Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 13 Venerdì calendario

FUORILEGGE LE SPIE USA

[Colloquio Con Armando Spataro] –

Un’illegalità vistosa, «macroscopica». E «totalmente inutile». Il procuratore Armando Spataro non ha dubbi nel definire fuorilegge la massiccia attività di raccolta dei dati personali organizzata per anni anche in Italia, come risulta dai documenti del caso Snowden pubblicati da "l’Espresso", dalla Nsa americana, la più potente agenzia di spionaggio del mondo. Il magistrato milanese è conosciuto anche negli Stati Uniti per aver ottenuto le prime condanne di un plotone di agenti della Cia per un sequestro di persona, il rapimento dell’imam egiziano Abu Omar, avvenuto a Milano nel 2003 nel quadro della strategia segreta delle «extraordinary renditions», decisa dall’amministrazione Bush dopo le stragi dell’11 settembre 2001. Di quel processo resta aperto in Cassazione solo l’ultimo troncone, con cinque dirigenti italiani del Sismi già condannati in appello, ma tuttora difesi anche dall’attuale governo di Enrico Letta. Secondo Spataro, queste «attività illegali» dei servizi, in apparenza scollegate, rispondono alla stessa logica «dannosa e controproducente».
Come giudica l’attività di spionaggio compiuta dalla Nsa in Italia: le sembra lecita?
«Se sono veritiere le notizie e autentici i documenti pubblicati da "l’Espresso", e non ho motivo di ritenere il contrario vista la mancanza di smentite statunitensi, siamo di fronte a un’attività chiaramente illegale. In Italia eseguire intercettazioni o raccogliere dati informatici senza le dovute autorizzazione giudiziarie è reato».
La Nsa, a quanto risulta, usava come centrali di spionaggio elettronico l’ambasciata di Roma e il consolato di Milano: gli agenti Usa possono invocare l’immunità diplomatica?
«Quell’immunità ha varie sfaccettature: è molto ampia per l’ambasciatore, più limitata per i funzionari consolari. E comunque non costituisce certo una licenza per commettere reati. Lo dicono la legge, le convenzioni internazionali, e lo riconfermano le sentenze del caso Abu Omar».
Lo spionaggio sistematico di milioni di telefoni e computer viene giustificato anche dalla presidenza Obama come una necessità: controllare tutto e tutti servirebbe a prevenire attentati e garantire la sicurezza dei cittadini.
«È una giustificazione priva di fondamento, e lo dico da magistrato che si occupa da sempre di terrorismo. È una opinione condivisa dai migliori investigatori italiani, non solo i colleghi magistrati, ma anche i responsabili delle unità antiterrorismo di polizia e carabinieri, che ho voluto consultare prima della mia recente audizione davanti ai parlamentari del Copasir. Senza un criterio preventivo di selezione, una raccolta indiscriminata di milioni di dati non serve a niente. Troppi dati accumulati in modo caotico per categorie generali, ad esempio tutti i contatti telefonici, tutte le email, tutte le transazioni bancarie di milioni di persone, equivalgono a nessun dato. Per scoprire un covo di terroristi o un’organizzazione mafiosa, la nostra polizia giudiziaria, che è forse la migliore del mondo, utilizza certo anche indagini informatiche, ma a partire da specifici elementi di sospetto e sfruttando dati che riguardano soggetti, luoghi e momenti determinati. Dover gestire una miriade di informazioni senza filtri a monte è controproducente: si perde tempo e si disperdono le forze. E poi succede che riesca a salire su un aereo americano un terrorista già denunciato come tale dal padre...».
Mentre risponde alle domande, nel suo ufficio in Procura a Milano, Spataro non riesce a smettere di lavorare: il computer è sempre acceso, il telefono non dà tregua. Vicino alla scrivania ingombra di fascicoli, sulla parete di sinistra, sono appese vignette satiriche sul caso Abu Omar, con dediche di autori come Chiappori, e cartoline da Washington di amici spiritosi con il manifesto dello zio Sam: «La Cia vuole te». A destra campeggia la riproduzione di un quadro del 1964 di Norman Rockwell, "Il problema con cui tutti dobbiamo convivere", ispirato alla campagna per i diritti civili dei neri americani. L’accostamento sembra quasi un messaggio: siamo tutti americani, ma vogliamo essere liberi cittadini di una grande democrazia, non sudditi di una superpotenza del controllo globale.
Perché ha questo quadro in ufficio?
