Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 14 Sabato calendario

LA CROCE, ZOLA E WEMBLEY IL SOGNO DELLA PROVINCIA CHE CONQUISTÒ L’EUROPA


Si chiamano ducali, giocano a pallone in un palazzotto liberty del 1923 e scendono in campo accompagnati dalla marcia trionfale dell’Aida. La loro storia è un po’ fuori dal tempo, eppure quel tempo è stato macinato alla grande: cent’anni. Il Parma li celebra il 16 dicembre, perché nello stesso giorno del 1913 mutò il nome da Verdi Foot Ball (due parole) Club in Parma Foot Ball Club, ma li festeggia domani contro il Cagliari allo stadio “Tardini”, in cima a un romantico viale alberato, tra i posti più belli dove mettere quattro gradinate e un prato smeraldino.
Il Parma c’è da sempre, però si tende a dimenticarlo, legando l’avventura solo agli anni di Buffon e Cannavaro, Sacchi e Ancelotti, Nevio Scala e Faustino Asprilla. Invece il passato è densissimo e remoto, e racconta che i “crociati” nacquero il 27 luglio 1913 in omaggio a Giuseppe Verdi da cui presero il nome, un po’ come se l’Amburgo si chiamasse F.C. Brahms. Cinque mesi dopo, tuttavia, si diedero un battesimo più metropolitano, chiamandosi appunto come la loro città, e da lì cominciarono a navigare nelle serie più piccole, anche se appena nove anni più tardi l’avvocato Ennio Tardini, il presidente del sodalizio (allora si diceva così), cominciò i lavori dello stadio che venne inaugurato dodici mesi dopo. Seguirono giorni di gloria e sventura, come la messa in liquidazione del club nel 1966, il primo e non l’ultimo evento traumatico per le casse sociali: la Parmalat di Tanzi, in quei giorni, era ancora lontana a venire.
«Credo che Parma sia un esempio quasi unico di civiltà, educazione e gioia di vivere, non solo nello sport. Puntammo tutto sui giovani e sul gioco», racconta Arrigo Sacchi. «Allo stadio non si sentivano mai cori ostili. Ricordo quando la Gazzetta di Parma titolò: “Il Regio si è trasferito al Tardini”, fu una soddisfazione in una terra di buongustai. Il Parma è stata una delle mie fortune, e anche un grande amore. L’idea era quella di diventare il nuovo Ajax. Spero che gli attuali dirigenti credano soprattutto nei ragazzi e nei calciatori italiani».
Come la Sampdoria con la sua bizzarra maglia cerchiata, come il Celtic con quelle righe orizzontali da rugby, così il Parma ha una divisa che si distingue a prima vista: dipende dalla grande croce sul petto, anche se non c’è nessun infedele da combattere. Il segno, che richiama lo stemma cittadino e ricorda la strenua resistenza della città nel 1248 alle truppe di Federico II, nientemeno, un allenatore piuttosto forte in trasferta, esiste solo dal 1970, quando il Parma fu risanato una prima volta. Nulla, al confronto delle acrobazie cui fu costretto il commissario Enrico Bondi per salvare i ducali dopo lo scempio del bancarottiere Calisto Tanzi, dieci anni di galera per il crac finanziario che mandò in malora tanta povera gente, mentre Tanzi accatastava quadri d’autore e prestigiosi calciatori. Il signore dello yogurt fu arrestato nel 2003, tredici anni dopo avere rilevato il club scosso dall’improvvisa morte del presidente Ernesto Ceresini, indimenticabile autore del primo, sorprendente Parma di Arrigo Sacchi e della storica promozione in serie A: era la stagione ‘89-’90, e l’anno dopo i crociati — ma con Scala in panchina — sarebbero arrivati sesti al debutto tra i grandi. Memorabile impresa.
Proprio Nevio Scala, padovano di Lozzo Atestino, è uno dei nomi che la memoria richiama per primi. «Sono stati sette anni di fortissime emozioni. La gente ancora mi dice “quanto erano belli quei tempi, mister”, e non parlano solo di risultati ma di persone, e di come si viveva. Ricordo 10 mila nostri tifosi a Wembley e fu una gita di famiglie, una scampagnata. C’era serenità, ci sentivamo forti ma semplici». Oggi, Nevio Scala non è più un uomo di calcio: «Faccio l’agricoltore come i miei avi, ed è un sogno. Non so se quel modello sportivo, quello stile siano ripetibili, oggi il calcio è figlio di una società degradata. Il Parma smise di essere quello che era quando perdette l’umiltà, ma la gente si ricorda di noi».
Questo club c’è quasi da sempre, anche se lontano dalla bassa padana sembra a volte clandestino nella memoria. Ma esiste soprattutto da quando cominciò a vincere trofei internazionali: addirittura due Coppe Uefa, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea. Nella classifica dell’Uefa, soltanto quindici squadre hanno vinto di più (il Parma fu secondo nel ranking del ‘96), e solo tre in Italia (Milan, Inter, Juve). Con i soldi di Tanzi e le intuizioni di un bel po’ di gente capace, dal settore giovanile alla segreteria, il Parma visse annate incredibili, specialmente la ‘94-’95 quando sfidò la Juve di Lippi su tre fronti: campionato, Coppa Italia (se li presero i bianconeri) e Coppa Uefa, che invece andò agli emiliani. In quella stagione, Parma e Juve si affrontarono ben sette volte, e da lì a poco il Parma avrebbe dato proprio alla Juve qualche pezzo di uno scheletro formidabile: Gigi Buffon, Fabio Cannavaro, Lilian Thuram. Pochi sanno che il Parma stava per prendere Del Piero in prestito, dopo i primi gol bianconeri del ragazzo, ma Lippi si oppose e a Parma andò Dino Baggio, colui che avrebbe segnato sia all’andata sia al ritorno nella doppia finale Uefa, perché il destino è una ragnatela.
E se la Parmalat, quella Parmalat, non c’è più, ecco che invece c’è ancora fortissimamente il Parma, con la presenza indelebile dei suoi molti fenomeni di ieri e oggi (da Zola a Cassano, passando per il Pallone d’oro Stoichkov che pure in Emilia deluse), e grazie al magistero dei suoi strateghi, non solo Sacchi e Scala ma pure Ancelotti, Malesani, Prandelli, Ranieri, Donadoni. Il Parma che seppe trionfare a Wembley e che sarebbe scomparso, senza l’intervento di Tommaso Ghirardi nel 2007. Il Parma che lunedì sera festeggerà se stesso al Teatro Regio, ovvero il Maracanà della lirica, e che domani pomeriggio indosserà la divisa storica dei suoi cent’anni, legando i lacci del colletto come facevano i pionieri, perché le grandi storie stanno nascoste nei piccoli gesti.