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 2013  luglio 10 Mercoledì calendario

BOSSAGLIA, L’ARTE SENZA RETORICA

Lunedì notte, all’ospedale di Varzi, in provincia di Pavia, è morta Rossana Bossaglia. Aveva compiuto 88 anni il 14 giugno. Docente universitaria di Storia dell’arte moderna all’università di Pavia, si era specializzata nello studio del Liberty italiano.

Una quindicina d’anni addietro Rossana Bossaglia era piombata nella mia stanza al giornale e facendo una smorfia — una delle sue affascinanti, meravigliose, dolcissime smorfie che incantavano tutti — aveva detto: «Ti lascio questa mia fotografia perché possa accompagnare il mio necrologio sul "Corriere". Il pensiero che ne venga pubblicata una fra quelle che avete in archivio, magari insulsa, mi preoccupa molto. Oh!». Proprio così.
L’«Oh!» conclusivo voleva dire che la sceneggiata poteva essere considerata uno scherzo, ma senza che lo fosse. Rossana diceva sul serio. Voleva essere ricordata con un abito a fiori. La foto purtroppo è sparita. In cambio, questa pubblicata oggi la mostra in una posa ironica, aggrappata a un volante d’automobile. Con l’aria canzonatoria che l’ha sempre contraddistinta. Ultima raccomandazione: «Per favore, non scrivere un pezzo serioso, di quelli che fanno dire uffa, ma che faccia sorridere, con aneddoti, storielle; tanto la mia vita ne è piena. E poi, se al momento opportuno non te li ricordi, inventali». Non c’è bisogno di inventare nulla. Il cronista ricorda...
Questa donna straordinaria amava moltissimo farsi riprendere, perché considerava le foto gli unici strumenti in grado di documentare le stagioni di una vita. Tant’è che, nel 1989, da Giorgio Lucini pubblicò la propria biografia per immagini, Ventimilagiorni. «Una vita è tutte le vite — aveva chiosato —: è campione di quelle che si succedono nel tempo, è testimonianza di quelle che attraversa e che l’attraversano». Centinaia di immagini. Dalla culla alla prima foto-tessera, dalla scuola di cucito alla prima passeggiata con un ragazzo coi calzoni corti, da un’istantanea a dorso di cammello all’abito lungo per il primo ballo, dal matrimonio alla maternità, dall’insegnamento universitario all’attività di conferenziera, dal primo cane tutto suo alla prima sigaretta (fumata di traverso, come si vedeva nei film con Humphrey Bogart).
Il tutto, intervallato da foto in posa alla Luisa Baccara, ora con aria ammaliatrice e sorniona, ora furbetta e sognatrice.
Rossana amava il teatro e recitava (premio all’Accademia Filodrammatici); amava la musica e cantava, accompagnata dalla fisarmonica, con in testa un cappello in pelle e movenze alla Edith Piaf; amava il ballo e si scatenava nel boogie-woogie.
Di un buon numero di scatti gli autori erano degli amici, ma la maggior parte erano autoritratti. Davanti allo specchio, col rossetto in mano, in posa con le due amate nipoti, Emma e Josi nate dall’unica figlia, in cucina o davanti ad una delle sue innumerevoli civette che collezionava. Le civette? Nel 1983 pubblicò una plaquette, Civetteria, con i lavori di 33 artisti + 1. Fece persino una mostra alla Galleria dei Bibliofili di Milano.
Naturalmente le opere restarono di proprietà degli autori. Ancora: perché le civette? «Un’idea narcisistica: poiché durante la notte che precedette la mia nascita una civetta cantò ininterrottamente sul davanzale di casa. E mia madre ne traeva grande sgomento, dimenticando di interpretare come si conviene l’omaggio, in quei frangenti, dell’uccello di Minerva».
A Ventimilagiorni, seguì, nel 1999, Un’autobiografia, forse: pagine di grande agilità e godimento. La bicicletta, a Pavia? «C’era sempre qualcuno che ti metteva in sella». I viaggi? «Ogni volta che salgo su un aeroplano, mi dico: in che bella epoca m’è toccato di vivere. Se penso che potevo nascere nel ’600, mi vengono i brividi». Idrovolanti, alianti, mongolfiere? «Tutto fatto. Non sono mai andata in sommergibile. Questo mi manca». Ma, accanto alla donna curiosa di tutto quello che il suo tempo era in grado di offrire, c’era la studiosa di storia dell’arte, della specialista del Liberty (di cui è stata la maggiore esegeta e divulgatrice), della scopritrice di talenti, dell’autrice di decine di monografie, della critica d’arte esercitata proprio sul «Corriere» sino agli 80 anni, per circa 8 lustri. Poi quel maledetto morbo di Alzheimer aveva rovinato tutto. Nell’arco di un anno, la caduta irreversibile.
Rossana amava il «Corriere». E vedere un suo pezzo pubblicato, soprattutto all’inizio della sua malattia, era la migliore delle medicine. Le ultime tre volte le chiesi delle recensioni di mostre, di 45-60 righe l’una. «Le faccio subito». Una trentina di righe, la prima; circa venti, la seconda. La terza, appena dieci e mezza. Mi feci mandare su dall’archivio altri suoi articoli sull’argomento. E, tenendo conto di quanto aveva scritto in precedenza e con la «complicità» di Flaminio Gualdoni, riscrivemmo i suoi pezzi a quattro mani. Il giorno della pubblicazione, Rossana telefonava: «Mi pare che sia venuto bene, no?».