Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 10 Mercoledì calendario

IL SACCO D’ITALIA: COSÌ PARIGI SI MANGIA LE NOSTRE IMPRESE

Loro Piana, appena rilevata da Lvmh per 2 miliardi di euro, non è che l’ultima di una lunga lista di società italiane attive per lo più nei settori della moda e dell’alimentare che, negli ultimi anni, sono finite in mano ai “cugini” francesi. Di recente, il caso più eclatante, soprattutto per i risvolti giudiziari che ha avuto, è stato quello di Parmalat, la società di Collecchio che a seguito dell’Opa (offerta pubblico di acquisto) lanciata nel 2011 è entrata nell’orbita del gruppo transalpino del latte e dei formaggi Lactalis, che già possedeva marchi come Galbani, Invernizzi e Locatelli. L’operazione è stata al centro di polemiche nei mesi scorsi soprattutto per l’acquisizione da parte di Parmalat, con la consulenza di Mediobanca, di un’altra società del gruppo, Lactalis American Group (Lag), al prezzo di oltre 900 milioni di dollari. Un’operazione infragruppo, maggio del 2012, che ha fatto gridare in molti allo scandalo soprattutto perché ha inferto un duro colpo alla liquidità dell’azienda italiana di Collecchio accumulata dall’ex numero uno, Enrico Bondi, a colpi di cause contro manager, revisori e banche coinvolti nel crac della famiglia Tanzi. Proprio per vederci chiaro sul “tesoretto” saccheggiato, o comunque drasticamente ridimensionato, è sceso in campo anche il Tribunale di Parma, che a marzo ha nominato il commissario ad acta Angelo Manaresi per seguire la vicenda, dopo avere bollato Mediobanca come consulente non indipendente (l’istituto di Piazzetta Cuccia aveva finanziato la stessa Opa su Parmalat). La banca d’affari guidata da Alberto Nagel, obietta il Tribunale, in una prima valutazione, aveva stabilito per Lag un prezzo non superiore ai 640 milioni di dollari. La questione resta aperta e c’è chi non esclude che Manaresi possa decidere di annullare l’acquisizione di Lag da parte di Parmalat, proprio perché avvenuta a un prezzo troppo elevato. Oltre a quelli giudiziari, poi, non mancano i risvolti sull’occupazione: alla fine dell’anno scorso si parlava della possibile chiusura di tre stabilimenti della Parmalat in Liguria e Lombardia con 123 possibili esuberi. Vanno ricordati anche i quasi 900 lavoratori finiti in mobilità alla Newlat di Lodi (ex Polenghi) dopo le difficoltà seguite alla scelta dei nuovi proprietari di Lactalis di non comprare più latte.
Ma quella di Collecchio è soltanto la più famosa delle società quotata a Piazza Affari a essere diventata, negli ultimi anni, preda dei francesi attraverso il lancio di un’Opa. Sempre nel 2011, infatti, il gruppo Louis Vuitton (Lvmh) di Bernard Arnault, con 4,3 miliardi, ha conquistato la storica maison romana di gioielli Bulgari, dopo aver inglobato marchi del “made in Italy” come Fendi, Emilio Pucci e Acqua di Parma . Si è mosso allo stesso modo anche lo storico rivale di Arnault, Francois-Henry Pinault, che con la sua Ppr controlla Gucci, Bottega Veneta, Sergio Rossi e, da ultimo, anche Brioni . L’azione dei grandi gruppi francesi in territorio italiano è stata pervasiva: nel 2011 anche la multiutility Edison è diventata francese finendo nelle mani di Edf. In questi anni i servizi segreti sono diventati sempre più sensibili al pericolo che, dopo aziende tutto sommato innocue come quelle della moda, anche settori strategici finiscano sotto controllo straniero, cioè quasi sempre francese: le Assicurazioni Generali, per esempio, sono sempre più più contendibili con la discesa di Mediobanca al 10% del capitale. “Da un po’ di tempo a questa parte – osserva Sandro Trento, docente di Economia all’università di Trento – è in atto questa tendenza che vede grandi gruppi francesi acquisire società e marchi italiani, soprattutto nei settori della moda e dell’alimentare. Molti se ne scandalizzano e scendono in campo in difesa dell’italianità, ma io non le vedo necessariamente come operazioni negative”. Secondo Trento, più che la sua nazionalità, è importante che il nuovo proprietario “apporti le competenze e le risorse finanziarie necessarie. Le imprese devono essere gestite da manager in grado di valorizzarle e farle crescere. E quelle italiane, nella maggior parte dei casi, non riescono a crescere perché hanno difficoltà a reperire le risorse finanziarie di cui hanno bisogno”. Inoltre, aggiunge Trento, “le aziende del nostro Paese devono anche fare i conti con un problema di accesso ai canali distribuitivi e logistici. Al contrario, i francesi hanno saputo sviluppare le reti distributive perché hanno capito che avrebbero dato loro accesso ai mercati internazionali”. Insomma, a parte il caso Parmalat, secondo Trento non c’è da preoccuparsi troppo: “Non si può escludere a priori – osserva Trento – che queste operazioni abbiano effetti positivi sull’occupazione. Ppr, ad esempio, è riuscita a risollevare il fatturato di Bottega Veneta. Dobbiamo smetterla di ragionare in termini di industria italiana e non di industria europea”.