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 2013  luglio 10 Mercoledì calendario

LE CARTE DELLA DIFESA: I CINQUE PUNTI CHIAVE TRASCURATI DALLE TOGHE

Pubblichiamo la memoria presentata dal collegio difensivo di Silvio Berlusconi nel­l’ambito del procedimento sui diritti tv Me­diaset. Il 30 luglio davanti alla sezione feria­le penale della Cassazione si svolgerà l’udienza. La fissazione della discussione è avvenuta sulla base del ricorso presentato dai difensori dell’ex premier.
«Lascereste al suo po­sto il capo dell’uffi­cio acquisti dell’azienda di vostra proprietà se veniste a sapere che si fa cor­rompere e fa la cresta sugli ac­quisti?». La risposta negativa è assolutamente ovvia. Ma la domanda non è provo­catoria poiché è proprio sulla incredibile negazione di que­sto assunto che il Tribunale di Milano prima e la Corte di Ap­pello poi, recependo in manie­ra acritica l’assurda tesi della Procura di Milano, con pervica­cia accusatoria che connota da sempre l’agire a Milano nei con­fronti del presidente Berlusco­ni, ha aperto e trascinato per an­ni un inverosimile procedimen­to fondato sul nulla. Tale processo, convenzional­mente denominato «diritti Mediaset», è basato su una ipotesi accusatoria così assurda e risi­bile che in presenza di giudici non totalmente appiattiti sul­l’accusa e davvero «super par­tes», sarebbe finito ancor prima di iniziare, con grande rispar­mio di tempo per i magistrati e di denaro per i contribuenti.
Basti pensare che una sola delle molte inutili consulenze contabili ordinate dalla Procu­ra è costata ai cittadini quasi tre milioni di euro.
Non è azzardato ipotizzare che tra consulenze, rogatorie ed atti processuali questa vicen­da sia già costata allo Stato una ventina di milioni di euro.
Veniamo ai fatti.
Il gruppo televisivo fondato da Silvio Berlusconi era ed è uno dei principali acquirenti di diritti televisivi al mondo. Una piccola parte, di questi diritti (da 30 a 50 milioni di dollari, sul totale di quasi 1 miliardo di dol­lari acquistati annualmente) veniva acquistata ogni anno da tale Frank Agrama, un impren­ditore americano che operava ed opera nel settore diritti da ol­tre 40 anni.
Agrama, grazie ai suoi rap­po­rti di amicizia con il Presiden­te della Paramount, Bruce Gor­don, godeva di una sorta di esclusiva per la vendita dei pro­do­tti Paramount sui mercati eu­ropei ed otteneva dalla stessa Paramount prezzi e condizioni particolarmente favorevoli.
Secondo alcune testimonian­ze, Frank Agrama e Bruce Gordon erano soci. Agrama acqui­stava ogni anno da Paramount l’intera produzione dei film e delle fiction e poi li vendeva, sin­golarmente o a pacchetti, ai va­ri operatori europei assumen­do su di sé il rischio dell’acqui­sto globale della produzione Paramount.
Fininvest prima e Mediaset poi, per acquisire i prodotti Paramount, tra i migliori sul mer­cato americano, dovevano quindi, necessariamente, trat­tare sempre e solo con Agrama.
A conferma di questo un nuo­vo amministratore di Mediaset cercò di aggirare questa situa­zione trattando direttamente con Paramount. Il risultato fu che, quell’anno, Paramount ce­dette tutti i suoi prodotti alla Rai anziché a Mediaset.
I magistrati milanesi non si ar­rendono a questa realtà e ipotiz­zano addirittura che la causa dell’esclusiva di Agrama sareb­be stato il fatto che Silvio Berlu­sconi sarebbe socio occulto di Agrama e che avrebbe diviso con lui gli utili delle vendite Pa­ramount.
Risulta invece incontestabil­mente dagli atti che: A) Silvio Berlusconi ebbe a conoscere il signor Agrama (due o tre incon­tri soltanto) agli albori della Tv commerciale negli anni ’80 non avendo avuto successiva­mente alcun rapporto con lui.
B) Dai conti correnti di Agra­ma sequestrati dai PM milane­si si evince incontestabilmente che tutti i guadagni provenienti dall’attività commerciale di Agrama sono rimasti nella sua esclusiva disponibilità e che mai somma alcuna è stata tra­sferita a Silvio Berlusconi.
