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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

L’AVVERSARIO PIÙ DIFFICILE FU L’INTESTINO RIBELLE


Ai Giochi di Tokyo, nel consuntivo della spedizione italiana, la medaglia d’oro in atletica di Abdon Pamich pesò molto. L’Italia e il Comitato olimpico di Giulio Onesti uscirono bene da quei Giochi, appena un gradino sotto l’apoteosi romana del ’60, primeggiando in ciclismo, pugilato, equitazione, con la doppia affermazione di Mauro Checcoli nel completo, tiro a volo e ginnastica con un meraviglioso ventitreenne romano di viale Marconi, Franco Menichelli. Ma, è noto, un successo in atletica, dinanzi ad una concorrenza realmente planetaria, Africa, Americhe, Asia, Europa ed Oceania, ha un rilievo diverso.

Tokyo fu gara complicata, con un britannico, Vincent Nihill, duro a cedere d’un metro. Ma non fu l’inglese l’avversario più pericoloso di quell’Olimpiade. Il momento più difficile d’una carriera ultraventennale, fisiologico ed estetico, fu quando, dinanzi all’infinito corridoio di spettatori giapponesi allibiti, viscere ed intestino ribelli, l’atleta fu costretto a piegare le gambe e ad accosciarsi ai bordi del percorso. S’era al trentottesimo chilometro. Un tè ghiacciato non aveva perdonato. Fu operazione veloce, ma pudor populi e imbarazzo furono forti, parzialmente mitigati da un gruppo di militari che fecero cerchio all’atleta nel momento più delicato e dall’applauso spontaneo degli astanti. Il fatto accadeva dunque a dodici chilometri dall’arrivo. Nihill avanti, a vista, un centinaio di metri. La ripresa dell’italiano fu graduale, e il sorpasso, di lì a poco, inappellabile. Al traguardo, sulla terra fradicia d’acqua, ultima terra prima che a Mexico ’68 facesse apparizione la pista in materiale sintetico, lo strappo rabbioso del filo di lana in una sequenza di raro realismo e il primato olimpico in 4h11:12.4, l’inglese, stremato, in fondo al rettilineo d’arrivo.