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 2013  dicembre 13 Venerdì calendario

DELLA RAGAZZA CHE ERO NON C’È PIÙ NIENTE

[Colloquio Con Micaela Ramazzotti] –

Eccola da vicino, Micaela Ramazzotti, la nuova diva italiana. Del suo genere non se ne affacciavano alla ribalta da qualche decennio. Abbiamo avuto attrici sensibili, attrici intense, attrici bellissime, ma dai tempi della Loren e dalla giovinezza della Sandrelli mai più una con una faccia e un talento come il suo. E, soprattutto, mai più una che ricalcasse persino la storia delle grandi star del passato. Estrazione popolare, gavetta faticosa che passa anche attraverso i fotoromanzi, particine di poco conto in cinema e in tv e poi l’incontro con un grande uomo di cinema che se ne innamora, la sposa ne sviluppa le potenzialità, e ne fa una diva.
L’incanto in più che trasmette la Ramazzotti è la naturalezza con cui vive il successo insieme alla capacità antica di appoggiarsi a un uomo. Virzì è il suo pigmalione? Certo, le ha insegnato tutto. Somiglia alla Loren? Non esageriamo, e poi lei preferisce la Mangano. Un futuro internazionale? Magari, ma ora ha da fare con i figli piccoli.
Dopo "La prima cosa bella", il film del marito che le ha dato la grande popolarità, è l’attrice italiana più richiesta e più premiata. Ora che può permettersi di scegliere, ha scelto di andare in televisione con "Il matrimonio", un melodramma in sei puntate di Pupi Avati in onda a gennaio su RaiUno che racconta la storia italiana degli ultimi cinquant’anni attraverso le vicende di una coppia. E lei, che a 35 anni è nel pieno della bellezza, è tornata acerba come a 18 e diventata opaca come a 70.
Micaela Ramazzotti vecchia e brutta: è difficile da immaginare.
«Vecchia sì, ma brutta no. La vecchiaia non è mica bruttezza. Se la sentisse Pupi Avati! Mi ha sgridato quando mi sono messa a fare i passettini: "Ohe, io ho 76 anni, ti pare che cammino così?". Lui è un grand’uomo, un capobranco con la vitalità di un quarantenne».
E lei è molto sicura della sua bellezza.
«Sicura? Oddio... ho i dentoni, non ho un davanzale come quello di Monica Bellucci, ho le occhiaie che tutti cercano di nascondermi con le luci».
Sta rivendicando una faccia tutta sua?
«Sì, una faccia con un carattere. Vorrei essere come una donna degli anni Settanta. Le ho viste solo in fotografia, ma erano diverse una dall’altra. Chi aveva il naso adunco, chi i capelli crespi, chi stava curva, però beccavano tutte lo stesso. E questo era molto sexy. Oggi sono tutte belle e uguali, ma beccano poco».
Però anche lei è stata paffuta e impacciata, almeno nei suoi primi fotoromanzi.
«Dica pure rigida e imbranata. Avevo 13 anni e leggevo avidamente i romanzi di Harmony e i fotoromanzi che trovavo da mia nonna, quelli con Massimo Ciavarro protagonista. In "Cioè", un giornaletto per la mia età ce n’era sempre uno. Ho mandato una foto con la determinazione di chi vuole cominciare qualcosa. Sentivo già di essere un’artista, anche se detto così è da fanatica».
Ha funzionato? Si è sentita artista?
«Mi sono soprattutto vergognata. Mi hanno chiamata subito e, per ironia della sorte, mi hanno dato il primo appuntamento proprio nel mio quartiere. Gli esterni li hanno fatti nel bar dove si riunivano tutti gli amici della mia comitiva. Mi hanno presa in giro per anni. Mi hanno rivalutato solo quando, tanto tempo dopo, mi hanno visto in "Zora la vampira" insieme a Verdone».
È consapevole di stare raccontando una storia d’altri tempi? Anche la Loren cominciò con i fotoromanzi, poi incontrò Ponti...
«Piano con paragoni così importanti. Noi artisti siamo persone fragili, crediamo sia ai complimenti che ai biasimi. La Loren è un mito ma, se lo vuole sapere, mi piacerebbe semmai che si alludesse a Silvana Mangano. Ha iniziato con "Riso amaro" dove era una donna burrosa, da mangiare, poi è cambiata radicalmente».
Anche lei sta cambiando?
«Certo. Ha visto che espressione dura aveva la mia Serena nel film di Luchetti "Anni felici"? E questo nonostante avessi i lineamenti ammorbiditi dalla gravidanza, che i siciliani chiamano la "fulcia". Sto lavorando molto su di me e so seguire i consigli dei registi.»
