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 2013  dicembre 15 Domenica calendario

IRLANDA SOVRANA DOPO 3 ANNI SALVATAGGIO RIUSCITO (SENZA FESTEGGIARE)


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA — L’Irlanda, come ampiamente annunciato nelle scorse settimane, ha riconquistato la sua piena sovranità di bilancio svincolandosi dalla morsa della troika (Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario) che le aveva imposto un duro sentiero di austerità (tasse e tagli alla spesa) in cambio del programma di aiuti da 67,5 miliardi di euro. In tre anni Dublino ha rimesso il deficit e il debito sotto controllo, i tassi sui suoi bond decennali sono scesi dal 15 al 3,5 per cento (sotto i livelli spagnoli e italiani, nota maliziosamente ma realisticamente il Financial Times ) e il prodotto interno lordo, già dal 2012, è tornato a salire (nel 2014 è previsto il più 1,7 % e nel 2015 addirittura il 2,5).
L’ex tigre celtica sconquassata dalle follie immobiliari e monetarie delle banche e dall’assenza di efficaci politiche di controllo da parte dei governi ha riacceso il motore e avrebbe più di un motivo per celebrare enfaticamente il ritorno alla autonomia decisionale di bilancio che le era stata sottratta con il piano di assistenza internazionale. In verità, i toni, con cui l’Irlanda di centrosinistra e di centrodestra (alleati nella crisi) accompagna il suo reingresso nei mercati, sono piuttosto misurati. Ed è un buon segnale perché prevale la consapevolezza che il trionfalismo propagandistico, così scioccamente abituale nel mondo della politica, si scontrerebbe pesantemente con gli umori dei cinque milioni di cittadini costretti a rimboccarsi le maniche in questo triennio di tagli e, soprattutto, risulterebbe brutalmente stonato rispetto ai problemi che ancora angustiano l’economia e la società irlandese.
Dublino ha svoltato ma «la strada è ancora lunga» (ammissione del ministro delle Finanze) in quanto permangono squilibri gravissimi a cominciare dalla disoccupazione: è vero che nel 2010 e 2011 ogni mese 7 mila lavoratori restavano a casa e che oggi il trend si è fermato, però l’indice che misura la forza non più attiva è altissimo (oltre il 13 per cento) e che il numero degli irlandesi emigrati o emigranti è in preoccupante crescita, 80 mila nell’ultimo anno. Un sintomo, questo, che suona come un monito: un conto è recuperare la fiducia dei mercati e della troika (Ue, Bce, Fondo Monetario), passaggio importante, e un conto è recuperare la fiducia e l’ottimismo della gente che chiede lavoro e lavoro a casa propria.
Si possono ricavare dal caso Irlanda molte lezioni. Certamente la signora Merkel avrà modo di rimarcare che le sue ricette di austerità sono quelle corrette. E certamente chi vuole la stabilità finanziaria avrà modo di insistere giustamente che vanno imposti vincoli operativi e giuridici per impedire alle derive truffaldine bancarie di scaricarsi sullo Stato e la collettività. C’è però un punto sul quale il caso Irlanda resta aperto: il lavoro.
I numeri macroeconomici sul deficit e sul debito possono soddisfare l’Europa ma se i numeri del lavoro pesano, deludono e preoccupano gli irlandesi (e tutti gli europei), allora l’opera resta incompiuta e le parole o le promesse dell’Europa non sono più credibili. E’ la sfida del presente, più importante, per l’Irlanda e per l’Unione. Senza il lavoro la crescita è un falso d’autore.