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 2013  dicembre 13 Venerdì calendario

GOLDEN BOYS – [AL CALCIOMERCATO DEGLI SCRITTORI RICCHI E NON FAMOSI]


Due milioni di dollari. No, non è lo stipendio mensile di Zlatan Ibrahimovic. E nemmeno quello di Cristiano Ronaldo. Due milioni di dollari è l’ammontare dell’ultimo anticipo a un romanziere. Aspirante, però. Questa giovane promessa della letteratura mondiale si chiama Garth Risk Hallberg. Trentaquattro anni, americano, un po’ di racconti alle spalle, collaboratore di New York Times Book Review e (nomen omen?) The Millions. Al primo colpo, l’acerbo Hallberg ha ottenuto dall’editore statunitense Knopf lo stesso ingaggio che il maturo Stephen King di solito incassa per un romanzo. Non solo: per lo stesso tomo (lungo quasi un migliaio di pagine) Hallberg ha già impilato un altro contratto, “a sei cifre”, dalla britannica Jonathan Cape. Nonché una folta manciata di traduzioni in giro per il mondo. Tanta roba per un giovanissimo talento. Che, sinora, hanno visto in pochissimi all’opera.
Ma Hallberg è solo la cresta di una fresca – e impetuosa – ondata di maxi-acconti a scrittori debuttanti anglosassoni. Un fiorente turbinio di giovani fenomeni, ingaggi stratosferici e sagaci agenti-procuratori. Pare il calcio. E, come il calcio di oggi, siamo di fronte a cifre proibitive in Italia. Qualche anno fa il nostro Paese aveva vissuto un fenomeno simile, seppur in proporzioni contenute. «Ma sono lontani quei tempi, in cui esordienti come Silvia Avallone, Paolo Giordano o Alessandro D’Avenia ottenevano sostanziosi anticipi», spiega Marco Vigevani, agente letterario. «L’editoria italiana è in crisi. Da noi, in genere, per il primo libro si arriva a cinquemila euro. Mentre per gli scrittori italiani già conosciuti ci si spinge massimo a 80-100mila. All’estero è tutta un’altra storia».
Difatti, negli ultimi mesi, oltre ad Hallberg, molti altri giovani talenti del vivaio letterario anglosassone hanno ottenuto contratti principeschi. Sempre per la loro opera prima. E poco importa se sono (semi)sconosciuti. «Sì, il trend generale dei maxi-anticipi a esordienti è in aumento», dice uno dei più importanti agenti editoriali americani, che preferisce mantenere l’anonimato. «L’editoria, specie quella statunitense, somiglia sempre di più a Hollywood: pochi titoli vendono tantissimo, molti altri le briciole. In mezzo, rimane poco». «Intendiamoci », prosegue il nostro, «gli autori “blockbuster” ci sono sempre stati. Ma da un po’ si punta molto di più sui giovani. Sia per il declino delle librerie tradizionali, sia per la contemporanea crescita degli ebook. In questo rumore bianco culturale, operazioni del genere spezzano l’equilibrio».
Solo all’ultima fiera di Londra, per esempio, sono stati tre gli ingaggi monstre di apprendisti romanzieri. Una è la 28enne inglese Emma Healey, che, parole sue, a Pasquetta non aveva ancora finito il libro, «e ora fanno tutti l’asta per me! Pazzesco!». Poi c’è la 30enne Jessie Burton, che con il romanzo The Miniaturist (probabilmente il prossimo autunno in Italia per Bompiani) ha guadagnato molte centinaia di migliaia di euro senza vendere nemmeno una copia. Infine, ecco il 38enne americano Matthew Thomas, professore in un liceo newyorchese. Che, in pochi giorni, si è ritrovato sul conto in banca 1,5 milioni di dollari in più grazie ai prodighi Simon & Schuster e Forth Estate. Altri nomi, per chi volesse approfondire: Chad Harbach, Erika Johansen, Carys Bray.
Ora, la domanda che si porranno molti giovani scrittori – soprattutto italiani – è: come si fa a essere ingaggiati da una grande squadra editrice ed essere ricoperti di milioni di dollari senza aver dimostrato praticamente nulla al mondo? Il ricchissimo City on Fire di Hallberg pare essere «un libro davvero straordinario, scritto da una voce speciale e completamente nuova. È dai tempi di Underworld di DeLillo che non leggevo un romanzo con un respiro così ampio e dalle descrizioni così profonde e maestose». A dirlo è Federica Manzon, l’editor di Mondadori che ha scommesso sul libro (arriverà in Italia forse nel 2014, altrimenti nel 2015). Di cifre, però, non se ne parla: «Posso solo dirle che c’è stata una grossa asta. Ma poi è stato lui a scegliere noi, al di là della cifra che abbiamo offerto». «Hallberg», aggiunge Manzon, «nel suo libro, ambientato nella New York “in fiamme” degli anni ’70, scrive così meravigliosamente che va oltre realtà. La sua giovane età ha contato ben poco nella scelta, a differenza del suo libro straordinario».