Ha seguito anche quelli della sua famiglia?
«Sono stata un’adolescente vivace ma non ribelle. Mio padre mi ha accompagnato a lungo sui set, mio fratello mi ha tirato fuori da un dimagrimento pericoloso solo mostrandomi le foto di Victoria Beckham prima e dopo l’anoressia. Mia madre che, come diceva Caproni parlando di Livorno è "popolare e raffinata", mi aiuta a tutt’oggi con i miei bambini. Siamo stati una famiglia appiccicata come i pipistrelli, Ora però il mio appiccico è con Paolo».
Già, il suo grande amore. Non ne aveva avuti altri importanti?
«Importanti no, soltanto lunghi. Lui è il primo e conto che sia anche l’ultimo».
Come è andata tra voi?
«Preparava "Tutta la vita davanti" e mi ha chiamata per fare un provino. Ero talmente impaurita che ho rimandato l’appuntamento tre volte. Pensavo che non mi volesse prendere e invece me lo sono preso io».
Mica è sempre facile. Come ha fatto?
«L’ho visto e ho detto: "Questo è il mio uomo". E ho fatto come fanno tutte le donne quando vogliono qualcosa. Lui ci ha messo un po’ di più, ma poi si è innamorato».
Gira la voce che lei sia gelosissima e lui no. A guardarvi, viene in mente il contrario.
«Uhm, questa è una storia che deve aver messo in giro lui. Sa come sono gli uomini in queste cose? Fanno i gradassi. Invece è un buon marito e un grande padre. La sera sbircio per ascoltare come racconta le fiabe a Iacopo: Pinocchio, Giamburrasca. È straordinario. Mi sarebbe piaciuto che anche a me, da piccola, qualcuno avesse raccontato così una fiaba».
A proposito, le pesa il divario culturale che c’è fra voi? Lui è un intellettuale, con riferimenti culturali e politici forti.
«Questo è uno dei segreti del nostro rapporto. La differenza unisce, mica divide. Pensi che disastro se fossi stata anch’io un’anarchica livornese mezza matta! Io a lui ho dato altre cose».
Quali?
«La famiglia che non aveva, per cominciare. E poi valori importanti come la semplicità, la dedizione. Sotto quella scorza, Paolo è un grande patriarca. Gli ho restituito quello che magari lui non sapeva neanche di volere. Ora siamo un clan, con la sua figlia grande, la gente del suo cinema».
Comincio a sospettare che la semplicità sia per lei un’arma sottile di seduzione. Però poco fa ha citato Caproni, poeta livornese non tra i più accessibili. Lo ammetta, sta studiando.
«All’inizio è stato mio marito che mi ha guidato un po’. Poi è andata come quando un bambino cresce in una casa piena di cultura. Vedi un articolo poggiato da una parte, un libro aperto in un’altra, li guardi, li scorri. E piano piano assorbi un sacco di cose. In questi sette anni con Paolo è come se fossi cresciuta di venti. Della ragazza che ero non c’è più niente».
Lei cita spesso per nome i personaggi che ha interpretato, si dilunga sul carattere, quasi che l’aiutino a capire meglio la vita. È così?
«Da quando ho chiuso con i personaggi precedenti, la vessata dagli uomini, la candida, la scodinzolante, va proprio così. Quelle donne immaginarie influiscono nella mia vita in un processo inverso: dalla finzione alla vita interiore. Non per niente mia figlia si chiama Anna come la protagonista de "La prima cosa bella"».
Racconti uno di questi cambiamenti.
«Quando ho fatto la protagonista del film di Luchetti, lui mi ha detto: "Serena non è una donna che ride sempre, lo fa soltanto se ne ha voglia". Questa frase ha camminato dentro di me. È passata dal personaggio alla persona e mi ha fatto capire che a volte io rido per forza, per gentilezza e per timidezza. E sto imparando a non farlo più».
Un’ultima cosa, Micaela. Lei è bella, è una moglie innamorata, è una mamma appagata, è un’attrice di successo, Mi dica, la prego, qualcosa che non va.
«Oddio, le sembro una donna bionica? Però è vero, non c’è niente che non vada. Vorrei che durasse così per sempre».
Scommetto che ha già in mente una ricetta per l’eterna felicità?
«Sì, quella che ha detto papa Francesco: per far durare i matrimoni e le famiglie bisogna saper dire "permesso, scusa e grazie". Già lo faccio, ma voglio usare sempre di più queste tre parole».