«L’ho visto per la prima volta nella sede di Washington del Marshals Service, la più antica agenzia federale, che si occupa tra l’altro di dare esecuzione alle sentenze della Corte Suprema. Rockwell si è ispirato al verdetto che nel 1960 pose fine all’apartheid in Louisiana, obbligando una scuola elementare di New Orleans ad accogliere una bambina di colore di sei anni, Ruby Bridges. Furono proprio i "marshals" a scortarla a scuola, per l’intero anno. In questo quadro c’è tutto: la legge, rappresentata da quattro agenti senza volto, perché la loro identità non ha importanza; l’arroganza, ben conosciuta in Italia, di chi non sopporta la legge e insulta la piccola lanciandole pomodori e vergando sul muro l’insulto "nigger". Ma ci sono anche l’orgoglio e il coraggio di chi si affida solo alla legge, simboleggiati dalla fierezza di questa bambina che procede a testa alta, ignorando le offese, con un abito bianco che resta immacolato. È la forza della legge».
Legge impossibile da rispettare, secondo gli ideologi dei servizi di spionaggio.
«La legge italiana offre ai servizi segreti uno strumento perfettamente legale per eseguire tutte le intercettazioni necessarie ai loro compiti anche senza i requisiti richiesti nelle normali indagini giudiziarie. Sono le cosiddette intercettazioni preventive, che si possono attivare anche per un pericolo remoto di attentato. I servizi, infatti, nell’ambito delle loro finalità istituzionali, possono chiedere alla procura generale di Roma l’autorizzazione a quel tipo di intercettazioni. Nulla impedisce a un servizio alleato, se davvero c’è un pericolo o un sospetto dimostrabile, di utilizzare questa procedura legale passando attraverso le agenzie italiane o di altri paesi, con cui si proclama sempre di avere una grande collaborazione».
E se invece la Nsa spia di nascosto e poi informa i nostri agenti, che succede?
«In Italia non può farlo. E i servizi italiani hanno l’obbligo di denunciare qualsiasi notizia di reato, anche vaga, alla polizia giudiziaria, che deve avvisare il pm. Tale comunicazione è obbligatoria, può essere soltanto ritardata. Quindi, se le nostre agenzie d’intelligence venissero informate di un’attività di intercettazione non autorizzata e non la denunciassero, incorrerebbero in un grave reato».
I capi delle agenzie americane hanno detto ai parlamentari italiani del Copasir che lo spionaggio di massa avrebbe evitato attentati anche in Italia.
«Farei solo una domanda: quali? Si è parlato di un attentato sventato a Napoli, ma in Italia la notizia non ha trovato alcuna conferma. E comunque bisognerebbe capire come mai, in nome della lotta al terrorismo, siano stati intercettati, come sembra, alcuni leader politici di Paesi alleati: forse qualche agenzia di spionaggio era convinta che la cancelliera Merkel fosse il capo della Raf? Il continuo riferisi alla sicurezza dei cittadini sembra più che altro uno slogan pubblicitario usato per giustificare un inutile tsunami digitale».
Francia e Germania hanno protestato duramente con gli Stati Uniti. In Italia chi potrebbe reagire?
«Certamente il governo, specie sulla base dell’indagine che il Copasir sta portando avanti, come titolare di un potere-dovere di controllo politico sull’attività dei servizi. Tocca al Copasir, cioè, accertare cosa intendessero dire i responsabili delle agenzie americane quando hanno parlato di costante collaborazione con i servizi italiani. Questa non potrebbe mai riguardare intercettazioni illegali, e in tal senso si è già pronunciato il vertice del Dis».
Il processo Abu Omar e le rivelazioni sullo spionaggio in Italia stanno modificando l’atteggiamento del governo sulle illegalità dei servizi e sull’abuso del segreto di Stato?
«Mi limito a dire che, dopo il governo Monti, ora anche l’esecutivo Letta ha sollevato un conflitto di attribuzioni contro i giudici del caso Abu Omar che hanno condannato uomini del Sismi. Sullo sfondo restano un sequestro e le torture subite dal sequestrato. Anche le renditions venivano giustificate in nome della lotta al terrorismo, mentre è vero il contrario: rapire e torturare i sospettati in prigioni segrete serve solo a fornire argomenti a chi fa proselitismo».
Vede qualche rimedio realistico all’onnipotenza dei servizi nell’era dei computer?
«Forse solo una direttiva europea di tutela del diritto costuzionale alla privacy, con sanzioni molto severe ed effettive sul piano politico. E anche il Garante, in tal caso, potrebbe rivestire un ruolo rilevante».