C) Nel corso degli anni, Agra­ma ebbe a versare ad alcuni diri­genti di Mediaset ingenti som­me di denaro in «nero» (in un caso addirittura 4 milioni e mez­zo di euro) per far sì che l’azien­da acquistasse l’intera produ­zione annuale di Paramount.
D) Tutti i testimoni ascoltati hanno categoricamente escluso che Silvio Berlusconi si fosse mai occupato dell’acquisto di diritti televisivi.
E) Tutti i testimoni hanno confermato che dal gennaio 1994, data della discesa in cam­po nella politica, Silvio Berlu­sconi dopo essersi dimesso da ogni carica, si è totalmente di­stinto ed allontanato dalle aziende da lui fondate.
È evidente quindi che Silvio Berlusconi, che era proprieta­rio al 100% di Mediaset e che an­che dopo la quotazione in Bor­sa ne era il principale azionista e il principale beneficiario de­gli utili, mai avrebbe avuto inte­ress­e ad acquistare prodotti Pa­ramount in eccedenza rispetto alle esigenze di Mediaset per poi dividere una piccola parte dell’utile con Agrama e mai avrebbe acconsentito al pagamento di tangenti in «nero» a propri dirigenti per agevolare Agrama.
Gli sarebbe stato sufficiente una semplice telefonata ai suoi sottoposti per ottenere l’acqui­sto dei diritti esitati da Agrama senza che questi dovesse paga­re alcuna tangente, secondo l’accusa per il 50% di pertinen­za di Berlusconi.
Sorge evidente una doman­da: quale imprenditore avreb­be continuato a mantenere co­me responsabili dell’Ufficio acquisti, (un ufficio che trattava i prezzi e acquisiva annualmen­te­venti volte il pacchetto dei di­ritti Paramount e cioè «diritti» per quasi un miliardo di dollari all’anno), dei dirigenti corrotti che pensavano al loro interesse e non a quello dell’azienda,che anzi avrebbero potuto procura­re ingenti danni patrimoniali al­l’azienda?
La risposta è assolutamente scontata: nessun imprendito­re con la testa sulle spalle, avrebbe mai tollerato per più di un minuto la permanenza in azienda di tali personaggi.
Ancora: il Collegio del Tribu­nale di Milano, era presieduto dal dott. D’Avossa, giudice già ricusato poiché in altro proces­so riguardante proprio il Grup­po Fininvest si era espresso af­fermando che era fatto notorio che in tale gruppo si utilizzasse­ro fondi «neri» ed aveva perciò condannato i dirigenti imputa­ti, che poi furono invece assolti in Appello e in Cassazione per insussistenza dei fatti.
Ancora: la Presidente della Corte d’Appello che ha incredibilmente confermato la senten­za di condanna del Tribunale aveva manifestato pubblica­mente la sua disapprovazione nei confronti del governo Ber­lusconi.
Ancora: i fatti ipotizzati dal­l’accusa sarebbero accaduti nella prima metà degli anni ’90 e quindi sono risalenti nel tem­po di oltre 20 anni.
La Magistratura, anziché prendere atto dell’intervenuta prescrizione ha invece, con te­si assolutamente pretestuosa, sostenuto che la compravendi­ta dei diritti aveva continuato a produrre i suoi effetti in tutti gli esercizi di bilancio in cui gli stessi diritti avevano trovato utilizzazione, ancorché fosse­ro stati integralmente pagati al­l’epoca dei contratti primige­nii risalenti agli anni ’90 ed inte­ramente ammortizzati nei bi­lanci aziendali.
Questi i teoremi accusatori che sono stati protratti all’infinito solo per poter arrivare a condannare il nemico ideologi­co e politico Silvio Berlusconi.
Ma ciò che rende ancor più assurda tutta questa vicenda è rappresentato dal fatto che i magistrati milanesi, contro ogni logica, non hanno tenuto conto di due precise sentenze della Corte di Cassazione, che con decisioni passate in giudi­cato hanno statuito l’insussi­stenza di quei fatti e comun­que l’estraneità di Silvio Berlu­sconi alla gestione di Mediaset proprio negli anni in questio­ne.
In qualunque altra sede giu­diziaria, dunque, a fronte di decisi­oni consimili si sarebbe do­verosamente ed immediatamente pervenuti ad una sen­tenza più che assolutoria. Ma eravamo a Milano.