Anche Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale di Bompiani che ha acquisito The Miniaturist, sostiene come gli anni di vita dell’autrice siano irrilevanti. Ed è entusiasta del “nuovo acquisto”: «Nel romanzo c’è una splendida figura di donna, di ragazza, di cui si vivono le emozioni e le vicende, venendone completamente assorbiti. Jessie Burton è in grado di acchiappare il lettore e trascinarlo con sé con grande potenza». Anche qui il prezzo è top secret: «Eravamo sei editori coinvolti nell’asta », racconta, «e la migliore offerta viene valutata considerando una serie di fattori, non solo l’anticipo. All’autrice è piaciuto molto il catalogo Bompiani».
Ma basta un “ottimo” libro d’esordio per sbancare? Ovviamente no. Come nel calcio, è essenziale avere un buon procuratore. Spiega il nostro agente americano “segreto”: «Succede così: ho un libro potenzialmente di successo. Lo mando agli editori secondo me più adatti a valorizzarlo. Il segreto è offrirlo a un prezzo di base medio, ma, allo stesso tempo, creare le “condizioni” per gonfiarlo. E scatenare così l’asta e la bagarre. In genere, in due settimane ho piazzato il libro». Nella galassia delle agenzie anglosassoni le stelle polari sono rimaste sostanzialmente le stesse: Andrew Wylie, Ed Victor, Intercontinental Literary Agency, Icm e così via.
Questo, tuttavia, può non bastare. Oggi, se lo scrittore (uomo o donna che sia) è bello, affascinante, ultrapubblicizzabile – è fondamentale scrivere in inglese – con ampi diritti di traduzione e possibilmente con una storia interessante e/o tormentata alle spalle (magari molto “global”, ché va di moda), è tutto marketing che cola. «Certo che è così», spiega un importante dirigente editoriale italiano. «Se l’esordiente risponde a certi parametri pubblicitari, conviene a chi lo ingaggia. Sia chiaro: puntare su un outsider resta un azzardo, come il poker». Ma come si spiega questa nuova ondata di maxi compensi? «È un fenomeno particolare», continua, «che nasce dalla morsa del self-publishing e da cicloni virali come quello delle Cinquanta sfumature».
Non concorda Vigevani. Secondo l’agente italiano, i munifici ingaggi a questi giovani “fenomeni” della letteratura sono piuttosto il sintomo di una rinascita del mercato editoriale, per lo meno di quello anglosassone: «Vuol dire che la crisi è finita e che gli editori ricominciano a rischiare. E questo è positivo. Perché il mercato, almeno in America, si è ristabilito. Anche grazie agli ebook». Ma non c’è un rischio “bolla” se si scommette troppo su simili “start-up”? «Se i maxi anticipi diventano una norma, sì. Generalmente, però, il mercato si autoregola». Aggiunge l’anonimo collega americano: «Se si vince la scommessa, e cioè se l’esordiente vende almeno 500mila copie, l’editore guadagna milioni di dollari. E ha fatto un grande investimento per il futuro».
Sorge, però, un dubbio. Questi “golden boy” della letteratura, come lo sono stati nel calcio Michael Owen o giocolieri più derelitti come Denilson, diventano poi dei “campioni”? Non sempre. Anzi, se non sfondano subito, è dura durare. E possono bruciarsi presto. Certo, ci sono diversi precedenti incoraggianti, come gli statunitensi Khaled Hosseini e Jonathan Safran Foer. Che, conquistate cataste di dollari sin dalla prima pagina, hanno sempre venduto a profusione. Lo stesso non si può dire di altri. Anzi, capita che un anticipo pingue possa tramutarsi in un fardello insostenibile. «Vero», concorda l’agente americano, «soprattutto dal punto di vista psicologico».
E sono molti quelli che, dopo ultra-anticipi, non sono diventati famosi come Hosseini. Tra i tanti, solo l’americana Lori Lansens, pubblicata in Italia da Mondadori dopo le magnificenti cifre ricevute a inizio carriera, si è detta inizialmente «molto felice» di rispondere. Peccato però che, dopo alcune domande (tipo «quante copie ha venduto il suo primo ricchissimo libro?»), abbia troncato l’intervista con uno spietato «mi spiace, sono impegnata». Molti altri scrittori hanno chiesto, cortesemente, di non essere neppure citati.
Del resto, i maxi-anticipi sono argomenti così delicati che a volte possono infrangere anche granitici rapporti. Come dimenticare Martin Amis, che nel 1995 ripudiò la sua storica agente a causa di un acconto giudicato troppo misero per il suo romanzo L’informazione (Einaudi). Per poi concedersi al potentissimo Wylie. Lei era Pat Kavanagh, moglie dell’amico e collega Julian Barnes. Che per questo non rivolse più parola ad Amis. I maligni cominciarono a bofonchiare che il cantore di Money tirò sul prezzo per rifarsi i denti. Una brutta storia. Ma, almeno, non era un esordiente, Amis.