendario

SUONI DAL SILENZIO DI LORENZO LOTTO


Sono convinto che Francesco Scarabicchi, il poeta anconetano di cui esce ora la nuova raccolta di poesie, Con ogni mio saper e diligentia (liberilibri), fosse ormai giunto a un possibile punto di non ritorno del suo percorso creativo, a furia di limar versi, togliere parole, compattare le giunture del discorso poetico. Il tentativo — di nobile ascendenza classica, peraltro — era quello di costituire come un margine difensivo, una anche minima riparazione rispetto al vero tormento di questo poeta, come di tanti uomini del resto: la spoliazione che il tempo opera ai danni della vita, e anzitutto delle persone e delle cose amate. Non era rimasto quasi più nulla. Perfino i ricordi sembravano intaccati dall’irrealtà. Col tempo infatti, come si sa, non c’è rimedio. Non resta che il pensiero dell’eterno, per chi lo possiede, oppure la capacità di comprenderlo, di acquisirlo a coscienza, di riconoscerlo come qualcosa di consustanziale non solo al destino ma alla natura stessa dell’uomo. È esattamente quello che accade in questo libro di poesie.
Scarabicchi ha spostato la rotta anche solo di pochi gradi, ma il senso della sua navigazione poetica è comunque cambiato. Va subito aggiunto, allora, che simili spostamenti non sono mai un fatto esterno, una semplice questione di stile, ma mettono in causa la conoscenza delle cose, lo sguardo portato sul mondo, perfino un rinnovamento della propria vita. Lo stile è tutto, come voleva Flaubert, proprio perché è deputato a dire ben altro da sé. Per Scarabicchi l’occasione, tutt’altro che esterna e coltivata anzi da tempo lontano, è stata il legame con la vita e l’opera di Lorenzo Lotto, il pittore veneziano che nel suo lungo peregrinare per la penisola italiana — «viandante che la via non riconosce,/ per le province avare, inaccoglienti» — era approdato anche nelle Marche, per lasciarvi poi una parte importante del suo lavoro. Si tratta di un libro centrato, esatto, scritto sulla spinta di un’indubbia ispirazione, per servirmi di una parola che infastidisce chi non la comprende.
Può essere considerato una sorta di poemetto per stazioni o stanze (il sottotitolo è appunto: «Stanze per Lorenzo Lotto»), variamente articolato al suo interno, ma nella sostanza profondamente unitario, perché costruito come una continua meditazione del personaggio sul significato del proprio lavoro, del suo destino di artista al cospetto degli altri e della vita. S’intravedono alcuni fondali, una vela, qualche passaggio sul mare o sui colli, le figure e gli oggetti di alcune tele. A chi appartengono? Difficile se non impossibile, a questo punto, distinguere tra il pittore e il suo doppio di oggi, il poeta che scrive. Come i pensieri, anche gli scenari appartengono a entrambi.
Scarabicchi è un poeta esistenziale. Ama Saba e Caproni, e certo qualcosa è riuscito a mettere a frutto della loro capacità di fare, quasi inavvertitamente, conoscenza dell’esperienza, di acquisire a un contenuto sapienziale o filosofico gli elementi primi e comunque non superabili della vita. Così, a partire da un lessico basico e poco appariscente, anche il lavoro espressivo, in particolare il gioco di asimmetrie e dislivelli tra discorso e verso (endecasillabi, soprattutto, ma anche settenari semplici o doppi), è riferibile integralmente a una ricerca di natura interiore, conoscitiva e spirituale insieme: «Dev’esserci quel ponte che conduce/ la pura verità verso il suo vero/ e libera per sempre dal rovello,/ scioglie quel doloroso nodo,/ fa bianco, verso il mare, il mio sentiero».
Perché Lotto, dunque? Perché è l’artista del silenzio e della solitudine, non mai compensata o redenta; l’artista di una verità poetica perseguita a discapito della sua stessa vita. Ma soprattutto, lo ha visto bene Massimo Raffaeli nella sua nota introduttiva, Lotto è colui che da ultimo, proprio sull’estremo confine della terra (la Marca, appunto), «può sentirsi finalmente a contatto con la luce, coi colori e le forme elementari del cosmo», e «lì probabilmente riesce a percepirsi». «Della pietà sono braccio e ingegno», dice il Lotto di Scarabicchi. E se questo, per interposta persona, vale anche per lui, il poeta, ciò significherà non solo aver riconosciuto un senso compiuto, ma anche avere impresso un corso nuovo alla sua storia di poesia.