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 2013  dicembre 13 Venerdì calendario

LE CARTE SULL’AGONIA DI PROVENZANO


Il fantasma di Corleone è diventato il fantasma di se stesso. Bernardo Provenzano, l’exa capo di Cosa Nostra, è rinchiuso in una cella di 41 bis di un reparto ad hoc dell’ospedale di Parma, immobilizzato a letto, più morto che vivo. I periti che lo hanno visitato l’ultima volta (il 6 settembre scorso) hanno scritto che è affetto da «grave disabilità motoria e cognitiva» con «impossibilità di interloquire validamente, comprendere quanto accade intorno a lui» e «relazionarsi al contesto». Da tempo non riesce più a nutrirsi da solo ed è alimentato con un sondino naso-gastrico che servirà ancora per poco, comunque. I medici che lo tengono in cura, infatti, si sono arresi alle condizioni disperate di Binnu e hanno chiesto il consenso per praticare un delicato intervento chirurgico (la Peg) per bucargli la pancia dall’interno verso l’esterno. Da circa un anno, non riconosce nemmeno più i legali che lo hanno assistito nel processo sulla Trattativa. L’avvocato Rosalba Di Gregorio, da mesi, sta combattendo una battaglia isolata e difficile per il riconoscimento dei diritti del detenuto Provenzano con decine di perizie mediche e ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Perché, insomma, gli sia concesso, come pure la Costituzione sancisce, il diritto alla salute e alle cure di cui ha bisogno.

Le ultime immagini pubbliche del boss siciliano sono state trasmesse, con coraggio, dalla trasmissione di Michele Santoro «Servizio Pubblico» a maggio. Sono quelle del circuito di sorveglianza del carcere di massima sicurezza dov’era allora detenuto. Lo ritraevano mentre, completamente spaesato, era a colloquio con il figlio al quale mostrava non senza ritrosia, dietro sua insistenza, un enorme ematoma alla testa nascosto dal cappellone di lana. Un ematoma provocato da una caduta dal letto che gli aveva pure procurato una frattura scomposta allo zigomo destro; una delle tante. Quella scena risaliva a cinque mesi prima. Allora, Provenzano era ancora in grado di articolare a fatica qualche parola, e di camminare nonostante il Parkinson certificatogli nel 2010 le cui cure (dopamina) gli saranno somministrate nel 2011, con un anno di ritardo. Provenzano era in condizioni gravi, ma non disperate. E, comunque, nello studio di Santoro, guardando quel filmato, Bruno Vespa disse di provare «vergogna» da cittadino per uno Stato che trattiene al 41bis una «persona ridotta in quelle condizioni». Due giorni dopo, il 17 dicembre 2012, l’anziano padrino viene ritrovato in coma, a letto.

Verrà ricoverato tre mesi, poi di nuovo in 41 bis nonostante i periti nominati dal gup Morosini (il giudice della Trattativa) abbiano concluso che Provenzano presenta un «quadro cognitivo severamente compromesso» e «sensibilmente aggravato» tale da «inficiare la possibilità del paziente di relazionarsi con il mondo esterno e di comunicare in modo congruo e proficuo con gli interlocutori». Resta dentro altre 3 mesi (fino al giugno di quest’anno) ma è una larva: non riesce ad alzarsi dal letto, ha una doppia incontinenza, dev’essere imboccato e lavato. Stavolta, il ministro Cancellieri gli fa applicare delle sbarre al letto per impedire nuove cadute come richiesto, peraltro, dai medici del carcere fin dall’ottobre precedente. Prima dell’estate peggiora. Ricovero d’urgenza a Parma. Il referto parla di un soggetto «disidratato e malnutrito». Va in coma. Da allora, peggiorerà giorno dopo giorno. E se nel novembre 2012, Provenzano nemmeno riconosceva l’avvocato Di Gregorio, ritenendo addirittura di non trovarsi in carcere e di non aver bisogno di un legale perché non aveva più processi a carico, esattamente dodici mesi dopo, nel novembre 2013, il difensore non può nemmeno più rivolgergli la parola perché il detenuto è immobile, nel letto.

Tecnicamente, Provenzano è ancora un soggetto pericoloso in 41bis. La richiesta di differimento/sospensione della pena e di arresti ospedalieri, richiesta dal difensore, è stata bocciata dal Tribunale di sorveglianza di Bologna (l’udienza si è tenuta alla presenza di un avvocato d’ufficio, perché la Di Gregorio non è stata avvisata) in quanto, secondo i giudici, quando nell’agosto scorso, parlando con i familiari, Provenzano chiede «La putia come va?» (il negozio, la bottega), potrebbe riferirsi non già alla lavanderia di famiglia a Corleone, sequestrata tra l’altro dieci anni fa, ma «agli affari della mafia». Le Procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta avevano anche dato parere favorevole alla revoca del 41bis, ma si è opposta la Dna ritenendo che Provenzano possa essere comunque curato in carcere. Il ricorso in Cassazione non è stato ancora fissato.