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 2013  dicembre 14 Sabato calendario

VIVO TRA LA BOVISA DI SIRONI E I SOGNI A COLORI DI OTTAVIO


Quando nella sua Asiago, in cui vive poco distante da dove abitava lo scrittore Mario Rigoni Stern, Ermanno Olmi vuole starsene un po’ da solo, esce sul retro della casa e si mette a sedere, anche in queste «bianche» settimane natalizie. «Di lì in poi c’è solo il bosco e vedo gli scoiattoli che talvolta mi spiano dal fitto dei rami di un vecchio abete: lo fanno dondolare coi loro balzi improvvisi e cadenzati. È uno spettacolo emozionante, che condivido coi miei familiari. Per me il Natale è una ricorrenza che ci aggiorna sul valore dei nostri sentimenti, le sue connotazioni materialistiche non mi sfiorano». Quando ha deciso di acquistare un appartamento a Milano, la città in cui è cresciuto, il regista de «L’albero degli zoccoli», «Il mestiere delle armi», ha scelto un attico con un grande abbaino affacciato sul Parco Sempione. Da lassù si vedono solo il cielo azzurro, gli alberi e si sentono e vedono i merli volteggiare sopra i torrioni del Castello Sforzesco. «La Natura ha una magnificenza inarrivabile, cerco di starle il più possibile a contatto, la sua bellezza è sempre in divenire». I figli di Olmi hanno soprannominato questa mansarda alla quale si accede attraverso una scala elicoidale, la casa dei nanetti. «Questa interpretazione mi piace anche se la ragione è meno fiabesca: le travi del soffitto piuttosto basso ci costringono ad abbassarci di continuo. Ho appiccicato degli «occhi» in ceramica alle assi di sostegno proprio per ricordarci di non alzare la testa di scatto, ma succede inevitabilmente che ce ne dimentichiamo proprio per ammirare il Castello. Questa casa — racconta il regista 82enne — mi fa tornare con la memoria ai laboratori in cui sul finire del XIX secolo gli stampatori trasformavano artigianalmente i negativi in fotografie in bianco e nero, erano in pratica soffitte, in cui veniva utilizzata soltanto la luce naturale che filtrava dai lucernari. E in un certo qual modo mi fa pensare anche ai teatri di posa milanesi di una volta pieni di tendaggi».
Il suo indirizzo è un segreto che conoscono e gelosamente custodiscono gli amici più intimi di Olmi, gli stessi che salgono quassù a ritrovarlo o hanno trascorso ore felici insieme al padrone di casa. Lasciando segni del loro passaggio che sono appesi alle pareti. «Sono molto affezionato ai quadri che mi ha donato Ottavio Missoni, forse il grande pubblico non sa che era un bravissimo pittore oltre che stilista eccelso e campione sportivo: metteva su carta i suoi sogni, forme e colori si intrecciano come quei suoi maglioni». Un altro pittore «a sorpresa» è Mario Piavoli, l’amico e collega documentarista: «Per me nessuno come lui sa cogliere la profondità più intima della natura e trasmettere le sue palpitazioni più segrete sulla pellicola. Amo molto anche le cartoline che Mario Sironi ha dedicato al quartiere della Bovisa in cui ho trascorso la mia adolescenza milanese, a quei tempi la città cambiava pelle, aprivano tante industrie, c’erano gli operai con le loro divise, li ricordo sulla bicicletta, sui tram che li portava a lavoro. Io, figlio di un macchinista della locomotiva a vapore, che ho fatto anche il garzone di panetteria prima di entrare alla Edison di Foro Bonaparte come fattorino, abitavo coi miei genitori in una casa di via Cantoni». Olmi prende un foglio e poi tratteggia le linee di quella che è la sua casa ideale: «Il focolare domestico deve essere la bussola di ogni abitazione, ed esso non può che essere la cucina. La casa è una sorta di cucina col tetto sopra: le altre stanze ruotano intorno a essa e devono avere ciascuna una finestra che vi si affaccia, come le vene e le arterie del cuore. I bambini si sentono protetti e sicuri se possono vedere in qualsiasi momento quello che accade nella cucina, avvertono il tepore, gli odori e umori della famiglia. E dalle finestre la luce naturale deve sempre poter far capolino. Poi adoro il legno, sia quando è lasciato grezzo sia quando viene piallato, levigato e magari decorato con affreschi. Anche le vecchie stufe in ghisa mi piacciono molto». Un’altra casa al quale il regista è molto legato è quella contadina che la sua famiglia aveva a Treviglio nel Bergamasco: «C’erano la cascina con il portico, un grande camino nella cucina. E soprattutto c’era la mia nonna dai capelli rossi. In quella casa ci pedalavo dentro come un furetto su di un triciclo azzurro».